Di recentissima pubblicazione il libro di poesia Di lentissimo azzurro di Angela Caccia per Campanotto editore. Conosciamo la produzione poetica di Angela Caccia che leggiamo da circa dieci anni e possiamo affermare che questa raccolta ha sicuramente qualcosa in più per ciò che concerne il dialogo incessante che l’autrice ha tenuto con la poesia in tutti questi anni. Trapela la convinzione che il territorio vergine esplorato dai suoi versi si colloca ora a metà fra la sua verità e quella altrui; c’è la consapevolezza che non possiamo modificare il corso degli eventi, ma soltanto modificare la nostra risposta alle situazioni, accogliendo con maggior prudenza ogni cambiamento («La prudenza che imparò a schivare inganni»). La poetessa, ciò malgrado, si interroga sul tempo, tanto che a un tratto recita: «poter tornare indietro e scegliere magari l’alternativa scartata».
Definiremmo questa sua raccolta come “impregnata” della poetica del tramonto, perché tanti sono i richiami ai «vapori argentei» della terza età: «Chi pensava di doverla scontare la gioventù?».
Diffusi sono anche i richiami all’autunno come metafora di qualcosa che prelude all’inverno, stagione in cui non ci sono miracoli da rincorrere, ma ci si prepara al letargo. «È un tempo saggio il mio giardino di novembre», recita in un componimento dedicato alla madre che si è spenta serenamente pochi anni fa: poesia a nostro avviso bellissima perché, senza che la madre sia nominata, la si può riconoscere soprattutto quando si congeda dalla vita terrena con un’Ave Maria e sembra di assistere a un vero e proprio passaggio di testimone, perché, da allora in poi, toccherà alla figlia scrittrice farsi inverno e custodire l’amore, la fede, i ricordi, le tradizioni.
«Lascia che l’autunno arrugginisca i dintorni», in un altro componimento, rappresenta, a nostro parere, il punto di svolta, quello in cui si comincia a vedere il bicchiere mezzo pieno. Perché in fondo l’autunno della vita non è altro che «una tenera nota mistica tra bellezza e rovina».
Parallelo a questo dialogo col tempo, c’è il vero protagonista della raccolta, cioè il dialogo con la Poesia, ed è qui che la poetessa sorprende i lettori col suo fare metapoesia nella poesia. Riporto in ordine sparso alcune citazioni che, pur accostate a caso da noi, hanno una certa organicità e riflettono tutto il pensiero della Nostra: «Scrivere resta il sole frontale da cui poche ombre si sottraggono e ancora trascritto il ricordo il nostro tempo scaduto»; si legga ancora: «tra me e il foglio/ dopo l’ultimo verso/ vorrei parlarti di questa nostra vena aperta/ e di tutto il silenzio che resta». La poetessa sa che «poesia è pane leggero eppure essa scrive di lentissimo azzurro» e ancora ribadisce: «torno a darti un peso attraverso le parole, ché le parole le avrei mio spazio sacro».
Molti sono i riferimenti a Borges e Salinas, soprattutto nello stile e nell’uso del linguaggio per dare consistenza agli oggetti, identità alle cose che senza il nome, senza la parola, non esisterebbe.
Nell’ultimo componimento Caccia fa, invece, riferimento all’arte della ceramica, perché anche le mani creano e «mutano la prospettiva ad ogni istante». Ecco cosa le accomuna alla «prospettiva capovolta» del «pensiero che resiste a rifrangenze», perché la creatività è un gesto sacro e appunto per questo rifugge da ogni tentativo di omologazione, «scintilla caos ovunque e con franchezza».
(fasc. 55, 25 febbraio 2025)