Aligheri Dante, di Firenze: Premio Oscar per gli Effetti Speciali

Author di Italo Spada

I premi Oscar, come si sa, vennero assegnati per la prima volta nel 1929, quando i soci dell’Academy Award, «per elevare gli standard di produzione sotto l’aspetto educativo, culturale e scientifico», decisero di segnalare i film che, per vari motivi, si erano particolarmente distinti durante l’anno. All’inizio le statuette furono sei, ma, ben presto, divennero prima undici e poi venticinque. Tra queste, c’è anche quella assegnata per gli effetti speciali (visivi e sonori). In un’arte che vive di magia e che tende a stupire gli spettatori, questo premio è il riconoscimento ufficiale all’inventiva e alla fantasia dei cineasti.

Se il cinema fosse stato inventato sei secoli prima, non c’è alcun dubbio che tra i premiati ci sarebbe stato anche il fiorentino Alighieri Dante per tutto quello che è riuscito a inventare nella Divina Commedia. Prendiamo in esame, come esempio, alcuni di questi effetti speciali; precisamente quelli che si ritrovano nei versi 1-108 del canto XIII dell’Inferno.

Dante e Virgilio sono nel secondo girone e stanno attraversando un bosco impenetrabile, senza sentiero, pieno di sterpaglia e formato da alberi dai rami nodosi. In questa ideale scenografia da cinema dell’orrore vivono le Arpie, progenitrici di tutti i mostri che il cinema ci ha fatto vedere: King Kong, Godzilla, i Goonies, i dinosauri, gli squali, le formiche, i topi, i serpenti, gli uccelli, le mosche, le formiche, i ragni, i vermi ecc.

Le brutte Arpie di Dante hanno grandi ali, taglienti artigli e ventri pennuti, ma anche colli e visi umani. E c’è già in questa scelta la caratteristica comune a tutti i mostri cinematografici: l’antropomorfismo. Gli animali agiscono come gli uomini, si organizzano, diventano cattivi o buoni, ragionano, sono furbi, si ribellano, hanno sentimenti.

Le “invenzioni” di Dante continuano con la straordinaria idea di allargare l’antropomorfismo anche alla vita vegetale, dando voce agli alberi del bosco infernale e trasformando tronchi e rami in facce, busti, mani, dita. Da esperto narratore, il Sommo Poeta procede creando suspense e giocando con le parole. Nel bosco si sentono dei lamenti, ma non si capisce da dove provengano. Dante “crede che Virgilio creda ch’egli crede” che le voci giungano da anime di dannati le quali, per un sadico gioco a rimpiattino, se ne stiano nascoste dietro gli alberi. La verità è ben più drammatica e «per troncare i dubbi» Virgilio invita Dante a troncare il ramo d’un albero. È allora che scatta un secondo effetto speciale: dal ramo staccato fuoriesce del sangue e l’albero parla, dichiarando di essere l’anima in pena di Pier delle Vigne, il segretario particolare di Federico II, ingiustamente accusato di tradimento. Com’è noto, quando questo fedele servitore, al culmine della propria carriera, poteva dire di conoscere tutti i segreti dell’Imperatore, gente piena d’invidia aveva voluto gettare su di lui il fango del sospetto ed egli, non resistendo alla vergogna, s’era suicidato. A causa del peccato mortale commesso (è Dio che dà la vita e solo Lui può toglierla), Pier delle Vigne è costretto a subire l’eterna condanna della trasformazione in essere vegetale, oggetto di tortura delle brutte Arpie, che non smettono di pascersi delle sue foglie.

Nel Mago di Oz (1939), Victor Fleming fa parlare un leone, anima uno spaventapasseri e un uomo di latta; in E.T. – L’Extra Terrestre (1982) Steven Spielberg e Carlo Rambaldi danno fattezze umane a un pupazzo elettronico; nelle dodici ore dell’interminabile trilogia del Signore degli anelli (2001, 2002, 2003) si vede di tutto: maghi, elfi, anelli incantati… L’utilizzo degli effetti speciali spettacolarizza il film e tende a soddisfare l’esigenza degli spettatori che, in fondo, restano eternamente bambini e desiderano vivere davanti allo schermo momenti di incanto.

Da un veloce excursus della storia del Premio Oscar risulta che, in questo settore, sono stati assegnati riconoscimenti a cavalli e tappeti volanti[1. Il ladro di Bagdad (1940), di Ludwig Berger.], a fantasmi burloni[2. Spirito allegro (1946), di David Lean.], ad astronavi e marziani[3. La guerra dei mondi (1953), di Byron Haskin, e Guerre stellari (1977), di George Lucas.], a sottomarini abilmente ricostruiti in studio[4. 20.000 leghe sotto i mari (1954), di Richard Fleische.], a mari che si spalancano al tocco di una bacchetta[5. I dieci comandamenti (1956), di Cecil B. De Mille.], a bighe che vanno in mille pezzi e gareggiano al Circo Massimo[6. Ben Hur (1959), di William Wyler.], a donne che volano appese a un ombrello[7. Mary Poppins (1964), di Robert Stevenson.], alla miniaturizzazione di uomini e cose[8. Viaggio allucinante (1966), di Richard Fleischer, e Salto nel buio (1987), di Joe Dante.], ad animali che giocano a calcio[9. Pomi d’ottone e manici di scopa (1971), di Robert Stevenson.], a gorilla che si arrampicano sui grattacieli[10. King Kong (1976), di John Guillermin.], a superuomini[11. Superman (1978), di Richard Donner.] e ad alieni[12. Alien (1979), di Ridley Scott.], a eroi senza paura che compiono mirabolanti imprese[13. I predatori dell’Arca perduta (1980), di Steven Spielberg.], a dinosauri che attaccano gli uomini dopo secoli di letargo[14. Jurassic Park (1993), di Steven Spielberg.] ecc.

Nessun dubbio che l’assegnazione di una statuetta con la faccia dello zio Oscar[15. Noto ai più è l’aneddoto sull’origine del nome Oscar. Quando gli accademici dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences videro per la prima volta la statuetta di 25 cm di bronzo rivestita d’oro, disegnata da Cedric Gibbons, allora Direttore artistico della MGM, e realizzata dallo scultore George Stanley, pare che uno dei soci abbia esclamato: «Oh, Dio, somiglia a mio zio Oscar!».] ad Alighieri Dante, di Firenze, sarebbe stata più che meritata.

(fasc. 6, 25 dicembre 2015)