Abbiamo accompagnato spesso Marino Magliani nella sua personale, ostinata esplorazione di una geografia insieme reale e mentale in cui la verticalità appartiene alla Liguria (una Liguria vera, odorosa, terrosa, ma anche letteraria, memore cioè della lezione di altri scrittori conterranei, primo tra tutti Biamonti) e l’orizzontalità è delegata a un altrove che volentieri è l’Olanda, terra d’elezione.
Qui, in questa fantasticheria dal titolo Il bambino e le isole (66thand2nd 2023), Magliani scova la dimensione orizzontale nella Liguria stessa, nella linea del mare, ma soprattutto nel tracciato della ferrovia che collega un estremo a un altro della regione. Metodicamente ne segue il percorso, ne penetra le gallerie e ne enuncia le stazioni, sui passi di un personaggio che personaggio lo è davvero e per due volte: nel senso che è la figura che è apparsa a Italo Calvino in un’idea che poi non si è concretizzata in un’opera, e nemmeno in un abbozzo, ma è rimasta argomento di chiacchiera, frammento di conversazione, finché non è diventata protagonista di questo libro di Magliani. In un gioco di specchi elegante ma anche corposo e sanguigno, per niente rarefatto o stilizzato, questo personaggio è sulle tracce di sé stesso: vive lungo i binari senza mai attraversarli, memore di un antico divieto materno, avanti e indietro, e, quando viene a sapere di avere ispirato per un attimo Calvino, comincia a leggerne con metodo i libri, ne aspetta con una certa impazienza le novità in biblioteca: cerca sé stesso, in quelle pagine, cerca le diverse declinazioni di sé stesso, da Pin a Palomar, e intanto fa del suo autore un oggetto di studio, ne diventa l’esegeta attraverso le tappe della propria vita, ne fa un personaggio.
Ogni libro corrisponde alla località nella cui biblioteca è stato letto: ogni luogo rimanda a un libro, e questo finisce per restituire a Calvino una sua forte connotazione ligure, che il cosmopolitismo aveva diluito.
Il libro di Magliani è popolato di persone-personaggi, che, incontrandosi per caso tra presente e passato, scambiano due parole, condividono colazione o cena, si incuriosiscono gli uni degli altri, esercitano con antico, naturale garbo un’ospitalità rustica e poco cerimoniosa. Questa affabilità l’abbiamo già incontrata, nelle opere di Magliani: chi accoglie non vuole nulla in cambio, giusto un po’ di compagnia, due chiacchiere che allarghino di un po’ l’orizzonte; e chi vaga (perché si vaga spesso, in Magliani, e, se c’è chi accoglie, c’è chi vaga e viceversa, è nella natura umana, e anche nel senso della scrittura per Magliani, credo), chi vaga è grato di prendersi una pausa, di trovare un riparo, di non essere guardato storto o mandato via di malo modo.
Un libro popolato, si diceva: c’è Calvino, certo, anzi i Calvini, perché insomma, quello dei primi libri e quello degli ultimi sembrano due persone diverse (tre, anzi, c’è anche il Calvino bambino e poi ragazzino); c’è, accanto a lui, prima l’amico di sempre Duilio Cossu, poi Carlo Levi; c’è Walter Benjamin, che Calvino incontra da bambino ed è come se lasciasse una traccia persistente; ci sono bibliotecarie, gitanti, turisti, bagnini, ortolani, animali di tutti i tipi… Ognuno ha le sue ossessioni, tutto sommato innocue: disegnare isole, per esempio, o rintracciare lucertole rare, classificare il mondo, obbedire a un ordine materno… Si dà un senso alle cose e alla propria vita anche così, assecondando un’ossessione.
Il bambino che inseguiva il pallone giù per i carruggi di Sanremo ma non voleva attraversare i binari è diventato un adulto che continua a camminare lungo i binari; è entrato a far parte del paesaggio, ne ha assunto i colori, gli odori; osserva gli altri, dorme dove può, fa i suoi bisogni dove gli riesce; la sua quieta inquietudine riassume, in piccolo, quella dello scrittore Calvino che lo avrebbe forse messo per iscritto, se ne avesse avuto il tempo e l’occasione, e che ha fatto del mondo intero la sua dimensione, invece di rimanere relegato in una fetta sottile d’Italia stretta tra mare e montagne – e quella dello scrittore Magliani, che instancabile percorre una sua geografia, da qua a là, da su a giù, andata e ritorno, ponente e levante, presente e passato, passato e presente, nord e sud, Europa e America Latina; e, ogni volta che torna negli stessi punti, ci scopre qualcosa di nuovo, di diverso.
Anche le isole, a guardarle da diverse angolazioni, appaiono diverse, nuove. Mai viste tante isole dalla costa ligure come in questo libro: sono creature cercate, profili attesi, alcune sono solo “scoglietti” ma è bello chiamarle isole; ognuno ha le sue preferite e, se le osserva da differenti angolazioni, le scopre nuove. Le isole sono profili di rocce, disegni di scogli, stelle opache, sono pianeti caduti, sono sogni sedimentati. Ce n’è ovunque, sembrano stringere d’assedio e invece schiudono l’orizzonte e fanno venire voglia di partire per mare.
Il vagabondo che aveva ispirato Calvino diventa vecchio, e finisce per sopravvivere al suo autore: capita anche questo, a volte. E il suo ritorno a Sanremo, al punto di partenza, dove ritrova la madre che lo aspetta – la sua ombra, tenera e brusca –, è un commovente ritorno indietro nel tempo e insieme un balzo inaspettato in avanti; insomma è, per usare una parola che supponiamo cara a Magliani, un perdersi e ritrovarsi nello “stempo”.
(fasc. 48, 11 luglio 2023)