L’influenza esercitata da Benedetto Croce sulla cultura italiana ed europea emerge pienamente sia dall’esame della sua produzione sia dalla forte considerazione che è stato capace di meritarsi negli ambienti politici e culturali del proprio tempo.
Nel 1927, come testimoniano i preziosi Taccuini di lavoro, egli già lavorava alacremente alla prima stesura della sua Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (uscita nel 1928); successiva è la Storia d’Europa nel secolo decimonono, scritta nel 1931 e pubblicata nel 1932.
La Storia d’Italia ottenne, fin dall’inizio, un grande successo editoriale, avendo ben otto edizioni; il volume dedicato all’Europa ebbe, in seguito, un grande impatto negli ambienti più politicizzati e contribuì a creare attenzione e rispetto per le lotte contro tutte le tirannidi e le oppressioni emergenti. Del resto, Croce si proponeva proprio di offrire, in questo testo, un’analisi profonda delle ragioni per le quali la libertà veniva presentata come strumento per interpretare il passato, ma anche come ideale aspirazione per l’allora presente.
La prima edizione della Storia d’Europa andò subito esaurita e di essa apparvero, fino al 1943, altre quattro edizioni, per un totale di 20.000 copie. Oltre che dalle due Storie e dagli altri suoi scritti, un notevole contributo alla diffusione delle idee liberali venne, com’è noto, assicurato pure dalla rivista «La Critica» (cui idealmente si rifà anche il titolo della nostra «Diacritica»), che seppe rappresentare anche un punto d’incontro fra intellettuali e politici allora emergenti.
Quando in Germania e in Italia ebbe inizio l’applicazione delle leggi razziali, Croce non restò indifferente a quanto di illiberale veniva portato a sua conoscenza. Continuò a ricevere nella propria abitazione studiosi ebrei e quanti, per altre ragioni, si preparavano a emigrare e li fornì di lettere di referenza e, nei limiti delle sue possibilità, di quanto potesse aiutarli a inserirsi nei nuovi ambienti nei quali pensavano di stabilirsi.
Scriveva, allora, Croce che «in ogni parte d’Europa si assiste al germinare di una nuova coscienza, di una nuova nazionalità» (Postille, in «La Critica», 14, 1916, p. 103) e nel 1931 avrebbe affermato che «I popoli d’Europa devono unirsi e dovranno unirsi» (cfr. l’intervista a Croce di György Bálint in occasione della sua visita a Budapest): al riguardo, non si può non considerare quanto iniziative come quelle dei corsi Erasmus accolgano e facciano propri simili spunti.
Gli eventi più recenti sembrano indebolire le probabilità di realizzazione a breve del sogno di una federazione degli Stati Uniti d’Europa, per come auspicata, a suo tempo, anche da Croce, che negli ultimi anni della propria vita sostenne gli sforzi federalisti di Spinelli: come sappiamo, valutazioni egoistiche e opportunistiche hanno indotto alcuni paesi a chiedere di uscire dall’Unione Europea e/o a ridiscutere i trattati precedentemente sottoscritti, ma forse, più che mai, oggi emerge l’urgenza di rinverdire quell’antico afflato.
Sarebbe anche un omaggio meritato a Croce, un riconoscimento importante della sua attualità, oltre che una doverosa riaffermazione di valori che sono alla base della nostra civiltà: l’europeismo rappresentava, infatti, nel pensiero di Croce, la possibilità di combattere la miopia dei nazionalismi tramite una risposta politica (e anche spirituale) che chiamasse in causa gli ideali della Civiltà universale.
(fasc. 19, 25 febbraio 2018)