“Siciliani ultimi?” Risposta a Maria Panetta

Author di Giuseppe Traina

Cara Maria,
approfitto dell’ospitalità che mi offri per una breve postilla alla bella recensione che hai gentilmente (e generosamente) dedicato al mio Siciliani ultimi? sul numero 2 di «Diacritica».

C’è, innanzitutto, una duplice domanda che tu poni e alla quale non vorrei sfuggire. Scrivi: «Ci si chiede, allora, se la voluta ambiguità del titolo alluda agli ultimi tre grandi siciliani, legati alla tradizione letteraria isolana e uniti da legami di amicizia e dalla partecipazione a comuni progetti editoriali, oppure si riferisca proprio agli scrittori della contemporaneità, «ultimi» nel senso di “più recenti” ma non per questo privi di una rilevanza nel panorama siciliano, nazionale e internazionale. Di conseguenza, non ci si può esimere dal domandarsi anche se gli “ultimi siciliani” abbiano perduto, secondo il parere del critico loro conterraneo, le caratteristiche peculiari comuni a quella “linea siciliana” della tradizione letteraria nazionale».

L’idea che volevo sviluppare nel libro era, in sintesi, questa: Sciascia, Bufalino e Consolo sono senz’altro gli ultimi scrittori siciliani assimilabili in toto a una grande tradizione; i loro successori stanno “oltre”, con un piede nel passato (alcuni di loro proprio guardando al modello di questi tre scrittori, o di almeno uno fra loro) e con un altro nel presente, inevitabilmente proiettandosi nel futuro: della Sicilia, dell’Italia. E dunque conservando alcune di quelle caratteristiche peculiari ma anche riuscendo a fare a meno di altre, nel confronto (a volte implicito, a volte esplicito) con le tante mutazioni in atto.

Quello che però mi premeva soprattutto sottolineare è che l’operazione di inevitabile “aggiornamento” tematico, stilistico e prospettico viene condotta, dagli scrittori del XXI secolo (anche quando si trovano ad avere esordito nello scorcio del ventesimo), senza nostalgia per quel passato glorioso. Non soltanto perché le condizioni “strutturali” di vita dello scrittore siciliano – e soprattutto dello scrittore in Sicilia – sono oggi radicalmente diverse da quelle in cui hanno vissuto e operato quei tre maestri del Novecento (basti pensare al grande mutamento sociale che ha fatto della Sicilia, storicamente terra d’emigrazione, una terra di immigrazione); ma perché oggi è anche cambiata, in generale, la condizione del letterato, che in Sciascia, Bufalino e Consolo coincideva ancora con quella del letterato umanista (nonostante una curvatura “tardo moderna” che in Bufalino, talvolta, sfiora la postmodernità): un letterato umanista di cui oggi si faticherebbe a trovare traccia, se non in versioni rivedute e corrette ben poco credibili e aduse, per l’appunto, a rimpianti e nostalgie. Che non mi pare di cogliere, però, nei più interessanti tra gli scrittori siciliani di oggi, proprio quelli in cui la Sicilia non si riduce soltanto ad «arido stereotipo» (cito ancora tue parole) ma diventa un crogiuolo di stimolanti novità, da non eludere e da provare a restituire sulla pagina nella loro dimensione sociale e antropologica.

Rimpianti e nostalgie che, si parva licet, non appartengono neppure a me (che, pure, ho tanto amato e studiato Sciascia, Bufalino e Consolo; e li amo e li studio tuttora), quando provo a interpretare le opere di questi nuovi scrittori: ma, a tal proposito, le mie intenzioni devono essere rimaste assai distanti dalla resa oggettiva, forse per troppo amore dell’implicito che si tramuta, come giustamente mi obietti, in parole sibilline, quando ho provato ad evocare la necessità di non avere pregiudizi nell’affrontare scrittori nuovi e scritture nuove. Quei pregiudizi, venati di rimpianto e di nostalgia, che troppo spesso appartengono al nostro mestiere di studiosi, quando ci poniamo di fronte a una contemporaneità che è, sì, difficilissima da interpretare ma che, proprio per questo, pone sfide sempre nuove e stimolanti e che non condurranno necessariamente all’esaltazione di magnifiche sorti e progressive; ma che non potranno essere raccolte se ci asserragliamo nella prospettiva degli ultimi gattopardi o leoni che si sentono assediati o scavalcati da iene o sciacalli.

Giusto per usare, ancora una volta, gloriose metafore d’origine siciliana.

(fasc. 5, 25 ottobre 2015)