Ero bambino allora, mi faceva paura la prigione.
È che non conoscevo ancora gli uomini.(L.-F. Céline, Viaggio al termine della notte)1
Quando Goliarda Sapienza fu rinchiusa a Rebibbia nell’ottobre del 1980, attorno alla sua vicenda si sviluppò un largo dibattito sostenuto da numerose voci rintracciabili su quotidiani, riviste e in presentazioni pubbliche fino al 1983, anno della diffusione dell’Università di Rebibbia per Rizzoli, che ebbe una notevole fortuna critica. Non è affatto necessario ribattere sulla vicenda di cronaca che, nel 19792, portò l’autrice a rubare alcuni gioielli a un’amica – seguirono un’indagine e l’arresto di Modesta-Goliarda –, ma può essere opportuno rimettere al centro del discorso critico le successive dichiarazioni di Sapienza e di giornalisti, critici, intellettuali che si occuparono del “romanzo-diario” prima e dopo la pubblicazione, allargandone talvolta i confini letterari, testimoniando l’impatto che ebbe dal punto di vista della ricezione e sulla storia delle donne ma anche il rapporto della scrittrice con il proprio lavoro intertestuale.
L’università di Rebibbia è stato già oggetto di studi approfonditi dal punto di vista tematico e soprattutto dei gender studies sin dal 2010, anno in cui La porta è aperta di Giovanna Providenti (Villaggio Maori) inaugurò la riscoperta di Sapienza in ambito accademico. In questi anni la critica si è focalizzata su molteplici direzioni che, da un lato, toccano l’esigenza di individuare le inferenze di autori coevi e non nella costruzione narrativa del testo, come nel caso di Loredana Magazzeni, che analizza la prossimità della diversa esperienza carceraria di Sapienza e quella della poetessa Patrizia Vicinelli, ma anche di Maria Morelli, che evidenzia l’apporto dato da Memoria di una ladra (1972) di Dacia Maraini. Anche Aline Roudet e Mara Capraro, con esplorazioni di taglio filosofico e comparatistico, e Gloria Scarfone, che si affida a un’analisi intertestuale stilistica3, guardano in maggior misura alla direzione sopraindicata. L’indagine di aspetti legati a una lettura dello spazio del carcere in relazione alle eterotopie di Foucault, alla politica e al femminismo tra anni Settanta e Ottanta è propria degli studi di Maria Giuseppina Catalano, Clotilde Barbarulli, Giulia Bicchietti, in prima battuta, e inoltre di Emma Bond, Alberica Bazzoni, Federica Mazzocchi e Maria Rizzarelli, che ha analizzato lo spazio performativo e i personaggi di Sapienza attraverso la lente di studi sul cinema e sul teatro, della “performatività” di genere e dei queer studies4. Tali percorsi non restano univoci ma intersecano spesse volte gli altri, quasi a fondare un coro armonico di ipotesi interpretative dell’opera.
Per meglio collocare il libro nella realtà culturale dell’Italia degli anni Ottanta sarà, tuttavia, opportuno rifarsi a materiali di natura più varia, non soltanto saggistici. Nel caso odierno, isolare il romanzo sulla detenzione potrà essere d’appoggio per proporre alcune questioni rimaste sinora a margine della narrazione, in particolare: l’inquadramento anti-ideologico avanzato da Citto Maselli, compagno dell’autrice per vent’anni, e da chi si occupò dell’incarcerazione; la coeva produzione di Sapienza, la nascita del testo nonché la proposta alla casa editrice Rizzoli dello stesso; la mole di recensioni e commenti usciti su giornali e riviste perlopiù nel 1983; non ultimi, i legami che l’autrice stava intrecciando in quel periodo nell’ambiente femminista milanese e romano, aprendosi per la prima volta a un confronto pubblico. L’utilizzo di diverse fonti documentarie è già stato avanzato nella monografia Goliarda Sapienza: una voce intertestuale (1996-2016) (La Vita Felice 2016, pp. 65-72), dove si segnalava la continuità tra il volume dell’83 e i Taccuini postumi del Vizio di parlare a me stessa (Einaudi 2011) che, pur comparendo a trent’anni di distanza dalla scrittura del libro, paiono preparatori alla sua stesura5. Anche in questo studio aggiornato sarà fondamentale ripercorrere alcune tappe della cronologia attorno alla narrazione, suggerendo nessi tematici e filologici ai lati del testo, secondo una ricerca animata da una durevole necessità critica di conoscenza che muove lungo tracciati non ancora considerati.
Due titoli a confronto?
Dichiarazioni, articoli e interviste usciti in seguito all’arresto possono evidenziare dati critici degni di nota6. Fra essi si ha la “lettera aperta” di Maselli, il quale reagì umanamente al “fatto” del furto:
chi conosce la persona o i suoi libri “Il filo di mezzogiorno” e “Lettera aperta”, sarebbe stato meno stupito nel saperla coinvolta e magari travolta da peccati più gravi, trasgressioni e cedimenti più rischiosi. Perché di questo parlano, in tutta evidenza, le cose che lei ha scritto: lo scandaglio virulento dell’oscuro e del peggio che è in noi, in rapporto con l’ambiguità della ragione, il finalismo della norma, la realtà della storia. Di questo parla l’oscillare tra accensioni intense e depressioni mortali, la generosità, il rischio e la tensione intellettuale di una vita datale a Catania, da due dirigenti socialisti in regime di domicilio coatto, passata attraverso la resistenza attiva al fascismo e che io ho avuto la possibilità di condividere durante diciassette anni. (…) sono convinto che le ragioni che (…) hanno motivato (i crimini) da lei commessi non si esauriscano nelle difficoltà estreme in cui pure Goliarda si era venuta a trovare (…) e nemmeno nelle difficoltà incontrate dal romanzo cui aveva lavorato negli ultimi dieci anni e per cui gli editori chiedono drastici tagli perché pare sia lungo7.
La sua non fu soltanto una tutela dell’attività dell’autrice ma anche una dichiarazione di poetica rimasta ai margini della vicenda; occorre, inoltre, nelle sue parole l’impossibilità di pubblicare il più famoso romanzo proprio a causa della sua lunghezza, come Sapienza ribadirà8. C’è da ricordare che Maselli e altri personaggi influenti la aiutarono durante e dopo il carcere9. Il motivo del furto come raptus emergeva, tuttavia, nell’articolo di Carla Pilolli dal titolo Finalmente scopriranno che ho scritto un bel libro, apparso su «Gente» il 17 ottobre 198010, in cui l’intervista doppia era rivolta a Sapienza e al marito Angelo Pellegrino, il quale conserva l’Archivio privato Sapienza-Pellegrino e si è speso con generosità per promuovere l’opera e la memoria della scrittrice dopo la sua scomparsa. Vi sono altri due articoli – se non altro fra quelli rintracciati sinora – in cui si approfondiscono i motivi del furto, “pre-testo” noto in letteratura e sul grande schermo11, ma anche si insinuerebbero una serie di rimandi al titolo di un romanzo incompiuto da sovrapporsi a quello poi edito. È Costanzo Costantini, il 9 ottobre ’8012, a parlare di acting out legato a un «complesso di inferiorità o di senso di colpa nei confronti della madre <la sindacalista Maria Giudice> (…) <da cui> le sarebbe derivata l’oscura tendenza a provare il carcere»; il giornalista parla anche di «vecchia simbiosi fra arte e vita (…) <e di> impasse psichica che s’era impadronita della scrittrice dopo il rifiuto del manoscritto nel quale aveva investito tutto il proprio capitale». Può interessare un altro passaggio: «Soltanto il carcere l’avrebbe resa degna della madre, liberandola dal senso di colpa. Questa teoria troverebbe ulteriore conforto nel fatto che il nuovo libro che Goliarda s’era accinta a scrivere – Nostalgia di Pechino – incominci con una esperienza carceraria». Il titolo, che nei Taccuini del 2011 nella sezione “1980. Carcere di Rebibbia” si riporta come transitorio rispetto alla stesura del romanzo-diario sulla detenzione, figura qui in un’altra veste, a testimoniare l’esistenza di un verosimile impianto di bozze per un’opera rimasta incompiuta, maggiormente legata al percorso che, dal 1978, procede nell’esplorazione di altre culture in ambiente sovietico e cinese dopo il viaggio sulla Transiberiana13. In un’intervista a Oretta Borganzoni apparsa su «Paese Sera» il 23 ottobre 198014 emergerà, tuttavia, una congruenza con i Taccuini editi: «Di questo carcere, della galera, e anche di questo furto, parlerò in un libro. Si chiamerà “Nostalgia di Pechino”»15. La domanda successiva della giornalista pare rivelare un nodo psichico-lavorativo («Che cos’è, un modo di inventare la vita per farla diventare letteratura? Un meccanismo alla Dostojevski ma capovolto?»), cui Sapienza rispondeva (dall’inconscio): «Può darsi. Può darsi che in me ci sia anche questo. Ma non lo so». Con una formula che resta nel campo della letteratura, confermerà a Sergio Pautasso di Rizzoli i motivi del suo gesto, come ha dimostrato Alberica Bazzoni16. Se la prossimità tra esperienza, autobiografia e fiction si gioca per Sapienza fuori dai meccanismi dell’autofiction così come la conosciamo oggi e trova leggi interne di governo che rispondono solo a una ragione altra ed eventualmente solo alla letteratura stessa così come la si intendeva al tempo della scrittura (lo si vedrà nel caso di quanto dichiarato da Dario Bellezza su Rebibbia), si può presumere che anche quella riportata sia una congiuntura in cui – come formulato altrove17 – lei debba misurarsi con il rapporto “letteratura-vita” proprio della critica di Cesare Garboli. A ciò si lega il commento critico di Angelo Pellegrino, che parlerà proprio di «scandalo per tornare a pubblicare. Sapienza va in carcere e lo racconta con intensità non minore a Wilde o Genet»18.
Figura 1: Goliarda Sapienza in «Quotidiano Donna», 22 febbraio 1981.
Inediti movimenti
Nel precedente paragrafo è affiorata l’intuizione di un possibile titolo antecedente al definitivo e tale dettaglio sembra affermarsi anche grazie alle scritture private di Sapienza, il cui confronto testuale con l’opera del 1983 fa rilevare rielaborazioni di appunti diaristici19. Il 27 febbraio 1981 un estratto dalle prime pagine appare su «Quotidiano Donna» per iniziativa di Adele Cambria che, in una chiacchierata con l’amica Goliarda, farà emergere alcune contraddizioni di taglio culturale da lei colte in carcere:
Perfino le compagne detenute per motivi politici, mi è sembrato di osservare, in carcere si trasformano: nel senso che arrivano dentro permeate di «emancipazione», ma il carcere impartisce anche a loro questa abnorme «lezione di femminilità», tende a farle rientrare nella norma dell’appartenenza al sesso anagrafico. E questo mi sembra pericoloso, non meno dell’identificazione col modello maschile20.
La posizione di Sapienza rispetto al femminismo italiano di prima ondata è qui espressa guardando diversamente le compagne di cella con cui sente una vicinanza maggiore: le “politiche” più istruite, poi protagoniste anche in Le certezze del dubbio (Pellicanolibri 1987)21, sono pubblicamente definite fuori dai canoni di certa letteratura che ha raccontato il terrorismo rosso a distanza di anni, e sono calate, invece, in un precoce presente ancora da leggere. Barbara Kornacka e Alberica Bazzoni hanno puntualmente sottolineato come Sapienza precorra i tempi di certi romanzi con protagoniste femminili incarcerate22; l’autrice si porrebbe in simmetria a una coeva filmografia su brigatismo e terrorismo23 e probabilmente anche ad alcune serie tv24.
Quando, dietro le sbarre, uccisi la fantasia è il titolo di Cambria che rimanda al testo del romanzo-diario e che può leggersi in accordo con Scrivere, per liberarsi dal «sogno» di Roberta Tatafiore25 in La città dell’inferno. Inchiesta sul carcere (in «Noi Donne», aprile 1982); la giornalista femminista s’inserisce in un più ampio disegno di inchieste sulle carceri italiane che sarà segnalato nel prossimo paragrafo. Quello tra 1981 e 1982 è di certo un periodo carico di attese, in cui Sapienza si avvicina al mondo del lavoro alla Galleria-Libreria Pan di Roma, ma anche al giornalismo su riviste femministe, proseguendo quest’attività in modo sporadico fino al 198726.
Sino a oggi la critica non si è chiesta come Sapienza sia approdata a Rizzoli nel 1982, viste le divergenze con la direzione editoriale. Conoscendo i rifiuti rivolti all’Arte della gioia, è difficile immaginare l’accoglimento di un’opera come quella su Rebibbia; eppure, secondo l’Archivio Fondo Rizzoli27, pare che la pubblicazione del romanzo non sia stata “sponsorizzata” da Enzo Siciliano né da altri. Nel carteggio inedito fra Sergio Pautasso e Goliarda Sapienza conservato presso la Fondazione Corriere della Sera, si hanno due missive di scambio:
Milano, 18 febbraio 1982
Cara Goliarda,
ho letto L’università di Rebibbia e mi è piaciuto anche se ho un riserva: il lettore può rimanere sconcertato dal fatto che non sa perché Lei ha passato questa vacanza a Rebibbia anziché a Fregene.
L’ho fatto leggere anche a altri e i risultati sono identici: è piaciuto a tutti.
A questo punto non resta che metterci d’accordo per fare il contratto e pubblicarlo. Dovrei venire a Roma ai primi di marzo. Potremmo vederci e mettere nero su bianco.
Cordiali saluti,
(Sergio Pautasso)28
A questa, l’autrice rispondeva verosimilmente qualche giorno dopo:
Caro Pautasso,
ieri ho ricevuto la sua lettera del 18.2 che (inutile dirlo) mi ha dato una grande gioia: un autore non vive senza un “padre” che lo porti in giro e lo presenti a tutti… quando poi (non ci crederà ma il nostro) questo padre è severo la gioia (è nelle cose umane) si fa più profonda. Rimpiango un po’ i nostri scazzi (ma vedremo di ri) così vitali in questa epoca di appiattimento totale. Vedremo di riparare. Ho un’altra buona notizia: ho trovato finalmente lavoro presso la Galleria Pan. Non danno molto ma per me (me è come) è la sicurezza almeno di pagarmi la casa e le sigarette. La aspetto: mi trova la mattina a casa (numero di telefono, n. d. r.) e il pomeriggio, dalle 17 alle 20, alla Galleria Pan via del Fiume, 3 (numero di telefono, n. d. r.)
A presto,
Goliarda29
Nel suddetto Fondo non c’è traccia del contratto ma alcuni documenti riportano dei dati interessanti30. Uno di questi riguarda i giri di bozze del libro, che furono tre (I corr., II corr. e III corr.) eseguiti da redattori interni alla casa editrice (Bassani M. e Battioli R.), il che attesterebbe l’esistenza di diverse stesure del testo con varianti.
Il 10/11/1982 Pautasso spedisce la lettera d’incarico per il risvolto di copertina ad Anna Del Bo Boffino, che reinvia a Pautasso la stessa firmata con allegata una sua31 il 22 novembre. Il 3/12/82 una missiva redazionale dattiloscritta informa Sapienza della spedizione della prova di copertina (con una foto di Adriano Mordenti dell’Agenzia A.G.F., che proviene da un articolo sulle carceri apparso su «L’Europeo» il 13 settembre ’79) e della fotocopia del risvolto di Boffino. Nel fascicolo vi è anche traccia della ristampa nella «BUR» collana «Documenti»32. Una breve segnalazione su «Tuttolibri-La Stampa» del 24 dicembre 1982 annuncia il libro di Sapienza in uscita «dopo 13 anni di silenzio». È importante rilevare che, nel 1991, Pautasso pubblicherà Gli anni Ottanta e la letteratura. Guida all’attività letteraria in Italia dal 1980 al 1990 (Rizzoli), in cui tuttavia il libro di Sapienza non figurerà.
Prove di appartenenza femminista
Il periodo antecedente la pubblicazione dell’Università di Rebibbia si mostra particolarmente importante se a quelle date risalirebbero la stesura del romanzo tra “Autobiografia delle contraddizioni, invenzione, immaginario e realtà” Io, Jean Gabin (1979-1980), e l’approccio al giornalismo e alla scrittura di un radiodramma (nel 1982)33, confermando un lato creativo vivo e forte. Quello è il momento in cui Sapienza scelse il carcere, per ragioni già in parte affrontate dalla critica e proprie della sua cultura familiare di stampo anarchico, ma anche per «ritrovare il desiderio della lotta di gruppo»34 all’interno di quel «villaggio primitivo (…) regno degli archetipi eterni», così definito in un’intervista a Grazia Centola35; quest’”aspirazione” la porta a voler «Curar(e) un epistolario di detenute (con) lettere bellissime»36 ma anche ad affrontare con nuova consapevolezza il proprio lavoro: «Il carcere è un tabù e io l’ho demistificato. (…) La prigione mi ha ridato valori che stavo perdendo piano piano, come l’amicizia, la solidarietà. E ha ripulito il mio linguaggio: è più diretto. È stata una lezione di letteratura»37.
Invia con tutta probabilità il proprio volume edito all’amico Cesare Zavattini: «Caro Cesare, scusami se mi sono… imposta così brutalmente ma avrei proprio piacere che tu leggessi questo mio lavoro e mi dicessi cosa ne pensi. Naturalmente senza fretta e… ancora scusa. Tua Goliarda»38. La lettera di risposta non spedita da Zavattini, che scrive di averle telefonato, data «18.1.83»:
Cara Goliarda, ho ricevuto adesso il tuo libro. Senza una qualsiasi dedica. Perché avrebbe dovuto esserci? Per te non ho fatto niente. Per chi ho fatto qualche cosa? Dopo aver letto le prime pagine, ti trovo com’eri, potente, straordinaria, una creatura umana nel più alto senso del termine. Non oso nemmeno dirti: quando ci rivediamo? Davanti a te tutto diventa – il nostro modo di vivere – un luogo comune.
Non sapevo neppure dov’eri, neppure il fatto. Io ho passato ben altro. Solo la paura mi ha trattenuto.
Ti abbraccio, Cesare39
E proprio da questa prospettiva letteraria e di vita prendono le fila gli articoli provocatori di Dario Bellezza e Angelo Guglielmi40, in cui si toccano i motivi di un mancato contatto con l’opera di Jean Genet e di Céline – che deludono le loro aspettative – e i moventi “ideologici” sottesi alla narrazione di Sapienza41. Tra le recensioni non elogiative dedicate al libro, si ricordano quelle di Alfonso Madeo sul «Corriere della Sera», di Piero Nenci su «Letture» e la stroncatura di Giovanni Antonucci42, mentre Emanuela Catalucci, su «Noi Donne» dell’aprile 1983, riprendeva il pensiero di Bellezza del «carcere sogno (borghese) degli scrittori (borghesi)» e proponeva come «punto debole del libro questo sentirsi “diversa”» dell’autrice. Anche Letizia Apolloni Ceccarelli e Luciana Tufani si occuparono di recensirlo, collocandolo in una dimensione interpretativa tra narrativa e letteratura specializzata43.
Figura 2: Sapienza con le amiche ex detenute di Rebibbia al Circolo Mondoperaio di Roma (Fonte: «La Repubblica», 26 febbraio 1983).
Il 23 febbraio, Sapienza fu ospite di un evento a lei dedicato a cura dell’Associazione “Buongiorno Primavera”, tenutosi al Circolo Culturale Mondoperaio di Roma, che vide insieme Armanda Guiducci44 (che si muoveva in ambiente milanese), la sociologa Carla Faccioli, la giornalista Gabriella Parca, l’avvocatessa Elena Marinucci, gli esponenti radicali Adele Faccio e Marco Boato45; quello può essere inteso come segno di un primo avvicinamento di Sapienza all’ambiente del Partito Radicale46 in cui militava già lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia (che fu deputato dal ’79 all’83), ma è anche simbolico dell’accoglienza di una parte del femminismo romano. Almeno tre interventi in quell’occasione saranno incisivi e permettono d’inquadrare da prospettive diverse L’università di Rebibbia. In primo luogo, il contributo di Gabriella Parca che, sin dalla diffusione di Voci dal carcere femminile (Editori Riuniti 1973)47, si era spesa a tutela delle testimonianze delle detenute comuni incontrate dopo anni di reclusione, portando avanti un discorso iniziato da Giulio Salierno e Aldo Ricci in Inchiesta sul carcere in Italia (Einaudi 1971), che mancava dichiaratamente di un approfondimento sulle “carcerate”48. Nell’intervento di Parca si evidenziano i cambiamenti che hanno seguito la riforma del 1975, soprattutto l’estromissione delle suore dal sistema non-correttivo del carcere. Quella della giornalista si inserisce come riflessione in linea con i duri reportage di quegli anni che apparivano su diverse riviste di area femminista tra cui «Quotidiano Donna», che portò avanti una campagna di sensibilizzazione piuttosto accesa49 come quella rivolta ad altre istituzioni totali, ad esempio il manicomio riformato da Basaglia. Alberica Bazzoni, infatti, ha indicato il libro di Giuliana Morandini …E allora mi hanno rinchiusa. Testimonianze dal manicomio femminile (Bompiani 1977) come d’impatto in quel periodo50.
Il documento audio conservato nell’Archivio di «Radio Radicale» permette di amplificare la lettura dell’opera alla luce di considerazioni mosse da alcune intellettuali e politiche che si servirono del libro per riaprire la questione irrisolta che riguardava la condizione delle carceri femminili. Armanda Guiducci e Adele Faccio rappresentavano i due poli in opposizione al racconto di Sapienza: la critica letteraria della prima, muovendosi fra iniziazione alla pena e fallimento della riforma carceraria, cozzava contro la lettura politica della seconda che, in una sorta di invettiva, si diceva «preoccupata del libro <perché> il carcere va denunciato»51, cosa che il romanzo sembrava – in apparenza – non fare. Dal lungo intervento di Guiducci su Rebibbia vale la pena estrapolare qualche passaggio:
L’interesse del libro sta tutto qui: in questa particolare implosività al femminile. Perciò, tutto ciò che è femminile, diciamo così nel bene e nel male, è come esaltato, decuplicato in questo luogo di assenza dell’uomo.
(…) Ora, il libro della Sapienza, non va assolutamente letto come una storia dritta, come una testimonianza psicologica, come un libro di denuncia, come tutta questo tipo di letteratura che tallona e rasenta la realtà a fini puramente conoscitivi, com’è del resto qualunque tipo di libro di sociologia sul carcere. Secondo me è un libro di una scrittrice perché si sente la tessitura della parola e di una persona che ha alle spalle un’esperienza di scrittura. (…) Praticamente questo libro è la storia <della> (…) rivelazione di una dimensione ricca, calda, umana, satura d’umanità dell’esperienza. Come se questa donna sia arrivata al carcere uscendo da una profonda crisi, da un’insoddisfazione dell’ambiente sociale in cui è vissuta, un’esperienza forse troppo intellettuale e di testa. Una donna che ha dentro di sé un suo male, una sua aridità da combattere. (…) prima che il libro sia scritto, c’è una specie di rapporto desiderato con il male e con la degradazione. (…) come il bisogno di un profondo rapporto emozionale con il male, con la degradazione, per attraversare questa zona ignota di esperienza, di realtà, di umanità, e venire a capo di qualcosa. E, in questo, io ci sento un modello molto letterario: ci sento il mondo di Jean Genet, ci sento la letteratura francese, ci sento cose di questo genere. E ci sento anche, alle spalle, tutta una particolare letteratura del male che va dalla Casa dei morti, che è un classico della condizione carceraria, al Delitto e castigo di Dostoevskij, attraverso Gide e il “mal gratuito” arriva a Jean Genet e così via.
Io spero di non farmi ingannare: vorrei riconoscere che in questo libro c’è una sapienza, un atteggiamento letterario che, secondo me hanno ben poco a che fare con l’atteggiamento sociologico. (…) lo sfondo sociologico in questo libro c’è: vengono tratteggiate le detenute comuni, le politiche, le zingare, le spacciatrici di stupefacenti.
(…) ci troviamo proprio di fronte a quella condizione (…) antiborghese del male. (…)
Il pensiero critico di Guiducci, restando sulla soglia del rapporto fra vita e letteratura, affronta temi e derive del libro, concedendogli una collocazione particolare e agli estremi del pensiero femminista. Lei concludeva, infatti, in questi termini:
Io personalmente penso – ma voi sapete che io sono femminista mentre il libro scritto da Goliarda Sapienza non è assolutamente un libro scritto da una femminista – io credo che l’intesa ricca fra donne, anche affettiva anche emozionale, si può trovare – io parlo per fatti vissuti –, è stata trovata anche incontrandosi su progetti comuni, alleandosi per uno scopo comune. E si possono trovare anche in questa società disfatta, anche da questa parte. E, dunque, questo è il punto.
E l’altro punto sul quale, personalmente, vorrei spendere l’ultima parola, nel femminismo, nell’esperienza del femminismo (…) penso che anche molte persone qui <l’>abbiano vissuto e continuino a vivere, ciò che in fondo mi attrae è proprio la negazione di questa modalità della trasgressione come esperienza necessaria di cui sul versante letterario questo libro ci parla.
Io sento questa figura della trasgressione, del male come esperienza necessaria, come tonificante della personalità, come ampliante l’esperienza, io la sento come una modalità della (…) superba violenza maschile perché se rifletto e se mi rifaccio alla storia, io trovo che questa è una figura della sopraffazione di cui le spese storicamente sono state fatte dalle donne. Non è la donna l’inventrice; la donna non ha mai inventato una figura simile. La donna casomai è una imitatrice.
Qui adesso io non posso inoltrarmi nel rapporto particolare della donna col male però volevo dire che, in questo libro, questa figura che Goliarda Sapienza ci fa vivere è estremamente letteraria. Quindi è una seduzione pericolosa della quale vi volevo avvertire.
Dopo quell’episodio di dibattito, in cui Sapienza intervenne soltanto per confermare le riflessioni delle partecipanti e rispondere ad alcune domande del pubblico, si ha un’intervista (del 23 febbraio) in cui lei affermava il proprio essere outsider: «Sono uscita dal partito comunista dopo il XX Congresso. Mi sentivo anarchica»52. E, circa la “comunità di donne” all’interno del carcere, asseriva: «Tra il ’68 e i primi anni Settanta anch’io, come tante femministe, ho sperimentato la comune. Ma era una cosa completamente diversa. (…) in carcere devi per forza essere unita alle altre: possono entrare e picchiarti, possono perquisirti alle due di notte. (…) lì ti abitui alla provvisorietà»53. Tra i dialoghi più interessanti dell’epoca si ha quello con la giornalista Marina Maresca, che condivideva con lei la prova di un’incarcerazione; su «Amica» dell’8 marzo 1983 le chiedeva: «che cosa hai imparato in questa specie di scuola?» e Sapienza rispondeva: «non esagero se dico che il carcere mi ha salvata. Stavo finendo per vivere fuori dal mondo, precipitavo in un mare di astrazioni. Perfino il mio linguaggio era diventato troppo raffinato, ci mancava poco che mi riducessi a scrivere solo leziose poesiole. A Rebibbia ho avuto una salutare “lavata” di testa e di linguaggio».
Sino a questo punto si è voluta avanzare una tesi di lettura del romanzo-diario “ai bordi” del testo, ripercorrendo alcune tra le fasi più salienti della ricezione al momento dell’uscita, che pose l’autrice – in modo diverso rispetto a quanto accaduto con i primi romanzi negli anni Sessanta – a confronto diretto con personalità autorevoli del mondo della critica e del giornalismo, ma anche la fece avvicinare pubblicamente ad alcune esponenti del movimento femminista romano, come si è verificato durante l’appuntamento di “Buongiorno Primavera”. Un fatto congiunto a quello che la vorrebbe vicina ad Adele Cambria, alla redazione della rivista «Minerva» (cui collaborava anche Marta Marzotto, postfatrice delle Certezze del dubbio), ma anche ad altri “gruppi” in anni successivi. Al di là di una lettura del femminismo non schierato di Goliarda Sapienza, nei suoi Taccuini e libri editi è imprescindibile, a questo livello, la relazione con alcune figure chiave nella Roma di quegli anni ma anche nella Milano di Anna Del Bo Boffino, che infatti presentò L’università di Rebibbia alla Casa della Cultura di via Borgogna il 15 marzo 1983, in un evento dal titolo Alice dietro le sbarre. La «favola» di una donna in carcere organizzato con l’avvocato Nerio Diodà, lo psicologo Fulvio Scaparro e l’autrice54. Purtroppo, non si conservano a oggi documenti che tocchino i contenuti del dibattito; se non altro, può risultare pertinente avvicinare l’esperienza di Boffino, Guiducci, Parca e Sapienza come autrici per la casa editrice Rizzoli tra saggistica e letteratura55, tutte esponenti di un femminismo non legato ai collettivi. D’altronde, anche Walter Mauro aveva tracciato una corrispondenza (editoriale) nel suo articolo Due modi di essere donne su «Il Tempo» del 25 febbraio, dove parlava di Uno e l’altro di Carla Cerati (sempre Rizzoli) e del romanzo di Sapienza56 che per l’appunto, diversamente da quanto era accaduto negli anni Sessanta, in quel momento interveniva come autrice a incontri pubblici e presentazioni, dimostrandosi un po’ meno “ai margini” di quanto fosse stata nel decennio Settanta.
La sua “inchiesta” sul carcere: una prova di giornalismo letterario
Risale all’8 marzo 1983 la pubblicazione dell’articolo di Sapienza Atrofia e vertigine bianca per le detenute di Voghera in «Quotidiano Donna». Il carcere della città in cui la madre Maria Giudice era stata eletta segretario della Camera del Lavoro diventa il luogo della denuncia di una “certa forma” di detenzione femminile. L’autrice non riuscirà ad accedere alla struttura per raccogliere interviste, ma riceverà dall’esterno, assieme a un’amica, alcune testimonianze che trovano analogie con il “romanzo-diario” e con l’esperienza psicanalitica narrata nel Filo di mezzogiorno: «Il muro ci attrae e cominciamo a costeggiarlo. Sento dal suo silenzio che la mia amica sta ricordando quello che io ricordo. E forse questo ricordare muto camminando lungo il muro di quelle sepolte vive è per noi laiche la nostra preghiera». E prosegue: «Ti ricordi in isolamento a Rebibbia il solo sfiorare la mano della guardiana che ti porgeva il latte? Ora non hanno più contatto nemmeno con le guardiane, possono parlare con loro solo attraverso il citofono». Nel carcere ammodernato post-riforma le migliorie sembrano privare di umanità la detenzione:
«Nadia scrive che anche lei ha cominciato a soffrire di capogiri. Deve essere per via del bianco e della proibizione del colore nelle vesti. (…) Morte per vertigine bianca.»
«Non gli concedono libri, giornali, riviste. La posta solo una volta al mese. Morte per atrofia intellettiva.»
«Anche il vitto è scarsissimo e insapore, e non sono permessi nei pacchi frutta, dolci, eccetera». Morte per assenza di sapore.
«Reta ha scritto a Olga che tutte le mattine ha preso a fare l’esercizio di chiamarsi ad alta voce, teme di dimenticarsi il proprio nome». Morte per disfacimento dell’identità.
«La figlietta di Anna dopo l’ultima visita è crollata… (…) Urla che rivuole sua madre, quella vera.» (…) La nostra passeggiata-preghiera è finita. La mia amica s’è fermata, con voce calma quasi soprannaturale dice: Dimenticheranno. Anche in questo paese dopo il primo baccano dimenticheranno. Questa costruzione è stata ideata proprio per essere confusa col resto, non sembra in fondo che un caseificio moderno, un opificio, un pollaio a ingrassamento forzato (…) «Ora capisco quello che dicevi di Rebibbia, la nostra Università. Avevi ragione.» «Sì (…) Per questo ho dovuto scrivere quel libro insieme a voi: sentivo che sarebbe stata l’unica testimonianza di quando le nostre carceri, e con esse la nostra società, erano ancora umane. Anche Terracini che vidi appena uscita, mi incoraggiò saputo del mio progetto». «Ah sì? Che cosa ti disse?». «Mi disse “Scrivi, Goliarda, quant’erano belle le nostre vecchie carceri di un tempo.”» E aggiunse, con un’amarezza indescrivibile: «Ma cosa stanno facendo delle nostre carceri questi scellerati! L’unica cosa che mi consola è che tua madre è morta. Non è così bello essere longevi».
Il punto di vista plurale di Sapienza e delle compagne emerge con una radice diversa rispetto all’allora intenso dibattito sulla detenzione; il loro è stato, infatti, lo sforzo di creare una comunità fuori norma, che si riconoscesse in forme di pensiero “ancestrali” e, per questa ragione, vitali e libere. D’altro canto, l’esperienza familiare autobiografica ancora della madre Maria Giudice affiora nel finale anche dalla voce di Umberto Terracini, che era stato detenuto assieme a lei.
«Quando la mia curiosità verso gli altri sarà finita allora sarà cominciata la mia vecchiaia», riferiva Sapienza a Marina Maresca a conclusione dell’intervista dell’83: la sua, dunque, fu sempre un’apertura agli altri, avvenuta attraverso rapporti di scambio reali che non fanno soltanto cronaca ma rivelano impressioni, somiglianze, idee, adesioni e tentativi di partecipazione e appartenenza. Se il testo è ciò che senza dubbio è stato consegnato alla storia nel volere dell’autrice, il contesto che parla attorno a esso ne nutre gli angoli e gli estremi, riassume alcuni strati di senso laddove vita e opera possono interloquire perché, come afferma oggi Sandra Petrignani: «non c’è da una parte la vita e dall’altra la letteratura. (…) è un cortocircuito continuo»57. Nella sua voce risiedono non poche analogie con un metodo di ricerca in cui riconoscersi; la sfida critica resta, allora, quella di illuminare gli “inciampi” e dare loro un nome.
- La prima traduzione dal francese è di Alex Alexis (Milano, Dall’Oglio, 1966): «J’étais un enfant alors, elle me faisait peur la prison. C’est que je ne connaissais pas encore les hommes», in Voyage au bout de la nuit, Paris, Gallimard, 1952, p. 15 (I ed. Denoël et Steele 1932). ↵
- La data di “aprile” è tratta da (s. a.), In vetrina gioielli rubati. Arrestata una nota scrittrice, in «Il Tempo», 5 ottobre 1980 anche se nell’83 si parlerà di settembre ’79. Giovanna Providenti in La porta è aperta, op. cit., offre una breve rassegna stampa: pp. 160, 196. Cfr. (s. a.), Arrestata la scrittrice Sapienza. Aveva venduto gioielli rubati, in «Corriere della sera», 5 ottobre 1980; C. De Simone, Vendeva gioielli rubati la scrittrice Goliarda Sapienza, in «Corriere della sera», 5 ottobre 1980; (s. a.), Scoperto un giro di gioielli rubati grazie al nome d’una eroina letteraria, in «Paese sera», 5 ottobre 1980; il titolo emblematico di Daniela Pasti Goliarda Sapienza, una vita vissuta come una scommessa, in «Repubblica», 8 ottobre 1980. Curioso come, in alcuni di questi articoli, condotti quasi a replicare un “comunicato stampa”, si citi per la prima volta il non pubblicato romanzo l’Arte della gioia, sino ad allora menzionato soltanto da Adele Cambria in Dopo l’Orca arriva la Gattoparda, in «Il Giorno», 6 settembre 1979. ↵
- Cfr. L. Magazzeni, Una cenerentola a Rebibbia: La poesia verbo visiva e visionaria di Patrizia Vicinelli e l’utopia femminista dentro il carcere, in Locas. Escritoras y personajes femeninos cuestionando las normas, Siviglia, Benilde Ediciones, 2015; M. Morelli, The Heterotopic Spce of the (Female) Prison in Goliarda Sapienza’s and Dacia Maraini’s Narratives, in Goliarda Sapienza in context, a cura di A. Bazzoni, E. Bond, K. Wehling-Giorgi, Lanham, Maryland, Farleigh Dickinson University Press, 2016, Atti del Convegno Internazionale Goliarda Sapienza in context. Intertexstual Relashionships with Italian and European Culture, School of Advanced Studies, University of London, 31 maggio-1° giugno 2013. A. Roudet ha dedicato la tesi magistrale a Le utopie segrete di Goliarda Sapienza: L’Università di Rebibbia e Le Certezze del Dubbio; cfr. Ead., L’Università di Rebibbia. Un giorno in prigione, la rivoluzione senza rivendicazione in Narrazioni non lineari: esplorazione di conflittualità e scansioni rivoluzionarie, Convegno SIL 2015, Firenze, 13-15 novembre 2015. M. Capraro sta affrontando il Dottorato in Francia con una tesi dal titolo Corps enfermé et déviance: formes et significations de la prison dans l’œuvre narrative de Goliarda Sapienza. G. Scarfone è autrice di Goliarda Sapienza. Un’autrice ai margini del sistema letterario, Massa, Transeuropa, 2018. ↵
- Per una rassegna dei saggi delle sopraccitate si vedano: M. G. Catalano, Goliarda Sapienza e le libere donne di Rebibbia, in Carceri vere e d’invenzione dal tardo Cinquecento al Novecento, a cura di G. Traina e N. Zago, Acireale-Roma, Bonanno editore, 2009, pp. 209-20; C. Barbarulli, Essere o avere il corpo. «L’università di Rebibbia», in Appassionata Sapienza, a cura di M. Farnetti, Milano, La Tartaruga, 2011, mentre G. Bicchietti ha pubblicato Esperienze dal carcere in «Quel sogno d’essere» di Goliarda Sapienza. Percorsi critici su una delle maggiori autrici del Novecento italiano, a cura di G. Providenti, Roma, Aracne, 2012. Le curatrici degli Atti del 2013 si sono occupate del romanzo in più fasi: E. Bond nel saggio “A World Without Men”: Interaffectivity and the Function of Shame in the Prison Writings of Goliarda Sapienza and John Henry in Goliarda Sapienza in context, op. cit., pp. 101-14; A. Bazzoni nella sua monografia Writing for Freedom. Body, Identity and Power in Goliarda Sapienza’s Narrative, Bern-Switzerland, Peter Lang, 2018; K. Wehling-Giorgi nell’intervento Ripensare gli spazi femminili: una lettura dell’Università di Rebibbia di Goliarda Sapienza, Convegno La pratica del commento 3. Il canone: esclusioni e inclusioni, Università per Stranieri di Siena, 7-9 novembre 2018. F. Mazzocchi è autrice del saggio «La rivoluzione fra quattro gatti». Goliarda Sapienza e La rivolta dei fratelli, in Un estratto di vita. Goliarda Sapienza fra teatro e cinema, Lentini, Duetredue, 2018, mentre M. Rizzarelli ha pubblicato la monografia Goliarda Sapienza. Gli spazi della libertà, il tempo della gioia, Roma, Carocci, 2018. ↵
- A ben vedere i Taccuini paiono registrare la verità vissuta, celata in parte nel romanzo, in cui i personaggi – o la maggior parte di essi – non portano il nome proprio reale; ad esempio, Renata, Elvira e Patrizia. Cfr. la nota 47 di questo saggio. ↵
- Del 3 ottobre ’80; cfr. (s. a.), Dichiarazione di Maselli per l’arresto di Sapienza, in «Corriere della Sera», 9 ottobre 1980. ↵
- F. Maselli, Tutte quelle cose dette su Goliarda…, in «Paese Sera», 9 ottobre 1980. Si rimanda inoltre a G. Sapienza, A. Pellegrino, Cronistoria di alcuni rifiuti editoriali dell’Arte della gioia, Roma, Edizioni Croce, 2016; lì si segnala un’accesa polemica con Pautasso di Rizzoli, ripresa da Domenico Scarpa in Senza alterare niente, postfazione a L’arte della gioia, Torino, Einaudi, collana «Super ET», 2009; poi durante il Convegno londinese del 2013 e quindi negli Atti Goliarda Sapienza in context, op. cit.; gli articoli di riferimento sono quelli di Maria Belèn Hernández González, Laura Fortini e Alberica Bazzoni. ↵
- «Avevo scritto un romanzo storico e me l’hanno rifiutato: “troppo lungo” dicevano», in E. Gagliano, Rubo, vado in carcere e scrivo, in «La Stampa», 22 gennaio 1983. ↵
- Nell’intervista rilasciata a G. Melli Là dentro sono morta, in «Oggi», n. 3/83, 12 gennaio 1983, pp. 34-36, si riferisce dell’«interessamento di un gruppo di artisti, colpiti dalla sua vicenda» che avrebbero raccolto dieci milioni per sostenere il libro, e si riportano i nomi di Mastroianni e della Vitti. In una conversazione privata avvenuta nel dicembre del 2015 Beppe Costa, che fu editore di Sapienza nell’87, confermava questo episodio. Cfr. M. Maresca, Ho rubato, potevo uccidere, in «Amica», 8 marzo 1983, pp. 100-103. ↵
- Nell’articolo emerge, oltre alla storia familiare di Maria Giudice e Peppino Sapienza, la vera radice del nome Goliarda: «Mi chiamarono Goliarda in ricordo del fratello ucciso (…) e poi era un nome che piaceva tanto a papà. Un nome gaio, che apparteneva alla tradizione anarchica, che rievocava i clerici vagantes». Si propone, inoltre, un confronto anche con il già citato articolo di Maresca e con Una voce intertestuale, op. cit., pp. 27-28. ↵
- È Sapienza che, nell’intervista a Melli, paragona la condizione sociale e psichica in cui era precipitata a quella di Jean Genet in Diario del ladro (1949), pubblicato in Italia per la prima volta da Mondadori nel 1959, anno di uscita anche del film omonimo di Robert Bresson che, tuttavia, sembra trovare affinità con Delitto e castigo di Dostoievskij, anche autore del racconto Il ladro onesto (Milano, Barion, 1924). E tuttavia Jean Gabin sarà un ladro memorabile in Verso la vita di Jean Renoir del 1936, tratto da un dramma teatrale di Gorkij. Se queste figure maschili – fatta eccezione per quella autobiografica di Genet, che frequenta anche il carcere – hanno poca attinenza con Sapienza, si pensi ad Agatha Christie, romanziera da lei amata, che aveva dedicato al furto di gioielli proprio un racconto del ciclo di Poirot: Il furto di gioielli al Grand Metropolitan (in Poirot investigates, 1924); si consideri, inoltre, John Robie (Cary Grant) protagonista di Caccia al ladro di Alfred Hitchcock (1955). ↵
- Cfr. Il grido d’allarme alla ricerca di una madre, in «Il Messaggero». ↵
- Di cui danno testimonianza sia Sapienza in un articolo apparso su «Minerva-l’altra metà dell’informazione», datato gennaio-febbraio 1986, sia i Taccuini del 2011; riferimento pregnante è, tuttavia, anche In Transiberiana di A. Pellegrino, Viterbo, Stampa Alternativa, 1991. ↵
- Il titolo: Quando a rubare è una donna con un «nome» alle spalle. ↵
- Si veda come, nei Taccuini di Il vizio di parlare a me stessa, op. cit., p.106, si parli di Nostalgia di Pechino come «futuro romanzo» atto a contenere «le avventure della mia vita», con una presunta ambiguità circa L’università di Rebibbia. In altri termini: resta aperta l’ipotesi di un’altra opera inedita. ↵
- In una lettera inedita all’allora dirigente della Rizzoli Sergio Pautasso datata 23 ottobre 1981 e riportata da Bazzoni in Writing for Freedom, op. cit., p. 262, Sapienza scriveva: «Fra le tante motivazioni che mi avevano spinto in quel posto, alcune sono state comprese, (…) le altre ci vorrebbe un Pirandello per andarle a scovare una per una». ↵
- Riprendendo il filone inaugurato da Giovanna Providenti, nell’articolo A. Trevisan, «RECITANDO SI IMPARA A SCRIVERE»: GOLIARDA SAPIENZA A TEATRO, TRA BIOGRAFIA E DOCUMENTI INEDITI, in «SINESTESIEONLINE», vol. Numero 23 – Anno VII – 30 maggio 2018, si analizzano le implicazioni biografiche nell’apprendistato teatrale di Sapienza riferendosi, soprattutto, al nesso significante “vita-letteratura” proprio della critica di Cesare Garboli. ↵
- Postfazione alla prima edizione delle Certezze del dubbio. È interessante riportare che Pellegrino, in quell’occasione, indicherà il romanzo cui Sapienza lavorò per dieci anni con un titolo diverso: Una donna del Novecento. ↵
- Nell’articolo si riprendono alcuni temi-cardine dell’opera, quali il rapporto con il materno e la mancata pubblicazione dell’Arte della gioia, ma anche si testimonia un legame con il femminile più complesso: «<dell’amica a cui ho rubato> ne ero innamorata, e lei mi trattava male, come una schiava, quando ho capito che non avevo più un soldo. Sono sempre gli amori per le donne, che mi perdono, sono le donne che mi coinvolgono, mi intrigano, che non capisco… Con gli uomini è tutto più facile, non sono complicati». ↵
- I Taccuini pubblicati postumi non permettono di conoscere la più realistica dimensione diaristica di Sapienza, nodo critico sostenuto dalla critica vigente. Eppure Sapienza, come afferma anche nel testo pubblicato nel 1983 («Nel mio pacco c’è uno spazzolino da denti, un quaderno e una biro (…) Fino a questo momento ho preso appunti in pezzetti di carta raccattati non so dove», pp. 57-58), aveva raccolto un primo nucleo diaristico per poi trasformarlo in opera di narrazione romanzata; da qui l’etichetta “romanzo-diario” già da Fabio Michieli esplicitata durante le numerose repliche del reading con A. Toscano e me Voce di donna, voce di Goliarda Sapienza. Un racconto (poi in volume: Milano, La Vita Felice, 2016). Si vedrà di seguito che l’approdo al libro è avvenuto secondo un iter editoriale standard, con editing del testo. ↵
- A proposito di questo romanzo completato nel 1981 (come si legge a fine testo), si segnala l’anticipazione del titolo e del contenuto da parte di Cambria nell’articolo Un premio per le donne che rompono le regole, in «Il Giorno», 26 novembre 1986; qui si parla del «Premio Minerva 1986» di cui Sapienza fu insignita. Cfr. A. Trevisan, Il giornalismo “militante” di Goliarda Sapienza: prospettive laterali di lettura, in «Poetarum Silva», 30 agosto 2018; cfr. la URL https://poetarumsilva.com/2018/08/30/il-giornalismo-militante-di-goliarda-sapienza-prospettive-laterali/ (link verificato al 28/11/2018). A proposito dell’apporto di Cambria al successo di alcune opere di Pellicanolibri in quegli anni, si segnala una tenace attività giornalistica a supporto anche di Anna Maria Ortese, che proprio in quel momento pubblicò due volumi per la casa editrice di Beppe Costa. Il tracciato dei contributi di Cambria è stato ripercorso in A. Trevisan, «bisogna che ci vogliamo un po’ bene»: Anna Maria Ortese e la casa editrice Pellicanolibri di Beppe Costa, con un carteggio d’autrice, in «DEP. DEPORTATE, ESULI, PROFUGHE», n. 39, 1/2019. ↵
- Nell’articolo Femminilità liberata ne L’università di Rebibbia di Goliarda Sapienza in Milagro Martín Clavijo (ed.), Escrituras autobiográficas y canon literario, Sevilla, Benilde Ediciones, 2017, pp. 233-56, si cita (nota 2) per la prima volta come “intuizione intertestuale” il romanzo del 1953 Roma, via delle Mantellate di Isa Mari, base per il soggetto del film Nella città l’inferno del 1959 diretto da Renato Castellani. Kornacka propone una lettura dell’opera legata ai gender studies e, inoltre, suggerisce il romanzo di Sapienza in linea con quella «scelta sovversiva (…) di innalzare a ruolo di protagonisti ragazzi tossicodipendenti, sbandati, omosessuali e prostitute» propria di Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli, uscito per Feltrinelli nel gennaio del 1980. La stessa intuizione è presente in Bazzoni, Writing for Freedom, op. cit., p. 252, in cui si rimanda a una critica della moderna società vicina a quella di Pier Paolo Pasolini. ↵
- Cfr. Una voce intertestuale, op. cit., pp. 67-71; qui si riportava anche una dichiarazione del 1988 apparsa in un articolo di Adele Cambria pubblicato su «Il Giorno»: «Io purtroppo ho trovato conferme nel carcere di quello che già sospettavo nella Resistenza. E cioè che il processo di emancipazione delle donne non è affatto garantito dalla scelta di armarsi». Si pensi, inoltre, al soggetto su Rebibbia scritto per il cinema, pubblicato postumo in Tre pièces e soggetti cinematografici (Milano, La Vita felice, 2014); circa l’analisi dello stesso si consulti Rizzarelli, Goliarda Sapienza. Gli spazi della libertà, il tempo della gioia, op. cit., pp. 133-52. ↵
- Anche se il tema è del tutto diverso, si pensi al successo della miniserie televisiva La piovra che andò in onda dal 1984 al 2001; il primo registra fu Damiano Damiani, mentre la seconda serie fu affidata a Florestano Vancini, frequentazione di Sapienza negli anni Cinquanta e dopo, nel momento in cui incarnò anche i ruoli di “cinematografara e sceneggiatrice”: cfr. E. Gobbato, Goliarda Sapienza sceneggiatrice. Il caso “I delfini” attraverso un carteggio inedito, tesi dottorale discussa presso l’Università degli Studi di Sassari, A. acc. 2015-2016, tutors Prof.ssa Lucia Cardone e Prof.ssa Monica Farnetti. A proposito dei rapporti con Vancini: A. Trevisan, A margine delle prime prove di scrittura di Goliarda Sapienza, in «CARTE ALLINEATE», Anno XI, 25/8/2018; cfr. la URL http://cartescoperterecensionietesti.blogspot.com/2018/08/alessandra-trevisan-margine-delle-prime.html (link verificato al 28/11/2018). ↵
- La metafora inedita del “sogno” (che ritornerà anche con Dario Bellezza) riguarda “Jean Gabin” e sarà, poi, il titolo della miscellanea «Quel sogno d’essere», op. cit.; l’articolo di Tatafiore già compariva in La porta è aperta, op. cit., p. 160; poi in Bazzoni, Writing for Freedom, op. cit., p. 264. Come sempre, l’anticipatrice Adele Cambria, nell’articolo Signorina Sapienza, detta Goliarda, in «Il diario della settimana», 4 febbraio 1998, parlava in questi termini: «Goliarda Sapienza ha lasciato tremila pagine inedite (per esempio un romanzo secondo me straordinario, Io, Jean Gabin, in cui la bambina della Civita, frequentatrice appassionata del cinematografo Mirone, si identifica con il grande attore francese)». A due anni dalla scomparsa dell’amica, Cambria menziona un testo che aveva letto e apprezzato. Si legga, tuttavia, quanto riporta Laura Ferro nel suo articolo Changing Recollections: Goliarda Sapienza and Fabrizia Ramondino Writing and Rewriting Childhood in Goliarda Sapienza in Context, op. cit., p. 189: «Adele Cambria (…) ancora conserva una quarantina di pagine dattiloscritte con dettaglio di varianti dei primi quattro capitoli di Io, Jean Gabin; Cambria dichiara <prima del 2015, anno della sua scomparsa> che questo era tutto ciò che Sapienza aveva completato sino al tempo della detenzione» (traduzione mia), come confermato da Angelo Pellegrino nella postfazione al romanzo postumo (Einaudi 2010) e da Alberica Bazzoni in Writing for Freedom, op. cit., p. 166, nota 4. ↵
- Il nodo critico che vedrebbe l’autrice impegnata su questo versante, con implicazioni di più ampia portata che riguardano l’opera, è stato affrontato nell’articolo A. Trevisan, Goliarda Sapienza atipica “giornalista militante” in «Italianistica Debreceniensis», n. 24, 2018 (di prossima pubblicazione). ↵
- In Se quattro mesi vi sembran pochi… di Gianni Infusino su «Il Mattino» 15 marzo 1983, Sapienza rivelerà che Bompiani, Mondadori e Adelphi avevano rifiutato il romanzo sul carcere. ↵
- Lettera dattiloscritta senza firma autografa di Sergio Pautasso a Goliarda Sapienza, conservata nell’Archivio Fondo Rizzoli-Fondazione Corriere della Sera di Milano, 2.1.1 “Varie – S/Se”, Segnatura 338RIZ. Anche i prossimi documenti provengono dallo stesso luogo; ringrazio per l’aiuto nella consultazione la Dott.ssa Francesca Tramma. L’epistolario di Sapienza Lettere minute e biglietti a cura di A. Pellegrino sarà, invece, pubblicato nel 2019 per La Nave di Teseo. ↵
- Lettera manoscritta con inchiostro blu e firmata, senza data, conservata nel Fondo sopraccitato con la stessa Segnatura; l’uso di parentesi quadre e corsivo indica ciò che è stato espunto dall’autrice. Nell’articolo Goliarda Sapienza atipica “giornalista militante” si riporta trascrizione di coeve lettere inviate da Sapienza a Cesare Zavattini conservate nell’Archivio dell’autore, in cui lei indicava la nuova occupazione alla Galleria Pan nel febbraio-marzo 1982. ↵
- Dall’Archivio Fondo Rizzoli, 2.1.4 Sapienza Goliarda, 01/01/1982-31/12/1983, Segnatura 969RIZ. ↵
- Si tratta di una lettera breve, manoscritta con inchiostro di biro blu su carta intestata di «Amica», la rivista edita da Rizzoli con cui Boffino collaborava dagli anni Settanta; Archivio Fondo Rizzoli, 2.1.1 “Varie – D”, Segnatura 319RIZ. ↵
- n°469; la scheda del libro data 18/10/1983 con uscita febbraio 1984; il sottotitolo: «la traumatica esperienza carceraria di una donna perbene». L’università di Rebibbia ed. 1984, in Fondo Rizzoli, 3.2.3.1 Sapienza Goliarda 01/01/1983-31/12/1983, Segnatura 2948RIZ. ↵
- Mi riferisco a Tra Čechov e Gorkij. Quasi un carteggio d’amore, due puntate, regia di Ida Bassignano, in «Rai Radio3», 16/05/82 e 23/05/82 (attori: Ferruccio De Ceresa, Giacomo Piperno, Vera Venturini), ora in I teatri alla radio, in «Rai Radio Techetè»; cfr. la URL https://www.raiplayradio.it/audio/2018/10/Tra-Cechov-e-Gorkij-quasi-un-carteggio-damore–5b867beb-0922-469b-b320-c1d8b7d08a10.html. Nell’analisi tratta da Una voce intertestuale (op. cit., pp. 104-16), si assume come centrale la postura anarchica di Sapienza secondo la filosofia di Michel Onfray e la possibilità che il rimando al cinema di Gabin sia “pretestuale”, “rubato” cioè a una realtà sfalsata rispetto al periodo della scrittura, di molti anni posteriore all’infanzia narrata. Maria Rizzarelli (in Goliarda Sapienza. Gli spazi della libertà, il tempo della gioia, op. cit., p. 122) sostiene vi sia un omaggio all’eroe del cinema francese, venuto a mancare proprio nel 1976 e ricordato nel 1977 dal palinsesto RAI; la studiosa colloca, inoltre, la scrittura del romanzo fra la fine 1979 e i primi mesi del 1980 secondo una testimonianza privata di Angelo Pellegrino. È ragionevole pensare che l’inizio della stesura coincida con il motivo del “furto di gioielli” avvenuto nel ’79. ↵
- In G. Melli, Là dentro sono morta, op. cit. ↵
- In Grazia Centola, Orrore e fascinazione a Rebibbia, in «il Manifesto», 15 febbraio 1983, già citata da Barbarulli, Essere o avere il corpo, p. 139, e ripresa da Bazzoni, Writing for freedom, op. cit., p. 243. ↵
- In E. Gagliano, Rubo, vado in carcere e scrivo, op. cit. ↵
- Ibidem. ↵
- Lettera manoscritta con inchiostro di biro blu, senza data e firmata in Archivio Cesare Zavattini, Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, collocazione: Za. Corr. S 123/2. ↵
- Lettera manoscritta con inchiostro nero di pennarello, con data e firma ma non spedita, Archivio Zavattini, collocazione: Za. Corr. S 123, già citata da Lucia Cardone nel saggio Vita e cinema, la grande bugia di Goliarda Sapienza in Un estratto di vita, op. cit. L’epistolario è stato da me consultato il 3 marzo 2018. ↵
- Rispettivamente Rubò alla sua migliore amica forse per realizzare un sogno e Oh che bello il carcere come luogo di desiderio…,entrambi in «Paese sera», 17 febbraio 1983. La prima ad aver segnalato l’uscita del romanzo su «La Stampa» era stata Lietta Tornabuoni nell’articolo Ticket sulla mamma del 13 gennaio 1983, in cui si parlava di «un libro che dice cose inconsuete sul carcere», mentre Luciano Simonelli sulla «Domenica del Corriere» del 5 febbraio indicava lo «sbalordimento, l’angoscia, ma anche il desiderio di conoscere, capire» che Sapienza aveva narrato. ↵
- A tal proposito si veda A. Trevisan, Trascendere il «sogno del carcere» nella vita e nella scrittura: Goliarda Sapienza a ventun anni dalla sua scomparsa, in «Poetarum Silva», 28 agosto 2017. Cfr. la URL https://poetarumsilva.com/2017/08/28/goliarda-sapienza-ventun-anni-scomparsa-trevisan/ (link verificato il 28/11/2018). ↵
- La prima del 13 marzo 1983: «inutile cercarvi una “documentazione dall’interno” <del carcere> perché non c’è»; la seconda in «Letture» anno 38°, quaderno 397, maggio 1983: «il discorso potrebbe aprirsi a prospettive molto ampie ma l’autrice non ci si avventura: si limita alla quotidianità alienante della prigione, ai piccoli vizi delle detenute (…) Ovviamente non mancano gli spunti stimolanti per un più ampio dibattito sugli istituti di pena ma poteva essere un bel libro e Goliarda Sapienza non c’è riuscita. Peccato»; la terza di Antonucci, studioso, critico e drammaturgo, in «Prospettive Libri», 29/30, anno III, maggio-giugno 1983: qui si parlava di esperienza vissuta da una «radical-chic». ↵
- La prima in «Rassegna penitenziaria e criminologica», vol. 5, n. 1, 1983, pp. 473-74; la seconda in «Leggere Donna», n. 9, marzo 1983. ↵
- Per un approccio all’opera della scrittrice, filosofa e critico rimando agli attenti saggi di Francesca Parmeggiani, che da più di dieci anni si occupa appassionatamente di Guiducci: Francesca Parmeggiani, For a Politics of the gendered Self: Armanda Guiducci’s Feminist Practices, in «Italian Culture», 24:1, 2007, pp. 63-89; Ead., Armanda Guiducci e le sfide dell’identità, in “On ne naît pas… on le devient”: I gender studies e il caso italiano, dagli anni Settanta a oggi, ed. L. El Ghaoui and F. Fonio, spec. issue of Cahiers d’études italiennes 6, 2013, pp. 271-80; Ead., Indagare le donne, indagare se stesse: la scrittura saggistica di Armanda Guiducci, in Escrituras autobiográficas y canon literario, ed. Milagro Martín Clavijo, Sevilla, Benilde Ediciones, 2017, pp. 384-403. ↵
- In Archivio «Radio Radicale», cfr. la URL https://www.radioradicale.it/scheda/4405/4418-luniversita-rebibbia; “Buongiorno Primavera” fu fondata da Lella Golfo e divenne poi l’attuale Fondazione Marisa Bellisario, che indice l’omonimo premio. Circa l’evento cfr. A. Barile, Una donna, tante donne e l’esperienza del carcere, in «La Repubblica», 26 febbraio 1983; P. Cancianti, L’”università del carcere”, in «Avanti», 6 marzo 1983; (s. a.), Il carcere come esperienza, in «RadiocorriereTV», 12 marzo 1983. ↵
- Che abbraccerà dopo aver partecipato alle elezioni nazionali candidandosi nel PSI a Roma nella primavera dell’83, come riportato in Una voce intertestuale, op. cit., p. 51; il suo nome figura in E. Ma., Con il garofano Soldati, Zevi e la pronipote di Garibaldi, in «Corriere della Sera», 24 giugno 1983, e (s. a.), lista candidati del PSI, in «Corriere della Sera», 29 giugno 1983. È interessante, tuttavia, notare che, nel carteggio inedito con Cesare Zavattini, figura una lettera dattiloscritta del giugno 1983 (S 123/3) spedita da Sapienza, che stava sostenendo una “causa” politica al fine di migliorare la condizione delle carceri in Italia, e invitava il destinatario a votare l’amico allora socialista Fabrizio Cicchitto, altrettanto sensibile al tema. ↵
- Lo stesso volume viene ripubblicato nel 1982 da Rizzoli, prima dell’Università di Rebibbia. ↵
- Parca ha confuso l’anno dell’inchiesta a quattro mani con la precedente che Salierno aveva pubblicato nel 1969: La spirale della violenza: memoriale di un detenuto (Bari, De Donato). ↵
- Da ricerche d’archivio presso il Centro Donna di Mestre, concentrate prevalentemente su Rebibbia, lo schieramento della testata menzionata risultava particolarmente importante. Nel numero del 7 maggio 1978 alcune attiviste di Radio Onda Rossa pubblicavano un articolo sulla rivolta interna alla sezione femminile dovuta a «emarginazione e solitudine», conseguita a un fatto di cronaca giudiziaria, ossia l’aver impedito a Bruna Stepic di vedere per l’ultima volta la propria bambina prima che venisse a mancare. Il 16 luglio 1980 una lettera delle detenute si poneva in difesa di Alberta Battistelli, assassinata come Giorgiana Masi pochi anni prima (nel 1977), mentre il 30 luglio la denuncia di alcune detenute portava all’attenzione le contraddizioni fra politiche e comuni e la “rieducazione” impossibile in sul carcere il silenzio del movimento femminista; qui, a parlare saranno Tonia-Isabella, Fulvia, Anna, Elvira, Renata e Patrizia (questi ultimi tre nomi sono presenti anche nei Taccuini di Sapienza datati 1980). Dal febbraio 1981 l’attenzione della stampa femminista si rivolgeva alla condizione delle detenute di tutta Italia con culmine il 12 giugno, grazie a un articolo di taglio militante delle “proletarie di Rebibbia” che trattavano delle condizioni in cui vivevano e lottavano (Un carcere: 200 detenute, asilo nido e un braccio speciale). Anche Sapienza sarà a Radio anch’io su «Radio1 RAI» l’8 febbraio 1983 per parlare della propria esperienza; «Panorama» e altre testate dedicheranno, allora, ampi spazi alla condizione carceraria non solo femminile. ↵
- In Bazzoni, Writing for Freedom, op. cit., p. 285. ↵
- Si può indicare una continuità tra l’esperienza carceraria di Adele Faccio nel 1975 e quella di Sapienza, poiché entrambe provenivano da un ambiente culturale simile. Il “punto di distacco” riportato da quest’ultima anche nel libro è, tuttavia, l’interesse rivolto alle “detenute comuni”, vero nucleo del testo. ↵
- M. Latella, Ho scoperto in cella il mestiere di vivere, in «Secolo XIX». In quei giorni uscirono altri interventi sui giornali, segno dell’attenzione all’iniziativa di “Buongiorno Primavera”: cfr. G. Massari, Le esperienze della scrittrice nell’Università di Rebibbia. Indovina chi ho incontrato in carcere, in «Il Giornale», 25 febbraio 1983; R. D. G., L’università di Rebibbia, ne parlano intellettuali e proletarie, in «Il Messaggero», 25 febbraio 1983. A proposito del «ventesimo congresso»: cfr. G. Sapienza, Lettera aperta, Milano, Garzanti, 1967, p. 51. ↵
- In M. Latella, Ho scoperto in cella il mestiere di vivere, op. cit. ↵
- La segnalazione del dibattito in un trafiletto del «Corriere della Sera», 15 marzo 1983. Ringrazio la Dott.ssa Anna Ventura della Casa della Cultura per lo scambio avuto riguardo a questa ricerca. ↵
- Boffino aveva pubblicato Pelle e cuore nel 1979 e Stavo malissimo nel 1983. Di Guiducci segnalo La mela e il serpente, autoanalisi femminile (1974), Due donne da buttare (1976), La donna non è gente (1977), All’ombra di Kali (1979), Donna e serva (1983) e A testa in giù (1984). Mi pare necessario rilevare che le autrici appartengono, assieme a Sapienza, alla stessa generazione di donne nate negli anni Venti. ↵
- Il giornalista (nell’articolo Cerati, Maraini, Sapienza: la condizione femminile di fronte alla scrittura, in «Il Mattino», 11 febbraio 1983) avanza un terzo nome che mi pare significativo poiché collegato alla vita dell’autrice e alla sua produzione drammaturgica, come proposto in Una voce intertestuale, op. cit., pp. 147-54, ripreso di recente anche da Roberta Gandolfi in Goliarda Sapienza, il teatro delle scrittrici a Roma e il femminismo, in Un estratto di vita, op. cit., pp. 11-32. ↵
- Si invita a leggere Giovanna Amato, La corsara: intervista a Sandra Petrignani, in «Poetarum Silva», 30 ottobre 2018. Cfr. la URL https://poetarumsilva.com/2018/10/30/intervista-a-sandra-petrignani/; l’articolo si apre con un assunto di Amato valido anche per questo saggio: «La materia prima con cui si scrivono i libri è molteplice». ↵
(fasc. 24, 25 dicembre 2018)