Io mi sento a volte
una pietra legata alla corda,
oscillo; come fionda mi tendo.Ho pura di colpire con il mio cuore.
(La ragazza di fronte, 1953)
Milena Milani è stata una pluri-artista del proprio tempo, capace di muoversi senza condizionamenti tra scrittura, arte contemporanea, organizzazione di eventi, editoria, politica e il moderno influencing. Riportarla oggi all’attenzione e alla lettura – seppure in modo parziale – è un’operazione che può essere resa possibile dalla scelta di alcuni suoi testi, affrontando parallelamente la biografia legata a essi.
Da considerare è soprattutto il primo periodo di produzione, il ventennio 1944-1964 circa: ci si troverà immersi in un momento in grado di svelare tratti di stile e particolarità uniche che pertengono all’autrice in tutte le forme artistiche da lei sperimentate, soprattutto in campo poetico e prosastico, tenendo a mente che le qualità dell’attività scrittoria si sono rivelate anche nel campo del giornalismo, della critica d’arte e nella produzione di quadri-scritti e ceramiche-scritte grazie ai quali, fino al 2013 (anno della sua scomparsa), ha ottenuto riconoscimenti internazionali.
Nell’ultimo decennio alcuni critici hanno alimentato un dibattito nutrito sull’opera dell’artista, soprattutto in Inghilterra, Stati Uniti e Italia. In particolare, risulta corposo e completo il contributo di Gianfranco Barcella che, nella monografia Invito alla lettura di Milena Milani[1. Empoli, Ibiskos Ulivieri, 2008.], traccia un percorso tematico in grado di far emergere quelli che si potrebbero definire i “movimenti remoti” autoriali – parafrasando un emblematico titolo di Goffredo Parise risalente al 1948, anno che, se tenuto sottotraccia in termini di etichetta, gioca a favore in questa sede.
Molti motivi che si andranno a sviscerare nell’opera di Milani, almeno fino alla pubblicazione di La ragazza di nome Giulio per Longanesi nel 1964, confermano uno sguardo e un taglio autoriale capace di cogliere, dal punto di vista letterario, tendenze coeve; il riferimento ad altre scritture e forme d’arte contemporanee, che possano per affinità palesare un’intertestualità in grado di trovare riferimenti in Italia e in Francia (ma anche altrove), sarà importante per tracciare un impianto di rimandi tenuti insieme dalla pratica scrittoria.
L’aspetto della marginalità di Milani rispetto al canone letterario del Novecento non è da sottovalutare; questa prospettiva, tuttavia, sarà affrontata con l’assunzione di posizioni più vicine alla critica tematico-testuale, sia per ragioni di partecipazione solo sporadica dell’autrice al femminismo sia per tenere aperto il campo delle possibilità di dialogo virtuoso tra contesto e testi.
Nel “fare” di Milena Milani si riconosce a più livelli un contributo fondamentale al panorama del suo tempo: l’adesione in prima persona a correnti, movimenti e alla vita artistica del secondo Novecento è attestata da documenti, articoli apparsi su quotidiani e fotografie[2. Difficile riportare in poche battute le presenze più significative di Milani in ambienti mondani e d’arte; il volume di Barcella e numerose immagini reperibili in rete testimoniano la frequentazione da parte dell’autrice di contesti prestigiosi. Da citare, ad esempio, il «Premio Strega» del 1966: lì, con Donnini, ha presentato il romanzo di Cesira Fiori Una donna nelle carceri fasciste (Milano, Editori Riuniti, 1965). Nel maggio del ’68 ha tenuto, invece, un comizio in piazza Duomo a Milano dopo essersi candidata nelle liste del PRI; come attesta «La Stampa» (7/5/1968), Milani «ha esortato le donne a valersi della loro forza elettorale per tendere alla “parità dei sessi in ogni campo, culturale, sociale, economico”». ]. Un probabile successivo oscuramento o una mancanza di seguito sono dovuti, forse, alla sua vicenda privata: da un lato, il legame, nel ventennio qui considerato, con il mercante d’arte Carlo Cardazzo – all’epoca già sposato – e il comune lavoro nella Galleria del Naviglio in via Manzoni 45 a Milano (come già nella Galleria del Cavallino a Venezia, dove fu lanciata); dall’altro, lo scandalo che seguì la pubblicazione del suo più importante romanzo già citato, in cui la narrazione di un amore omosessuale le valse la censura e un processo[3. Il fatto di cronaca è testimoniato in alcuni articoli dell’epoca apparsi, ad esempio, su «La Stampa» il 24 marzo 1966 (Milena Milani condannata a sei mesi per la ragazza di nome Giulio) e su «L’Unità» con la stessa data e una deposizione di Giuseppe Ungaretti a difesa della scrittrice: «avendo una certa esperienza dell’arte posso confermare la mia convinzione (…) nell’opera di M. M. non c’è nessun tentativo di offesa al pudore. C’è solo ricerca di espressione d’arte». Milani è stata, in seguito, assolta.].
La sua «Difficulté d’être» – parafrasando Jean Cocteau e un certo senso del tragico – riguarderebbe l’apertura verso ciò che, di recente, Laurie Anderson ha affermato a proposito dell’incarnare la figura dell’«artista multimediale»: «I’m an artist because I wanna be free. I hate when people tell me what to do. Whatever makes you feel free and really good – that’s what to do. It’s really simple»[4. Polistrumentista e artista poliedrica, Anderson si è espressa in un video realizzato da «Louisiana Channel» presso il Louisiana Museum of Modern Art che ha sede a Humlebæk, in Danimarca: cfr. la URL https://vimeo.com/169060945 (ultima consultazione: 30/11/2017).]. Come anticipatrice, Milani coglie questo netto significato della “libertà” che percorre l’opera prima dell’avvento del femminismo[5. Tra le prime donne a pubblicare i propri racconti in rivista e su quotidiani (forse, un parallelo può essere fatto con Grazia Deledda), dal 1952 al 1964 ha tenuto una rubrica senza titolo su «La Stampa»; nel ’64 alcune sue prose brevi sono uscite sul «Corriere della Sera» e sul «Corriere d’Informazione», mentre un’anticipazione dal titolo Una ragazza di nome Jules è comparsa già su «La Fiera Letteraria», a. VII, il 27 aprile 1952.].
È possibile indagare le poesie di Ignoti furono i cieli[6. Venezia, Edizioni del Cavallino, 1944.] e La ragazza di fronte[7. Venezia, Edizioni del Cavallino, 1953.], le prose brevi di L’estate[8. Venezia, Edizioni del Cavallino, 1946.], confluite in Emilia sulla diga[9. Milano, Mondadori, 1954.], e i romanzi Storia di Anna Drei[10. Milano, Mondadori, 1947.] e La ragazza di nome Giulio come opere dichiaratamente riferite al sé e alla propria esperienza secondo una definizione di Anna Maria Mariani che, nel saggio Sull’autobiografia contemporanea[11. Roma, Carocci, 2011.], scrive: «L’autobiografia è il racconto della memoria che un individuo ha della propria vita». Si parlerebbe di “auto riferibilità”, validando le parole chiave qui riportate unite a un'”ipseità” con cenno alla “coscienza” artistica che Milani manifesta anche come personaggio dei propri testi. Si percorrono, così, gli stessi, ponendo l’accento – già evidente in Barcella – sulla poesia come fondante dell’opera, con una rapida e ampia virata, di lì a poco, verso il racconto lirico.
Il testo poetico – per forma storicamente legato all’oralità – propone Milani come voce in versi il cui accoglimento si manifesta possibile, addirittura precoce; le difficoltà di pubblicazione, infatti, sembrano non appartenere alla vicenda di quest’autrice, che esce con la prima raccolta in un momento storico in cui le donne pubblicavano pochissima poesia – o non ne pubblicavano affatto. Si pensi ai casi di Goliarda Sapienza, Fabrizia Ramondino e Maria Occhipinti che, invece, non avranno uguale destino[12. Milani è stata una poetessa del GUF; a tal proposito si legga F. Cirilli, Scrivere nel Ventennio. Appunti sulla presenza femminile ai Littoriali della cultura e dell’arte, in «Quaderni del ‘900», 2005, n. 5, pp. 71-78. Circa la mancata affermazione storica delle altre autrici si può leggere il contributo contenuto in Voce di donna, voce di Goliarda Sapienza. Un racconto di Anna Toscano, Alessandra Trevisan e Fabio Michieli (Milano, La Vita Felice, 2016). Su Occhipinti, invece, la recensione alla sua raccolta postuma pubblicata sul lit-blog «Poetarum Silva» è consultabile alla URL: https://poetarumsilva.com/2016/10/14/maria-occhipinti-anni-di-incessante-logorio/ (link verificato il 30/11/2017). Un approfondimento aggiuntivo del binomio tematico voce-poesia è in A. Trevisan, Goliarda Sapienza: una voce intertestuale (1996-2016), Milano, La Vita Felice, 2016, pp. 133-47.].
Esiste già in Milani, come nelle autrici citate, uno stretto legame narrativo con i luoghi della vita, che figura a partire dalla poesia: esso continuerà fino al 1980, quando uscirà l’ampia raccolta per Rusconi Mi sono innamorata a Mosca – ma anche in seguito. La sua poesia è da cogliersi in una dimensione lirico-prosastica e sarà, con continuità, “a sistema” di un’esistenza plurale, figurando dapprima in volume accompagnata da disegni (di Capogrossi, nel caso della pubblicazione del ’53), poi su quadri e ceramiche scritte.
Fondamentale è stato per Milani l’insegnamento ricevuto dai grandi maestri frequentati negli anni giovanili; soprattutto Vincenzo Cardarelli, le fornirà spunti di stile e tematici: dallo sradicamento alla ricerca dell’identità, all’osservazione del mutare del tempo biologico. Proprio “l’incresciosa intimità” cardarelliana è tra i tratti dell’opera di Milani la quale, nelle sue liriche e narrazioni, pone sotto l’occhio del lettore un diagramma fitto di personaggi e luoghi che afferiscono alla sua stessa vicenda, registrando il proprio presente autobiografico e bio-psicologico.
Come una volta
Mi sei venuto incontro
tiepido e freddo mare
in mezzo a quei velieri
logori e stanchi di cammino
e mi hai parlato, mare,
come nei miei mattini
liguri con le luci danzanti
quando non c’era nessuno.
Se ricordi, ascoltavo
e mi dicevi
di lunghe ore bianche
profumate di azzurro
di ciottoli e di fresche ventate di maestrale
di vele gonfie
e di canzoni ansiose.
Pian piano dolcemente
anch’io chiudevo gli occhi
sognando la carezza
lontana inafferrabile infinita
della sua mano che non torna più.
Dove sei se ti chiamo
Dove sei se ti chiamo.
Perduto tra la nebbia
della laguna, debbo
raggiungerti per non morire.
Improvvise le zattere
Improvvise le Zattere e uno sgomento
mi serra; notte, nel buio così stanca
la strada di chi non dorme.
In un cantiere aperto la fiamma
ossidrica stride, rossi si avvicendano
uomini. E quanto grande,
gelida l’acqua. Scomparvero
i gradini se cosciente affondavo.
Il primo testo è stato scelto dalla sezione Poesie liguri (in Ignoti furono i cieli) e gli altri due veneziani sono propri della seconda raccolta (La ragazza di fronte)[13. Già Barcella analizza alcuni testi delle rispettive raccolte nel suo volume cit., pp. 188-195, ponendo l’accento sui luoghi e sui modelli di riferimento, dal Decadentismo al Montale degli Ossi di seppia (1925), sia per la presenza del «non» sia per lo «sgomento» della terza lirica.]. Una poesia, questa, che ingloba il contesto, segnata da una sintassi poetica – con la presenza del verbo spesso in finale di verso – e da una metrica in grado di sottolineare la malinconia di fondo.
Non sono casuali i titoli nominali L’estate ed Emilia sulla diga, una caratteristica di Milani forse derivante dall’attività di giornalista.
In quegli anni le scrittrici pubblicavano racconti in volume; non possiamo non ricordare almeno Le donne muoiono di Anna Banti[14. Milano, Mondadori, 1951.] e Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese[15. Torino, Einaudi, 1953.]. Se la presa sulla realtà risulta la stessa, in termini di stile Milani pare più vicina a prove diverse. Similitudini si avrebbero con Le metamorfosi di Lalla Romano[16. Torino, Einaudi, 1951.], anche se l’onirismo dell’autrice piemontese è talvolta scarnificato da Milani, che si approccia al testo per registrare la realtà come cronaca; si avvicina, così, alla Goliarda Sapienza della raccolta postuma Destino coatto[17. Roma, Edizioni Empirìa, 2002.] e alle Piccole cronache di Maria Giacobbe[18. Firenze, Vallecchi, 1961.] con un percorso che oscilla tra due poli: le “nevrosi” dell’io (già pirandelliane) da un lato e dall’altro la “storia”, ossia il noi. Una simmetria si avrebbe anche con La strada che va in città e altri racconti di Natalia Ginzburg[19. Torino, Einaudi, 1945.]; nella prefazione al Meridiano dell’autrice[20. Milano, Mondadori, 1986.], è sempre Garboli a parlare di «disappartenenza, di esilio e di confino nella solitudine. (…) il rapporto casa/città (è) sentito dalla Ginzburg come l’espressione a embrice di uno stesso diritto di ciascuno alla vita (…) (in un) rapporto fisiologico col mondo».
Tutte le peculiarità considerate si accentrano nell’opera di Milani, con un rinvio vivo rivolto al tema dell’amore-odio nei confronti dell’altro sesso, ricorrente in tutta la produzione considerata, e al problematico rapporto con il corpo connesso inevitabilmente alla questione identitaria. Secondo questa direzione, si presenterebbe una sorta di dichiarazione di poetica espressa da lei stessa-personaggio: «Perché io, curiosa, taciturna ragazza, credevo che per scrivere bisognasse dire la verità»[21. M. Milani, Il bambino sulle nuvole, in Ead., Emilia sulla diga, op. cit., p. 42.].
Si trovano già nelle liriche – come si è notato – e nei racconti le città imprescindibili nella lettura dell’opera: Savona (dov’è nata) o la costa ligure, Milano, Roma, Venezia e Cortina, trascurando Albisola, che fu una sorta di Bloomsbury dell’epoca[22. Non la sola Italia, ma anche Parigi e gli Stati Uniti, per varie ragioni, assumono una centralità particolare nella vicenda artistica di Milani. In maggior misura, quei luoghi riguardano l’attività di ceramista-scultrice e, dapprima, il suo ruolo nel Movimento dello Spazialismo inaugurato da Lucio Fontana nel 1950. Fu l’unica donna firmataria del Manifesto.].
Alcune immagini proprie di questi spazi generano una vastità quasi caleidoscopica di visioni multiple metropolitane. Più che di analogie si dovrebbe parlare di continuità narrativa, registrata in viaggi o permanenze che hanno segnato l’esistenza e l’opera, disegnando una mappatura che “r-esiste” nell’aspetto della relazione strettamente garboliana fra letteratura e vita, ma anche di un percorso articolato e mai chiuso attinente a quella che Giuliana Bruno ha definito, nel 2002, nel suo Atlante delle emozioni, come «geografia emozionale». I «territori emotivi» di Milani vivificano il “movimento” contenuto etimologicamente nel sostantivo “emozione”.
Non è casuale che si possa individuare nell’autrice il «sillabare» poetico, temporale e geografico di Goffredo Parise, soprattutto nella relazione con un Veneto (terra vissuta da lei, natale per lui) narrato negli anni della guerra e successivi, fino al post-Boom. Ciò trova ragione nelle numerose coincidenze biografiche tra i due e, per una volta, si potrebbe parlare di una parentela tra un’autrice e un autore detta in quest’ordine, e non viceversa.
Simbolico il rapporto con la “città-mondo” di Venezia per Milani[23. Farò riferimento, in questo passaggio, all’intervento di Arianna Ceschin e mio: Visioni multiple di città nelle voci di Paola Masino, Alba de Céspedes, Milena Milani e Goliarda Sapienza, discusso nell’ambito del Convegno La città-mondo: riflessioni attraverso le frontiere del tessuto urbano, Università Ca’ Foscari di Venezia, 8-9 giugno 2017.] anche dal versante del mare, il dove di molti Sillabari[24. I due tomi di Parise usciti rispettivamente nel 1972 per Einaudi (Sillabario n. 1) e nel 1982 per Mondadori (Sillabario n. 2) contengono narrazioni d’ambientazione veneta. In questa sede sarà utile segnalare, per quanto riguarda Venezia, Bambino, Grazia e Paura; in riferimento a Cortina si rimanda a Bontà e Donna con un excursus che può toccare invece, per Milani, la prosa breve Larieto (Emilia sulla diga), località delle Dolomiti nei pressi della città-‘perla’. Di notevole interesse, tra i saggi di Ilaria Crotti dedicati a Parise, almeno Epifanie dei paesaggi critici di Zanzotto: il profilo di Goffredo Parise, in Andrea Zanzotto tra Soligo e Laguna di Venezia, in Viaggi e paesaggi di Guido Piovene, Atti del Convegno, a cura di G. Pizzamiglio, premessa di F. Zambon, Firenze, Olschki, 2008, pp. 169-92.] (si tratta del Lido), con una comunanza di rimandi e rifrazioni pregnanti. La stessa città lagunare – che precede il trasferimento milanese – intride, aprendola e chiudendola, la prosa di La ragazza di nome Giulio, ed è il microcosmo di testi che toccano il periodo 1948-1963, evocato nei Sei racconti veneziani[25. Firenze, Editoriale Sette, 1984.] e nei volumi del ’47 e del ’54. La città, tra Fascismo e dopoguerra, è proposta con scorci lidensi che compaiono, spesse volte, dentro un tempo lento, immobile: è il caso di Compleanno di Tommaso, Rolando e la maglia bianca, Il ferragosto e Il ragazzo Bughi (tutti in Emilia sulla diga). In particolare, quest’ultimo racconto sembra creare un parallelismo culturale e stilistico con lo scrittore vicentino il quale, non solo nei Sillabari ma anche in prose giornalistiche, ritorna sulla città come fulcro del proprio mondo-presente, quasi al limite di un orizzonte che poi sarà la provincia trevigiana. La storia e la temperatura emotiva dell’epoca, in Milani, vengono restituite da pochi dettagli, in prose liriche e neorealiste; la periferia, nei particolari descritti, diventa perciò centro.
Si veda un esempio dal primo racconto citato:
(…) a un certo punto, ero già arrivata verso il Bacino, mi fermai in riva all’acqua, con la sensazione che i miei occhi si dilatassero a contener quella soavità. I gondolieri subito presero a dir gon-dola, gon-dola, ma io dovevo raggiungere Tommaso e andai via svelta.
Ora vedo come in un film due figure che camminano accanto lungo la Riva, sino ai Giardini. (…) Al ristorante dei Giardini non c’era nessuno sotto il pergolato, ai tavolini che guardano la grande laguna. Lì ci sedemmo come due fanciulli, impacciati come a un primo incontro. (…)
Vedevo Venezia lontana, scorgevo vagamente il campanile nella nebbia un po’ diradata: tutto il cielo era grigio, uniforme, anche l’acqua era di quel colore: solo qualche volta al passaggio di una barca, di un vaporino scopriva il suo azzurro segreto[26. M. Milani, Emilia sulla diga, op. cit., p. 116, corsivo mio.].
In una scena quotidiana lo scorcio di tre punti vicini: il Bacino di San Marco, Riva degli Schiavoni e i Giardini della Biennale. Particolarmente d’effetto – pittorico – l’uso dei colori già nelle liriche riportate in precedenza.
Poche donne hanno scritto di Venezia negli anni Quaranta-Cinquanta. Tra queste, Lea Quaretti oltre che Paola Masino, che ha vissuto «un rapporto conflittuale con la città»[27. Il riferimento è al diario di Lea Quaretti, Il giorno con la buona stella, Vicenza, Neri Pozza, 2016. Per Masino la citazione deriva dagli studi di Arianna Ceschin e dall’intervento tenuto al Convegno citato. Cfr. “Veder chiaro è sempre stato il mio difetto”. Paola Masino, scrittrice e giornalista del Novecento, in Aa. Vv., Siamo partite in tre. Storie di donne, Trieste, Vita Activa, 2016.]. Milani è una sorta di prima autrice veneziana e ricorda non tanto il Luzi descrittivo-immaginifico di Trame[28. Firenze, Vallecchi, 1942. Cfr. la URL: https://poetarumsilva.com/2016/03/05/mario-luzi-venezia/ (link verificato il 30/11/2017).] bensì i fratelli Pasinetti: il documentarista Francesco ritrae lo stesso momento storico-culturale poi ripreso dal fratello Pier Maria nel suo romanzo Dorsoduro[29. Milano, Rizzoli, 1983.].
Il cinema – e il genere documentario – come riferimento nella costruzione del testo può dirsi rilevante per più di una generazione che opera nel dopoguerra; in particolare, la costruzione dell’immaginario passa, sia per Milani sia per Goliarda Sapienza[30. Cfr. A. Trevisan, Goliarda Sapienza: una voce intertestuale (1996-2016), op. cit., p. 39.], per il cinema, come si avrà modo di verificare in seguito. Un ulteriore ponte fra le due autrici sarebbe anche la concezione della città come “pre-testo”, mutuando una suggestione suggerita dal saggio di Virginia Woolf Passeggiando per le strade di Londra[31. Per questo prezioso suggerimento ringrazio la Professoressa Michela Rusi del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.], la cui prima traduzione italiana risale al 1963 per Il Saggiatore. E, circa la presenza woolfiana in entrambe nonché sull’influenza della scrittrice inglese su autori italiani coevi, sono presenti studi già affrontati – e altri sono da compiere ˗ per quanto concerne Milani[32. Una comparazione con l’autrice inglese è contenuta nel saggio Orlando and Modesta: Two Voices for the Freedom of Women di María Belén Hernández González, in Goliarda Sapienza in context. Intertextual Relationships with Italian and European Culture, a cura di A. Bazzoni, E. Bond, K. Wehling-Giorgi, Vancouver, British Columbia, Farleigh Dickinson University Press 2016.].
Alla vitalità (auto)biografica che inaugura la scoperta del mondo e dei sentimenti umani Milani contrapporrà sempre quella solitudine che, come afferma già Barcella, costituisce – forse con Ginzburg e Parise, leggendo a posteriori – un movente di autoanalisi del sé anti-psicanalitico, complice anche la costruzione identitaria bifronte di “ragazza di carta” e nella realtà. Sopravvive, perciò, quello che Cesare Garboli ha definito, a proposito di Parise, un principio d’«arbitrio» (termine nuovamente connesso alla libertà) capace di sorreggere la costruzione narrativa di Kafka[33. Quest’ipotesi fa riferimento al saggio di C. Garboli, Amicizia, Atti del Convegno «I Sillabari di Goffredo Parise», 4-5 novembre 1992, Napoli, Guida editore, 1994. Il riferimento contrapposto al Kafka delle Metamorfosi dal critico livornese è la triade Proust, Joyce, Musil.], scrittore modello cui anche Milani sembra – da questo punto di vista – rifarsi.
C’è chi, come Emilio Cecchi nel 1947[34. Si legge in E. Cecchi, Di giorno in giorno, Milano, Garzanti, 1954, pp. 13-16.], ha individuato in Storia di Anna Drei il tema dell’«autodistruzione» di una delle due protagoniste, appunto Anna, vittima di un triangolo amoroso-“nervoso” e uccisa dall’amante dell’amica, Mario[35. Eligio Possenti, sul «Corriere della Sera» del 13/11/1947, ha parlato di «sensibilità femminile e spregiudicata»; Vladimiro Cajroli ha scritto di Milani, nella recensione al romanzo pubblicata sulla rivista «Mercurio» (marzo-giugno 1948, pp. 166-67): è una «scrittrice ad unguem (N. d. R.: orazianamente, ‘alla perfezione’). Quanto a forma niente di scabro è in lei, tutto liscio, polito, consapevole. Però, più grave la responsabilità totale. Parlando di “mal protesi nervi” non pensavamo proprio alla Milani ma ai suoi personaggi».]. Il testo presenterebbe inoltre, per immagini congruenti, sistema dei personaggi – e destino degli stessi –, ambientazione e svolgimento, alcuni caratteri del realismo poetico propri del cinema francese degli anni Trenta e Quaranta di Marcel Carné, ad esempio, con protagonista Jean Gabin, figura capace di influenzare molto l’immaginario di, tra gli altri, Cesare Pavese e Goliarda Sapienza[36. Circa il regista francese si legga il volume a sua firma Gusto di vita. L’autobiografia di un maestro del cinema, trad. it. di Anna Silva, Milano, Longanesi, 1982. Per quanto riguarda l’ipotesi comparatistica triangolare Milani-Pavese-Sapienza, si suggerisce un rinvio, oltre che al citato saggio Una voce intertestuale, all’articolo Jean Gabin nella scrittura di Cesare Pavese e Goliarda Sapienza apparso su «Poetarum Silva» (cfr. la URL https://poetarumsilva.com/2016/12/05/jean-gabin-nella-scrittura-di-pavese-e-sapienza/: link verificato il 30/11/2017). Soprattutto nel caso della prima coppia, si rimanda al soggetto cinematografico di Pavese Amore amaro, elaborato negli anni Cinquanta e uscito su «Cinema Nuovo», a. IX, n. 147, settembre-ottobre 1960.].
Il romanzo appare disseminato di presenze pirandelliane[37. Cfr. G. Barcella, op. cit., pp. 89-99.]. Il nome della protagonista non può non richiamare alla mente Vestire gli ignudi del 1922, in cui la protagonista Ersilia Drei si toglie la vita giacché essa è dominata da aspettative altrui. Non soltanto la congruenza onomastica ma anche il gioco dei significati dei nomi Ersilia (‘tenera’, ‘morbida’) e Anna (‘grazia’, ‘graziosa’) costruisce un’associazione eloquente. Milani, tuttavia, con lo strumento dell’omicidio, mette in scena un suicidio che avviene per mano di qualcun altro.
Un’alterità ben presente nella narrazione viene espressa anche nella percezione del proprio sé da parte di Anna Drei. I temi della fisicità, del corpo, dell’amore impossibile, dell’età e della depressione fanno parte di una narrazione che si muove in una città alienante e alienata come i personaggi che la abitano: è Roma, scorciata autobiograficamente da Milani – che negli anni Quaranta risiedeva nella Capitale e frequentava via Veneto. Soprattutto, in questo libro si anticipa quanto già citato per i racconti: «Crescere vuol dire diminuirsi. Accettare significa intendere la verità»[38. M. Milani, Storia di Anna Drei, op. cit., p. 22.], in un’affermazione che registra – prima – la direzione poetica autoriale. E procede: «Essere buoni fa male a noi stessi, ci chiude in un cerchio che non ha uscita. Io respiro l’aria, con l’aria cresco, il mio corpo s’allunga, la mia conoscenza s’approfondisce»[39. Ivi, p. 25.] fino a «Io non provo a penetrare in me stessa, io resto al di fuori, mi distraggo»[40. Ivi, p. 79.].
L’impianto esistenzialista («l’esistenza precede l’essenza») a quest’altezza si dipana non privo di ambiguità, e sarà riconosciuto dallo stesso Sartre in una corrispondenza privata con l’autrice. Ma è forse certo cinema coevo, quello di Ingmar Bergman e Michelangelo Antonioni, con l’incomunicabilità che regna nelle loro opere, a intridere la trama di Storia di Anna Drei[41. Com’è noto, l’approccio del primo è stato influente su molte pellicole del secondo. Importante qui, più che sottolineare il catalogo di ciascun regista, notare l’appartenenza generazionale dei tre artisti: Antonioni (1912-2007), Bergman (1918-2007) e Milani (1917-2013).]. L’autrice tratterà di questo anni dopo, in un’intervista a Giulio Nascimbeni che verte sul nuovo romanzo per Longanesi[42. Apparsa sul «Corriere della Sera» del 3/6/1964 col titolo emblematico Jules è sola. La ragazza di nome Giulio.]:
– Cosa vorrebbe che un lettore ricavasse dalla lettura del suo romanzo?
– Vorrei che vedesse, nel fondo, cos’è la storia di un’anima. Tutti quelli che hanno visto Il silenzio di Bergman e l’hanno apprezzato dovrebbero, a parte la scabrosità del tema, aver capito il significato del messaggio del regista: cioè la ricerca della verità.
Jules, personaggio scomodo, inquieto e irrequieto, alla scoperta di una sessualità con forti tratti di morbosità e compulsione, trova una controfigura in Anna Drei; il suo rapporto ambivalente con l’amore e la seduzione si traduce in un’attrazione sia nei confronti degli uomini sia nei confronti delle donne, rivelando una bisessualità che fece scandalo in Italia, mentre all’estero il romanzo incontrava traduzioni e successo[43. Cfr. Pubblicato in Inghilterra il romanzo di Milena Milani, in «Corriere della Sera», 13/1/1967.]. Stilisticamente, secondo Carlo Bo, vige nel romanzo «l’inutilità di perseguire il fine impossibile di spiegare la realtà con la realtà»[44. In «Corriere letterario», 21/6/1964.]; se quanto detto sinora risulta appropriato, la realtà di Milani è, ancora una volta, interna alla combinazione cronaca-arbitrio. Inoltre, la ri-creazione dell’identità nel romanzo ha molti punti di interesse che la critica ha sinora individuato come pertinenti a una lettura femminista: Sharon Wood ha parlato di «eroticized speaking subject» mentre Carmen Maria Gomez di «vital body and feminist novel»[45. Cfr. S. Wood, ‘Io Giulio’: The Eroticised Speaking Subject in the Novels of Milena Milani, in A Window in the Italian Female Modernist Subjectivity. From Neera to Laura Curino, a cura di R. Riccobono, Cambridge, Cambridge Scholar Publishing, 2013. Cfr. C. M. Gomez, Women Writers and Italian Fascism: Figures of Female Resistance in Paola Masino, Paola Drigo, and Milena Milani, PHD Thesis, Los Angeles, University of California, 2013.].
Si veda ora un passo attinente al discorso:
SONO cose della vita.
Cose che succedono a tutti, uomini e donne di questo mondo. O per lo meno, ero io che pensavo così, che credevo che anche agli altri capitasse quanto a me capitava.
In verità io non avevo dimestichezza con gli altri.
Sin da bambina la solitudine (questa inconsueta, lunga, desiderata parola) mi aveva fatto meditare. (…)
Io non la fuggo, la solitudine, e nemmeno la cerco: essa è presente nel mio modo di essere, di avere vita. (…) sono sperduta nella mia solitudine di ragazza Jules.
Perché su di me un nome, un’indicazione, una precisazione?
Perché cercare e non trovare?
Ma che cosa, infine, sto pensando di cercare?
In me, che ho raggiunto quindici anni, e che raggiungerò i successivi, ci sono impressioni che niente cancellerà mai, un fatto si accumula a un fatto, una sensazione a un’altra sensazione, una certezza a una precedente certezza, niente mi vale la verità, se verità esiste su questa terra[46. M. Milani, La ragazza di nome Giulio, nella ristampa Milano, Longanesi, 1971, pp. 148-49. ].
Tra ricerca e verifica in prima persona, Jules rivolge – a sé e al lettore – l’imprescindibile questione della verità che si estrinseca nell’esperienza della libertà, per dirla con Jean-Luc Nancy; il filosofo francese, infatti, scrive: «la libertà (…) è il pensiero o il pensare come esperienza»[47. Cfr. J. L. Nancy, L’esperienza della libertà, trad. it. di Davide Tarizzo, Torino, Einaudi, 2000. La nostra proposta deriva dalla lettura di Roberto Esposito.].
Non outsider – al contrario accolta nel proprio milieu –, Milani si è mossa come vorace e dinamica intellettuale in un’epoca di mutamenti sociali e culturali, andando letterariamente controtendenza come molte altre letterate coeve. I suoi personaggi (talvolta dichiarate controfigure) mettono in luce alcune deviazioni autoriali, sollecitati da forti legami con l’ambiente autobiografico e da attinenze con forme artistiche contemporanee. L’attitudine di Milani è quella del: «Tutto trabocca/ come al fuoco l’acqua/ che bolle, tutto non ha/ un suo posto» (La ragazza di fronte). L’assenza di collocazione e di inquadramento permette di conservare la necessità di incarnare un’etica artistica incontrovertibile.
(fasc. 18, 25 dicembre 2017)