«Pianeta Fresco»: l’editoria “sulla strada” di Fernanda Pivano

Author di Valeria Martino

«Pianeta Fresco» è una rivista senza periodicità fissa edita nel biennio ’67-’68 dalle Edizioni East 128, fondate nel 1963 da Fernanda Pivano ed Ettore Sottsass[1. Quello che si presenta è un estratto di tesi di Laurea Magistrale in “Editoria e scrittura” (cattedra di “Giornalismo culturale e storia dell’editoria”) dal titolo «Pianeta fresco»: l’editoria sulla strada di Fernanda Pivano, discussa presso la “Sapienza Università di Roma” nella sessione invernale dell’anno acc. 2015/2016: relatrice la Prof.ssa Maria Panetta e correlatrice la Prof.ssa Vanessa Roghi.].

La rivista, che si inserisce all’interno dell’ostico circuito underground, è una tra le migliori del relativo panorama italiano per la sua coerenza di contenuto e impostazione grafica, anticipando il vero e proprio boom della produzione di controcultura in Italia, riconducibile agli anni 1970-1977.

La coppia Pivano-Sottsass, unita in matrimonio dal ’49, funzionò non solo nel privato e «Pianeta Fresco» rappresenta chiaramente il sodalizio intellettuale dei due. L’interesse letterario di Pivano per la Beat generation capitanata da Allen Ginsberg (direttore irresponsabile della rivista), da una parte, e la ricerca artistica innovativa di Sottsass, dall’altra, si incontrarono perfettamente in «Pianeta Fresco» che, lungi dall’essere una mera rivista, è un’esperienza sensoriale che si pone come obiettivo quello di trascinare il fruitore in una dimensione altra, più intima e vera, rispetto a quella passiva della lettura di contenitori informativi.

Esigua la bibliografia in merito: le cause di tale “dimenticanza” vanno ricercate proprio nelle peculiarità stesse dell’universo underground di cui fanno parte i due numeri della rivista. La cultura “dominante” dell’epoca non gradì certamente quel tipo di pubblicazione che, sia sul piano formale (tipografico-editoriale) sia per quanto riguarda i contenuti (tra i quali, la convinzione che il ricorso ad allucinogeni e alcool fosse utile a stimolare la creatività e ad amplificare l’intensità dell’esistenza, le religioni/filosofie orientali come chiave per la ricerca della pace interiore, la sessualità vissuta in libertà ecc.), fu una “bomba” per quei tempi. La stessa «bomba»[2. F. Pivano, C’era una volta un beat. 10 anni di ricerca alternativa, Roma, Arcana Editrice, 1976, p. 121.] che per Nanda fu il n. 7 del «San Francisco Oracle», rivista psichedelica americana, trovata nella cassetta della posta, che fece immediatamente breccia nel suo cuore, dando avvio alla stagione creativa e colorata di «Pianeta Fresco».

Bisogna poi considerare che le copie, quelle poche che furono stampate, poco meno di 600 fra il primo e il secondo numero, furono tutte esaurite e certamente non andarono tutte in mano a collezionisti. Difatti, la rivista è oggi reperibile in pochissime biblioteche e, dato che presso alcune è presente la collocazione ma poi di fatto non ne esiste alcuna copia fisica, la lista delle copie disponibili per la consultazione si riduce drasticamente.

Considerati i limiti bibliografici, conviene poi fare un’altra valutazione, vale a dire attribuire alla pubblicazione il suo giusto contesto storico-culturale: fu Marcel Duchamp a utilizzare il termine underground per la prima volta nel ’61 durante una conferenza a Philadelphia durante la quale in merito all’arte spiegò che questa doveva essere “sotterranea”, precisando gli utilizzi del termine.

Le radici di questa cultura risalgono al secondo dopoguerra, e in particolare la sua matrice culturale e politica va rintracciata nella cosiddetta Beat Generation, definizione dello scrittore Kerouac che con questa alludeva alla condizione di “sconfitti”, di “battuti” della sua generazione, con evidente rimando al ritmo del sound jazz, musica da loro eletta. Più tardi fu Ginsberg a stilare un proprio “manifesto”, riportato alla lettera da Fernanda nel ’95 nel settimanale «Amica»[3. D. Carmosino, Il giornalismo culturale di Fernanda Pivano, in Parola di scrittore, a cura di C. Serafini, Roma, Bulzoni Editore, 2014, p. 149.].

L’America, quella Beat, si configura con i campi immensi e incontaminati di On the Road da percorrere a piedi o in autostop cosicché il nomadismo e il viaggio possano figurarsi come esperienze necessarie per conoscere se stessi in rapporto all’altro; è il paradiso delle minoranze, degli omosessuali e della sessualità vissuta in assoluta libertà e gioia, della droga, dell’alcool e della musica jazz[4. Ibidem.].

Oggi il termine underground definisce un ampio contenitore che tiene assieme tante e diverse identità che si pongono in antitesi/alternativa rispetto alla cultura “dominante” di una società; il suo contesto d’uso è assai vasto e assume al suo interno sia il significato originale, eredità quindi dei Beats, sia quelli successivi che, caricandosi di nuove sfumature, sono sfociati nel Movement politico.

È poi bene sottolineare che soprattutto in Italia si assistette a una rottura fra la componente politica e quella creativa (su cui la prima prevaricò), che vide l’underground, tranne che per i suoi primi passi, allontanarsi dalla vera matrice culturale da cui mosse, vale a dire quella beat (a-politica). Fernanda stessa non ebbe dubbi quando in merito all’underground dichiarò che nel nostro paese non era mai esistita, e che gli hippies erano stati tutt’al più delle marionette mosse dalle industrie della moda e discografiche.

Difatti, quelli che Nanda divulgò in Italia erano i “cani sciolti” americani, quelli che respingevano il consumismo del boom economico e si sottraevano, contemporaneamente, a un’ideologia politica, in particolare al «neomaterialismo di Eisenhower e al neofascismo di McCarthy»[5. F. Pivano, Viaggio Americano, Milano, Bompiani, 2009, p. 181.]. I Beats di Ettore e Nanda desideravano solo vivere in pace e ritrovare il piacere dell’essere vivi qui e ora; ecco perché si può osare di dire che «Pianeta Fresco» è un esempio di caso isolato[6. La controcultura (con il rifiuto dell’autoritarismo e le metodologie provocatorie), che nell’Italia presessantottesca servì da introito alla rivolta studentesca, fu ben presto marginalizzata nel quadro di una politicizzazione alimentata da riviste come «Quaderni Rossi», «Quaderni Piacentini», «Giovane Critica», «la Sinistra», «Classe Operaia», che comprimeva gli aspetti esistenziali, soggettivi e creativi.] di rivista underground negli anni ’60 in Italia, sia se si considera che il boom dell’underground press nel nostro paese si registrò negli anni Settanta sia per il fatto che l’underground di «Pianeta Fresco» è da intendersi solo nel suo significato originale di cultura beat.

Così, «Pianeta Fresco» va letta in quest’ottica: è una pubblicazione psichedelica (momento culturale a cavallo fra la Beat generation e gli hippies) che nulla ha a che fare con le riviste di controcultura che in Italia esplosero negli anni Settanta: «Re Nudo», «Fallo», «Puzz», «Tampax» etc.

La rivista del team Sottass-Pivano è visionaria, colma di sogni e utopie, e indica la strada da seguire per raggiungerli; la poesia Con chi essere gentile di Ginsberg o il dettagliato articolo che monitora un “viaggio” di otto ore nel mondo allucinogeno, e ancora La Gaia Pornografia, “articolo” redatto per mezzo d’ideogrammi di pura invenzione, sono solo alcune delle coordinate per approdare nel “pianeta fresco”.

«Pianeta Fresco» trovò tuttavia una propria originale via, ponendosi a metà strada fra un giornale underground e uno di arte d’avanguardia grazie al lavoro certosino del “Capo dei Giardini”, Ettore Sottsass, che ne curò grafica e impaginazione con scrupolosa minuzia e raffinatezza. Fu infatti proprio l’intervento dell’architetto la discriminante della cifra stilistica di «Pianeta Fresco».

Mille i prestiti a cui Ettore ricorse, spaziando dalla pop art sino alle decorazioni magiche dell’Oriente e facendo riferimento a qualsiasi esperienza grafica e pittorica, per un risultato che Pivano definì un vero «shok grafico»[7. F. Pivano, C’era una volta un beat. 10 anni di ricerca alternativa, op. cit., p. 121.]. La frammentazione della percezione visiva, l’uso di forme e colori che cambiavano in maniera caledoscoipa, l’impaginazione che rompeva con quella dei giornali standard, il senso di lettura continuamente variato che era richiesto al lettore, il “gioco” di girare, girare e ancora girare la rivista fra le mani, furono solo alcune delle caratteristiche che riscattarono la rivista dall’essere un contenitore passivo di informazioni per porla su un piano dimensionale fatto di sensi e azione.

Questo spingersi verso i limiti, questo voler occupare, sfruttare al massimo lo spazio disponibile, come se avessimo paura di sprecare la carta. Forse tutto questo deriva dal fatto che Ettore era architetto, e di conseguenza la rivista è come una casa, quattro mura che contengono l’esistenza[8. I libri di Ettore Sottsass, a cura di G. Maffei, B. Tonini, Mantova, Corraini Edizioni, 2011, pp. 24-26.].

La rivista a mo’ di casa: è questa l’idea “sottsassiana” che prepotente fuoriesce dalle pagine di «Pianeta Fresco».

A questo punto conviene quindi domandarsi chi fu Ettore Sottsass e in quali aspetti della rivista del ’67-’68 è possibile rintracciare la sua influenza.

Sottsass ha speso tutta la vita interrogandosi sul rapporto che esiste fra le cose e gli uomini, fra gli spazi e le vite che accolgono, fra gli oggetti e i gesti che li rendono nostri. La sua ricerca lo ha spinto attraverso l’architettura, il design, la scrittura, la fotografia, la pittura; la critica lo ha, giustamente, definito un artista, trovandosi nella reale difficoltà di incasellarlo in base a una sola definizione di estetica, ma Sottsass per tutta la sua lunga carriera si è sempre definito un architetto, essendosi dedicato anima e corpo a questa sua passione[9. P. Thomé, Sottsass, Milano, Mondadori Electa, 2014, p. 18.]: «Mi arrabbio quando mi dicono che sono un artista. Cioè, non mi arrabbio, però sono fondamentalmente un architetto»[10. M. di Forli, Sottsass. L’uomo dal compasso d’oro, in «Il Messaggero», 2 gennaio 2008.]. Era architetto, diceva, perché l’architettura si abita, mentre l’arte si guarda, e «Mi interessano gli edifici da abitare, non quelli da vedere»[11. Cfr. http://www.architettiroma.it/archweb/notizie/09968.aspx].

La sua ricerca ha rifiutato qualsiasi teorizzazione e si è ancorata alle radici viennesi, al lavoro del padre Ettore Sottsass (anche lui ingegnere e architetto), ai boschi delle Dolomiti; l’infanzia trascorsa in questa zona ha avuto un impatto non trascurabile sul giovane, formando quel «paesaggio sensoriale»[12. P. Thomé, Sottsass, op. cit., p. 29.] che ha poi caratterizzato la sua intera vita e la sua carriera. Le Dolomiti, con la ricca flora e fauna e con il loro caratteristico clima rigido ma stimolante, hanno certamente avuto un ruolo nella sua sensibilità in fatto di arte. È stato egli stesso a raccontare che nei ricordi della sua infanzia la presenza della natura coi suoi odori, colori e rumori è stata imprescindibile; quello che “il mondo lo si legge soprattutto con i sensi”[13. Ibidem.] è stato un motto caro all’architetto, che affondava le radici proprio nell’infanzia e nell’adolescenza vissute in quei luoghi.

La dimensione sensoriale è stata dunque la «prima musa della sua attività», accanto alla quale ben presto si è inserita quella “divina”, eredità dei viaggi (in India e Oriente) che lo hanno convinto della presenza di un’aura di mistero che circonda luoghi e oggetti: in questi, o per mezzo di questi, ci si può perdere grazie al loro potere di evocare altro da sé. Così a Sottsass jr. l’estetica funzionalista del Bauhaus, in cui ha mosso i primi passi, non è bastata e ben presto ha abbandonato questa scuola di pensiero per abbracciarne altre, a suo avviso più al passo con le odierne condizioni economiche e sociali. L’«erede del Bauhaus»[14. Ivi, p. 162.] nel corso degli anni si è convinto dell’impraticabilità del suo manifesto programmatico e del suo principio cardine, il Funzionalismo[15. M. Rebecchini, Bauhaus: cinquantenario: 1919-1969, Cagliari, Centro studi architettura, 1970, p. 24.].

Del funzionalismo spiegò che aveva perso il suo significato originale e che urgeva ridefinirlo, e ampliarlo: la funzione di un oggetto è un concetto importante ma è impossibile che sia definita una volta per tutte, perché suscettibile di cambiamento e ampliamento, e si resetta per ridefinirsi, proprio come la vita degli uomini. Il pensiero di Sottsass è stato semplicemente rivoluzionario; la sua rivoluzione[16. M. Di Forli, Sottsass. L’uomo dal compasso d’oro, art. cit.] consiste nell’aver superato il pensiero del Bauhaus, che voleva che la forma fosse direttamente funzionale all’uso dell’oggetto/opera d’arte, e nell’aver intuito che l’ergonomia, tanto cara ai funzionalisti, è, sì, un concetto importante ma non è il solo che conti. Quello che ha fatto Sottsass è stato, dunque, rovesciare l’affermazione che “la forma segue la funzione” in un’inedita “la forma segue la funzione psichica”[17. Ibidem.]. Ciò concretamente significa che esiste tutta una gamma di sfumature sottili, altrettanto fondamentali, come l’emotività, la sensitività o la spiritualità, e volendo anche l’erotismo: Ettore ha sempre spiegato questo suo “strano” rapporto con gli oggetti e le superfici dei materiali, e come quelli al tatto e alla vista suscitassero in lui un incredibile senso di piacere quasi erotico[18. Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=qQixXON-wIQ]. Iniziando col Razionalismo e il Movimento Arte Concreta, e passando per lo Spazialismo per approdare alla cultura Pop, il percorso di Ettore è stato lungo e lo ha condotto alla convinzione, quasi paradossale per chi come lui si è formato professionalmente nella Milano dell’industriale Olivetti, che un oggetto di design debba emozionare, che le forme debbano essere plasmate da principi etici e sociali e non solo da criteri consumistici, affinché agli oggetti sia riconsegnato uno spessore simbolico.

Queste premesse chiariscono il “manifesto programmatico” di «Pianeta Fresco» che, al di là del pensiero underground, sposa appieno la riflessione artistica ed etica del suo art-director; cosicché fra gli obiettivi della rivista ne spicca uno: integrazione. Così chiarito da Fernanda Pivano:

Pianeta Fresco propone un tentativo di integrazione della scrittura con la sua esistenza figurativa al punto da considerare la rivista un oggetto riscattato da ogni staticità, e tuttavia intangibile, più che un semplice contenitore o un supporto di dati. I pensieri e le ricerche di cui si parla fanno parte di correnti molto larghe e molto diffuse nei giovani di tutto il mondo (dell’Occidente e dell’Oriente), insoddisfatti della pseudocostruttività dei modi tradizionali a tutti i livelli, sia quelli di governo, sia quelli culturali, educativi e così via. Cerca di esprimere, con i mezzi minimi a disposizione e in forma del tutto sganciata da qualsiasi tipo di struttura, l’insieme di questi pensieri e di queste ricerche, per offrire un’alternativa a quelle riviste che si lasciano condizionare dalle strutture politiche o accademiche o industriali o commerciali[19. Cfr. la URL: http://www.artelibro.it/files/2010/06/Giorgio-Maffei-Pagine-Catalogo-Pagina-79.pdf].

Il contributo di Sottsass tuttavia è da ricercarsi anche negli antefatti di «Pianeta Fresco», e più precisamente in un’altra rivista partorita a seguito di un viaggio “patologico” in India fatto assieme a Nanda nel ’61.

Di ritorno dal viaggio in Oriente, Ettore e Nanda sono profondamente cambiati: quella natura e quella cultura non li hanno lasciati indifferenti, e Sottsass scopre di essere affetto da una grave forma di malattia, la nefrite, probabilmente contratta durante il viaggio. Grazie all’amicizia di Olivetti, che «prende le redini della situazione»[20. F. Pivano, Diari: 1917-1973, a cura di E. Rotelli con M. Bricchi, Milano, Bompiani, 2008, p. 803.], trova una clinica che può fornirgli le cure necessarie; Ettore è ricoverato nel centro medico Stanford di Palo Alto (California) dove gli è assegnata la camera numero 128[21. P. Thomé, Sottsass, op. cit., p. 149.]. Il numero della camera suggerisce dunque il nome per la rivista, che viene intitolata «Room East 128 Chronicle», primissimo lavoro del catalogo della casa editrice East 128, fondata a Milano dai coniugi qualche anno più tardi (nel 1963) e dove pubblicano soprattutto poesia con versi scritti a mano dai poeti[22. Ettore Sottsass, a cura di B. Radice, Milano, Electa, 1993, p. 64.].

Risolto l’arcano del nome, bisogna chiarire come Ettore maturi l’idea. Da Milano sono in tanti fra parenti, amici, colleghi che gli inviano lettere per sincerarsi del suo stato di salute, ma egli non può rispondere a tutti, «finché un giorno è venuto a trovarmi un signore che aveva costruito un ciclostile a colori e così mi sono detto: “Faccio un giornaletto e lo mando agli amici”»[23. S. Boeri, L’ultima intervista. La malattia ti aiuta a pensare alla vita, in «Corriere della Sera», 2 gennaio 2008.]. Ecco che Ettore partorisce l’idea di una rivista che sia una raccolta di lettere di risposta ai suoi amici; la grafica è Pop e il periodico si compone di tre numeri ciclostilati nei quali compaiono annotazioni sulla vita quotidiana presso l’ospedale, la lista dei farmaci assunti, i nomi dei medici che lo hanno in cura[24. P. Thomé, Sottsass, op. cit., p. 150.].

È il collage, elemento di grafica decisamente pop, quello che caratterizza i tre numeri di «Room East 128 Chronicle», aspetto della rivista che, rompendo con l’impaginazione di tipo tradizionale, anticipa quella dei giornali underground che tra qualche anno avranno vita in America. Il papier collè, come lo chiamava Picasso, che a cavallo fra le due guerre è trasformato da dadaisti, surrealisti e futuristi in potente strumento comunicativo, è successivamente accolto negli anni ’60-’70 dalla psichedelia come elemento estetico irrinunciabile[25. V. Mauron, Le collage: expérimenter l’imprévisible, in M. Bianchi, Collage, una poetica del frammento, Tesserete, Pagine d’arte, 2010, pp. 157-61.]. Chiaramente, la grafica di «Room East 128 Chronicle» è lontana da quella tantra/mistico/indiana delle riviste psichedeliche californiane: si veda, ad esempio, il «San Francisco Oracle», che ha oltretutto influenzato Pivano per «Pianeta Fresco». Quotidiani, cartine dello zucchero, scatole dei medicinali, pubblicità[26. F. Pivano, C’era una volta un beat. 10 anni di ricerca alternativa, op. cit., p. 39.]: Sottsass impiega il proprio tempo in ospedale a ritagliare tutto ciò che gli passa per le mani. Ritaglia e ricompone; strati e strati di immagini ritagliate da comuni riviste che riempiono completamente la pagina e che vogliono raccontare «la noia della famiglia media americana»[27. P. Thomé, Sottsass, op. cit., p. 150.]. Ogni pagina si mostra come un collage che poi è fotografato e stampato con clichés di carta che permettono di tirare fino a 150-200 copie.

Intervistato da Stefano Boeri per il «Corriere della Sera», Ettore ricorda la degenza a Palo Alto e la propria malattia con una nota positiva. Dopotutto, afferma l’architetto, la malattia concede un tempo e uno spazio di «solitudine assoluta» nei quali non resta che tirare le somme e pensare alla vita, alla morte e al futuro; perché, anche se si è continuamente circondati da gente meravigliosa, «la malattia è un colloquio continuo con te stesso, su cosa sei e sarai»[28. S. Boeri, L’ultima intervista. La malattia ti aiuta a pensare alla vita, art. cit.].

Chi si approccia per la prima volta alla rivista di Fernanda ed Ettore forse si potrebbe sentire come, secondo Sal, protagonista di On The Road, si sarebbe sentita Lucille al suo fianco:

Lucille non mi avrebbe mai capito perché ci sono troppe cose che mi piacciono e mi confondo e mi perdo a correre da una stella all’altra fino allo sfinimento. Questa è la notte, ecco cosa si fa. Non avevo niente da offrire a nessuno tranne la mia confusione[29. J. Kerouac, Sulla strada, Milano, Mondadori, 2007, collana «Oscar».].

Perché «Pianeta Fresco» è effettivamente un “minestrone” di tutte le cose che piacevano e che sognavano Nanda ed Ettore. La rivista affronta i tabù sessuali, tratta di droga e viaggi alternativi a poco prezzo, protesta contro la guerra del Vietnam, sogna una politica radicale, predica le religioni orientali, il tutto condito da musica e arte pop. I testi invadono i disegni che a loro volta ingombrano le pagine, il nero tradizionale è sostituito dalla tavolozza dei colori dell’arcobaleno, il senso di lettura è sovente invertito e slogans, collages e cornici non sono solo di abbellimento, ma chiedono di essere “letti” al pari dei testi. «Pianeta Fresco» è pensata come un gioco. Si apre, si sfoglia, si gira per adeguarsi al senso di lettura; gli occhi devono continuamente mettere a fuoco nuovi colori, ora acidi ora pastello, e adattarsi alle nuove forme che cambiano in modo caleidoscopico «fino allo sfinimento». Non c’è una regola, è uno «shock» grafico e di testi, ma creato volutamente perché il lettore possa interagire attivamente: l’azione che è tanto cara ai Beats, quella che intende la vita vissuta senza condizionamenti, seguendo il proprio io, fino all’ultimo respiro, fuori dalle righe, con fame e follia, per dirla alla Steve Jobs. L’incessante «saltare da una stella all’altra», come fa Sal: è questo che la rivista chiede al lettore di fare.

Ciò che si è definito “minestrone”, e che Nanda chiama integrazione, rimanda senza dubbio allo slogan “pace e amore”, al senso di amicizia e alle comuni, a quel vivere secondo il modello delle tribù, in cerchio attorno al fuoco, per parlare d’istinto senza modulare il discorso con la ragione (a cui si rifà la poesia beat); la stessa integrazione, amorosa e intellettuale, che ha tenuto assieme Nanda ed Ettore per 27 anni e di cui entrambi raccontano nei rispettivi diari. La voglia di narrare, che prepotente esce dalle loro autobiografie e dalle riviste comuni, è il legame che li univa. La rivista infatti si è detta essere l’incontro tra due intellettuali all’avanguardia; il loro lavoro è stato un «brainstorming a due, e a tempo pieno, un discutere per capire, un litigare per fare un passo avanti nel migliorare una forma, un progetto o un’idea nei rispettivi ambiti»[30. F. Pivano. Viaggi Cose Persone, a cura di I. Castiglioni, F. Carabelli, E. Rotelli, Milano, Silvana Editoriale, 2011, p. 42.].

Ma soprattutto il mondo di Sottsass e il suo modo di dargli forma e colore è la discriminante di «Pianeta Fresco». Innovativa, visionaria, liberata dal rigido dualismo di forma e funzione: la rivista porta decisamente la firma dell’architetto. Uno specialista nel “costruire” riviste, nel comporre i contenuti sensoriali[31. I libri di Ettore Sottsass, a cura di G. Maffei, B. Tonini, op. cit., p. 24.], nella scelta delle carte e delle stampe; e le sue esperienze con «East 128 Chronicle» e «Pianeta Fresco», come Capo dei Giardini, ne sono la conferma.

(fasc. 15, 25 giugno 2017)