Recensione di “Time is out of joint”, progetto di Cristiana Collu, presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e contemporanea

Author di Martina Neri

Atto primo, scena quinta dell’Amleto: atrio della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e contemporanea.

Un tempo irrazionale, non lineare, che porta a un mondo capovolto, tumultuoso, incomprensibile è quello di cui si lamenta Shakespeare attraverso le parole del suo protagonista, ma è anche il nostro. Presi ogni giorno, come Amleto, dalla responsabilità to set it right, di mettere ogni cosa al suo posto, non ci rendiamo conto di quanta bellezza possa esserci nella labilità del confine tra un tempo e l’altro. Ce lo mostra Cristiana Collu, direttrice generale del Museo, che, con la sua idea, concretizzatasi dopo sei mesi di lavori sia sulle collezioni sia sull’edificio, “rimette ogni cosa al suo posto”, riorganizza nello spazio del museo un mondo disarticolato e sconnesso, superando il concetto di cronologia, di fissità temporale, e viaggia nell’arte seguendo un anarchico pensiero per cui nascono nuove relazioni tra le opere e, simultaneamente, nella mente dello spettatore.

Time is Out of joint, citando le parole di Collu, è una mostra disobbediente, la cui temporalità dipende dal nostro sguardo.

Il mio sguardo viaggia lungo i corridoi e le sale in una soleggiata domenica pomeriggio, mentre molte persone fotografano voracemente tutto ciò che le circonda. In questi contesti personalmente preferisco l’esserci al ricordare, vivere il momento e lasciarmi coinvolgere totalmente in quest’atmosfera atemporale.

Ammiro Arp, Balla, Klimt, Klein, Guttuso, Magritte, Mirò, Sironi, Warhol, Monet, Burri, de Chirico, Giacometti, alcuni tra i circa centosettanta artisti che fanno parte della mostra.

Leggo «Lascia da parte il tempo se vuoi capire questa storia», ma all’entrata del Museo capisco solo a metà. Chiunque capisce solo a metà. Come sempre, nell’arte, è solo il vivere appieno l’esperienza a darti la consapevolezza di aver appreso qualcosa. Scendendo le scale, infatti, all’uscita, credo di aver capito molto di più.

Nel mezzo vedo Alla stanga, un quadro di Segantini del 1886, facing un Rento 2012. Mucche dipinte e digitali.

Vedo le Ninfee rosa di Monet, del 1897-1899, e le Ninfee di Rento.

Vedo un quadro e poi vedo uno schermo.

La scelta del verbo non è casuale: le opere si affacciano l’una sull’altra, quasi si affrontano, in questo contesto, senza sfidarsi, fanno parte di un tempo attuale, che non è passato e non è presente, è il tempo nuovo in cui vive lo spettatore.

Vedo l’International Klein Blue, I malati e Il mendicante di Balla, dei primi anni del Novecento, giro vorticosamente nella Spirale Scura di Uecker (1970) e mi immergo nel Bosco di Fointanebleau che Palizzi realizza nel 1874.

Faccio tutto questo in una sequenza cui non dò linearità temporale. Questo tempo graffia come Fontana nella tela bianca, muore e rinasce continuamente.

Mademoiselle Lanthèlme, dal quadro di Boldini, e la donna riprodotta in Sogni di Corcos portano, negli abiti e nello sguardo, la fierezza e la femminilità della donna degli anni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Più in là, Giacometti mostra la sua Grande donna in un’imponente, sebbene fragile, scultura del 1960. Alta, filiforme, fragile e scura, un volto appena accennato, una postura solida che la rende ben ancorata al terreno.

Alcune delle opere esposte rappresentano eventi storici: ne è un esempio La battaglia di Custoza di Fattori, dimostrazione esplicita di come anche una memoria storica, con la sua fissità insita nel concetto stesso di evento, accadimento, possa essere comunque inserita in un contesto “atemporale”.

Con la testa nel passato e un piede nel futuro, passo dopo passo, lo spettatore cammina per i lunghi corridoi del Museo.

Mi riservo il diritto di indietreggiare, ogni tanto, per guardare di nuovo. C’è una frase che ho letto ultimamente, non ricordo dove, che mi torna in mente al riguardo: We are fearless, independent and original. Non abbiamo paura, non ci lasciamo intimorire dal giudizio, non temiamo le etichette né il presente che ci obbliga a restare ancorati a terra a combattere le lotte dell'”ogni giorno”. Noi siamo indipendenti, siamo originali, camminiamo sulla strada per i nostri sentieri del tutto personali, vivendo nei libri che leggiamo, perdendoci nelle nostre passioni, superando l’ostacolo che pone la razionalità imperante nel mondo, la quale ogni giorno impone di abbandonare la fantasia, l’istinto.

Ma senza andare “oltre”, oltre l’ordinario, a volte è impossibile capire.

(fasc. 20, 25 aprile 2018)