38.
Con bianche stelle di gesso pentagonali
dipinte sulle orbite,
cantavano spaurite e come in bilico.
E un albero triangolo, tutto azzurro, girava,
sospeso a un filo.
E la giovinezza porgeva i teneri palmi,
e la vecchiezza inghiottiva le lacrime.
Cantavano meste kolende polacche,
lunghe dita-candele cantavano,
lunghi occhi sgomenti, baccelli di labbra,
spallucce attònite, ignare del male,
soffiava il vento quella sera, era sabato,
un gelido vento arrogante, boreale.
Da A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio (Einaudi 1969)
Era il dicembre del 1968. Come ogni anno, l’Istituto di Filologia Slava dell’Università “La Sapienza aveva” organizzato una festa prenatalizia a cui partecipava tutto l’Istituto: professori, allievi, la mitica bidella Marcella e la bibliotecaria Cassia Papić. Noi studenti recitavamo poesie, scene e sketch teatrali, leggevamo brani di prosa nelle varie lingue slave.
Ripellino amava molto queste festicciole accademico-natalizie, durante le quali, nei primi anni, gli studenti erano soliti addirittura fargli dei regali. Lui ricambiava la loro dedizione con giudizi entusiastici. Ha ricordato la moglie Ela: «non faceva che vantare le studentesse del suo istituto, parlandoci sempre a tavola, e con enfasi, direi per lo meno sproporzionata, della loro bravura e straordinaria intelligenza»[1].
Quell’anno eravamo solo in tre iscritte al corso di Lingua e letteratura polacca e la nostra lettrice, Irena Mamczarz, convinse me, Alberta e Diana di Biase a cantare alcune kolende, canti natalizi polacchi, del tipo Tu scendi dalle stelle e Adeste fideles. Avremmo dovuto tenere in mano una bacchetta con in cima una stella. Ho detto «ci convinse» perché eravamo molto timide, impacciate, restie a parlare in pubblico, figuriamoci a cantare!
Il Professor Ripellino nei suoi versi descrive splendidamente la nostra emozione e il nostro imbarazzo. Le stelle, invece di metterle sulle bacchette, le avevamo dipinte di bianco intorno agli occhi e, poiché l’emozione era grande, per non dimenticare il testo, lo avevamo scritto su foglietti di carta bianchi, lunghi e stretti, che tenevamo in mano come fossero bacchette. Erano venuti dei nostri amici e tutti ci applaudirono con grande entusiasmo alla fine del canto. Era presenta anche il Professor Giovanni Maver, il grande filologo slavo ormai in pensione, che non trattenne le lacrime perché le nostre kolende gli avevano fatto tornare in mente la sua giovinezza trascorsa in Polonia.
Al soffitto era sospeso a un filo un albero di Natale tutto azzurro, costruito con due triangoli di compensato incastrati fra loro, con dei buchi tondi di diversa grandezza, come fossero decorazioni natalizie. Lo aveva realizzato il nostro amico Alessandro Cogliati Dezza, che in seguito è diventato il marito di Alberta.
Era una gelida sera d’inverno.
- E. Hlochova, Variazioni su un tema grigio, Padova, Rebellato, 1972, p. 67. ↑
(fasc. 50, 31 dicembre 2023)