“Altri libertini” di Pier Vittorio Tondelli: una nuova proposta di edizione critica

Author di Pierangelo Milano

Pubblicato per la prima volta dalla casa editrice Feltrinelli nel 1980, il romanzo a episodi Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli divenne immediatamente un controverso caso letterario. Per le espressioni blasfeme e il turpiloquio presenti nel testo, subì un sequestro con relativo processo per oscenità, svoltosi nel tribunale di Mondovì, in provincia di Cuneo, da cui l’autore uscì assolto con formula piena.

L’opera fu presentata dalla maggior parte della critica e dalla stessa Feltrinelli con l’etichetta di «ritratto generazionale». Protagonista è tutta una fauna giovanile emiliana, anni ’70, che rifiuta la politicizzazione estrema prodotta in quel periodo storico per approdare a un libertinaggio eversivo. I libertini di Tondelli, appunto, non si sentono compresi e accettati dal contesto sociale in cui vivono, e ciò scatena in loro un sentimento di solitudine e di vuoto esistenziale che essi provano a colmare col viaggio – o, per meglio dire, fuggendo dalla realtà di provincia in cui sono relegati –, con l’assunzione di alcol e droghe, e col sesso: in definitiva, in genere con atteggiamenti autodistruttivi.

Prima di morire, sfiancato dalle sofferenze dovute alla malattia che aveva contratto, cioè l’Aids, Tondelli, avendo assunto una posizione di estrema vicinanza ai dettami della Chiesa cattolica, appronta una parziale revisione, in senso “morale”, del testo.

In questa sede ci occuperemo di analizzare le principali edizioni di Altri libertini, ovvero quelle pubblicate dalla casa editrice Feltrinelli e dalla Bompiani, che, come si vedrà, si differenziano l’una dall’altra in modo più o meno evidente. Lasceremo da parte l’edizione Euroclub e tutte quelle straniere.

Feltrinelli

Inizieremo con l’osservazione delle diverse edizioni della Feltrinelli. La prima è quella uscita nel gennaio 1980 per la collana «I Narratori» (che d’ora in poi chiameremo F). In copertina presenta una foto fortemente emblematica di Sven Simon dell’Agenzia Grazia Neri di Milano, che, aprendo nel 1966, è stata la prima agenzia fotografica italiana (ha cessato l’attività nel 2009). Lo scatto ritrae una coppia di ragazzi a bordo strada, uno accasciato a terra – non è chiaro se si tratti di un uomo o una donna, ma, probabilmente, è una ragazza bionda – e l’altro in piedi, di spalle, che tiene in mano un cartello con la scritta «München». Sullo sfondo, si avvista il muso di un camion che si avvicina. I due autostoppisti, in abiti trasandati, che cercano di viaggiare verso Nord richiamano quella voglia costante di partire dei personaggi del libro, per scappare dal vuoto della loro esistenza o da un contesto in cui non si sentono pienamente accettati.

F presenta anche una misteriosa dedica «a Rosanna» che anticipa il testo e si conclude con dei Titoli di coda in cui Tondelli elenca in modo semiserio tutta una serie di personaggi e luoghi che avevano ispirato l’opera o che, in qualche modo, ne costituivano il background:

L’Art Director ha suggerito, assistito, apostrofato e supervisionato; Alberto Arbasino ha tracciato poetiche da cinebrivido ne L’Anonimo Lombardo, Gianni Celati incantevoli trame in Lunario del Paradiso, Michail Bachtin ottimi, davvero ottimi trip sul Romanzo Polifonico. Doctor Piffo ha fornito gentilmente i testi di Wyatt, Drake, Cohen, Buckley, Reed, Glenmore, Cockburn anche per precedenti esibizioni letterarie; pure Doctor Bloogie e Miriam Verrini l’hanno fatto. Giovanni Boni, Nadia Pazzaglia, Lucia Vacchiano hanno mantenuto a whisky e cognac e Sip e grande affetto nelle fughe a Milano, Annalaura Crisigiovanni in quelle bolognesi, Giorgio Bonacini ha stupendamente fatto il tifo, anche Celestino Pantaleoni l’ha fatto con Grazia Veroni e Vanna Gelosini. La banda matta del Simposio Differante ha reso mondana ed engagée la sopravvivenza a Correggio Emilia, l’hanno musicata i suonatori del Giambattista Vico, poi addolcita Fausta Casarini e Gualtiero Rocco Gualdi, astrologata Ginevra Tenerini, resa chiassosa e divertente gli amici della panchina e del Covo Number Two e di Pace Agreste e anche quelli che non devo! Nominare perché hanno lavoro fisso e obblighi sociali e non si possono sputtanare così per gioco letterario. La Libreria del Teatro di Reggio Emilia ha poi fornito volumi introvabili a buon prezzo, la Regione Emilia-Romagna invece la Scenografia, gli Arredi e il Guardaroba, associati Ente Turismo, Consorzi e Lega delle Osterie. Grazie a tutti quanti, grazie anche a chi non ricordo qui che ahimè lo spazio a nostra disposizione è terminato[1. P. V. Tondelli, Altri libertini, Milano, Feltrinelli, 1980, coll. «I Narratori», pp. 197-98.].

A quanto pare, ad Alberto Arbasino non piacque molto di essere citato in quelle righe[2. In una lettera non datata – ma presumibilmente scritta nel febbraio 1980 – Tondelli gli scrisse: «Gentilissimo dott. Arbasino, dispiace sinceramente che nell’articolo di lancio di Altri libertini, apparso sull’Espresso il 4 u. s. sia stata citata la sua opera con la solita leggerezza e vacuità che caratterizza questo modo barbaro di parlare di letteratura. Dispiace soprattutto il fatto, come ho saputo da un incontro con la Sig. Morino, che lei se ne sia seccato. Le scrivo quindi per chiarire la ragione di queste citazioni, almeno per ciò che mi riguarda. Innanzitutto ho sempre tenuto a sottolineare nei brevi incontri con i cronisti che questo libro non nasce ovviamente dal nulla ma è stato maturato su alcuni testi di cui non ho mai nascosto il mio profondo innamoramento. Così quando mi hanno chiesto di citare una specie di “linea” o “tendenza” a cui mi sono rifatto ho sempre detto che tutto è partito dai racconti delle Piccole vacanze studiati attraverso la loro riflessione interna e cioè L’Anonimo Lombardo. Ho sempre creduto che bisognasse partire da lì, che per un giovane la migliore palestra fosse proprio l’esercizio di quelle incontenibili e lucidissime poetiche espresse nelle lettere dell’Anonimo e in un certo senso “dimostrate” in alcuni racconti delle Piccole vacanze: il trip della poetica del “sale sulla ferita”, dell’andare dentro alle storie e alla realtà senza reticenze piccolo-borghesi; l’ossessione per un linguaggio reale e una comunicazione affettiva e cioè “inventare sulla pagina il SOUND del linguaggio parlato” che riporta naturalmente al grande blocco della Letteratura Emotiva di Céline o della Literature of Power di De Quincey; l’amore per le trame e l’intreccio e il “tutto raccontabile” (tu prova a sottoporre un qualsiasi racconto del genere alla prova del fuoco, provati a riassumerlo…) il rispetto per l’autonomia dei personaggi fatti di sangue e vibrazioni e intensità intime (“personaggi che si ricordano”) personaggi come scatto di linguaggio emotivo, come cortocircuito di sound, personaggi come produzione immediata e costante di linguaggio emotivo, personaggi come rapsodie di un linguaggio che si muove, personaggi come derive discorsive nella corrente fluxus del linguaggio, personaggi e azioni ritmiche, personaggi in sostanza come condensazione mobile della scrittura emotiva. Tutto ciò l’ho imparato dall’Anonimo, studiandolo, riflettendoci, riscrivendolo, sezionandolo, divertendomi come un matto… Cosa dire poi del “racconto” come scelta di scansione del testo, come migliore tempo della scrittura emotiva? Anche questo è tutto nelle dichiarazioni dell’“Anonimo”. Per questo mi sono sentito in dovere di citare nei “Titoli di coda” di Altri libertini il suo nome e quello del suo libro più bello (diciamo l’Anonimo del ’59 così ci sono dentro tutti) in segno di riconoscenza e affetto e grande stima. Così io per parte mia continuo a sbandierare questi suoi testi gridando come un matto che bisogna ripartire tutti da lì, da quello stacco col neorealismo manierato per recuperare una nuova idea di letteratura che in sostanza in quelle pagine è già del tutto anticipata. Per questo mi stupisco di come anche critici avveduti non vadano al di là di una corretta stima per i libri che lei ha scritto, intorno al ’55, quando nascevo io. Io dico che invece un po’ di serietà e studio e apprendistato in quelle palestre farebbe girare il cervello a tutti un po’ meglio, anche a questi che citando il suo nome non ne hanno capito assolutamente il perché»: P. V. Tondelli, Opere: romanzi, teatro, racconti, Milano, Bompiani, 2000, coll. «Classici», pp. 1119-20.]. Poi, i due si chiarirono e instaurarono un rapporto di stima reciproca, tanto che lo scrittore di Voghera, in una serata per gli ottant’anni e la presentazione di due «Meridiani» al teatro Franco Parenti di Milano, lo definì suo erede[3. Cfr. A. Armano, Io e Tondelli, «due appartati e schivi», in «Domenica24» ˗ «Il Sole 24 Ore» (http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2010-05-19/etondelli-appartati-schivi-confronto-154400.shtml), 23 maggio 2010 (ultima consultazione: 23 agosto 2016).].

La Feltrinelli approntò un’altra edizione per la collana «Universale Economica» (che chiameremo FE) che venne pubblicata nel mese di giugno del 1987: fino al novembre del 2013 si contano ventitré ristampe. La copertina non è più quella di F: qui, abbiamo un particolare dello “Zeitgeist Painting #4” di David Salle del 1982. Quest’edizione presenta ancora la dedica «a Rosanna», ma non i Titoli di coda che Tondelli aveva deciso di rimuovere.Nel maggio 2005 la stessa casa editrice produsse un’edizione “vintage”[4. P. V. Tondelli, Altri libertini, Milano, Feltrinelli, 2005, coll. «Vintage».] (che chiameremo FV). Questa si propone di riportare in toto tutte le caratteristiche della prima, anche se, come vedremo, con nessuna pretesa di tipo filologico. Se la copertina, la dedica e il testo, infatti, sono ugualmente presenti senza alcuna modifica – l’immagine di copertina è solo un po’ più colorata e leggermente “migliorata” con Photoshop –, in FV mancano i Titoli di coda, che sarebbero stati necessari se l’intenzione fosse stata quella di recuperare la conformazione originaria del libro, ovvero quella di sei scene con un taglio cinematografico che naturalmente, proprio come in un film, si concludevano con dei titoli di coda finali.

FV delude lì dove avrebbe dovuto ricavare la propria ragion d’essere, cioè restituire fedelmente forma e contenuto del primo libro con tutto il proprio carico di pregi e difetti, a prescindere da cosa l’autore avesse deciso in seguito. C’è da aggiungere, poi, che, se si fosse voluto rispettare la volontà dell’autore, anche la dedica avrebbe dovuto essere cassata – della questione «a Rosanna» tratteremo specificatamente, in seguito – e, quindi, le scelte di chi ha curato questa versione di Altri libertini risultano non convincenti, anche se le volessimo vedere in un’ottica di rispetto dei desideri di Tondelli.

La morte di Tondelli e la critica postuma

Prima di analizzare l’edizione Bompiani (che chiameremo B), uscita più di vent’anni dopo F, riteniamo necessario aprire una parentesi su alcuni elementi rilevanti che aiuteranno a capire meglio quali siano state le modalità per cui, successivamente, si è arrivati a un’edizione come B.

Il primo evento decisivo è la morte di Pier Vittorio Tondelli, il 16 dicembre 1991. Egli era conscio della propria condizione già dall’estate dell’89, ovvero della propria sieropositività, che a quel tempo non annunciava solo l’avvento di una malattia, ma una condanna senza scampo. L’Aids, inoltre, data l’associazione con la comunità omosessuale per via della più facile trasmissione tramite rapporto anale, portava con sé anche un enorme fardello sociale di pettegolezzi, dicerie e brutture, soprattutto in un Paese come il nostro – e in una provincia come la nostra –, allora ancor più di adesso molto restio ad accettare questa “diversità” e a riconoscere le coppie dello stesso sesso.

Date queste circostanze, non ci si meraviglia più di tanto nel leggere dichiarazioni come quelle riportate in questo trafiletto su «La Stampa», il giorno successivo alla morte dell’autore:

Tondelli era ammalato da tempo, «probabilmente di Aids», ha detto Franco Grillini, presidente dell’Arci Gay, l’associazione a cui lo scrittore era iscritto. Ma la madre di Tondelli ha smentito, precisando che «Pier Vittorio è morto per collasso cardio-circolatorio, dopo aver avuto una polmonite bilaterale». Grillini ha ricordato «l’amico, l’intelligente compagno di strada, un interprete forte del mondo omosessuale»[5. Vittima dell’Aids? La madre smentisce, in «La Stampa», 17 dicembre 1991.].

Probabilmente, la madre non mentiva, non del tutto almeno. Com’è noto, infatti, l’HIV riduce le difese immunitarie e permette a diversi tipi di virus o malattie Aids-correlate di prendere il sopravvento. La donna, però, negava il collegamento col virus “africano”, in quello che appare come l’estremo, disperato tentativo di difendere il buon nome del figlio e, di conseguenza, della famiglia tutta dall’“onta” da cui veniva ricoperta. Una visione tanto bigotta quanto comprensibile, visto il contesto di provenienza – con questo non vogliamo addurre alcuna giustificazione –, ma non di certo una novità: l’omosessualità di Tondelli era già stata motivo di burrasche familiari e chiacchiere di paese.

Prima di morire, secondo quanto viene narrato dai pochissimi che poterono accompagnarlo in quei suoi ultimi mesi, Tondelli visse una sorta di “ritorno” alla religione cattolica. Fulvio Panzeri, che Tondelli, proprio nel periodo della malattia, scelse come esecutore testamentario della propria eredità letteraria, racconta delle sue ultime attività: la stesura di un nuovo progetto letterario – rimasto incompiuto – dal titolo Sante messe, la lettura della Traduzione della Prima Lettera ai Corinti di Giovanni Testori, l’ipotesi di nuovi destinatari per Biglietti agli amici e la revisione parziale di Altri libertini tesa, in modo particolare, all’eliminazione delle bestemmie presenti nel testo[6. F. Panzeri, G. Picone, P. V. Tondelli, Il mestiere di scrittore: un libro intervista, Milano, Bompiani, 2001, p. 119.].

Ci colpisce molto l’immagine dell’uomo che, anche negli ultimi giorni di vita, con le forze rimastegli, cerca di votare se stesso e la sua opera alla salvezza ultraterrena e, nell’angoscia della fine incombente, di lasciare un ricordo diverso di sé. È soprattutto nel rispetto di questo sentimento che non intendiamo darci una risposta definitiva sui perché di questo cambiamento, per il quale, sicuramente, si potrebbero formulare diverse ipotesi: dal banale avvicinarsi del suo termine terreno, con il conseguente acuirsi della riflessione esistenziale, alle pressioni non indifferenti di familiari e amici cattolici, fino a un cambiamento, dovuto alla malattia, del suo sé biologico. In ogni caso, ci interessa soprattutto prendere atto di questa rivoluzione nel modo di pensare, e dunque di agire e di scrivere, avvenuta in Tondelli. In realtà, a prescindere da ciò che è stato detto dopo, sappiamo con certezza che egli mai aveva messo da parte la propria religiosità, in perenne conflitto con la riprovazione, da parte della Chiesa romana, della sua condizione di omosessuale, e che, quindi, non si trattava affatto di un “ritorno”, ma di uno “spostamento” dello stesso Tondelli verso un cattolicesimo più totalizzante, più restrittivo, più canonico. Tondelli, insomma, pur essendo sempre Tondelli, era una persona completamente diversa da quella, piena di carica sovversiva, che aveva scritto i sei episodi di Altri libertini.

Il secondo elemento importante è rappresentato dall’atteggiamento della stampa e della critica dopo la scomparsa dell’autore. Una parte rilevante di essa, infatti, ne ha trattato l’Opera unicamente in chiave religiosa, ricostruendo, a partire da questa, una biografia tutta volta verso la prospettiva di una piena conversione finale. Se un giornalista e scrittore come Nico Orengo, fine conoscitore di Tondelli, nel suo coccodrillo su «La Stampa»[7. N. Orengo, Tondelli, scandalo e tenerezza, in «La Stampa», 17 dicembre 1991.] ne offriva un ritratto completo con tanto di scandali, successi e passioni, da Altri libertini a Un weekend postmoderno, per altri giornali e giornalisti più “vicini” a Correggio, allo scrittore e alla famiglia la musica era decisamente diversa.

Lo storico quotidiano bolognese «Il Resto del Carlino» diede notizia del funerale di Tondelli il 18 dicembre, in un articolo di Pier Luigi Alberici dal titolo L’addio a Tondelli “Il coraggio dei diversi”[8. P. L. Alberici, L’addio a Tondelli «Il coraggio dei diversi», in «Il Resto del Carlino», 18 dicembre 1991.]. La cosa più interessante di questo breve articolo è notare come sia inserito in una pagina che non ha nulla a che fare con l’argomento “letteratura”. L’articolo principale è quello centrale, con titolo in grande Macché malato, solo omosex, e tratta della decisione dell’Oms di dichiarare l’omosessualità un tipo di condizione umana e, dunque, di eliminarla dall’indice delle malattie mentali. Sulla sinistra campeggia Famosi e gay, che lista un elenco di personaggi gay che, nella storia, hanno lasciato il segno: si fanno i nomi di Achille, Leonardo, Shakespeare e altri. In basso al centro, Aids, nuovo virus in agguato, in cui si descrive la scoperta, in Africa, dell’HIV2, che ha un periodo più lungo di incubazione rispetto all’HIV1, e, dulcis in fundo, Madonna s’infuria: “Non ho l’Aids”, in cui il lettore viene informato che Madonna non ha mai contratto il virus.

L’articolo di Alberici dice poco dell’opera dell’autore correggese e si concentra fondamentalmente sull’avvicinamento alla religione di Tondelli nel corso dell’aggravarsi della sua malattia. Ne riportiamo qualche passaggio:

«Agli omosessuali aveva dato il coraggio, coi suoi scritti, di superare la loro falsa vergogna». Sono parole che fanno un certo effetto. Specialmente se pronunciate da un sacerdote, in un luogo sacro come la Basilica di San Quirino, a Correggio, a una quindicina di chilometri da Reggio, dove ieri pomeriggio si sono svolti i funerali dello scrittore Pier Vittorio Tondelli, ucciso dall’Aids a 36 anni. Ma don Pier Richez, padre spirituale dello scrittore, durante l’omelia ha tracciato pure il cammino religioso di Pier Vittorio Tondelli. «Un anno fa, sul lago di Garda, mi confidò di essere malato. La sua fede si ravvivò, lui che non aveva mai perso la speranza cristiana. Incominciò uno sviluppo che fu una grande ricchezza per noi che gli stavamo attorno. Mi chiese anche come si poteva pregare meglio e trovò ispirazione nel breviario ‘Liturgia delle ore’». (…) Il suono delle campane, le stesse che da ragazzino lo chiamavano all’oratorio, lo hanno accompagnato nel suo ultimo viaggio.

Forse, solo un’approfondita analisi semiotica potrebbe delucidare meglio il significato di questo codice di articoli accostati sulla pagina e il messaggio finale che voleva trasmettere il giornale, giustapponendoli. Ciò che importa di più, forse, è il messaggio principe del pezzo di Alberici: Tondelli si è convertito.

Due sono i critici letterari il cui lavoro è stato, nel bene o nel male, determinante nel restituire una precisa immagine di Pier Vittorio Tondelli: Antonio Spadaro e Fulvio Panzeri. Enos Rota – amico correggese di Tondelli – ci ha raccontato: «Sono degli anni che la famiglia, il mio Comune, l’esecutore testamentario e anche Spadaro – prima erano una trinità, dopo si è aggiunto anche Spadaro – hanno proprio stravolto la sua figura: l’hanno messo come un santino, su un altare da venerare, e non è proprio così».

Antonio Spadaro: gesuita, scrittore e teologo, attuale direttore della rivista «La Civiltà Cattolica». I suoi contributi scritti riguardano, soprattutto, la letteratura, il cinema, la musica, le tecnologie applicate in campo umanistico e, naturalmente, la religione. Tra gli autori di cui si è occupato con maggiore attenzione c’è, appunto, Tondelli. Ricordiamo un piccolo saggio di Spadaro pubblicato nel ’95 su «La Civiltà Cattolica», quando ne era ancora solo un saltuario collaboratore: La religiosità dell’attesa nell’opera di Pier Vittorio Tondelli[9. A. Spadaro, La religiosità dell’attesa nell’opera di Pier Vittorio Tondelli, in «La Civiltà Cattolica», quaderno 3487, 1995, pp. 30-43.]. A questo seguì un libro, uscito nel 1999, dal titolo: Pier Vittorio Tondelli. Attraversare l’attesa[10. Reggio Emilia, Edizioni Diabasis, 1999.].

In questi lavori viene presentata una visione di un Tondelli votato alla spasmodica ricerca di religiosità – innegabilmente, seppur a suo modo, presente –, escludendo i suoi temi più scomodi: l’omosessualità in primis, il conflitto con la società e la Chiesa per via di questa sua condizione di “diverso” e il rapporto amore-odio con Correggio, cittadina in cui non si sentì, per molto tempo, capito e da cui volle scappar via a più riprese. Non c’è da stupirsi, poi, se del tema dell’omosessualità, come ci informa il già citato Enos Rota, «non si è parlato in vent’anni di “Giornate Tondelliane”»[11. Le Giornate Tondelliane sono, appunto, giornate dedicate a Pier Vittorio Tondelli in cui si organizzano svariate manifestazioni per ricordalo e approfondire la sua Opera. Esse ricorrono ogni dicembre, a Correggio, attorno all’anniversario della sua morte.], manifestazioni di cui Spadaro è esimio rappresentante e nelle quali è quasi sempre ospite.

Veniamo, infine, a Fulvio Panzeri, cattolico giornalista del quotidiano «L’Avvenire», critico letterario nonché esecutore testamentario dell’Opera tondelliana. I due si conobbero nel 1989; Panzeri racconta così le circostanze che portarono al loro incontro:

Nei primi mesi del 1989 l’editore Massimo Canalini dell’editrice Transeuropa di Ancona avanzò l’idea di un progetto che denominammo “Nuova narrativa italiana”. Nelle intenzioni, voleva proporsi come un under 25 della giovane critica, anche se coloro a cui aveva chiesto la disponibilità avevano tutti passato i trent’anni. (…) Si voleva accentrare l’attenzione sulle esperienze dei primi anni Ottanta, sul boom dell’85, sui vari casi letterari o presunti tali, sulle modificazioni del rapporto tra critica e informazione, sulla spettacolarizzazione e sulla creazione del “fenomeno editoriale” nel lancio dei nuovi romanzi (…) Ci trovammo con Generoso Picone, Massimo Canalini, Gianfranco Colombo e Roberto Ferrucci a Bologna – mancavano Marino Sinibaldi e Filippo La Porta – una domenica di fine maggio per discutere la bozza e per organizzare le prospettive d’intervento di ognuno, ma anche la conduzione delle interviste. Fu naturale definire gli “accoppiamenti giudiziosi”, se vogliamo dirla alla Gadda, valutati sì per affinità, ma anche per possibilità pratica. Picone confermò la sua disponibilità per Palandri. A me dissero più o meno: “Tu potresti fare Tondelli, sta a Milano, non hai bisogno di spostarti”. Obiettai che mi andava bene, che era uno scrittore che avevo sempre seguito, ma non lo conoscevo affatto personalmente, anzi avevo un certo imbarazzo… Forse perché di lui mi ero creato (i rotocalchi di cultura…) una certa immagine ambivalente (…) Telefonai anche a Tondelli e fissammo un appuntamento sul finire di luglio. Lo incontrai in una calda giornata milanese, nella casa di via Abbadesse, non poco lontano dalla Stazione Centrale o, in altra direzione, dalla fermata di Gioia della linea verde della metropolitana[12. F. Panzeri, Naturale altro, in «Panta», n. 9, 1992, pp. 343-46.].

Il progetto “Nuova narrativa italiana” si realizzò più tardi del previsto e in una forma leggermente differente. Ne nacque Il mestiere di scrittore. Un libro intervista, a cura, oltre che di Fulvio Panzeri, anche di Generoso Picone, e pubblicato prima da Transeuropa nel 1994, poi da Theoria nel 1997 e, infine, da Bompiani nel 2001. Panzeri, poi, collaborò con Tondelli all’uscita di Un weekend postmoderno, raccolta di tutti i suoi articoli pubblicati su quotidiani e riviste negli anni Ottanta[13. Panzeri racconta: «Era un lavoro difficile. Dopo la catalogazione ci trovammo con mille pagine di computer da rivedere, correggere, tagliare. Il termine di consegna all’editore era fissato per metà settembre, ma credevo che avremmo potuto anche sforare. Per lui invece sembrava una questione d’importanza capitale finire in tempo. Non capivo. Dopo, ho capito. Dopo, mi sono reso conto che lui ha creduto che io sapessi, che avessi intuito. Invece no. Non capivo perché fosse così debole e facile a stancarsi. Perché non si prendesse una vacanza per riposare, anziché restare in quel forno milanese a invidiare gli amici che tornavano abbronzati dai viaggi e presto ripartivano lasciandolo a lottare con le pagine da sfoltire, le notti insonni, i riposi pomeridiani interrotti dalle grida dei vicini, le mille piccole arrabbiature che coprivano la grande rabbia di chi da un anno, dall’estate del ’89, conosceva la sua condizione di uomo a breve termine»: G. Romagnoli, Tondelli. Weekend ai confini della notte, in «La Stampa», 6 settembre 1993.].

Nonostante ciò, stando a quanto ci ha raccontato Enos Rota in un’intervista, in realtà, la scelta di Tondelli di affidarsi a Panzeri come esecutore testamentario fu obbligata dalle circostanze. Riportiamo le testuali parole del nostro dialogo con Rota:

Purtroppo, quello di affidarsi a Panzeri è stato uno degli errori più grossi di Tondelli. Però, lo capisco: a tre mesi dalla sua morte, d’altri, c’era solo Flippo Betto, che era alcolizzato, e lui non s’è fidato a lasciargli l’eredità letteraria. Tant’è vero che, dopo la morte di Pier, Betto è stato ricoverato tre anni per intossicazione in una clinica, ed è morto poco tempo fa per un’overdose, a Palmanova in provincia di Udine. Tondelli avrà pensato: “Be’, mi fido di più di un giornalista dell’«Avvenire»”, di cui però non aveva una gran stima. So bene come lo definiva.

Non immaginavo che Tondelli avesse così poca considerazione di Panzeri.

No, non l’aveva. Poi lui l’ha conosciuto nell’ultimo anno della malattia, a Milano, che era un periodo tutto particolare – capirai, la sfiga totale. Tondelli che era uno allegro, buffo, che creava delle situazioni divertenti, goduriose, da “Pao Pao” (ride), era ormai due anni che era a conoscenza della sua sieropositività, e loro si sono conosciuti solo lì, mettendo a posto Un Weekend Postmoderno. Per Tondelli, ha anche una conoscenza finale parziale, tant’è che Panzeri “frigge” perché non è presente tra i destinatari dei Biglietti agli amici.

Il giorno seguente la scomparsa di Tondelli, su «L’Avvenire» uscì un articolo di Panzeri in onore dell’amico: Il sofferto cammino di uno scrittore verso la redenzione[14. In «L’Avvenire», 17 dicembre 1991.]. Trattasi del ricordo, pieno di dolore, del critico, che sfocia nell’elogio del «ritorno» al cristianesimo di Tondelli, in cui si narrano i suoi ultimi mesi di vita passati nel «silenzio», ricercato a «glorificazione della propria croce, consacrata al volere di Dio, alla sua infinita bontà». Racconta Panzeri di un Tondelli alla ricerca del perdono, in «cammino verso la “santità”». Così, ex abrupto, dal 16 dicembre 1991, tutta l’Opera dello scrittore correggese si fece Opera intrisa di religiosità «costante sotterranea, segreta, la quale svela i connotati, le ragioni, le nostalgie di una disperazione espressa a più livelli».

Insomma, Tondelli, per il proprio votarsi interamente a Dio sul finire della vita, divenne retroattivamente lo scrittore cattolico che, in realtà, non era stato. La sua dirompenza, la sua carica sovversiva e la sua letteratura aggressiva cominciarono, da quel giorno, a venire via via smorzate, placate, attutite.

Nello stesso articolo Panzeri scrisse:

È proprio in questa memoria che ha voluto lasciare l’ultima immagine, a nulla può servire il resto: la sua onestà, la sua fedeltà, si sono dimostrati totali, fino a voler, pur negli stenti, correggere i propri libri, in particolare Altri libertini, togliendo tutte quelle parole che potevano offendere il nome di Dio, proprio per lasciar di sé l’immagine di una purezza, di quella generosità che lo hanno sempre caratterizzato.

Nove anni dopo, questa revisione di Altri libertini sarebbe stata eretta a simbolo, divenendo la più profonda testimonianza di uno scrittore “redento”, nell’Opera omnia pubblicata da Bompiani, a cura di Fulvio Panzeri.

Bompiani

Nel leggere queste sentenze durerà fatica a credere il leggitore, essere state scritte da quel Boccaccio, che in tanta furia di laidezze trascorse nelle pagine del Decamerone. Ma poniamo mente al morale cangiamento della vita di M. Francesco, e sarà tolto ogni dubbio, anzi torremo argomento, avere il medesimo scritto il libro delle donne illustri dopo il 1362, nel quale anno egli fu tornato a mente più pura dal P. Giocchino Ciani Certosino. Boccaccio menava i giorni a mò di persona solo del presente sollecita, e dava sciolta la briglia a sua libidine; e dipingendo nel Decamerone la varia natura degli uomini in varia condizione di vita, propinava ad altrui quel veleno, del quale avea corrotta la mente ed il cuore. Quando vicino a morte il Beato Pietroni Certosino uomo tutto di Dio, quasi confortato da superno volere, mandò per M. Boccaccio un confratello di lui P. Gioacchino Ciani, perché lo traesse di quella pozzanghera di vizî. Come il buon frate si fu al cospetto di Boccaccio, prendendo i modi di persona diputata da Dio, dissegli: sovrastagli prossima e miseranda fine, se non rimetteva dalle turpitudini, e dal trarre altrui in lussuria co’ suoi scritti. Queste simili cose dicendo il frate, Messer Boccaccio fu colto da grandissimo spavento; e tanto fermò l’animo suo del divisamento di darsi a Dio, che forse in qualche convento avrebbe finiti i suoi giorni, se non l’avesse stornato l’amico di lui Petrarca. Se dunque in queste vite, o leggitore, tu vedi Boccaccio dar documenti di morale differenti da quelli del Decamerone, tienlo per convertito; e poni, essere stato scritto questo libro dopo il 1362, nel quale anno cangiata la mente dell’autore, questi cangiò anche foggia di scrivere[15. Donato da Casentino, Volgarizzamento di Maestro Donato da Casentino dell’opera di Messer Boccaccio De Claris Mulieribus, Napoli, Tip. dello Stabilimento dell’Ateneo, 1836.].

Nel 1362, un monaco che si faceva chiamare Gioacchino Ciani arrivò a Certaldo, nella dimora di Boccaccio. Questi annunciò allo scrittore una morte imminente, invitandolo a pentirsi e a rinnegare i suoi scritti, sicché Boccaccio cadde in una profonda crisi religiosa. Avrebbe persino bruciato tutte le proprie opere – in primis il Decameron – se non fosse intervenuto Petrarca, suo amico, maestro e guida spirituale, che lo convinse del valore dei suoi scritti e della compatibilità tra fede e poesia e tra letteratura e religione.

Anche Tondelli, escludendo gli ultimi mesi della sua esistenza, era stato convinto della compatibilità della letteratura con la propria religione. Aveva anche affermato con forza, nel processo del 1981, la non-oscenità di Altri libertini, ribadendo l’importanza della profonda ricerca linguistica che ne stava alla base, la quale costituiva le fondamenta sociologiche di quel linguaggio «volutamente basso» che non faceva che riprodurre quello parlato da un certo numero di giovani in terra emiliana.

Bruno Casini – amico dello scrittore e autore di Tondelli e musica. Colonne sonore per gli anni Ottanta[16. Milano, Baldini & Castoldi, 1998.] – racconta a Massimiliano Chiamenti di «un Tondelli degli ultimi mesi di vita “non più lui”, ossessionato da manie religiose riflesse e confuse, irriconoscibile agli occhi degli amici di vecchia data»[17. M. Chiamenti, Scripta (cartacea) manent: varianti autografe in “Altri libertini” di Pier Vittorio Tondelli, Centro di Documentazione Pier Vittorio Tondelli, www.tondelli.comune.correggio.re.it (ultima consultazione: 15 marzo 2016), p. 2.]. Purtroppo, nel momento di crisi più profonda, Tondelli, a differenza di Boccaccio, forse non ebbe la fortuna di trovare accanto a sé un amico della caratura intellettuale di Petrarca che lo rassicurasse, in un momento di estrema debolezza, in merito alla bontà della propria Opera. Possiamo ipotizzare, invece, che Panzeri – assieme a uomini di chiesa, familiari e amici cattolici che, da quello che sappiamo, ne caldeggiavano una “conversione” già da tempo – fomentò la sua paura delle fiamme eterne e della condanna divina, supportandone il desiderio di “bruciare” tutti quei passaggi che potevano risultare offensivi, ed elogiando, anche pubblicamente, il suo tentativo di salvarsi, distruggendo piccoli frammenti di un libro dall’enorme successo quale era stato Altri libertini. Le espressioni cassate – per la maggior parte bestemmie –, scritte allora ˗ absit iniuria verbo ˗ con l’intento mimetico che conosciamo, vennero, quindi, sostituite o semplicemente eliminate.

Nel giugno 2000 uscì l’edizione Bompiani di tutte le opere di Tondelli, dal titolo Opere. Romanzi, teatro, racconti (B), seguita, l’anno successivo, da un altro massiccio volume che raccoglie la non-fiction dell’autore correggese: Opere. Cronache, saggi, conversazioni. B appartiene alla collana «Classici» e rappresenta, almeno per la casa editrice milanese, l’ingresso di Tondelli nel novero dei grandi scrittori.

Il curatore, Panzeri, si pose l’ambizioso obiettivo di offrire al lettore una versione completa, ne varietur, di tutti gli scritti tondelliani, creando un’edizione che “facesse testo” e tramandasse un ricordo ben definito dell’autore. Purtroppo, questo lavoro imponente è stato effettuato, a nostro avviso, senza una corretta deontologia filologica, la cui mancanza ha prodotto, inevitabilmente, degli errori o lasciato dei vuoti significativi; motivo per cui riteniamo quest’edizione critica perfettibile.

Il volume consta di 58 pagine d’introduzione, 1.106 di testi e 118 di note al testo, fino a pagina 1.224. L’introduzione contiene anche un’utile cronologia della vita di Tondelli (pp. XXXI-LIII) e una nota generale all’edizione. Già in questa prima sezione troviamo, però, delle pecche: non scorgiamo, ad esempio, alcun riferimento alla vita privata dell’autore che potrebbe permettere al lettore di capire meglio tutta una serie di circostanze importanti che sicuramente si rifletterono nei testi. Per esempio, non troviamo alcun accenno al rapporto con la famiglia: neanche il ripudio subìto da Tondelli da parte del fratello Giulio. Eppure, la relazione tra Tondelli e i famigliari ha sicuramente avuto un’enorme influenza sulle opere dell’autore: pensiamo solo a Camere separate, il libro in cui il tema emerge con maggior impeto. Non si capisce bene se si tratti di una mancanza del curatore e se questi, dunque, abbia sottovalutato in toto quest’aspetto; oppure se si tratti di un’omissione volontaria. Facciamo fatica a credere, infatti, dati gli stretti rapporti tra Panzeri e la famiglia Tondelli, che il curatore fosse all’oscuro di questi dettagli nient’affatto trascurabili.

Allo stesso modo, non v’è traccia del rapporto conflittuale con l’intera città di Correggio, per la quale Tondelli provava un sentimento ambivalente di amore-odio. Lo scrittore si era spesso rifugiato altrove, anche nella stessa scrittura, per scappare da quella piccola realtà che l’opprimeva. La decisione di non spendere una parola sull’argomento, oltre che decisamente infelice, appare menomante per una vera comprensione della vita e delle opere di Tondelli. La rappresentazione unidirezionale della piccola cittadina che funge da nido, culla e contesto di crescita per l’autore fino all’età adulta certamente non convincerà chi, di Tondelli, avrà letto anche solo qualche pagina. Egli si era sempre sentito “diverso” e, a Correggio, fatta eccezione per gli amici suoi più cari, non ebbe mai modo di gettare via le maschere che era costretto a indossare. Non si sentì mai compreso: questo è un dato di fatto.

Dalla suddetta introduzione, poi, non emerge nulla della vita sentimentale di Tondelli. Qualcuno potrebbe asserire che ciò non sia affatto necessario ai fini dello studio dei testi, ma questi ultimi sono pieni di amore e di storie che riguardano questa sfera del vivere. Inoltre, una conoscenza della vita privata dello scrittore potrebbe gettare nuova luce su determinati personaggi o riferimenti presenti nei suoi libri; in effetti, della vita privata di altri autori della letteratura italiana e straniera sappiamo tantissimo, ad esempio di D’Annunzio, Hemingway o Kafka, ritenendo tali conoscenze fondamentali per il loro studio. La completa assenza d’informazioni al riguardo potrebbe fuorviare il lettore, inducendolo a pensare a un personaggio completamente avulso dal mondo delle relazioni amorose e sessuali, a un casto asceta, il che di certo non era. Anche questa “sottovalutazione”, più che una leggerezza del curatore, ci pare strumentale a evitare di parlare di uno dei temi portanti della narrazione tondelliana: l’omosessualità.

Nell’introduzione, i ragguagli sul tema sono sporadici. Avvistiamo solo tre richiami: nella descrizione di Rimini: «La scrittura cinematografica, il mondo della carta stampata, le trame del giallo e quelle di un “rosa”, intuito in chiave omosessuale, (…) convivono e arricchiscono questo affresco balneare» (p. XI); nella descrizione di Camere separate: «Si potrebbe parlare di “romanzo di formazione” perché la lettura del libro nella sola ottica del romanzo d’amore (anche se eccessi nel senso di un “rosa” esasperato in chiave gay non mancano) risulta ormai riduttiva» (p. XXVII); e, infine, riportando un frammento inedito del 1981 che riguarda il suo rapporto con Dio, ritrovato tra le carte dell’autore, riusciamo appena a leggere: «Il mio amore frocio» (p. XXXV). Sicuramente troppo poco per quello che era stato definito «un interprete molto forte del mondo omosessuale»[18. Vedi nota n. 5.] da Franco Grillini, allora presidente dell’Arcigay, e che, nelle proprie storie, aveva quasi esclusivamente raccontato di amori omosessuali. Tali omissioni stupiscono ancora di più se consideriamo che Panzeri ha curato anche l’Opera omnia in tre volumi, per 5.187 pagine complessive, di Giovanni Testori[19. G. Testori, Opere vol. 1 (1943, 1961), Milano, Bompiani, 1996, coll. «Classici»; Id., Opere vol. 2 (1965, 1977), Milano, Bompiani, 1997, coll. «Classici»; Id., Opere vol. 3 (1977, 1993), Milano, Bompiani, 2013, coll. «Classici».], altro autore omosessuale e cattolico.

Infine, notiamo che, più in generale, nell’introduzione citata non si dà spazio a quelle vicende che caratterizzavano la vita quotidiana dell’autore e la cui conoscenza permetterebbe non solo di dipingerne un ritratto più completo, ma anche di collegare fatti, abitudini e persone reali a vicende e personaggi letterari. Citiamo ancora una testimonianza di Bruno Casini a Massimiliano Chiamenti per fornire un esempio chiarificatore:

Mi racconta (…) di una bella serata con Tondelli a Firenze, trascorsa prima a sentire il concerto entusiasmante dei Tuxedomoon (gruppo di sperimentazione rock new-wave di San Francisco) al Tenax di via Pratese, e poi conclusa in un piccolo gay bar di via de’ Neri con tanto di peccaminosa dark room olezzante di popper (nitrito di amile legalmente in commercio che, inalato via naso, provoca alcuni secondi di euforia e di dilatazione dello sfintere anale). Un piccolo ma significativo episodio questo, una serata-tipo, che, pur appartenendo alla sfera della consueta quotidianità, può fornire un qualche background al personaggio di Leo, il protagonista di Camere separate (l’unico romanzo di Tondelli tradotto anche in inglese), che sa descrivere come un insider, per conoscenza e partecipazione diretta, le esperienze di un inebriante e dionisiaco concerto rock a Parigi (dove allude alla gay band inglese Bronski Beat, dato che nomina il brano “I feel love”, una loro cover di grandissimo successo di una canzone di Donna Summer), e di un avventuroso incontro sadomaso (con l’immancabile inalazione di popper) in un localino only-for-men di Manhattan[20. M. Chiamenti, Scripta (cartacea) manent: varianti autografe in “Altri libertini” di Pier Vittorio Tondelli, art. cit., p. 11.].

Analisi delle varianti

Passando all’analisi delle varianti del volume, in B si adotta un ordine cronologico per la presentazione dei testi: di conseguenza, Altri libertini è il primo della lista (pp. 3-144). Il curatore comunica la propria decisione di tener conto dell’ultima revisione, parziale, di Tondelli – senza mettere a conoscenza il lettore delle condizioni dell’autore al momento della stessa: «febbre, crisi di panico, scarsa lucidità»[21. Ivi. p. 2.], che probabilmente inficerebbero la credibilità di qualsiasi tipo di testimonianza giuridica; Tondelli aveva anche perso la facoltà della parola – in due occasioni: nella Nota all’edizione[22. «Le opere sono proposte nell’ultima versione a stampa, salvo eventuali correzioni di refusi, presenti nella prima edizione. Per quanto riguarda Altri libertini, nei primi due racconti, Postoristoro e Viaggio (sic, in realtà, si tratta di “Mimi e istrioni”) il testo è stato adeguato alle modifiche e correzioni proposte dall’autore, come indicato nella relativa nota al testo»: P. V. Tondelli, Opere: romanzi, teatro, racconti, op. cit., p. LVI.] e nelle Note ai testi:

Lo scrittore, negli ultimi mesi di vita, ha approntato una revisione parziale del testo tesa a evidenziare errori e a modificare situazioni linguistiche all’interno dei racconti. La sua preoccupazione era di ordine “morale” e quindi tesa a rendere meno violento l’impatto delle bestemmie presenti nel testo. Diceva che non servivano e che non era giusto. La correzione è avvenuta su una copia dell’edizione economica di Altri libertini (terza edizione: gennaio 1991) con matite blu e rosse. Tondelli ha rivisto i primi due racconti Postoristoro e Viaggio (in realtà, si tratta di Mimi e istrioni: n. d. r.) e ha modificato non sostanzialmente il testo, apportandovi precisazioni e cambiando il lessico soprattutto nel senso di variare in alcuni casi, la bestemmia in turpiloquio. L’edizione del testo qui presentata, rispettando le volontà dell’autore, per quanto riguarda i primi due racconti, si adegua alle ultime correzioni apportate[23. Ivi, p. 1135.].

Presentiamo una nostra analisi delle varianti in B rispetto a F, avvalendoci anche della testimonianza del già citato Massimiliano Chiamenti, il quale ha potuto visionare l’edizione FE con le varianti autografe scritte a matita. Dunque, ogni riferimento a un’osservazione diretta di quel documento è implicitamente da collegare a Chiamenti stesso. Abbiamo deciso di confrontare B con FE, piuttosto che con F, sia perché il contenuto è lo stesso di F sia per uniformarci all’edizione utilizzata da Tondelli per le sue modifiche.

Per la lettura sono necessarie alcune indicazioni:

  • Il titoletto (es. Postoristoro) designa l’episodio da cui sono tratte le varianti.
  • Riportiamo la lezione di FE seguita dalla quella di B: es. veloci intorno (p. 10) / veloci (p. 6).
  • Tutte le varianti sono numerate; laddove ci fosse anche “(x)”, si intenderà che la nuova lezione si trova, sì, in FE con le varianti autografe, ma non in B.
  • Con “(A)” intendiamo che la lezione presente in B è assente in FE con le varianti autografe.

Le varianti:

Postoristoro

  1. veloci intorno (p. 10) / veloci (p. 6)
  2. di notte (p. 10) / di sera (p. 6)
  3. porcodio (p. 12) / perdio (p. 7)
  4. (A) Giusy gli stringe il braccio, “Senti (p. 12) / Giusy gli stringe il braccio: “Senti (p. 7)
  5. cartolaccia (p. 14) / cartellaccia (p. 8)
  6. perché la vita è davvero vita cioè una porcheria dietro l’altra e allora è come sbattere giù merda ogni giorno che poi ti dimentichi che fa schifo, e ne diventi magari goloso (p. 14) / perché la vita è davvero vita cioè una porcheria dietro l’altra (p. 9)
  7. al tacchino freddo per niente (p. 15) / a rota per niente (p. 9)
  8. (A) “Ok, un’altra volta,” dice alzandosi (p. 15) / “Ok, un’altra volta” dice alzandosi (p. 9)
  9. un bustina che sia una (p. 16) / un quartino che sia uno (p. 10)
  10. alla cazzo di dio (p. 17) / alla cazzo di cane (p. 11)
  11. lo segue uscire (p. 18) / lo guarda uscire (p. 12)
  12. bucato sfatto (p. 19) / bucato fatto (p. 13)
  13. (x) Ehi Belin (p. 19) / Ehi belin (p. 13): un refuso
  14. (A) va là siediti (p. 19) / va’ là siediti (p. 13)
  15. porcodio (p. 20) / perdio (p. 13)
  16. la spagnola (p. 21) / il servizietto (p. 14)
  17. e il prete che va a letto con le vecchie (p. 22) / e il prete sempre ubriaco di sassolino (p. 15)
  18. Dopo la chiavano tutti (p. 23) / Dopo la violentano tutti (p. 15)
  19. e poi la slavano di sperma e la abbandonano (p. 23)/ e la abbandonano (p. 15)
  20. e toccarsi sempre la pistola Smith and Wesson neanche ci dovesse sborrare (p. 24) / e menarsi su e giù la pistola Smith and Wesson neanche dovesse farla venire (p. 16)
  21. sarà come fossero arrivati davvero i tempi belli di pipetta e puttanelli e la neve pioverà sulle braccia, zac (p. 24) / sarà come fossero arrivati davvero i tempi belli e la neve pioverà sulle braccia, zac (p. 16)
  22. che cazzo succede? (p. 25) / che ti succede? (p. 16)
  23. diocane (p. 25) / ziocane (p. 17)
  24. diocane (p. 26) / ziocane (p. 17)
  25. (A) mi da un cazzotto (p. 26) / mi dà un cazzotto (p. 17)
  26. luce sciatta (p. 27) / luce moscia (p. 18)
  27. È solo a secco; è freddo e basta (p. 27) / È solo a rota e basta (p. 18)
  28. (A) che da verso un capannone (p. 28) / che dà verso un capannone (p. 19)
  29. capannone per lo smistamento della merce (p. 28) / capannone per lo smistamento delle merci (p. 19)
  30. (A) porcodio guarda (p. 31) / guarda (p. 21)
  31. (A) E fa qualcosa (p. 31) / E fa’ qualcosa (p. 21)
  32. (A) tienmi il braccio diocane che sto cadendo!!! (p. 31) / tienmi il braccio che sto cadendo!!! (p. 21)
  33. (A) porcodio che succede alla tua pistola (p. 32) / che succede alla tua pistola (p. 22)
  34. sei fuori diocane, sborra Biboooooo!!! (p. 33) / sei fuori Biboooooo!!! (p. 23)

Mimi e istrioni

  1. (x) è arrivato un giro bene, un po’ di magliari, qualche avvocatucolo / è arrivato un giro bene, qualche avvocatucolo (p. 26)
  2. (A) ci si da appuntamento (p. 37) / ci si dà appuntamento (p. 27)
  3. le assatanate che più assatanate non si può (p. 38) / le scatenate che più scatenate non si può (p. 27)
  4. e ci butta acqua addosso che però non ci bagna (p. 40) / e ci butta contro dell’acqua che però non ci becca (p. 29)
  5. drug-store (p. 40) / Ristoro (p. 29)
  6. (A) “(…) sei ammattita?” Ma la Sylvia (p. 42) / “(…) sei ammattita?”. Ma la Sylvia (p. 30)
  7. Silenzio stupefatto (p. 43) / Silenzio (p. 31)
  8. dire porcate (p. 44) / dire robaccia (p. 32)
  9. a me mi scappa una scopata col garzoncello che è alto e ben fatto soprattutto tra le cosce e ha un viso da bambino (p. 44) / a me mi scappa una scopata col garzoncello che è alto e ben fatto e ha un viso da bambino (p. 32)
  10. nello studio di un notaio finocchio (p. 44) / nello studio di un notaio (p. 32)
  11. Mentre io sono lì (p. 47) / Mentre sono lì (p. 34)
  12. pompini (p. 52) / cosacce (p. 38)
  13. suemansioni (p. 53) / sue mansioni (p. 38): si trattava di un banale refuso.

Viaggio

  1. (A) il vestibolo che da in un altro stanzino (p. 72) / il vestibolo che dà in un altro stanzino (p. 53)
  2. (A) gli dò una spallata (p. 82) / gli do una spallata (p. 60)

Altri libertini

  1. (A) Gran Lombardo (p. 155) / Granlombardo (p. 115)
  2. (A) Gran Lombardo (p. 157) / Granlombardo (p. 116)

Autobahn

  1. (A) Ma Lei spalanca la boccuccia (p. 186) / Ma Lei spalanca là boccuccia (p. 137)

Per completezza d’informazione, aggiungiamo che in B abbiamo un’accentazione diversa che in FE: «ú» e «í», infatti, vengono sostituiti (più correttamente) con «ù» e «ì».

A una prima lettura delle nuove lezioni, si potrà sicuramente notare come i cambiamenti non siano molto rilevanti e come, di certo, la narrazione non subisca grandi modifiche. A rimetterci, piuttosto, è lo spirito insito nelle righe del testo, dato dalla mimesi di quella parlata “sboccata” di giovani strafottenti che avevano destato scandalo con la loro violenza espressiva, che, in questa nuova versione, si appiattisce verso un linguaggio più blando e politically correct.

Alcune varianti (1, 2, 5, 11, 12, 13, 26, 29, 35, 38, 39, 41, 45, 47) testimoniano la volontà dell’autore di raffinare il testo. Si spazia dalla correzione di refusi (13, 47) ai tentativi di miglioramento semantico, alcuni di poco conto, altri oggettivamente utili, come la precisazione «di sera» al posto di «di notte» (2) o «capannone per lo smistamento delle merci» invece che «capannone per lo smistamento della merce» (29) – in effetti, non è solo una –, o il cambiamento di «e ci butta acqua addosso che però non ci bagna» in «e ci butta contro dell’acqua che però non ci becca» (38).

Ci sono delle varianti autocensorie, che cercano di ovviare ad alcune bestemmie con degli eufemismi: sostituendo «dio» con «cane» (10), «dio» con «zio» (23, 24), eliminando intere espressioni (34) o inserendo degli improbabili «perdio» (3, 15), che, pronunciati da dei tossici, appaiono decisamente fuori contesto. Tondelli espunge anche un «cazzo» (22) per ammorbidire la domanda in un «che ti succede?». Aveva rilasciato una dichiarazione in merito all’uso di questa parola in Altri libertini in un’intervista su «Rockstar» del 1985:

Cosa cambieresti di “Altri libertini”?

Cambierei certi modi di intercalare come “cazzo”, gravitano troppo nel testo. Ma questo a posteriori: allora volevano esprimere un modo di scrivere violento e aggressivo, volevo sputare una certa realtà in faccia ai cosiddetti letterati[24. P. V. Tondelli, Opere: romanzi, teatro, racconti, op. cit., p. 1.134.].

Altre varianti riguardano le droghe o la loro assunzione (7, 9, 21, 27). In (7), (9) e (27) registriamo la sostituzione di diverse espressioni, che, però, non produce alcun cambiamento semantico – in (9) si ovvia anche a un refuso –: per esempio «a rota per niente» al posto di «al tacchino freddo per niente» (7). In (21), invece, osserviamo la perdita di un’espressione spiritosa quale «pipette e puttanelli». Questa allude all’inalazione di sostanze per via nasale e risultava complementare a ciò che la seguiva, ovvero «e la neve pioverà sulle braccia». La giocosità di questa espressione viene a scomparire nell’intento autocensorio dell’autore, minando la ricchezza del testo.

Il caso (21) è solo uno dei tanti in cui l’autocensura indebolisce la scrittura (6, 16, 17, 18, 19, 20, 37, 42, 43, 44, 46), smorzando quella violenza verbale che era il fuoco sacro di Altri libertini. Il suo spirito socialmente eversivo viene così omologato e piegato, di contro, alle convenzioni.

Anche le espressioni di FE in (6), (19), (43) e (44) vengono eliminate. L’impeto tragico, ma anche goliardico e, a suo modo, comico, dello stupro di Vanina da parte della gang di «terroni» che poi l’abbandonano «a gambe aperte» mentre la ragazza ancora «ride e dice di lasciarla nel fossetto che sta bene e allora s’è capita che i terroni avevano buttato dentro anche anfetamine o altri acidi qualsiasi (…) fatta fatta, anche nel cervello e continuava a chiedere a tutti di portarla in campagna, in quel fossetto che c’ho lasciato le mutandine mie»[25. P. V. Tondelli, Altri libertini, Milano, Feltrinelli, 1987, p. 23, coll. «Universale Economica».] si scioglie nella trasformazione di «chiavano» nel cronachistico «violentano» (18) e nel dissolvimento del turpe dettaglio «e poi la slavano di sperma» (19). In (43) e (44) le scelte del curatore provocano, addirittura, un sorriso amaro quando in B non riusciamo più a leggere che il ragazzo era «ben fatto soprattutto tra le cosce» (43) o dei gusti sessuali del notaio (44). In queste varianti, non si riconosce l’ombra del libero pensatore che era stato Tondelli, se questi ritiene opportuno autocensurare un frivolo particolare (43) o la parola «finocchio» (44) che, detta da un omosessuale come lui, non sembra affatto offensiva. In (6), poi, la battuta è, sì, volgare ma anche piena di carica grottesca, ed è un peccato perderla.

In altri casi, le espressioni che l’autore intendeva censurare hanno lasciato posto ad altre molto meno efficaci (16, 17, 18, 20, 37, 42, 46). Le lezioni di B in (16), (42) e (46) sembrano nettamente incoerenti con quelle usate nel resto del libro: infatti, i libertini di Tondelli, sicuramente, non avrebbero mai detto «cosacce» per dire «pompini» (46). In (17) si decide di accostare all’ecclesiastico un peccato di gola piuttosto che quello più grave di lussuria. Tondelli opta anche per il più garbato «e menarsi su e giù la pistola Smith and Wesson neanche dovesse farla venire» al posto del più triviale, ma anche più carico d’erotismo, «e toccarsi sempre la pistola Smith and Wesson neanche ci dovesse sborrare» (20). Inoltre, cambia la qualifica delle Splash, che da «assatanate» diventano «scatenate» (37). Un aggettivo migliore di quello utilizzato in FE forse non si sarebbe potuto attribuire a un gruppo di ragazze – e un travestito – perennemente alla ricerca di uomini. In B riscontriamo, infatti, un netto peggioramento, in tal senso.

Nell’edizione Bompiani, poi, troviamo tutta una serie di varianti apportate esclusivamente dalla mano del curatore (4, 8, 14, 25, 28, 30, 31, 32, 33, 36, 40, 48, 49, 50, 51, 52), che interviene anche nei capitoli non revisionati dall’autore. Quasi tutte sono semplici correzioni, giuste e indispensabili, di refusi (4, 8, 14, 25, 28, 31, 36, 40, 48). L’unica perplessità che abbiamo è in (4), punto nel quale è possibile che l’autore fosse consapevole della propria scelta di fare un uso improprio della punteggiatura in «Giusy gli stringe il braccio, “Senti non stare a far casino in mezzo alla gente, lasciami finire qui…”».

In (49) e (52) registriamo due varianti decisamente discutibili. Nella prima, si toglie l’accento al «dò», riportando la forma più comune senza accento, ma quest’operazione non convince. «Dò» è certamente una forma sconsigliata da molti per la prima persona singolare del verbo «dare», ma non per questo non utilizzata in passato – e ancora adesso – anche da grandi scrittori[26. Ad es., «Ti dò anche un altro bacio»: I. Svevo, La coscienza di Zeno, Milano, Feltrinelli, 1993, coll. «Universale Economica», p. 266; oppure «hor’ hor tel dò ferito»: G. B. Marino, L’Adone, poema del caualier Marino, con gli argomenti del conte Fortuniano Sanuitale. Et l’allegorie di don Lorenzo Scoto, Venezia, Giacomo Sarzina, 1626, p. 475.]; dunque, non riteniamo che fosse giustificata una modifica. Nella seconda, invece, si riporta un refuso in B che in FE non c’era: «Ma Lei spalanca là boccuccia».

Panzeri, inoltre, decide di trasformare l’epiteto «Gran Lombardo», relativo all’avvenente brianzolo che arriva in paese nell’episodio che dà il titolo al libro, in «Granlombardo» (50 e 51). Questa scelta ci sembra sbagliata. Nel testo originario, in FE, abbiamo entrambe le varianti: due volte leggiamo «Gran Lombardo»[27. P. V. Tondelli, Altri libertini, Milano, Feltrinelli, 1987, coll. «Universale Economica», pp. 155 e 157.] e una volta «Granlombardo»[28. Ivi, p. 159.]; dunque, la lezione secondo cui si sono volute uniformare le altre è in minoranza numerica. Ma non è solo un fatto di numeri: «Gran Lombardo» è complementare e in sintonia con «Gran Cazzone»[29. Ivi, p. 167.], altro epiteto utilizzato per riferirsi allo stesso personaggio. Per queste ragioni, sarebbe stato più sensato uniformarsi a questa variante.

L’aspetto più interessante, a proposito degli “aggiustamenti” che il curatore ha fatto in autonomia, è costituito dai casi (30), (32) e (33), in cui si cassano delle bestemmie. Immaginiamo che Panzeri abbia voluto intervenire sul testo per completare la revisione di Tondelli in senso uniformativo. Se teniamo conto, però, del fatto che una bestemmia è rimasta anche in B («diocane», p. 22) e se a questa aggiungiamo i tre casi sopracitati in cui Tondelli non era intervenuto, arriviamo a calcolare che l’autore ha messo mano a sei bestemmie su un totale di dieci presenti nei primi due capitoli. È chiaramente possibile che, nelle disperate condizioni in cui si trovava, Tondelli abbia potuto commettere delle sviste e che, magari, non abbia scovato tutte le imprecazioni. Comunque, a questo punto, ci sembra giusto formulare una nuova ipotesi – tutta da verificare –, cioè che l’autore avesse intenzione di fare una semplice politura del testo, atta, sì, ad ammorbidirlo – anche in senso “morale” –, ma non espungendo le espressioni blasfeme in toto, bensì solo quelle che gli parevano sovraccaricare il testo e che riteneva, in quel momento, ingiustificate o eccessive. Di ciò avremmo voluto parlare con lo stesso Panzeri, ma, dopo aver inizialmente accettato l’invito a rispondere alle nostre domande, egli ha ignorato ogni nostro tentativo di metterci in contatto con lui.

Chiudiamo il discorso sulle varianti con due casi particolari quali (13) e (35). Nel primo, Tondelli propone, giustamente, «Ehi belin» al posto di «Ehi Belin», dato che si tratta di un appellativo e non di un nome proprio. Nel secondo, decide di cassare, probabilmente perché troppo desueta, l’espressione «un po’ di magliari» con cui si intendeva ‘un gruppo di truffatori’. Panzeri, forse per una semplice disattenzione, forse per scelta – in questo caso faticheremmo a riconoscerne la logica –, mantiene in B entrambe le lezioni originarie. Queste “distrazioni” sono l’ennesimo esempio della mancanza di accuratezza filologica con cui è stata imbastita quest’edizione. Alla scelta, rischiosa, di considerare valida la parziale revisione dell’autore sarebbero dovuti seguire sicuramente più rigore e severità, a maggior ragione per un’edizione come questa, che ha la pretesa di essere completa e corretta.

Panzeri, inoltre, eccetto le poche righe che abbiamo citato[30. Vedi le note nn. 22 e 23.], non precisa altro sui cambiamenti apportati. Avrebbe potuto, ad esempio, aggiungere alle 118 pagine di note ai testi una che riportasse le varianti di Altri libertini: a nostro avviso, sarebbe stato doveroso portare il lettore a conoscenza dell’operazione che si era compiuta.

Nelle note ai testi di B troviamo, però, i Titoli di coda[31. Vedi la nota n. 1.] (pp. 1.118-19), che, per volontà dell’autore, erano già stati eliminati in FE nel 1987 e che, giustamente, anche in questo caso, vengono messi da parte – cosa che rimarca l’incoerenza di non aver proceduto alla stessa maniera con le altre varianti.

Infine, veniamo alla dedica «a Rosanna», che abbiamo lasciato per ultima. Essa è riportata anche in B, ma senza alcuna nota che informi su chi fosse o sul perché Tondelli le avesse voluto dedicare Altri libertini – informazione che peraltro ci aspetteremmo da un’edizione critica quale è B.

Il nome «Rosanna» si ripete nel libro, nell’episodio intitolato Viaggio:

Piantar radici diventa così facile che arriva agosto e nemmeno ho voglia di andarmene via, ma poi acconsento e mi imbarco in una spedizione in auto verso Londra con vecchi amici del liceo e tra questi c’è Rosanna con cui studiavo ogni giorno al ginnasio e si facevano tanti sogni insieme e si ascoltava Per voi giovani e si andava spesse volte al cinema e allora sì che c’era tanta voglia di starci al mondo e allacciare intensità e circuiti con tutti e nessuno riusciva a fermare la selvatichezza di quelle giornate trascorse a immaginarci adulti e forti e duri, noi contro tutti. Con l’Università ci siamo persi di vista e dopo, anni dopo anche per sempre, ma adesso abbiamo tante cose da raccontarci e nessuno dei due immagina quel che poi accadrà una brutta giornata di aprile. Partiamo dunque e dopo ventiquattr’ore ininterrotte di viaggio tocchiamo l’Inghilterra e prendiamo alloggio a Kilburn, sulla Bakerloo Line della metropolitana di Londra. Siamo in quattro e la sera facciamo di solito tardi sbevazzando avanti e indietro, soprattutto lager bier che qui è davvero buona e non ha niente a che spartire con le birre bionde del continente. Lasciata l’underground verso mezzanotte percorriamo il viale cantando e ridendo verso il villino in cui alloggiamo e che fa tanto Free-Cinema, John Schlesinger tanto per capirci. Da un lato della strada in leggero pendio sbucano tre ragazzi di corsa e ci arrivano addosso e poi ne saltano fuori altri quattro e ci prendono a botte e allora scappiamo e raggiungiamo di corsa la casa, ma la fuga ci ha sgranati e l’ultimo è quello che ha le chiavi per cui noi tre siamo lì trepidanti e bestemmianti e gli urliamo “sbrigati, sbrigati!” ma lui è lento e non gliela fa e viene raggiunto e menato e noi si rimane davanti al cancelletto impalati dalla paura, ma dura un attimo, bisogna aiutarlo povero cristo, e lo raggiungiamo urlando inferociti tanto per spaventarli ma quelli non si spaventano e ci menano e prendiamo anche una coltellata che per fortuna è solo di striscio e sfodera il giubbetto, ma le chiavi sono fortunosamente passate nelle mani di Rosanna che corre sola verso la casa, corri corri vecchia stella, eddai che gliela abbiamo ormai fatta e così apre finalmente la porta e riusciamo a ritirarci, malconci ma salvi. Così io sul letto, mentre riprendo fiato e cerco di allontanare la paura dico che domani me ne vado e che Londra mi fa schifo e che ci sono troppi delinquenti in giro se arrivano a menare anche noi che siamo scassati e lisci che più lisci non li trovi nemmeno negli sleeping da dieci penny. E infatti il giorno dopo Rosanna ed io torniamo indietro e lasciamo gli altri due con la macchina diretti a Edimburgo, in Scozia e spendiamo i soldi del soggiorno per il rientro in treno. Mentre trasbordiamo a Calais, le dico senti, sono stanco di farmi menare e prendere sempre botte e non gliela faccio più con questa vita scassata e vorrei mettermi tranquillo perché sono stanco di tutta questa cialtronata che è la mia vita e se una volta pensavo che avrei anche potuto esser felice solo che trovassi un uomo da farmi, ora dico che anche questo non basta perché non si vive in un letto o in un cinema o in un appartamento o in un cesso e io sento la mancanza di tutto quello che non è cinema, non è appartamento, non è letto e non è cesso cioè sono stanco e vorrei dormire per una eternità e magari svegliarmi che tutto è cambiato e finalmente si sta bene e non bisogna menarsela tanto con l’alcool e i buchi e i soldi e… Poi lei dice che faccio la lagna e di smetterla lì perché cerco sempre giustificazioni e meglio sarebbe se mettessi la testa a posto che è il solo modo di sopravvivere in questo merdaio che si chiama Italia e allora le dico che son tutte cazzate e che in Italia sopravvivi solo se hai la lira e anche così fai una vita di merda perché… insomma torno a Correggio da solo perché Rosanna la perdo a Milano che si prende un treno per la Versilia e se ne va nella sua casa al mare e mi dice anche vuoi venire, ma io rifiuto, non ho nessuno a casa, starò bene e mi riposerò vedrai, vedrai, vedrai…[32. P. V. Tondelli, Altri libertini, ed. cit., pp. 121-24.].

Gli indizi che si ritrovano in questo testo hanno permesso a Chiamenti di scoprire chi fosse: «Mi imbarco in una spedizione in auto verso Londra con vecchi amici del liceo e tra questi c’è Rosanna con cui studiavo ogni giorno al ginnasio», «Con l’Università ci siamo persi di vista e dopo, anni dopo anche per sempre, ma adesso abbiamo tante cose da raccontarci e nessuno dei due immagina quel che poi accadrà una brutta giornata di aprile», «torno a Correggio da solo perché Rosanna la perdo a Milano». Rosanna Cagarelli, appunto, era una compagna di classe nonché una carissima amica di Tondelli, morta suicida a Milano al suo secondo anno di università[33. «Che Rosanna della dedica fosse questa stessa Rosanna del racconto? Come dimostrarlo? L’unica possibile strada poteva essere quella di indagare sulle compagne del Liceo Classico “Rinaldo Corso” di Correggio, dove Tondelli aveva studiato. Dopo aver individuato in rete il website del Liceo, ho allora scritto una e-mail alla segreteria del Liceo, spiegando che stavo facendo delle ricerche di tipo letterario sulla dedica ‘a Rosanna’ di Altri libertini, e chiedevo se risultasse iscritta alla nuova scuola una studentessa di nome Rosanna attorno agli anni 1969-1974, gli anni cioè in cui Tondelli aveva frequentato quella scuola. Come in un colpo di scena teatrale, ricevo in data 25 agosto 2006 questa preziosa e-mail dal preside del Liceo, al quale vanno i miei più sinceri ringraziamenti: “Egregio professor Chiamenti, ho effettuato la verifica richiestami e posso confermare che la persona a cui si riferisce la dedica è senz’altro Rosanna Cagarelli, compagna di classe di Tondelli negli anni da Lei indicati, alla quale, come mi ha riferito il loro insegnante di Lettere, il prof. Natale Righi, lo univa un’amicizia profonda. Aggiungo, sempre dalla stessa fonte, che Rosanna, tendente alla depressione, morì molto giovane, gettandosi dalla finestra a Milano quando frequentava il secondo anno di università (si parlò di probabile assunzione di sostanze stupefacenti). È quanto ho saputo. Altro, mi dicono, potrebbe essere chiesto direttamente ai famigliari. Auspicando di poterLe essere stato utile, La saluto cordialmente. Ferruccio Crotti”»: M. Chiamenti, Scripta (cartacea) manent: varianti autografe in “Altri libertini” di Pier Vittorio Tondelli, art. cit., p. 13.].

Essendo, la dedica, presente in F e FE, sarebbe automatico pensare a un naturale mantenimento di essa in B. In realtà, possediamo due prove che ci indicano con chiarezza che l’autore avrebbe voluto eliminarla definitivamente.

La prima è in una lettera che Tondelli inviò a Christoph Klimke, traduttore tedesco, redatta nel 1990:

Caro Christoph,
(…) Ho ricevuto anche la tua traduzione di Altri libertini. Purtroppo non posso riguardarla come ho fatto con quella francese. Posso però controllare i nomi emiliani e italiani e eventualmente segnalarti imperfezioni, ma così a prima vista mi sembra che tutto sia perfetto. Vorrei però togliere dalla traduzione sia la dedica, sia i “titoli di coda” come ho fatto per l’edizione francese[34. P. V. Tondelli, Opere: romanzi, teatro, racconti, op. cit., p. 1.134.].

Apprendiamo che già dall’edizione francese, risalente al 1987, Tondelli aveva manifestato la volontà di rimuovere la dedica. Inoltre – e questa è la seconda prova –, in FE, con le varianti autografe, l’autore elimina la dedica, biffandola con una riga orizzontale, delle stanghette verticali e una “X” sopra. Ci sembra inequivocabile, in questo caso, come Tondelli volesse ribadire la propria decisione presa quattro anni prima, senza possibili fraintendimenti.

Alla luce di ciò, ci chiediamo come mai Panzeri abbia arbitrariamente deciso di non eliminare quella dedica, pur parlando di rispetto della volontà dell’autore. In tal caso, facciamo fatica a immaginare, infatti, che si tratti di una disattenzione del curatore, il quale non solo ha esaminato FE con le varianti autografe, ma ha persino pubblicato la lettera a Klimke da noi trascritta.

Quel semplice «a Rosanna» mette tutta l’opera sotto il segno di una donna come misteriosa destinataria, fornendo una possibile interpretazione in chiave eterosessuale. In questo caso, la volontà dell’autore è stata tradita irrimediabilmente. Non conosciamo i veri motivi per cui Tondelli volesse togliere la dedica. Supponiamo, però, che intendesse cancellare un fatto privato – troppo privato – da un libro eccessivamente chiacchierato, in cui, affermava lo scrittore: «ho dato molto di me e oggi non ho più voglia»[35. Ibidem.].

Tondelli, in questa come in altre occasioni che abbiamo descritto, ci sembra almeno in parte vittima di chi ha tentato di distorcere la sua memoria, reinventandolo scrittore cattolico, convenzionale e canonico.

Per un Tondelli filologicamente attendibile

Alla luce dei motivi che abbiamo cercato di illustrare nel dettaglio, riteniamo che l’edizione Bompiani, curata da Fulvio Panzeri, non sia un ottimo esempio di filologia d’autore. Oltre alle omissioni di temi importanti nella parte introduttiva e alla mancanza della trascrizione delle varianti nelle Note ai testi, non condividiamo la scelta del curatore di accettare l’ultima revisione dell’autore.

Nonostante le “regole” standard della filologia ci indichino che la procedura adottata da Panzeri, per quanto riguarda le ultime volontà dell’autore, sia corretta, l’analisi approfondita del caso specifico ci suggerisce una via diversa. Crediamo pertanto che, date le condizioni sui generis in cui è avvenuta la revisione, la parzialità della stessa e le circostanze poco chiare di questa “conversione” in extremis, le modifiche approntate dall’autore non possano essere accettate. Esse, inoltre, producono un sostanziale peggioramento della qualità del testo: ne distruggono, in alcuni casi, la mimesi linguistica; ne indeboliscono, in altri, la carica sovversiva, la potenza erotica e grottesca di certe situazioni; e creano una distonia tra i primi due episodi e i restanti quattro.

Azzardando il paragone con Tasso, con la differenza – e l’aggravante – del riesame parziale dell’opera, non ce la sentiremmo di optare per La Gerusalemme Conquistata, ma ci atterremmo alla versione più conosciuta, apprezzata e qualitativamente migliore, nonché più libera da condizionamenti e imperativi esogeni. Al contrario, invece, di quanto deciso da Panzeri, che, secondo la nostra opinione, ha utilizzato la rielaborazione dei primi due capitoli di Altri libertini in senso strumentale alla propria visione dell’autore correggese, imbastendone un’edizione ad usum Delphini.

Eppure, sarebbe bastato leggere le seguenti dichiarazioni dello stesso Tondelli, ancora lucido nel 1985 – che riportiamo dalla stessa Opera omnia curata da Panzeri –, per scoraggiare un’operazione del genere. In merito al distacco che l’autore manifestava nei confronti del suo primo libro, Antonio Orlando, in un’intervista già citata pubblicata su «Rockstar», gli chiese se in quel momento si sentisse, ormai, una persona diversa da quella che, anni prima, aveva scritto Altri libertini. Tondelli rispose in questo modo: «Totalmente diversa. I libri poi quando si finiscono appartengono già a qualcuno che non è più l’autore, appartengono ai lettori, ai critici, forse alla letteratura»[36. P. V. Tondelli, Opere: romanzi, teatro, racconti, op. cit., p. 1.134.].

Per queste ragioni, supportati anche dalle parole dello stesso Tondelli, ci sentiamo di proporre, a chiunque volesse cogliere quest’invito, l’allestimento di una nuova edizione che rispecchi a pieno la volontà dell’autore – e la sua memoria – e rispetti le regole della filologia d’autore.

La versione che prospettiamo si avvicina di più a quella originaria, uscita per Feltrinelli nel 1980, ma non è identica a nessuna di quelle pubblicate finora. Suggeriamo un’edizione che non presenti, coerentemente con le volontà di Tondelli, né la dedica «a Rosanna», né i Titoli di coda, e che riporti il testo della Feltrinelli con l’aggiunta di alcune delle varianti che abbiamo analizzato in precedenza, ovvero di quelle che si limitano unicamente – e oggettivamente – a correggere dei refusi. Ne indichiamo, qui, un elenco, riportando prima la lezione di FE con, accanto, la “nostra”:

  1. (p. 15) “Ok, un’altra volta,” dice alzandosi / “Ok, un’altra volta”, dice alzandosi
  2. (p. 19) Ehi Belin / Ehi belin
  3. (p. 19) va là siediti / va’ là siediti
  4. (p. 26) mi da un cazzotto / mi dà un cazzotto
  5. (p. 28) che da verso un capannone / che dà verso un capannone
  6. (p. 31) E fa qualcosa / E fa’ qualcosa
  7. (p. 37) ci si da appuntamento / ci si dà appuntamento
  8. (p. 42) “(…) sei ammattita?” Ma la Sylvia / “(…) sei ammattita?”. Ma la Sylvia
  9. (p. 53) suemansioni / sue mansioni
  10. (p. 72) il vestibolo che da in un altro stanzino / il vestibolo che dà in un altro stanzino

In aggiunta, data la nostra convinzione che le varianti di uno scritto non possano che arricchirlo, e che, dunque, non ci sia alcun motivo ragionevole per ometterle, prospettiamo una nota al testo in cui si illustrino ampiamente le circostanze della malattia, dell’avvicinamento a posizioni religiose più rigide e della revisione parziale di Altri libertini da parte di Tondelli; questa nota dovrebbe presentare tutte le varianti apportate dall’autore. Andrebbero, invece, esclusi i cambiamenti presenti nell’edizione Bompiani – a parte la correzione di qualche refuso – effettuati autonomamente dal curatore, ovvero:

  • 4: Giusy gli stringe il braccio, “Senti (p. 12) / Giusy gli stringe il braccio: “Senti (p. 7)
  • 30: porcodio guarda (p. 31) / guarda (p. 21)
  • 32: tienmi il braccio diocane che sto cadendo!!! (p. 31) / tienmi il braccio che sto cadendo!!! (p. 21)
  • 33: porcodio che succede alla tua pistola (p. 32) / che succede alla tua pistola (p. 22)
  • 49: gli dò una spallata (p. 82) / gli do una spallata (p. 60)
  • 50: Gran Lombardo (p. 155) / Granlombardo (p. 115)
  • 51: Gran Lombardo (p. 157) / Granlombardo (p. 116)
  • 52: Ma Lei spalanca la boccuccia (p. 186) / Ma lei spalanca là boccuccia (p. 137)

Crediamo con forza che il risultato di tale operazione, qualora la si portasse a compimento, sarebbe un’edizione che garantirebbe un buon risultato sia in termini scientifico-filologici sia in termini di fedeltà ai desideri dell’autore[37. Il saggio rielabora e sintetizza le argomentazioni presentate nella tesi di Laurea magistrale in “Editoria e scrittura” dedicata a Tondelli e ad Altri libertini, discussa nella sessione invernale dell’anno accademico 2014/2015 presso la “Sapienza Università di Roma”.].

(fasc. 10, 25 agosto 2016)

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