La tradizione italiana dell'”haiku” in un calendario poetico contemporaneo

Author di Maria Panetta

Come ben sanno gli appassionati del genere, l’haiku è un componimento poetico nato in Giappone, che si è sviluppato in particolare nel cosiddetto Periodo Edo (1603-1868), a partire dal Seicento: allora, il genere era adoperato soprattutto per descrivere la natura e gli eventi umani direttamente connessi al ciclo delle stagioni.

Generalmente, è composto da tre versi e consta di diciassette cosiddette “more” (cosa diversa dalle nostre sillabe), secondo lo schema 5/7/5, ma alcuni maestri sia giapponesi sia italiani hanno preferito, nel tempo, adottare uno schema più libero: ad esempio, hanno aderito alla “scuola del verso libero” i maestri giapponesi Hekigodo, Hosai e Hosha, ma anche il nostro Ungaretti.

In Italia, come ben sappiamo, l’interesse per la cultura giapponese risale alla fine dell’Ottocento, anche se una delle prime raccolte di poesie giapponesi tradotte (intitolata Note di Samisen) apparve nel 1915 (non a caso) per Carabba (editore abruzzese notoriamente aperto alle suggestioni provenienti dall’Oriente, specie nelle sue fortunate collane fondate da Papini), ad opera di Mario Chini (1876-1959), autore, a sua volta, di haiku, editi postumi a Roma nel 1961 (Attimi).

Una rivista come la purista «La Ronda» ovviamente non poteva apprezzare un tipo di poesia simile e nel 1921 vi comparvero critiche alla moda “Hai-kai” giapponese che si stava diffondendo in Europa, specie in Francia e in Spagna; negli anni successivi, invece, i futuristi – come è comprensibile ˗ lodarono l’immediatezza e la velocità dello stile haiku.

Il giovane d’Annunzio aveva pubblicato, già tra il 1885 e il 1890, dei versi che si rifacevano alla metrica giapponese tanka di 31 more (5-7-5-7-7); per esempio, l’haiku dal titolo Outa Occidentale: «Guarda la Luna/ tra li alberi fioriti;/ e par che inviti/ ad amar sotto i miti/ incanti ch’ella aduna.// Veggo da i lidi/ selvagge gru passare/ con lunghi gridi/ in vol triangolare/ su ‘l grande occhio lunare».

Arrivando al citato Ungaretti, anche alcune poesie del suo primo Ermetismo (come Notte di maggio, Tramonto, Universo, Soldati etc.) sembrano rifarsi allo stile haiku: in particolare, certa critica ha notato le differenze fra la metrica di quelle edite nel 1915 sulla futurista «Lacerba» e quella dei versi usciti nel 1916 su «La Diana», rivista sulla quale proprio in quel periodo apparvero anche delle poesie giapponesi di Harukichi Shimoi, amico di d’Annunzio. La forma dell’haiku si ritrova, infatti, in varie poesie e strofe del biennio 1916-1917, prevalentemente nella forma 7-5-7: tali versi, com’è noto, sono inclusi nella silloge L’Allegria, legata all’esperienza della guerra di trincea e al senso di precarietà da essa innescato[1. Alcuni studiosi ritengono anche Ed è subito sera di Quasimodo un esempio di haiku, sebbene le differenze di poetica siano marcate; anche Saba si può annoverare tra i poeti del nostro Novecento forse influenzati da questo stile, specie per quanto concerne alcune poesie composte durante la guerra, tra il 1915 e il 1918. Da non dimenticare la raccolta bilingue (inglese/italiano) di 91 pseudo-haiku di Zanzotto dal titolo Haiku. For a season/per una stagione, la cui stesura risale alla metà degli anni Ottanta (ed. Chicago, University Of Chicago Press, 2012); e le poesie haiku di Sanguineti, comparse nelle raccolte Mikrokosmos. Poesie 1951-2004 (Milano, Feltrinelli, 2006) e Corollario: (poesie 1992-1996) (Milano, Feltrinelli, 1997). Anche Franco Battiato ha intitolato un brano Haiku, l’ultimo dell’album Caffè de la paix del 1993.].

Antonio Contoli (in arte Fiorenero) mi pare si attenga costantemente allo schema tradizionale 5/7/5, il che, in un’ipotetica lettura consequenziale dei suoi haiku, gli permette di ottenere un effetto complessivo a mo’ di nenia, che pure esercita la propria fascinazione sul lettore: volendo – mi si passi il paragone -, potremmo anche considerare ogni haiku come una sorta di grano di un rosario, in una recita che assume un carattere quasi litanico, come quella di un rito. Anche uno degli haiku più intensi conforta in tale interpretazione: «come radici/ le dita delle mani/ strette in preghiera»[2. Fiorenero, CalendHaiku, Roma, La Ruota edizioni, 2018, p. 60.] (18 febbraio); e Contoli stesso suggerisce il ritmo della «cantilena»[3. Ivi, p. 67.] associato al mare d’inverno, nell’haiku del 24 febbraio (senza contare che varie sono le poesie dedicate all’atto del pregare, nel libro).

D’altro canto, l’idea del Calendario che prevede un haiku per ogni giorno dell’anno può, in qualche modo, essere ricondotta alla forma del breviario. E l’analogia non mi appare peregrina, dato che, come si dirà meglio in seguito, c’è una forte connessione fra la poesia degli haiku e, ad esempio, la filosofia buddista. Così come è forte il nesso tra la ciclicità delle stagioni dell’anno e l’idea del calendario, che insieme evocano una temporalità circolare e non lineare, e dunque al di fuori della Storia, che pone il lettore di haiku in una dimensione quasi atemporale.

Il termine “haiku” risale al XIX secolo ed è stato coniato dallo scrittore giapponese Masaoka Shiki (1867-1902): prima si chiamava hokku, ossia ‘strofa d’esordio’, perché probabilmente consisteva nella prima strofa, appunto lo hokku, di un renga, un componimento poetico a più mani.

L’haiku ha rappresentato per secoli una forma di poesia popolare, grazie alle sue doti di immediatezza e di apparente semplicità: non ha titolo e non è caratterizzata da artifici retorici; pertanto, era diffusa davvero in tutte le classi sociali. Richiede, di certo, il dono della sintesi e la capacità di condensare in un’immagine o in un pensiero una scena naturale, nell’hic et nunc: tale asciuttezza permette al lettore di vagare mentalmente sull’onda di quella suggestione iniziale e di completarne il senso a suo piacimento.

In ogni haiku è presente un riferimento stagionale (il cosiddetto kigo o ‘parola della stagione’), che costituisce il tema principale e il cuore del componimento, ed è rappresentato da un animale, da una pianta, da un luogo o da un evento tradizionale. In tal senso, la raccolta di Contoli mi pare abbia il doppio pregio di essere, sì, rispettosa della tradizione, ma anche d’inserire degli spunti di novità: in primo luogo, mi sembra che, nonostante la presenza di numerosi elementi naturali, i suoi haiku si adattino giustamente a un contesto che comprende la natura ma non si limita solo a quella; il suo sguardo si allarga, infatti, a rappresentare a tutto tondo l’ambiente in cui oggi viviamo, condensando situazioni e atteggiamenti in piccoli squarci di realtà, in lampi fulminanti che, di volta in volta, illuminano dettagli dai quali risalire a dinamiche più generali.

Il moto prevalente, infatti, mi pare proprio quello tipico del metodo induttivo, che trae spunto dai dettagli e da essi si solleva a evocare problematiche od orizzonti molto più complessi. Viaggiamo spesso, con i suoi haiku, dal Particolare all’Universale. Qualche esempio: «volti sbiaditi,/ figli del nostro tempo ˗/ infreddoliti»[4. Fiorenero, CalendHaiku, Roma, La Ruota Edizioni, 2017, p. 20.] (11 gennaio); oppure il vivace «giovane legna…/ scoppietta ma non scalda ˗/ solo un gran fumo»[5. Ivi, p. 23.] (14 gennaio); «cielo di marmo – un aereo percorre/ rotte scontate» (16 gennaio), ove è da notare la voluta ambiguità di quell’aggettivo, «scontate», che può essere interpretato in due modi e che comunque riconduce al mondo di oggi e alle sue consuetudini; infine, «bianche lenzuola,/ lasciate stese al sole/sembrano vele»[6. Ivi, p. 103.] (30 marzo).

Ci sono, però, anche molti haiku che procedono in direzione opposta, dall’Universale al Particolare, dall’asserzione agli argumenta: ad esempio, il suggestivo «tempi moderni ˗/ chiude il vecchio teatro,/ apre un discount»[7. Ivi, p. 11.] (3 gennaio), omaggio a Chaplin.

Qua e là affiorano anche riferimenti più o meno espliciti alla tradizione letteraria: ad esempio, la francescana e leopardiana “sorella luna” si adegua alla contemporaneità divenendo «la superluna»[8. Ivi, p. 10.] (2 gennaio); decisamente ispirato all’Ungaretti di Soldati è «da un ramo secco/ l’ultima delle foglie/ dondola piano»[9. Ivi, p. 12.] (4 gennaio); mi ha ricordato l’indovinello della Sfinge[10. Ad es., in Pseudo-Apollodoro: «Chi, pur avendo una sola voce, si trasforma in quadrupede, bipede e tripede?».], risolto da Edipo, l’haiku «conta tre passi,/ sulla strada innevata ˗/ l’uomo e il bastone»[11. Fiorenero, CalendHaiku, op. cit., p. 31.] (22 gennaio); un omaggio a Shakespeare è senz’altro «mi sveglia un tuono/ dal sogno di una notte/ di fine estate»[12. Ivi, p. 289.] (21 settembre); forse a Steinbeck «allagamenti ˗/ uomini e topi scappano/ dalle cantine»[13. Ivi, p. 316.] (16 ottobre); di certo a Lewis Carroll «febbri autunnali ˗/ Alice e il Bianconiglio/ restano a casa»[14. Ivi, p. 317.] (17 ottobre).

Alcune poesie sono strettamente connesse al giorno nel quale compaiono: ad esempio, quella sull’Epifania[15. Cfr. p. 14.], quelle del 27 gennaio («ancora partono/ i treni verso Auschwitz ˗/ per ricordare…»)[16. Ivi, p. 36.], del 14 febbraio[17. Ivi, p. 56.], dell’8 marzo[18. Cfr. p. 80.], del «pesce d’aprile»[19. Ivi, p. 105.], del 1° maggio[20. Cfr. p. 137.], del 10 e 15 agosto[21. Cfr. le pp. 245 e 250.], del 24 e 25 dicembre[22. Cfr. le pp. 389-90.]. Altre rimandano delicatamente a stagioni passate: «era d’autunno ˗/ farina di castagne,/ sotto le bombe»[23. Ivi, p. 319.] (19 ottobre). Ma, aldilà delle date più significative del calendario, tutto il volume è concepito per riprodurre realmente l’andamento delle stagioni in relazione al volgere delle pagine.

Altri haiku ci riconducono all’oggi e, in particolare, con un sorriso, alla realtà locale: «strade di Roma ˗/ i coriandoli coprono/ un grosso buco»[24. Ivi, p. 52.] (10 febbraio); oppure, con un velo di ironia, a contesti urbanizzati («di fronte all’uscio,/ l’ortica e la gramigna ˗/ le portinaie»[25. Ivi, p. 173.], del 4 giugno) o alle dinamiche di coppia della contemporaneità: «bisticciavamo/ per il telecomando/ e poi… dormivi»[26. Ivi, p. 98.] (26 marzo).

Nella poesia haiku tutti gli elementi sono ricondotti a unità attraverso il sentimento dell’armonia della natura, nonostante i versi debbano presentare almeno un kireji (‘parola che taglia’), ossia una cesura, un rovesciamento che può essere talora sottolineato dalla presenza di un trattino, di una virgola, di un punto ecc. Il kireji ha la funzione di segnalare al lettore un salto logico (kiru) o un capovolgimento di significato che può avvenire in qualsiasi posizione della poesia, ma la tradizione poetica risalente allo hokku vuole che tale stacco venga preferibilmente collocato al termine del primo o del secondo verso.

Contoli ama sottolineare questo salto con un trattino lungo, che a volte fa quasi le veci dei due punti (come in «cena romana ˗/ pasta alla carbonara,/ polpette e vino»[27. Ivi, p. 37.], del 28 gennaio; oppure nello splendido «la campanella ˗/ lungo il viale alberato,/ cartelle in fuga»[28. Ivi, p. 85.], del 13 marzo), ma spesso segue proprio la tradizione del kiru giapponese: molto suggestivo è «sole malato ˗/ un bimbo abbraccia il nonno,/ dopo la scuola»[29. Ivi, p. 49.] (7 febbraio), in cui vi è un vero e proprio salto semantico, ma comunque, per contrasto, riusciamo a veder brillare la gioia del bambino che all’uscita dalla scuola vede il nonno ad aspettarlo, in contrapposizione al pallore del cielo non rischiarato appieno dal sole offuscato o spento dalla presenza di nuvole. Da ricordare anche il dittico “speculare”, ad apertura di libro: «lungo i tralicci,/ rondini temerarie ˗/ figli ribelli»[30. Ivi, p. 82.] (10 marzo) e «fiori sui rami ˗/ il vento non si cura/ della bellezza»[31. Ivi, p. 83.] (11 marzo). Infine, illuminante il netto contrasto presente in «la conferenza/ procede tra alti e bassi ˗/ fuori c’è il sole»[32. Ivi, p. 117.] (12 aprile).

Proprio il rovesciamento semantico offre la misura dell’abilità del poeta, che dimostra di saper mettere in relazione concetti e immagini che apparirebbero distanti: nella tradizione letteraria giapponese rappresenta la capacità di rinnovamento e soprattutto di innovazione, per cui la vita riesce sempre a generare nuove soluzioni.

Come in ogni poesia che si rispetti, anche il salto creativo che contraddistingue l’haiku è frutto di labor limae. Contoli non è digiuno di artifici retorici, sebbene il loro uso sia molto parco e rispetti la linearità formale della tradizione degli haiku: possiamo citare l’anticipazione dell’oggetto in «del caffè amaro/ bevo per addolcire/ la mia giornata»[33. Ivi, p. 61.] (19 febbraio); il voluto contrasto tra la fissità dell’aggettivo iniziale e il dinamismo del moto finale in «inaspettata/ domenica di sole/ in bicicletta»[34. Ivi, p. 68.] (25 febbraio); il gioco di parole in «alla fermata,/ una ragazza incinta ˗/ duplice attesa»[35. Ivi, p. 76.] (4 marzo); ma pure l’omissione del soggetto, che è però implicito, in «anche da sola,/ può fare primavera ˗/ sguardo di bimbo»[36. Ivi, p. 89.] (17 marzo). Ancora: i rimandi fonici in «sopra le tegole,/ la pioggia batte a macchina ˗/ mattina presto»[37. Ivi, p. 115.] (10 aprile) e soprattutto in «sull’uscio lascio/ l’asciugamano a strisce/ ad asciugare»[38. Ivi, p. 229.] (26 luglio). Interessante anche la velata allusione al concetto stesso di finzione in «fiori di carta ˗/ l’algida perfezione/ inganna l’ape»[39. Ivi, p. 146.] (9 maggio), laddove il lettore europeo forse non può non pensare a Petrarca, al miele, alle api e alla metafora rinascimentale dell’imitazione, sì, ma anche alla raffinata arte dell’origami.

In genere, la creazione poetica dovrebbe aver origine da un evento casuale, in qualche modo perturbante, che ha una valenza affettiva per il poeta. E nell’haiku egli si dovrebbe servire delle immagini naturali per fissare sulla carta uno stato d’animo. Com’è noto, alcune discipline occidentali, come la psicologia e la psicoanalisi, si sono accostate, nel tempo, al buddhismo e hanno cercato di imparare e adottare pratiche orientali come la meditazione zen. Nella composizione di haiku si trae ispirazione dalle emozioni e dal vissuto esistenziale; questo tipo di poesia, di fatto, tenta di esprimere a parole proprio il processo di raggiungimento dell’illuminazione buddistica.

Il libro di Fiorenero, a parte tali sottili rimandi filosofici, ha anche vari altri pregi: oltre alla carta, alla rilegatura, all’eleganza del formato quadrato (che ne fa un raffinato oggetto letterario da arredamento) e alla splendida copertina rigida nera a cura di Paola Catozza, in perfetto stile giapponese; oltre alle suggestive illustrazioni dei talentuosi Stefano Signorotti, Luca Esposito e Francesca Paiocchi, l’accurata impaginazione (al riguardo, la giovane ma promettente casa editrice romana La Ruota Edizioni, di Maristella Occhionero e dello stesso Contoli, non ha badato a spese) permette persino un uso “ludico” del volume, che può essere adoperato come un I Ching, il Libro dei mutamenti cinese, per trarne auspici sul futuro o interpretazioni del passato; oppure, come una sorta di “Libro dei compleanni”.

E, dunque, proprio a tale proposito chiudo con un ringraziamento all’Autore. Perché, al “mio” giorno, ho trovato, con grande gioia: «lungo le strade,/ da Rio fino a Venezia/ mille colori»[40. Ivi, p. 55. Si propone, riadattato, il testo della Presentazione del libro avvenuta mercoledì 11 aprile 2018 presso la libreria “Notebook” dell’Auditorium di Roma.].

(fasc. 20, 25 aprile 2018)