Franco Zangrilli: Come nasce il tuo romanzo Panorama?
Tommaso Pincio: Per circa quattro anni ho avuto un rapporto epistolare con una ragazza fuori del comune. Lettrice vorace ma senza particolari ambizioni letterarie, era piena di stranezze e sofferenze ma anche molto affascinante. Vista la straordinarietà del suo carattere, da principio fui sospettoso. Molte delle cose che mi raccontava erano al limite dell’incredibile e pensai che dietro di lei si nascondesse un’altra persona con mire che non mi erano chiare. Col tempo abbassai le difese, e la accettai per come si presentava: una ragazza con gusti letterari molto sofisticati, ma anche molto instabile e indifesa. Ci scrivevamo attraverso un social network.
Panorama ha cominciato a nascere nel momento in cui lei, senza preavviso, ha disattivato il suo profilo. Non avevo altri recapiti. Nessun numero di telefono, nessuna e-mail, nessun indirizzo fisico. Da un giorno all’altro scomparve dalla mia vita e io ho provato un vuoto, un’angoscia inaspettati. Dopo qualche settimana pensai che un modo di elaborare questo insolito lutto fosse quello di scrivere un racconto su di lei ma nel quale io non comparissi. Ho così cominciato a costruire intorno alla sua persona un impianto narrativo che poi ha finito per prendere il sopravvento.
Perché hai scelto un protagonista che diventa famoso facendo il “mestiere di lettore”?
Per varie ragioni. In primo luogo perché la «mia» Ligeia era una lettrice. Poi perché, come ho già detto, volevo restare ai margini del racconto. Avevo tuttavia bisogno di un personaggio che prendesse il mio posto. In un primo momento ho pensato che Ottavio Tondi potesse essere un critico, ma in corso d’opera ha preso forma la figura del lettore professionista, anzi del lettore puro. È il mestiere impossibile. Il più irrealizzabile dei sogni e dunque anche il più bello. Leggere per mestiere non si può. Leggere soltanto, voglio dire. La lettura o è un passatempo (e in questo caso non è mestiere perché nessuno ti paga) o implica attività collaterali quali lo studio, l’insegnamento, la scrittura di recensioni, cessando di essere pura lettura. La lettura pura è una forma di beatitudine, una condizione simile alla santità ed è in questi termini che ho inteso il personaggio di Tondi: un santo seppure fallito.
L’azione di questo protagonista vuole sottolineare che nella vita si vive per qualcosa o per qualcuno?
Per Ottavio Tondi, la lettura è, prima che un piacere, un atto di ribellione al padre, personaggio antitetico, materialista ai limiti della malvivenza, un commercialista per il quale la sola forma di evasione concepibile è quella fiscale. Diciamo che Ottavio legge perché non vuole diventare come suo padre e non a caso la sua passione per i libri incontra una traumatica battuta di arresto proprio quando ormai questa sua pulsione a uccidere la figura paterna comincia a scemare.
Pare che con questo lettore eccentrico tu ti diverta a mettere in ridicolo e a fare la satira del mondo postmoderno in cui non si legge, e se si legge si legge male e poco, e in cui prevale una cultura del pensiero leggero. Sei d’accordo?
La letteratura alla quale siamo abituati è destinata a diventare sempre più irrilevante. Che i lettori siano pochi è in fin dei conti un problema minore. Rispetto alla massa dei non lettori, i lettori erano pochi anche quando si leggeva molto. Il nocciolo del problema è che la massa dei non lettori ha conquistato un rilevanza culturale che in passato non aveva. È questo ad aver cambiato il quadro. La letteratura non scomparirà, se per letteratura intendiamo il bisogno umano di nutrirsi delle parole e delle storie dei propri simili. È però destinata a una profonda mutazione. Nel mio libro metto in scena la marginalità della vecchia letteratura, quella con la quale siamo cresciuti e che non possiamo non amare, nonostante le sue piccolezze e certi riti ridicoli. Non so se definirlo una satira. Di sicuro è un racconto crepuscolare. Diciamo che forse è una satira del tramonto.
In quest’opera il processo della lettura è una metafora del processo della scrittura e dell’arte in generale?
Non mi pare. La lettura è il simbolo di una condizione che abbiamo perduto, quella dello spettatore, della persona che accetta di restare al di qua del linguaggio e della rappresentazione. Il lettore è come il visitatore che osserva un quadro in un museo o la persona che va al cinema per vedere un film. Nel nostro tempo, la condizione (per me ideale) dello spettatore è in crisi. Grazie ai social network (e non soltanto a essi), le persone possono vivere nell’illusione di essere protagonisti non per il quarto d’ora di warholiana memoria, ma ogni qualvolta ne abbiano voglia. Tutti si sentono in diritto, anzi in dovere di esprimere un’opinione arguta od originale sulle questioni più disparate, spaziando dallo sport alla politica, dalla letteratura al cinema. Sono tutti critici e commentatori. Viviamo nell’epoca dell’opinionismo di massa.
Fino a che punto qui attingi ai dati reali e quanto a quelli personali?
L’esperienza personale costituisce il dato di partenza di ogni mio libro, e non potrebbe essere altrimenti. Dopodiché quanto sopravvive di quell’esperienza e quanto viene trasfigurato in corso di scrittura non è ponderabile, e soprattutto non voglio ponderarlo. Non più di tanto, almeno. Per come li intendo io, i dati reali riguardano il presente e il passato, ma la scrittura è il futuro. Riguardo al domani possiamo fare progetti che attingono a quel che abbiamo e siamo nel presente, ma il futuro resta comunque un’incognita. In ogni caso ciò che davvero conta non sono mai i dati reali in sé ma l’aspetto da essi assunto. Come ho detto, Panorama è scaturito da una corrispondenza molto simile a quella tra Ottavio Tondi e Ligeia Tissot, ma questo scambio di missive assume nel libro una dimensione così diversa dalla mia esperienza personale che non ha senso per me individuare rapporti e proporzioni, capire quanto ci sia di vero. Il libro è un mondo a sé né più né meno come un figlio è un individuo compiuto e non un assemblaggio dei genitori, per quanta influenza questi possano aver esercitato su di lui.
Nella tua scrittura per la prima volta l’universo di internet occupa uno spazio cospicuo. Come mai?
È cambiato il mondo. Quando scrissi i miei romanzi precedenti, internet non era invasivo come lo è adesso, e i suoi effetti sui comportamenti delle persone non erano altrettanto importanti ed evidenti. La connessione occupa uno spazio enorme nelle nostre esistenze. Se vuoi parlare dell’umanità di oggi, non puoi non tener conto che è un’umanità connessa. L’essenza dell’essere umano è rimasta la stessa, ma i codici culturali sono radicalmente mutati ed è di questo che si occupa un romanziere: codici e comportamenti. Non fare i conti con una realtà di queste proporzioni sarebbe innaturale per me.
La rete, secondo te, è un dio che arricchisce o indebolisce l’esistenza dell’uomo? Non è un dio che pensa anche per lui?
Sarei tentato di dire che è una questione oziosa. La rete ci rende più stupidi o più liberi? È impensabile che un mezzo di tale potenza e pervasività non comporti pericoli. Similmente è poco credibile che l’umanità sia tanto saggia da non correrli. È nella nostra natura di specie: non impariamo dagli errori commessi, figurarsi se traiamo insegnamento da quelli che potremmo commettere. Quando abbiamo a disposizione una cosa, la usiamo, come è successo a Hiroshima e Nagasaki. Non c’era bisogno di sganciare la bomba per scoprire che sarebbe stata un’ecatombe. Lo si sapeva già, ma fu sganciata lo stesso. Per certi versi, la rete è un organismo più incontrollabile dell’energia atomica. Penso tuttavia che valga sempre il vecchio detto: tutto ciò che non uccide fortifica. Speriamo dunque di sopravvivere fortificati.
La donna che Ottavio Tondi cerca di raggiungere attraverso i canali della rete rimane sempre un fantasma ora visibile ora invisibile. Come mai in Pincio non c’è quasi mai un rapporto d’amore felice?
Parlare di amore felice, nel caso di Ottavio Tondi, mi sembra un bel salto interpretativo rispetto agli eventi narrati. L’amore, più che infelice, è assente, e non soltanto perché Ligeia si manifesta in una dimensione incorporea e forse anche ingannevole. È assente soprattutto perché Tondi è incapace di amare, e questo suo limite emerge con chiarezza nel rapporto con la escort Maddalena, che si sforza di instaurare con Ottavio un rapporto più profondo dell’amore mercenario, incontrando però un muro fatto di inettitudine sentimentale e paura di vivere.
La Ligeia di Tondi è ovviamente la riscrittura in chiave postmoderna di quella di Poe. Cosa rappresenta per Pincio uno scrittore fantastico come Poe o come Kafka?
Entrambi hanno modellato il mondo in cui viviamo o, per meglio dire, ci hanno fornito una chiave di accesso alla sua rappresentazione. Volendo sottilizzare, l’importanza maggiore di Poe non consiste nel suo lato fantastico, ma nel modo in cui, da giornalista, si è accorto prima di altri dell’avvento di una civiltà di massa. Può sembrare blasfemo, ma Poe è stato il primo artista pop, l’anticipatore di Warhol. Quanto a Kafka, per il quale nutro una devozione sconfinata, non vorrei dire un’eresia, ma lo considero fantastico soltanto perché è un grande scrittore comico.
(fasc. 10, 25 agosto 2016)