Un breve ricordo di Luca Serianni

Author di Maria Panetta

Roma, 21 luglio 2022

Stamattina se n’è andato un grande Maestro: in punta di piedi, com’era solito entrare nella vita di coloro che hanno avuto in sorte la fortuna di conoscerlo di persona, e non solo tramite i suoi tanti e imprescindibili scritti.

Anche se questo fascicolo è datato 25 maggio, la sua lavorazione è terminata a fine luglio: ci è parso, dunque, impossibile non rendere un primo omaggio, seppur breve, a uno dei membri più autorevoli e stimati del nostro Comitato Scientifico.

Dati per scontati la notoria competenza del linguista, apprezzato in tutto il mondo; l’eccellenza del professore, rinomato per la chiarezza e lo stimolante interesse delle sue leggendarie lezioni di “Storia della lingua italiana” alla “Sapienza”; il rigore metodologico del raffinato filologo e la contagiosa passione per la ricerca dell’infaticabile studioso, vorrei rievocare brevemente qualcuno dei ricordi che inevitabilmente mi sono riaffiorati alla mente in questi giorni di profondo sconforto e di tristezza per la sua perdita prematura e improvvisa, sebbene mi stia a cuore evitare che questo omaggio si trasformi soltanto in una pagina autobiografica che celebri la gioia di aver avuto il grande privilegio di conoscerlo e di lavorare assieme a lui.

Come tantissimi che in questi giorni stanno idealmente depositando un fiore ai suoi piedi, intrecciando sui social un’infinita e variopinta corona profumata di ricordi della sua acribia, della sua eleganza, della sua indimenticabile ironia, della sua delicata discrezione e della sua disponibilità umana, anch’io ho avuto la fortuna di seguire le sue famose lezioni di Grammatica storica, tanti anni fa, sostenendo poi l’esame con lui, Giuseppe Patota e Valeria Della Valle. Non sono stata una sua allieva diretta, ma posso dire che, in un certo senso, a un certo punto Luca mi ha “adottata”.

Ebbi la fortuna di lavorare tre anni a stretto contatto con lui per un meritevole progetto che vedeva “La Sapienza” in prima linea nella lotta contro le lacune che gli studenti universitari iniziavano, allora, a manifestare nelle competenze linguistiche e nella gestione della pagina scritta.

La sorte volle, infatti, che la persona che si sarebbe dovuta occupare di gestire un “Corso per Formatori di lingua italiana” organizzato, nel 2004, dall’Ateneo romano (anche per volontà di docenti del calibro di Rosanna Pettinelli, Carla De Bellis, Angelo Cicchetti, Valeria Della Valle, Ugo Vignuzzi e Laura Fortini), per un impegno concomitante non fosse più disponibile. Il Comitato Scientifico del Corso pensò a me, che avevo contestualmente fatto domanda anche per frequentare il corso stesso, dopo la fine del dottorato di ricerca.

Mi accinsi, dunque, a rivestire il ruolo di Tutor d’aula mentre venivano erogati i moduli del “Corso per Formatori di lingua italiana”, che allora preparò 40 docenti – insegnanti scelti fra le scuole secondarie romane e dottori di ricerca della “Sapienza”, tra cui la sottoscritta – alla stimolante esperienza di lavoro dei due anni successivi, che vide i formatori impegnati nel “Tutorato per migliorare la competenza nell’italiano scritto” (poi “Tutorato per l’italiano scritto”), servizio offerto a tutti gli studenti dell’Ateneo che avvertissero la necessità di acquisire una maggiore padronanza nella loro capacità di scrittura o che, semplicemente, sentissero il bisogno di qualche utile consiglio per la stesura della tesi di laurea.

Il Professor Serianni diresse entrambe le iniziative: si ricordava di me, nonostante fosse passato qualche anno dall’esame (aveva, infatti, una memoria prodigiosa, anche per i visi delle persone), ma non avevamo alcun tipo di confidenza. Anzi: ovviamente, al suo cospetto, mi comportavo con la mia proverbiale timidezza di allora e con un rispetto reverenziale per il grande linguista, forse rinfrancata soltanto dal notare una certa affinità nel nostro modo di cercare di entrare “in punta di piedi” nelle stanze. Mi comunicò subito che, dal momento che avremmo lavorato insieme, da allora in poi ci saremmo dati del “tu”, ma per me era davvero difficile mettere in pratica la sua richiesta: mi costava un’enorme fatica, dato che mi pareva quasi, con quel “tu”, di mancargli di rispetto.

Un episodio, allora, cambiò radicalmente il rapporto fra noi: un buffo aneddoto che conoscono solo gli amici comuni più cari. Un giorno Serianni venne a tenere una lezione ai corsisti: se non ricordo male, doveva essere una delle sue meravigliose lezioni sul riassunto, prova-chiave della sua proposta didattica (che in seguito divenne centrale anche nella mia, avendone io stessa sperimentato e verificato la validità e la preziosissima utilità). Arrivò, al solito, un po’ in anticipo e mi chiese come procedeva la gestione del corso e delle aule che c’erano state concesse, fuori dalla Città Universitaria. Gli feci un resoconto sintetico e poi aggiunsi un cenno finale al fatto che c’era una stanza piena di depliant che non ci riguardavano e che, per correttezza, avrei desiderato tenere chiusa, ma la serratura era sprovvista di chiave. Nella fattispecie, gli confessai che, per evitare che i corsisti vi entrassero, prima di ogni lezione avevo preso a chiudere quella porta e a portar via la maniglia, dato che mi ero accorta che era tenuta attaccata all’anta da una sola vite che era semplice svitare a mano. Gli rivelai pure che, a fine lezione, ogni volta la rimettevo a posto e la riavvitavo, prima di richiudere tutto e uscire. Ricordo ancora quante risate, franche e di gusto, si fece per quell’escamotage e per la mia successiva battuta «A mali estremi… estremi rimedi!»: da un uomo così serio non me le sarei mai aspettate, mentre in seguito ebbi modo di apprezzare sempre il suo senso dell’umorismo, tagliente ma mai malvagio, e la sua elegantissima ironia. Fatto sta che, da allora, i nostri rapporti si fecero più informali e meno ingessati.

Mi chiamò, dunque, a coordinare per due anni il già citato “Tutorato per l’italiano scritto”, un valido progetto d’Ateneo che, a mio avviso, sarebbe stato proficuo far proseguire. E l’anno successivo, data la fiducia che sia lui sia la Presidente del Corso di Laurea, la Professoressa Rosanna Pettinelli (anche lei purtroppo scomparsa qualche anno fa), ormai nutrivano in me, mi fu affidato il primo corso di docenza universitaria, un “Laboratorio di scrittura critico-argomentativa” che avrei tenuto per i sei anni canonici consecutivi alla “Sapienza” (e poi a “Roma Tre”) e i cui materiali avrebbero ispirato il mio Manualetto di scrittura (Giulio Perrone Editore 2011 e 2021), non a caso dedicato proprio a Serianni, al magistero linguistico del quale mi ero sempre, inevitabilmente, ispirata nel corso delle lezioni.

Calcolavo, in questi tristi giorni di attesa dopo l’incidente, di aver avuto la fortuna di interloquire col “tu” per ben 18 anni con uno dei massimi linguisti del mondo, il primo in Italia per ammissione anche dei suoi più illustri colleghi. Serianni non faceva mai pesare a nessuno la propria sconfinata cultura e, come ogni autentico docente, “sé-duceva”, ossia ‘portava a sé’, affascinava i propri discenti, ma mai rimanendo oggetto del fascino che esercitava: si faceva sempre tramite, latore del messaggio, e poi, una volta ottenuto il proprio scopo maieutico, scompariva soddisfatto dietro al suo sorriso al contempo malinconico e sornione. Aveva, infatti, una concezione dello studio, della ricerca, della critica letteraria, della scrittura scientifica e della docenza come “servizio” al prossimo: concezione che ho sempre condiviso in toto.

Quando, dopo la fine della borsa di dottorato, ero alla ricerca di un impiego, cercò di sostenermi suggerendo il mio nome per la redazione di una delle Case editrici romane più importanti e raffinate, con la quale collaborai per qualche mese: pensavo che si sarebbe irritato, quando ottenni da loro un inusuale contratto a tempo indeterminato ma, per una serie di ragioni, lo rifiutai. E, invece, comprese le mie motivazioni e non mi giudicò mai per quella scelta che intendeva privilegiare il tempo dedicato alla ricerca, a discapito della sussistenza.

In questi quasi vent’anni, ci siamo sempre inviati gli auguri a Natale, Capodanno, Pasqua, spesso anche a Ferragosto: Luca c’era sempre. Io gli scrivevo e, puntualissimo, dopo qualche secondo arrivava, di slancio, un suo affettuoso messaggio di risposta.

Quando, nel 2018, ottenni l’Abilitazione Scientifica Nazionale in “Filologia e Linguistica italiana”, il giorno in cui uscirono ufficialmente i risultati m’inviò una mail che mi commosse e quasi mi stordì: «Benvenuta tra noi!». E poi aggiunse, quando ci sentimmo per SMS: «Ma spero che tu trovi qualche soddisfazione nell’ambito filologico-letterario; è giusto non dimenticare il primo amore». Sono ricordi che ancora mi emozionano, perché testimoniano della sua generosità e della sua rara capacità di comprensione dell’Altro, delle sue attitudini e delle sue esigenze più profonde.

Ho ancora altri due tasselli fondamentali da inserire nel mosaico della strada percorsa assieme a Luca Serianni: due altri suoi preziosi doni, che non potrò mai dimenticare.

L’anno scorso partecipai a un concorso per Professore Associato alla “Sapienza” e timidamente gli domandai se, per caso, avesse voglia di scrivere una Lettera di presentazione per sostenere la mia candidatura. Neanche me lo fece dire: mi chiese solo di poter avere un mio curriculum aggiornato e, dopo un paio di giorni, m’inviò una bella lettera in cui Luca Serianni affermava che, a suo giudizio, ero meritevole d’insegnare alla “Sapienza” come Professoressa Associata. Il concorso alla fine non l’ho vinto – come molti sanno –, ma quella lettera per me vale più di tantissimi altri riconoscimenti e mi resterà per sempre nel novero dei ricordi più cari.

L’ultima proposta gliela feci a dicembre dello scorso anno: gli chiesi se desiderasse farci l’onore di entrare a far parte del Comitato Scientifico di «Diacritica», ormai divenuta una rivista di classe A. C’eravamo incontrati da poco – per caso, alla “Sapienza”, prima delle 8 di mattina: io diretta in Direzione Generale e lui, al solito, in biblioteca – e mi era apparso un po’ affaticato: me lo confermò, ma subito aggiunse che, nonostante fosse membro di vari comitati di rivista, accettava l’ulteriore impegno “solo perché glielo chiedevo io”. Anche in quel caso dimostrò di essere un uomo discreto e timido, riservato e schivo, ma al contempo capace di grandi slanci e di trasmettere stima e affetto in maniera del tutto spontanea, diretta e quasi commovente, nonostante il suo prestigio internazionale e la sua posizione accademica potessero giustificare anche un atteggiamento ben diverso.

Mi si perdonerà, dunque, di aver raccontato squarci della mia vita personale che lo riguardano. Vogliono essere il mio più sincero omaggio a una persona a cui devo tanto, tantissimo: sia intellettualmente sia umanamente. Non oso immaginare quanto si sentano orfani i suoi allievi diretti (fra i quali, alcuni carissimi amici), in questi giorni pieni di sbigottimento, se un’“allieva adottiva” come me non sa rassegnarsi a questa immane perdita.

È proprio a lui che sento di dover dedicare, dunque, i frutti di questo intenso e impegnativo lavoro collettivo che oggi vede la luce, e che spero possa restare, come punto di riferimento e utile spunto per ulteriori ricerche, sia nella Bibliografia pasoliniana, così ricca di omaggi nell’anno in corso, pieno di sfide e di difficoltà; sia negli altri fecondi campi d’indagine che ognuno dei saggi raccolti nella seconda parte del volume contribuisce ad arricchire di recenti acquisizioni, di altri dubbi, di nuove prospettive di studio.

Ci tengo, infine, a precisare che, con un breve comunicato online e una sintetica aggiunta alle nostre Norme redazionali, abbiamo deciso, a partire dal prossimo numero, di adottare sistematicamente la soluzione del “sé stesso” con “é” chiusa sempre accentata, notoriamente caldeggiata dal nostro carissimo Luca, in segno di profonda stima e di sincero affetto, e come simbolica traccia tangibile del suo alto e imperituro Magistero.

Grazie, Luca. Grazie di tutto.

(fasc. 44, 25 maggio 2022, vol. II)

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