Medea la sovrana

Author di István Puskás

Caratteristica fondamentale della poetica di Pier Paolo Pasolini è il ragionare e l’esprimersi in immagini, cioè accogliere l’esperienza sul mondo in modo fondamentalmente metaforico, particolarmente in metafore complesse, cioè in allegorie. Questa sua scelta di articolare in tal modo tutto ciò che intende comunicare è in piena sintonia con la sua visione della storia della civiltà italiana ed europea, con la presa di posizione nei confronti dei cambiamenti profondissimi che avvengono sotto i suoi occhi.

La presenza fortissima di Pasolini nei discorsi culturali, scientifici e anche politici di oggi deriva da questa sua opinione, dalla convinzione critica grazie alla quale riesce a dare un’interpretazione acutissima della civiltà dei consumi, dell’Italia e dell’Occidente che nasce dopo la Seconda guerra mondiale. Pasolini segue con squardo molto critico e disperato tali cambiamenti che hanno la conseguenza di far sparire completamente e per sempre una cultura a lui tanto cara. Nelle sue opere cinematografiche e letterarie (come anche nella saggistica, nel giornalismo) non fa altro che fare la cronaca di questi cambiamenti, lottando contro la scomparsa del mondo precedente, pur sapendo che l’intellettuale non ha, ormai, il potere di influenzare il corso delle cose, che è ormai escluso dal cerchio che ha le capacità di intervenire in merito, e non fa altro che seguire dal margine ciò che sta succedendo.

Una delle caratteristiche più sorprendenti della vita e delle opere di Pasolini è appunto quel continuo agire, operare, pur essendo cosciente del fatto che tutto ciò vale pochissimo – se non nulla. Ma continua a farlo, a vivere così, perché altrimenti perderebbe le fondamenta della propria identità, della propria esistenza, come risulta benissimo dalla sua poesia Poeta delle ceneri.

Tutto questo ci può aiutare a capire il tono sempre tragico delle opere pasoliniane, quindi anche del suo film del 1969, Medea. La reinterpretazione del mito greco vuole essere un’allegoria dello scontro tra la civiltà premoderna e moderna (postmoderna?), e tra l’Occidente e l’Oriente.

La complessità della figura di Medea stessa come allegoria comprende aspetti fisici, corporali ma non perché ci sia una visione in chiave gender, ma perché anche in questo caso opera la visione di Pasolini, che in tutte le sue opere collega la dimensione del corpo con quella del potere. Il corpo è sempre campo di battaglia per il potere sia al livello individuale che collettivo, al livello della cultura. Quindi, i cambiamenti culturali sono rappresentati, sono scritti sul corpo; i corpi per Pasolini sono dei medium che dimostrano le trasformazioni culturali, sociali. In questo punto arriva vicino alle posizioni della teoria gender, ma non prosegue per quella via, non studia le posizioni sociali dei sessi; le donne di Pasolini non sono femministe, non lo è neanche Medea, che non è un’allegoria della femminilità ma è un’allegoria culturale.

Parla, sí, dello sfruttamento, della sottomissione della donna da parte del maschio al livello individuale, psicologico e sessuale, ma non parla tanto del contesto sociale nell’ambito occidentale, non indaga i ruoli socialmente e culturalmente confermati, non analizza la formazione e la vita dei ruoli sociali dal punto di vista del sesso, siccome ha la missione di articolare il conflitto tra due culture, di mettere in scena la sottomissione della premodernità da parte della modernità.

Abbiamo brevemente menzionato varie prospettive dell’interpretazione della Medea pasoliniana, gli approcci dei cultural studies, dei postcolonial studies, dei body studies, dei gender studies, e ora presentiamo ancora un altro aspetto: oltre agli studi culturali sui vari turns, quello della filosofia.

In precedenza, parlando dell’interazione delle dimensioni del corpo e del potere, non a caso non abbiamo menzionato la prossimità alla teoria della biopolitica – ecco, ora ci si arriva. La biopolitica è un concetto filosofico di Michel Foucault che è stato formulato proprio parallelamente alla nascita delle opere di Pasolini, probabilmente avendo le stesse ispirazioni, orizzonti molto vicini nell’osservare gli stessi fenomeni ma non servendosi dei risultati dell’altro.

La teoria della biopolitica prova ad accogliere una caratteristica fondamentale dello stato moderno: i meccanismi con cui lo stato, cioè l’elemento dominante della società, esercita il proprio potere sui cittadini tenendo sotto stretto controllo il corpo; cioè, il corpo anche da Foucault viene visto come campo di battaglia per il potere. In questa sede, ci fermiamo qui nell’analisi comparata dei due pensatori: ci limitamo ad aver introdotto il termine biopolitica, che apre una nuova dimensione dell’interpretazione di tutte le opere di Pasolini, fra cui anche Medea, naturalmente, perché siamo diretti verso un nuovo orizzonte, siamo diretti verso la filosofia italiana contemporanea.

Recentemente stanno nascendo delle ricerche che indagano l’influenza di Pasolini sulla filosofia italiana dei giorni nostri, oltre alla sua presenza evidente nella vita degli italiani, per capire che ruolo poteva avere Pasolini nel discorso scientifico della filosofia. Il testo finora più importante è Come le lucciole. Un’indagine della sopravvivenza (2010)[1. G. Didi-Huberman, Come le lucciole. Una politica della sopravvivenza, Torino, Bollati Boringhieri, 2010.] di Geoges Didi-Huberman, che indaga questi rapporti conferendo a Pasolini una posizione basilare nella nascita e nella vita di una filosofia molto critica nell’intenzione di capire ciò che sta succedendo ora e negli ultimi decenni nella civiltà occidentale. In Italia tali intenzioni, tali orizzonti d’interpretazione vengono raggruppati da studiosi stranieri sotto l’etichetta di Italian Theory, che non è una filosofia “nazionale” ma il “brand” di una posizione caratteristica di certi studiosi italiani che arrivano a questo ground comune sicuramente anche grazie alla presenza di Pasolini nella loro formazione culturale. Non è una prova, ma fatto emblematico è che il filosofo più importante di questa tendenza, Giorgio Agamben, ha avuto un contatto diretto con Pasolini, avendo recitato un piccolo ruolo (Filippo) in Il Vangelo secondo Mattia.

In questo breve saggio (anticipazione di una possibile ricerca più approfondita della questione esposta – e non solo in Medea) non si propone una ricerca di tipo filologico (che studierebbe l’influenza diretta, effimera di Pasolini); anzi, la prospettiva è proprio contraria: proviamo a offrire un’interpretazione dell’opera pasoliniana che si ispira ai concetti della filosofia cronologicalmente posteriore. Ciò che proponiamo è di considerare Medea tenendo presente e mettendo in moto le esperienze dei filosofi contemporanei e di Agamben in particolare.

Delimitando subito l’argomento che stiamo proponendo, ci concentriamo sulla teoria dell’Homo sacer di Giorgio Agamben. L’omonimo suo volume (1995) è una critica della teoria di Michel Foucault, non tanto con l’intenzione di rifiutarla ma per svilupparla, estendendola nel tempo e trovando la presenza della biopolitica già nell’antichità, nello stato greco, ovvero nel pensiero filosofico-politico delle città-stato e, dopo, di Roma. In breve, Agamben sostiene che la vita sociale (bìos) già dai greci veniva interpretata come una vita controllata dal potere, che veniva distinta dalla vita come esistenza biologica (zoé). La manifestazione estrema in cui tale distinzione si rivela è la situazione dell’homo sacer che, secondo Agamben, «si situa all’incrocio di una uccidibilità e di una insacrificabilità, al di fuori tanto del diritto umano che di quello divino»[2. G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi, 2005, p. 82.].

Alla vita esclusa dalla società e dall’ordine divino – privata sia della dimensione sociale-culturale che di quella metafisica, pur rimanendo una forma dell’esistenza – viene contrapposta e avvicinata la situazione del sovrano, siccome anche lui sta al di fuori della società, è fuori dalla competenza delle norme ma in maniera contraria, siccome è proprio lui che è fonte della legge, avendo il potere di sospenderla:

(…) l’analogia strutturale fra eccezione sovrana e sacratio mostra tutto il suo senso. Ai due limiti estremi dell’ordinamento, sovrano e homo sacer presentano due figure simmetriche, che hanno la stessa struttura e sono correlate, nel senso che sovrano è colui rispetto al quale tutti gli uomini sono potenzialmente homines sacri e homo sacer è colui rispetto al quale tutti gli uomini agiscono some sovrani[3. Ivi, pp. 93-94.].

Il sovrano e l’homo sacer sono i due punti estremi e proprio in questo modo si riflettono reciprocamente, sono collegati in maniera inseparabile. Agamben nella seconda parte del suo saggio studia certe situazioni in cui anche lo stato di diritto moderno, odierno, anche lo stato democratico occidentale va oltre i limiti che venivano stabiliti come sfera di competenza, cioè quando lo stato si comporta da sovrano sospendendo le norme approvate e accettate comunemente.

Il mito di Medea, allegoria della società, della realtà odierna, per Pasolini è un richiamo dell’antico con l’intenzione di capire il presente – proprio come fa Agamben. Due discorsi, due linguaggi diversi ma posizioni simili. Questa vicinanza può servirci quando prendiamo il cannocchiale agambeniano nella lettura del mito presentato da Pasolini.

In Medea Pasolini racconta la storia della sottomissione, dell’appropriarsi di un soggetto (che può essere sia una singola persona che una comunità, addirittura una civiltà) da parte di un altro, procedendo passo per passo dal momento in cui si mettono in contatto fino a quello dell’appropriarsi del corpo, materialmente-fisicamente – che viene narrato nella scena in cui l’uomo e la donna fanno l’amore. Il rapporto che parte come uno stare insieme intimo, basato sull’affetto – anzi sul desiderio, forza fondamentale per Pasolini, “freudiano” – reciproco, si trasforma in un gioco di potere, nel gioco classico di padrone-servo in cui sembra che l’uomo, Giasone, arrivi al possesso totale dell’altra quando la copre quasi del tutto, quando la donna è in una posizione totalmente inferiore, gli è sottomessa. Ma lo sguardo di Medea-Callas al di sotto delle spalle di Giasone-Gentile riesce a trasmettere in maniera illuminante che il possesso del corpo non significa il possesso del personaggio – negli occhi della donna vediamo tutto l’odio e tutta la paura che deriva dal trauma che sta subendo, ma proprio questi sentimenti sono l’evidenza che dentro il corpo sta conservando un’integrità come soggetto di cui l’altro non riesce a impadronirsi. L’alienazione di Medea nei confronti di Giasone è testimonianza del possesso non totale.

La sottomissione del corpo e del personaggio di Medea da parte di Giasone non è la fase finale del loro “gioco”; l’uomo va oltre, la priva anche della dignità quando le sottrae il ruolo sociale assegnato: quando prende un’altra donna come compagna, toglie a Medea qualcosa che risulta essere più importante del poter disporre del proprio corpo (cioè la nuda vita, con termini di Agamben). Le toglie la dignità che deriva dal ruolo sociale che è suo: il ruolo della moglie, che mette in dubbio anche l’altro ruolo fondamentale, quello della madre. Medea può accettare una vita senza poter disporre del proprio corpo, ma non può vivere senza un ruolo stabile nella società.

Medea, utilizzando i termini di Agamben, a questo punto arriva allo status dell’homo sacer, dell’uomo ridotto alla nuda vita, senza una vita sociale, in uno status in cui non riveste quel ruolo che la legge divina e le norme sociali costruiscono attorno a ogni individuo. Per la persona dominante (Giasone) può essere una vittoria assoluta: il potere sull’altro può sembrare assoluto, perché l’ha privato di tutto ciò che aveva.

Ma Pasolini usa il mito di Medea per poter raccontare le proprie convinzioni in merito alle situazioni simili: chi è privato di tutto, chi è ridotto a nuda vita non sempre accetta questa condizione, può succedere anche che si metta in azione contro tale stato, perché non è mica sicuro che uno che sembra completamente sottomesso non conservi qualcosa dentro che lo spinge ad agire contro la situazione in cui si trova. Il desiderio, dice Pasolini, non è solo motore del potere, ma anche dell’azione per liberarsene – e non solo al livello individuale ma anche al livello sociale e culturale (il poema “fanoniano” Alí dagli occhi azzuri è un’altra conferma eccellente di tali sue idee).

Medea, l’homo sacer, in questa situazione, quando la legge non è valida ormai su di lei, arriva a uno status che in un certo senso coincide con lo stato del sovrano che è sempre fuori dalla legge. Allora, la dimensione metaforica dello spazio – sotto la legge o sopra la legge – si annulla. Medea ora agisce fuori dalla competenza del diritto – sia quello umano che quello divino –, si guadagna il potere sovrano che sta nella capacità e nella competenza di sospendere la legge. Procede in maniera talmente radicale che sorpassa anche le leggi puù importanti, fondamentali della società e della morale (leggi divine): uccide. Prima uccide la nuova compagna di Giasone, per vendetta. Ma nella sua radicalizzazione non si ferma a questo punto, diventando proprio sovrana di se stessa e trasformando la propria schiavitù in padronanza; dalla sottomissione totale vuole arrivare al potere assoluto e viola la legge più importante di tutte le comunità umane: uccide i propri figli.

Il prezzo che paga per liberarsi dallo stato dell’homo sacer è il più alto possibile. Ma, agendo da sovrana, sarà proprio lei a completare il percorso della privazione: proprio cosí arriva al punto più estremo, più lontano dalla vita sociale, si strappa dal tessuto sociale e dall’universo in cui regna la legge divina, e quindi la sua adesione alla nuda vita, alla sacralità si completa.

A questo punto vale la pena di tornare alla scena introduttiva del film, al monologo del Centauro che, da portavoce del regista, presenta l’elogio di quella società, di quella civiltà che esisteva anche in Occidente prima della modernità. Il termine chiave di quest’episteme è il sacro, il valore più importante che organizza l’esistenza di questa formazione socio-culturale. Nella lettura di Agamben la parola sacro assume una dimensione politica e culturale, si arricchisce di nuovi significati che entrano benissimo nel discorso pasoliniano, che interpretano benissimo l’allegoria sugli scontri delle civiltà e sulle lotte per il potere tra individui e tra comunità che Pasolini voleva raccontare tramite il mito tragico di Medea.

Bibliografia di riferimento:

  • G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi, 2005 (I ed. 1995);
  • Id., La nostalgia non basta, ma è un buon punto d’inzio, intervista a cura di Valeria Montebello, in «Lo Sguardo», n. 19, 2015 (III), pp. 19-22;
  • G. Didi-Huberman, Come le lucciole. Una politica della sopravvivenza, Torino, Bollati Boringhieri, 2010;
  • F. Ricci, La “Medea” di Pasolini, in griseldaonline.it, www.griseldaonline.it/extra/medea-pasolini-ricci.html (consultato il 9.10.2017);
  • S. Benini, Pasolini. The Sacred Flesh, Toronto, Buffalo, London, University of Toronto Press, 2015.

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