L’edizione crociana dei “Lirici marinisti” del 1910

Author di Maria Panetta

Com’è noto, nel 1910 l’editore Laterza diede avvio a una delle sue più importanti collane letterarie, voluta, progettata e fondata da Benedetto Croce con l’aiuto e la consulenza dei maggiori studiosi della Scuola storica e la collaborazione di alcuni dei filologi più apprezzati dell’epoca: gli «Scrittori d’Italia»1.

Il primo volume della fortunata collezione fu quello, apparso nel 1910, dei Lirici marinisti, un’antologia di «quei poeti – chiariva Croce nella Nota finale ˗ che si mossero su per giù nella cerchia d’ispirazione tracciata dal Marino; ed è stato esteso perciò anche a coloro che, come lo Stigliani2, si professarono antimarinisti, ma effettivamente non uscirono dallo stato spirituale del marinismo»3: il termine “marinista”, quindi, veniva adoperato da Croce in un’accezione piuttosto ampia. E, del resto, ampia era la scelta degli autori4 (ben sessantotto) che figuravano, rappresentati da un numero variabile di liriche e suddivisi in dodici gruppi eterogenei; nella silloge erano state inserite, inoltre, quattro liriche d’autore incerto5.

In precedenza ˗ osservava Croce ˗ non esisteva un’antologia simile, all’infuori di una scelta di cento sonetti, pubblicata nel 1880 da M. A. Canini, «in un abortito tentativo di Sonettiere italiano»6. I Taccuini di lavoro del filosofo autorizzano a ipotizzare, comunque, che Croce diede inizio alla nuova collana proprio con questo volume perché, contemporaneamente7, aveva cominciato gli studi relativi alla letteratura del Seicento, che sarebbero, poi, confluiti nel noto volume di Saggi sulla letteratura italiana del Seicento (1910).

Il florilegio edito nel 1910 era stato realizzato mediante lo spoglio di oltre centocinquanta canzonieri del ’600, «molti dei quali, s’intende, letti con risultato negativo»8. Il criterio di scelta, più che in relazione a esigenze estetiche, risulta stabilito in base a una precisa volontà di documentazione erudita sulle peculiarità, le mode e i gusti letterari dell’epoca.

Infatti, Croce stesso affermava che «se la scelta fosse stata condotta dal punto di vista dello stile c o r r e t t o, essa sarebbe riuscita assai diversa; e, se dal punto di vista della p o e s i a, infinitamente più esigua. Ma si è voluto tener conto in essa degli spunti artistici, che presentavano interesse anche in componimenti mediocri e scorretti; delle più caratteristiche trovate bizzarre o mostruosità; dei vari argomenti che si solevano trattare e di certe forme predilette (p. e., l’epistola e l’elegia); e, infine, dare saggio di quel che sapessero produrre alcuni scrittori, ricordati dalle storie letterarie o celebrati al loro tempo. Si è escluso, in genere, ciò che era privo di carattere anche nella bruttezza; e perciò non si troveranno saggi, p. e., delle opere del Murtola, il quale deve la sua fama esclusivamente alla contesa personale col Marino. Insomma, l’antologia è stata condotta dal punto di vista di chi raccolga d o c u m e n t i per uno studio sulla lirica del Seicento»9: per questo motivo, spiegava Croce, era privilegiata la poesia amorosa, sebbene essa rappresentasse, nelle raccolte del tempo, solo una sezione, oltre a quelle di poesie sacre, eroiche, funebri, o morali, «quasi sempre rimerie senza interesse di sorta»10.

Il curatore asseriva di aver adottato un ordine il più possibile cronologico; «talora, in sottordine, quello per regioni o per affinità»11 e precisava che i componimenti riproducevano fedelmente le stampe o i manoscritti del tempo, «col solo cangiamento dell’ortografia e della punteggiatura e con la correzione di evidenti errori tipografici: si sono serbate alcune forme proprie del tempo»12. Appare non del tutto condivisibile (Croce stesso la definiva un «lieve arbitrio»13, in cui il danno sembrava inferiore al vantaggio) la scelta di «rifare quasi tutti i titoli delle poesie, le quali li avevano spesso lunghissimi e con monotone ripetizioni (p. e., Bella Donna o B. D.), e talvolta ne mancavano affatto. Abbiamo sostituito, quindi molti titoli, sfrondati altri e aggiunti quelli mancanti»14: sarebbe stato, di certo, più opportuno conservare i titoli originari, ove esistessero, e proporre modifiche o corredarli di spiegazioni nelle note, ma evidentemente l’intento crociano era quello di privilegiare la leggibilità e la piacevolezza del volume.

In attesa di nuovi contributi di altri studiosi, Croce rimandava, nella Nota, ad alcune pagine del proprio contemporaneo volume di Saggi sulla letteratura italiana del Seicento15, per un inquadramento della fisionomia generale delle composizioni raccolte. Proseguiva con rapidi cenni sulle singole personalità dei poeti, una sorta di agili schede erudite, che fornivano precise indicazioni sulle raccolte da cui erano state tratte le liriche, con segnalazione delle successive edizioni; menzione delle altre opere dello stesso autore; indicazione dei manoscritti e delle biblioteche in cui erano reperibili; date di nascita e di morte dei poeti, spesso con precisazione della città o regione di appartenenza; talvolta, poche notizie o curiosità biografiche; qualche suggerimento bibliografico per eventuali approfondimenti.

Non tardò ad arrivare una densa recensione di Antonio Belloni16 al volume dei lirici e a quello dei Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, opportunamente collegati. Dopo le critiche mosse da Croce al suo volume sul Seicento17, Belloni protestava: «è bastato che Benedetto Croce pubblicasse un florilegio di lirici secentisti, perché certa gente saltasse su a dire che s’era scoperta una miniera di gemme preziose, che la vilipesa turba de’ marinisti era invece un’accolta di veri poeti, che insomma il secentismo non era poi quel gran male che altri avean voluto far credere»18. Belloni metteva in guardia da qualsiasi esagerazione: gli pareva, infatti, che Croce fosse troppo ben disposto nei confronti dei secentisti, e soprattutto che volesse operare una rivalutazione di alcuni poeti, in un’ottica essenzialmente meridionale, «ricacciando indietro i Chiabrera19, i Ciampoli, i Cesarini, i Filicaia20», per dar rilievo ai marinisti («in un elegante e nitido volume»21) e agli scrittori di libri capricciosi.

Per Croce, la produzione del ’600 era notoriamente letteratura di decadenza, in senso «empirico e relativo», un’arte priva di sentimento etico e piuttosto povera, sotto apparenze lussureggianti; di essa egli aveva evidenziato il carattere pittorico, il sensualismo, l’ingegnosità. Belloni gli rimproverava di trascurare le particolarità dello stile dei marinisti (la stranezza del loro parlare figurato, le metafore, le antitesi, i bisticci, tutti gli artifici retorici), soffermandosi solo sul carattere impressionistico della loro arte e sui suoi contenuti. A suo giudizio, invece, i lirici erano padroni della lingua e del verso, tanto da riuscire a rendere colori e suoni (motivo per il quale – concordava con Croce – sapevano ritrarre bene aspetti della natura): loro caratteristica precipua era, insomma, un «sensualismo auditivo»22 senza sobrietà, prodotto di virtuosità, più che di vera arte, di artificiosità, quella che lo stesso Croce considerava il «verme roditore»23 dell’arte sensuale del Seicento.

Per questo motivo individuava nell’affinità tra marinismo e decadentismo (in particolare, dannunzianesimo24, che era stata evidenziata dallo stesso Croce, la ragione della simpatia che veniva allora accordata a Marino e alla sua cerchia, e affermava che, a suo parere, di poesia genuina e grande nel Seicento non ne era stata prodotta, perché essa è prerogativa dei geni, e Marino non apparteneva a questa categoria. Nonostante non fosse d’accordo con l’iniziativa editoriale di Croce, ne apprezzava, comunque, l’ingegno e dichiarava di avere profondo rispetto per le sue pazienti ricerche erudite giovanili25.

Da sottolineare che, dopo quella crociana, tra le edizioni più rilevanti delle liriche mariniste figura quella allestita da Giovanni Getto per la casa editrice UTET nel 1962, successivamente al volume di Opere scelte di Marino e marinisti curato da Giuseppe Guido Ferrero nel 1955.

  1. Mi sono soffermata a lungo su questa collana nell’Introduzione al mio Croce editore, Edizione Nazionale delle Opere di Benedetto Croce, tomo I, Napoli, Bibliopolis, 2006.
  2. Cfr. B. Croce, Storia della età barocca in Italia, II ed., Bari, Laterza, 1946, pp. 176-77, 195, 199, 287-88, 298; D. B. Marra, La biblioteca di Benedetto Croce, Napoli, Bibliopolis, 1994, pp. 73-74.
  3. Lirici marinisti, a cura di B. Croce, Bari, Laterza, 1910, p. 525.
  4. Molto rilievo è dato a Ciro di Pers, per il quale cfr. B. Croce, Storia della età barocca in Italia, II ed., Bari, Laterza, 1946, pp. 195, 199-200, 327-28, 419-22; D. B. Marra, La biblioteca di Benedetto Croce, op. cit., p. 78.
  5. Più precisamente: Il gelsomino tra le labbra, Zitella romanesca ritrosa, La mosca nel calamaio.
  6. Lirici marinisti, op. cit., p. 525; l’opera cui Croce si riferiva era il Sonettiere italiano, Torino, Candeletti, 1880.
  7. Cfr. il primo volume dei Taccuini di lavoro, Napoli, Arte Tipografica, 1987: 26 ottobre e 22 novembre 1909; 16 febbraio, 2, 7, 14 marzo; 4, 5, 6, 7 aprile 1910. In particolare, per il saggio su Basile, cfr. le annotazioni del 23 febbraio 1910.
  8. Lirici marinisti, op. cit., p. 525.
  9. Ivi, pp. 525-26. Marcello De Grandi riconosce a Croce il merito di aver «riproposto all’attenzione della critica la produzione marinista, sobbarcandosi a quel lavoro di indagine archivistica o di lettura critica che doveva sfociare nel volume dei Lirici marinisti e nella ancor ampliata segnalazione della Storia». Cfr. M. De Grandi, Benedetto Croce e il Seicento, Milano, Marzorati, 1962, pp. 150-51.
  10. Lirici marinisti, op. cit., p. 526.
  11. Ibidem. Risulta, forse, non ben definito questo criterio di raggruppamento per “affinità”.
  12. Ibidem.
  13. Ibidem.
  14. Ibidem.
  15. B. Croce, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari, Laterza, 1910, pp. 377-433.
  16. Cfr. A. Belloni, Rec., in «Giornale storico della letteratura italiana», a. XXIX (1911), vol. LVIII, fasc. 1-2, pp. 193-204.
  17. Cfr. A. Belloni, Il Seicento, II ed., Milano, Vallardi, 1929 (I ed. 1899); vi rimanda spesso anche Croce, che lo considera il volume migliore sull’argomento. Cfr. D. B. Marra, La biblioteca di Benedetto Croce, op. cit., vol. I, pp. 63-64.
  18. A. Belloni, Rec. cit., p. 194.
  19. Cfr. B. Croce, Storia della età barocca in Italia, II ed., Bari, Laterza, 1946, pp. 271-74, 417-18; D. B. Marra, op. cit., pp. 88-89.
  20. Cfr. B. Croce, Storia della età barocca in Italia, op. cit., pp. 271, 274-75, 418-19.
  21. A. Belloni, Rec. cit., p. 196.
  22. Ivi, p. 201.
  23. B. Croce, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari, Laterza, 1911, p. 415.
  24. Cfr. A. Soffici, Risposta ai futuristi, nella «Voce», 19 maggio 1910: Soffici parla di «enfasi secentesca, decadente» riguardo ai futuristi.
  25. Cfr. B. Croce, Taccuini di lavoro. 1906-16, vol. I, Napoli, Arte Tipografica, 1987: del 1909, vedere 6 e 10 novembre; 9 e 24 dicembre. Del 1910, 10, 12, 13, 15, 19, 20, 21 gennaio; 12, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 26, 27, 28 febbraio; 1, 3, 4, 5, 9, 13, 18, 19, 20, 29, 30 marzo; 2, 3, 4, 6, 9, 10, 11, 12 aprile; 1, 15, 16, 17, 26, 30 maggio; 1, 7, 12, 13, 14, 22, 23 giugno; 3, 4, 5, 13 luglio. Confronta anche: Carteggio Giuseppe Prezzolini-Benedetto Croce, a cura di E. Giammattei, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1990, voll. 2: Croce a Prezzolini, 255, Napoli, 23 novembre 1909: «Mi sono impegnato anche a fare due volumi per gli Scrittori d’Italia; e cioè pel 1910 l’autobiografia, il carteggio e le poesie del Vico, e pel 1911 l’Antologia dei lirici marinisti» (pp. 211-12); Croce a Prezzolini, 285, Napoli, 20 febbraio 1910: «Io sono caduto in una specie di fobia dello scrivere. In queste ultime settimane, ho avuto alcune contrarietà, che mi hanno assai agitato; troppo più forse che non era il caso, ma i miei nervi erano già un po’ indeboliti. Per fortuna, da più giorni ho ripigliato intensamente lo studio e la lettura. Lavoro molto per gli Scrittori d’Italia, per l’antologia dei Lirici marinisti (cfr. la lettera 255), per un volume di Saggi sulla letteratura del seicento che sto stampando, e per la preparazione della monografia sul Vico, oltre il resto. Ma non scrivo: ci ho ripugnanza» (p. 239). Cfr. anche Carteggio Croce-Vossler. 1899-1949, a cura di E. Cutinelli-Rèndina, Napoli, Bibliopolis, 1991: lettera CXII di Croce (Roma, 24 settembre 1910).

(fasc. 8, 25 aprile 2016)

• categoria: Categories Filologia