Rosalia Peluso, che collabora con l’Università di Napoli Federico II occupandosi soprattutto di Filosofia teoretica e morale, ha ideato e diretto il fortunato progetto Lessico crociano (2013-2016), coinvolgendo i maggiori attuali interpreti di Croce. Ha in attivo le seguenti monografie: Logica dell’altro. Heidegger e Platone (Napoli, Giannini Editore, 2008), L’identico e i molteplici. Meditazioni michelstaedteriane (Napoli, Loffredo, 2011), Michelstaedter al futuro (Napoli, La Scuola di Pitagora editrice, 2012). Di recente ha tradotto il volume di Hannah Arendt, Humanitas mundi. Scritti su Karl Jaspers (Milano, Mimesis Edizioni, 2015).
…E così Croce approda in Russia.
Croce approda in Russia. Certamente, ma un approdo favorito dall’Italia. Lo scorso 26 e 27 maggio si è svolta a Mosca una Conferenza internazionale dedicata a Croce, nella sede prestigiosa della Scuola Superiore di Economia, al cui interno è ospitata la Facoltà di Filosofia. Lo dico per inciso: questa idea che l’economia inglobi la cultura in generale sembra a prima vista un’anacronistica sopravvivenza marxistica; eppure, sono certa che una soluzione del genere, da noi spesso accusata con superficialità in chiave anti-liberistica e anti-capitalistica, di “privatizzazione” della cultura (come se l’economia fosse unicamente in mano ai privati), porterebbe benefici notevoli non solo alle sorti finanziarie, ma soprattutto alla dimensione disciplinare degli studi umanistici nel nostro Paese. Se le discipline umanistiche, e la filosofia in particolare, non tornano a dialogare con la concretezza del mondo reale – con l’economia in primo luogo – finiscono per chiudersi nell’hortus conclusus della specializzazione, sì, ma col rischio di uno specialismo sterile. Da questo punto di vista mi sembra che l’eredità di Croce sia notevole. Il titolo dato alla Conferenza è stato proprio questo: L’eredità di Benedetto Croce nel XXI secolo. Come a voler dire: Croce oggi, ma soprattutto Croce domani. Quanto ancora resta di Croce e quanto ancora “utile” (l’espressione non è casuale) può essere il suo pensiero per interpretare e prevedere gli scenari futuri del nostro mondo. A mio giudizio non tutto può rimanere, ma certo molto.
L’invito a partecipare ai lavori ci è giunto dal vivace Istituto di Cultura a Mosca – e, com’è noto, gli Istituti di Cultura all’estero sono alle dirette dipendenze del Ministero degli Affari Esteri. Dunque, si può dire che è stato anche un merito della Farnesina far approdare Croce a Mosca. Dal momento, però, che le istituzioni hanno sempre un’anima e un corpo, voglio ricordare che il merito principale di questa esperienza, almeno per quel che riguarda la partecipazione di noi italiani – oltre a me, erano presenti Paolo Bonetti e Corrado Ocone – spetta a Olga Strada, che dirige con raffinata intelligenza e grande competenza il nostro Istituto nella capitale russa. E, tra i molti incontri fatti a Mosca, quello con la Strada è stato uno dei più importanti.
A cosa è dovuto questo improvviso interesse per il filosofo?
No, l’interesse è provvidenziale. Quello di Mosca è finora l’unico convegno in ambito internazionale che sia stato dedicato a Croce nell’anno in cui ricorrono i centocinquant’anni dalla sua nascita. Certo, ci sono state iniziative importanti, sebbene tutte confinate in Italia. A molte di queste ho partecipato anch’io, anche se spesso non si è andati oltre il piacevole rivedere vecchi amici con cui si condividono interessi di studio intorno a Croce. La vera sfida degli studi crociani oggi è il confronto con prospettive diverse: un confronto che può maturare, forse, soltanto in ambito internazionale.
L’esperienza moscovita può rientrare in questi incontri fecondi. Perché, pur avendo noi italiani una certa confidenza con gli interpreti di Croce nel mondo, ignoriamo il complesso panorama degli studi russi. La Russia, che è l’ultima appendice dell’Europa e una porta aperta sul continente asiatico, è uno di quei Paesi, assieme alla Cina (che sta nutrendo una certa attenzione per Croce), in cui è più interessante osservare la penetrazione del nostro maggior pensatore del Novecento. Per quali ragioni? Innanzitutto per motivi politici.
Parlare di Croce nel mondo significa parlare essenzialmente di due cose: di estetica e di storia, e, all’interno della teoria storiografica, di politica e di liberalismo. Mentre noi italiani ancora ci ostiniamo a far tardi la sera, accapigliandoci intorno al suo “provincialismo”, alla sua scarsa confidenza con l’epistemologia, alla sua insensibilità nei confronti delle più estreme manifestazioni dell’arte contemporanea, e ci logoriamo nel mostrarci “crociani, ma con moderazione”, gli stranieri si prendono il meglio di Croce. Perché? Perché, a differenza di noi italiani, che accediamo a Croce attraverso una lunga serie di pregiudizi – attraverso il “blocco” dell’Anti-Croce – e spesso trascorriamo tutta la nostra vita di studiosi a resistere e a contrastare questi pregiudizi al solo scopo di legittimare il nostro indirizzo di ricerca, gli stranieri accedono a Croce direttamente. E si prendono, per sintetizzare, il Croce antitotalitario, il teorico del “metodo liberale”, dell’arte come porta di accesso alla conoscenza, dell’antimetafisica, della vitalità.
Nel complesso non credo che in Russia esista una scuola di pensiero crociana. Mi limito a segnalare che soltanto le nuove condizioni politiche post-sovietiche hanno favorito una penetrazione di Croce nel Paese. Credo che la sua presenza in Russia sia stata favorita dal suo essere un pensatore liberale: in questa direzione si è mosso, ad esempio, il bell’intervento di Timofey Dmitriev sul “liberalismo etico” di Croce. Però, e mi permetto di registrare una contraddizione interna allo stesso liberalismo crociano, è singolare che proprio questa dottrina liberale, indifferente agli ordinamenti sociali e politici, possa godere di popolarità all’interno di regimi non propriamente liberali o imperfettamente liberali.
Gli studiosi russi hanno fatto i conti con le analisi crociane sul marxismo? E quali sono le principali linee di ricerca crociana in Russia?
Questa domanda si ricollega alla conclusione della mia risposta precedente. I russi leggono Croce perché hanno bisogno di fare i conti con il loro marxismo che, a differenza di quello crociano, non si è risolto soltanto sul piano teorico: ha preso corpo nel più longevo totalitarismo del XX secolo, con picchi di inaudita crudeltà. Ripeto: non si può dire che esista una vera e propria scuola crociana russa e al Convegno non ci sono stati interventi focalizzati sulla lettura del marxismo secondo Croce. In linea di massima, dai contributi ascoltati al Convegno, le principali linee della ricerca russa su Croce possono essere sintetizzati così: da un lato c’è la già evidenziata attenzione sulla sua idea di liberalismo – e, prefigurando scenari di ricerca futura, credo che presto emergerà anche un confronto col suo giudizio sul marxismo. Per correttezza scientifica sottolineo, però, che gli studi crociani su Marx vanno tenuti ben distinti dal giudizio politico sulla Russia, prima, e sull’URSS, dopo. È vero che ad un certo punto le prospettive si incontreranno, per cui, già all’indomani della Rivoluzione d’ottobre, la posizione crociana sul marxismo teorico sarà indistinguibile dalla critica alla sua realizzazione politica. È vero, d’altra parte, che il giovane Croce deve molto a Marx: per fare qualche esempio, anche dal diretto confronto coi testi marxiani, derivano le idee della concretezza e della totalità storica, la propensione al realismo politico (si ricordi la celebre definizione di Marx come “Machiavelli del proletariato”), le riflessioni sull’economico da cui Croce deriverà uno dei capisaldi del suo pensiero, vale a dire la categoria dell’“Utile”, sebbene in lui assuma la dimensione di forza spirituale per contrastare il riduzionismo economicistico proprio, ma non solo, del marxismo.
Un’altra feconda linea di ricerca su Croce è mediata dalla ricezione di Vico. A Mosca esiste una vivace scuola vichiana (faccio i nomi di Julia Ivanova, Pavel Sokolov e Aleksandr Dmitriev) che ha diretti contatti con il nostro Paese, e in particolare con Napoli, e che è ancora “costretta” a leggere Vico nel suo italiano, che crea non pochi imbarazzi persino a noi. L’unica traduzione tuttora disponibile in russo è, infatti, la seconda edizione della Scienza Nuova del 1730. Anche il panorama vichiano mi sembra straordinariamente dinamico.
Sempre nell’ambito delle eredità crociane nel pensiero russo, ho molto apprezzato il contributo di Aleksandr Dobrochotov sul neohegelismo russo perché ha messo in luce la presenza di Croce in alcuni autori della cosiddetta “riforma della dialettica hegeliana”: ad esempio, in Ivan Aleksandrovič Il’in e Aleksej Losev, che si rifanno direttamente a Croce; oppure in altri, come Aleksandr Sukhovo-Kobylin, Boris Nikolaevič Čičerin, Lev Michajlovič Lopatin, Vladimir Sergeevič Solov’ëv e Nikolaj Onufrievič Losskij, che sembrano anticipare le letture hegeliane di Croce o procedere in parallelo con esse. Credo che anche questa dell’hegelismo, e in particolare della dialettica hegeliana, sia una strada che prima o poi condurrà ad aprire confronti col marxismo secondo Croce. Si consideri, tra l’altro, che questo neohegelismo russo ha un carattere spiccatamente religioso e possiede, in quasi tutti i suoi interpreti che hanno conosciuto il regime sovietico, un’intonazione sicuramente anti-comunistica.
Il suo bilancio a seguito di questa iniziativa.
Il bilancio, per tutte le cose appena dette, è molto positivo. Per rispondere più nello specifico alla sua domanda e per meglio radicarla anche nel mio approccio a Croce e nelle attuali linee della mia ricerca, devo dire che di grande interesse, per i miei studi, è stato anche il contributo di Irina Lagutina sui rapporti Croce-Thomas Mann e l’umanesimo degli anni Trenta. È vero che questo è, a prima vista, più un capitolo del “Croce e la Germania” piuttosto che del “Croce e la Russia”. Eppure, a ben guardare, scrutando attentamente nel fondo metaforico-letterario del Croce degli anni Venti e Trenta, in quella dedica a Mann della Storia d’Europa, il confronto apre squarci interessanti per l’attuale critica crociana.
Il quarto volume della tetralogia storica di Croce (i primi tre, ricordo, sono Storia del Regno di Napoli, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Storia dell’età barocca in Italia) costituisce il corrispettivo storico e filosofico di un’intuizione che è a fondamento dello Zauberberg (Montagna incantata, 1924) di Thomas Mann. Lì, lo scrittore tedesco aveva descritto la lotta per il dominio di un’anima, uno scontro tra le potenze della ragione astratta, del dogmatismo, infine dell’eros. L’affascinante e ambigua Madame Chauchat, che ha gli occhi chirghisi e si muove come un lupo delle steppe, è chiaramente la personificazione dell’elemento asiatico che, agli inizi del XX secolo, comincia a penetrare nella civiltà europea e inquieta le coscienze più legate alla civiltà liberale ormai in evidente declino: si tratta di un elemento destabilizzante, irrazionale, acherontico, tellurico, barbarico, potenza vitale che si esprime in primo luogo nella seduzione dell’eros. E questa forza, piuttosto che cedere alle lusinghe dell’umanesimo, dell’illuminismo, o delle teologie, secolari o meno, si accompagna con lo spirito dionisiaco che solo permette di dar sfogo alla pulsione di vita e di morte, polarità di creazione e distruzione in essa contenuta. Insomma, non si tarda a scorgere nel personaggio manniano le complesse riflessioni sul vitale che impegneranno l’ultimo Croce, proprio a partire dagli anni Trenta.
Ricordo, infine, che la Storia d’Europa del 1932 è costruita intorno al fecondo schema ermeneutico, per noi ancora attualissimo, delle “guerre di religione”: il libro di Croce è una difesa dell’unica e autentica religione che sola meriti questo nome, quella laica della libertà, che si afferma nella resistenza o nello scontro diretto contro le forze illiberali che assurgono ad altrettante “fedi religiose”. È vero che Croce applica questo paradigma ermeneutico all’Ottocento; ma è vero pure che, in quel libro per noi ancora fondamentale, egli è alla ricerca delle condizioni che hanno portato all’affermazione dei totalitarismi, e al fascismo in particolare. Gettando uno sguardo a volo d’uccello sul secolo scorso, cosa è stato, del resto, il Novecento se non il secolo delle guerre delle religioni secolarizzate (lo dice esplicitamente Eric Hobsbawm nel celebre Il secolo breve, pur senza mai citare Croce; lo sostengono, in forme più o meno dirette, autori come Raymond Aron e Claude Lefort)? Ed, infine, che cos’è il nostro tempo se non la sempre più ritornante dialettica tra opposte religioni?
Per chiudere, uno dei capitoli più interessanti di “Croce e la Russia” credo risieda proprio nel confronto con quello che egli percepiva come elemento asiatico, serbatoio di energie primitive, su cui costruì la meditazione filosofica e antropologica intorno al Vitale. In simboli, la Russia per Croce è anche questo: Europa in odor d’Asia, porta sempre spalancata sull’inferno, ultimo avamposto della sua civiltà della ragione, sempre esposto ai sommovimenti tellurici dell’anti-ragione che è in noi. Quest’anti-ragione è fatta di istinti, credenze, miti ecc., che, nonostante il disperato tentativo dell’ultimo Croce, non possono essere ricondotti, in forme complete e definitive, mediante un processo di “spiritualizzazione”, nell’alveo dell’elaborazione razionale. Ma di questo, ne sono certa, era perfettamente consapevole il filosofo, che non a caso ci lascia in eredità, e come una sfida, la sua incompiuta riflessione sulla Vitalità. Insomma, questa Russia “ideale”, così descritta, può essere in Croce il simbolo della fragilità della vita umana.
Pensate di ricambiare l’ospitalità in futuro?
Nell’immediato so che qualche studioso russo da me ricordato sarà presto in Italia per partecipare all’importante Convegno internazionale su Croce, promosso dalla Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, che si terrà a Napoli il prossimo settembre, presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici. Si tratterà di un appuntamento di grande rilevanza perché offrirà il contributo italiano alla definizione dell’immagine di “Croce nel mondo”. Sono coinvolti, infatti, per la maggior parte interpreti stranieri del filosofo. Sempre in tema di indagini intorno all’“elemento asiatico”, sono molto curiosa di apprendere soprattutto le prospettive di ricerca su Croce in Giappone e in Cina, paesi coi quali non ho ancora rapporti diretti.
Nel mio piccolo, chiederò ad alcuni degli studiosi che ho conosciuto a Mosca di partecipare al “secondo tempo” del Lessico crociano da me diretto e che vedrà, a partire dal prossimo autunno, in occasione del lancio di un nuovo triennio (2017-2020), un sostanziale cambiamento: esaurita la fase dei concetti fondamentali della filosofia crociana, penso di chiamare gli interpreti di Croce a misurarsi con i suoi autori. E saranno senz’altro stimolanti i confronti con la cultura mondiale del Novecento, russa compresa.
(fasc. 8, 25 giugno 2016)