L’ultima edizione del premio Brancati di Zafferana ha premiato la scrittrice calatina Maria Attanasio, autrice di romanzi, racconti, raccolte poetiche, scritti saggistici e di un libro fotografico illustrato dagli scatti di Giuseppe Leone, un raffinato iconotesto1 il cui sottotitolo rivela una chiara ispirazione sciasciana: Il divino e il meraviglioso. Feste religiose di Sicilia2.
L’opera della Attanasio, che ha dato alle stampe per i tipi Sellerio romanzi brevi come Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile3, il fortunato Di Concetta e le sue donne4 e Il falsario di Caltagirone5, è per certi versi vicina alla formula delle cronachette sciasciane, che la scrittrice ha ribattezzato piccole cronache. Nei suoi racconti e nei suoi romanzi sono centrali i problemi della memoria, dell’archivio, del documento e dunque della ri-scrittura. Ed è nella in-scrizione delle esistenze passate, nell’intersecarsi della microstoria individuale e della macrostoria collettiva che l’autrice si propone di indagare il segreto dell’identità, concentrandosi su vicende esemplari di alterità e marginalità6.
Naturalmente l’operazione memoriale della Attanasio è favorita dalla complectio e dalla stratificazione storica delle città siciliane: la nativa Caltagirone, spesso presente nei suoi romanzi o facilmente riconoscibile dietro lo pseudonimo di Calacte, con l’antico tessuto multiculturale dei quartieri ebraico, arabo, genovese, francese e spagnolo, si fa vero e proprio specchio e concrezione sineddochica del mondo mediterraneo. Non a caso l’amico Vincenzo Consolo, in L’olivo e l’olivastro, narrando in terza persona l’attraversamento della Sicilia contemporanea, ha identificato la scrittrice col suo antico paese di tufo e architetture barocche, rappresentandola, secondo l’antica metafora del textus, come una Penelope intenta a tessere la propria narrazione:
Sale alla contrada Sfera, alla via del Re, alla casa solitaria di Maria. L’amica è seduta al computer come una Mena o una Penelope al telaio, tesse una storia tenera e tremenda, la vicenda secentesca della bella e giovane Francisca che, rimasta vedova, povera, si maschera da uomo, si trasforma in bracciante per lavorare come gli uomini in campagna. (…) Davanti alla casa di Maria, al suo giardino sopra il poggio, si dispiega lo scenario tufaceo del paese fitto di case e palazzi, scandito dai cento campanili delle chiese, delle moli dei conventi, del Seminario, del Carcere, del Collegio, nella guglia e nella croce della Matrice7.
Il problema della memoria è variamente affrontato dalla Attanasio. La scena più movimentata del racconto Delle fiamme, dell’amore è il salvataggio delle carte dell’archivio cittadino, dove «sottratta ai capricci del volubile presente la vita diveniva memorabile cronologia, scrittura che congiungeva al futuro eventi passati e generazioni: senza quei segni minuti e fitti su carte e pergamene ‒ memoria e storia, stabilità di nome e certezza d’esistenza ‒ la città, smemorata, sarebbe caduta in un confuso presente, e i cittadini, senza appartenenza, confusi a fiere erranti nelle campagne, ad anonime api in alveare»8. Nelle pagine incipitarie di Correva l’anno 1698 ci si imbatte in un elogio della scrittura dei cronisti, «quei “commoventi ricercatori di glorie civiche” ‒ così li definiva Benedetto Croce, che ne sottolineava la pazienza e l’utilità ‒ nel cui lavoro, oscuro e senza gloria, macrocosmo e microcosmo, individuo e collettivo coincidono, tra le venature delle civiche narrazioni talvolta risuonando l’eco di un quotidiano rimosso dall’ordinata sequenza dei destini generali»9. In Della città dell’argilla lo scrittore è assimilato al Matto dei Tarocchi, al viandante, all’utopista, al diverso, mentre il problema della temporalità assume connotazioni heideggeriane: «Cammina in uno spazio indefinito: il senso del suo andare è nello stesso andare, in quell’approssimarsi senza mai giungere di cui parla Heidegger, analizzando l’immagine del viandante di una poesia di G. Trakl. (…) “Il tempo vero” scrive Heidegger “è l’avvento di ciò che è stato”. Ritornare alle forme archetipiche plasmate nella terracotta ‒ e da lì consapevolmente ripartire verso il presente ‒ fu per il viaggiatore l’unica possibilità di ricominciamento nell’indifferenziato di una globalizzata contemporaneità»10.
La memoria da contrapporre all’indifferenziato e alla contemporaneità omologante anima il lavoro della Attanasio. Senza che il passato assuma un valore nettamente oppositivo al presente, come avviene nel Consolo “poematico”, dove il motivo della rovina, ancora contenuto entro la mimesi stilistica della letteratura settecentesca in Retablo, si fa metafora sempre più evidente dello smarrimento contemporaneo in L’olivo e l’olivastro o Lo Spasimo di Palermo. Alla descrizione per ruinas del presente, complice magari la rilettura di The Wast Land di Eliot, la Attanasio preferisce il recupero di storie esemplari di differenza di genere, politica, artistica o di preferenza sessuale. Come ha affermato Foucault, non esiste un archivio neutrale poiché ogni documento è sottoposto a una censura preventiva e, come ha affermato Derrida, ogni attività archivistica è anche cristallizzazione, pulsione di morte e dunque archiviolitica11. In questo senso il contenuto d’archivio che viene salvato presuppone una consapevole selezione da parte della scrittrice, mentre il polveroso documento è fatto rivivere nella fictio letteraria, «attraverso la deliberata, lucida infedeltà della scrittura»12. Non a caso nel racconto Il viaggiatore insonne l’autrice fa l’elogio del Pierre Menarde e della sua riscrittura del Chisciotte: «I tre secoli di storia e di vissuto che l’accerchiano attribuiscono altri sensi al testo, facendo risuonare in modo diverso le stesse parole. “Il testo di Cervantes” scrive Borges “e quello di Menard, sono verbalmente identici, ma il secondo è quasi infinitamente più ricco»13.
Il nesso tra storia e invenzione rimane tuttavia, nelle narrazioni della Attanasio, al di qua del citazionismo postmoderno. La sua opera è da collocare semmai nel revival del romanzo storico, sia pure emancipato dal motivo risorgimentale, che in Sicilia, partendo dal grande archetipo dei Vicerè di De Roberto, procede fino al Sorriso dell’ignoto marinaio di Consolo e oltre. E manzoniana appare, oltre alla riflessione poetologica sul romanzo storico, l’attenzione concordata alla microstoria di «gente di piccol affare», al tema della giustizia e della sua fallibilità, al documento che, come il «dilavato e graffiato autografo», è sottratto all’oblio attraverso l’opera di riscrittura. In Il falsario di Caltagirone non manca un cenno diretto alla Storia della colonna infame, alla caccia agli untori che effettivamente si scatenò nel paese siciliano in occasione del colera del 1867. Del resto, le storie di donne della Attanasio sono le ultime di un filone del romanzo novecentesco italiano attento al vissuto storico dei soggetti marginali che annovera autrici come Anna Banti, Maria Bellonci ed Elsa Morante.
Interessante espediente della scrittrice siciliana è l’interpolazione in corsivo dei documenti alternati al tondello della prosa. L’inserto documentario riconduce al modello consoliano, alle famose appendici del Sorriso dell’ignoto marinaio dov’è messo in evidenza l’avantesto o il pretesto dell’opera, a sottolineare la problematicità della scrittura/riscrittura, delle narrazioni storiche, dell’invenzione e dell’impostura. Nell’opera della Attanasio la stessa mescolanza tra narrato e discorso, tra racconto e saggio ricorda il magistero sciasciano, come certe inversioni verbali che rendono cadenze dialettali (anche se, talvolta, i processi prolettici scaturiscono da preziosismo letterario, in particolare negli echi barocchi che caratterizzano Correva l’anno 1698). Sciasciani sono il tema inquisitoriale e i cenni all’Indagatio veritatis per tormentum. L’ordito lessicale riconsegna un uso moderato di termini dialettali, generalmente evidenziati dal corsivo: in questo senso la prosa della Attanasio appare molto lontana dal pastiche linguistico di Consolo.
Come si diceva, il «quotidiano rimosso» riportato alla luce dalla scrittrice è caratterizzato dalla singolarità delle vicende e dei personaggi. A partire dalla protagonista del romanzo Correva l’anno 1698, la cui storia è stata ricostruita sulla scorta della cronaca di un umile ceramista caltagironese, Giacomo Polizzi: la giovane e bella popolana Francisca ha sposato il contadino Nicola di cui diviene insieme compagna e garzone, aiutandolo nel lavoro dei campi. Ben presto la ragazza impara più e meglio di un uomo i segreti della vita contadina. Morto il marito a causa di un morso di vipera, rimasta sola e povera, a Francisca non rimarrebbe che scegliere tra una nera miseria o la prostituzione. Con coraggio, rompendo consolidati codici comportamentali, la giovane decide di lavorare nei campi, travestendosi da uomo. Ben presto Francisca è accusata di stregoneria e la sua duplice natura è messa in rapporto all’androginia diabolica. Qui la scrittrice cita opportunamente le pagine del Malleus maleficarum e si dilunga su un ricco compendio di credenze popolari. Francisca è condotta davanti all’Inquisitore Don Bonaventura Cappello, uomo curioso e aperto alle forme culturali più avanzate. Singolarmente, proprio l’inquisitore, lontano da certezze monolitiche e rigide certezze dottrinali, manda assolta la donna che si era dichiarata «Fimmina intra e masculu fora»14.
La Attanasio riscrive una storia singolare realmente accaduta nell’ultimo scorcio del Seicento, una «Grande Coriosità» di cui, senza le pagine vergate con mano incerta da un umile cronista caltagironese, non si sarebbe conservata alcuna memoria. Il «preludio» a un «eventuale romanzo storico e metaforico», come ha affermato Consolo15, regala intensi scorci saggistici dove si indovina l’indignazione di un’autrice confrontatasi con la cultura delle differenze e gli studi di genere:
Francisca non viene soltanto assolta ma, infranto un millenario codice di rigida divisione dei ruoli e sessi, dallo stesso Inquisitore pubblicamente legittimata nella sua doppia identità. (…) Inspiegabile e forse unica legittimazione, nella misogina Europa del Seicento che non solo le streghe, ma tutte quante le donne, costringeva al silenzio: le troppo ciarliere, le lunatiche, le ipocrite ‒ a volte dagli stessi mariti pubblicamente accusate ‒ venivano messe alla gogna; col volto stretto nel mordacchio o in maschere di ferro, dalle ridicole forme animali ‒ il maiale, il topo, l’asino, la gallina ‒, esposte al ludibrio della folla che su di loro si accaniva (…). E fra i tanti strumenti di tortura dell’Inquisizione, pochi erano quelli esclusivi degli organi sessuali maschili, molti ed efferatamente esemplari quelli per le donne: la pera vaginale, lo schiacciaseno, lo strizzatoio di capezzoli…16.
Le donne presenti nell’opera della Attanasio hanno in genere caratteri forti, anche se non sono estranee a momenti di scoramento e tristezza. Qualcosa di vittoriniano è in Concetta La Ferla, protagonista del romanzo Di Concetta e le sue donne. Si tratta di una mulier virilis che sembra generata dal Gran Lombardo di Conversazione, una donna realmente esistita, una capopopolo carismatica che fondò a Caltagirone una delle prime sezioni femminili del PCI. Educata dal padre antifascista come un uomo, Concetta ha attraversato da protagonista, nella sua piccola comunità, un Novecento di lotte, rivendicazioni concrete e generose utopie. Scrivendo la storia di Concetta (la coincidenza onomastica è casuale, ma non può non evocare il simbolismo implicito nel nome di Concezione, madre di Silvestro in Conversazione in Sicilia), il problema della Attanasio è ancora quello di evitare la dispersione della memoria e la cancellazione di una stagione di lotte, anche a causa delle continue abiure politiche: «Andai alla sezione del Pidiesse, che nel frattempo aveva cambiato sede, alla ricerca di registri, verbali, manifesti e quant’altro ricordasse quegli anni, mentre, ad una compagna del nazionale, con cui sono in contatto, chiesi reperti documentari sulle sezioni femminili, ma di quel passato prossimo, che non era più cronaca, e non era ancora storia (…) non c’era più nessuna traccia: andato perso tra traslochi, revisionismi e pentimenti in una contemporaneità che, senza memoria e senza utopie, al suo tetro esistente omologa tutti gli spazi e tutti i tempi. O li cancella»17. È da dire che, trascrivendo i nastri a cui La Ferla, intervistata, aveva affidato i suoi ricordi, la Attanasio si confronta con se stessa e col suo passato di militante. Anche qui l’espediente grafico del corsivo usato per le memorie della scrittrice (nella parte del libro contrassegnata dal titolo Quasi un’introduzione) e del tondello per le memorie della più anziana militante (nella parte contrassegnata dal titolo Concetta racconta) fanno del romanzo un dittico in cui si possono rintracciare non poche corrispondenze speculari tra le due donne.
Il romanzo più recente della Attanasio, Il falsario di Caltagirone, ricostruisce un’altra vicenda che ha del singolare, quella del falsario Paolo Ciulla, realmente esistito. Di umili origini caltagironesi, Ciulla ottenne, dal Senato della sua città, una pensione che gli consentì di studiare pittura presso le Accademie di Belle Arti di Roma e Napoli. Tornato ai luoghi natali, l’artista ha partecipato attivamente alla vita politica, trasferendosi nella Catania di De Felice e conoscendo la repressione dei Fasci siciliani; quindi, è partito per Parigi e per l’Argentina alla ricerca di un successo che, nonostante le sue notevoli capacità, non è venuto. In America Latina è stato persino rinchiuso in un manicomio dove ha continuato a dipingere, ottenendo un notevole successo. Rimpatriato, tornato nell’ormai plumbea Catania del fascismo e della guerra, si è dedicato alla realizzazione di banconote false che non ha mai usato per l’arricchimento personale, ma per alleviare le condizioni di vita delle classi popolari: una «pioggia benefica» di denaro che è giunta, dunque, nei quartieri della marginalità sociale e della sofferenza nella città etnea.
Anche la figura di Ciulla assomma in sé molteplici elementi di alterità: vero artista e filantropo, l’artista era di credo socialista ed era perseguitato dallo stigma della sua differenza sessuale. Il suo processo è stato, paradossalmente, la sua apoteosi enfatizzata dalla stampa locale, il momento in cui il pittore, quasi sdoppiandosi, finalmente ha potuto raccontare di sé e delle sue imprese in totale libertà. Il romanzo di più vasta concezione della Attanasio è caratterizzato da una ricca intertestualità che guarda sia al pittorico sia al letterario. L’attenzione alle arti riconsegna cenni a Medardo Rosso, all’Espressionismo tedesco, all’ambiente parigino in cui agivano Picasso, Modigliani, Rousseau e Utrillo. L’intertesto letterario fa esplicito riferimento a Verga, De Roberto e Tomasi di Lampedusa.
La storia minore di Ciulla, gravida di impliciti politici e sociali, è paradigmatica del significato che la Attanasio ha saputo dare alle piccole cronache locali. Il Matto dei Tarocchi, lo scrittore e l’artista attraversano epoche e vite diverse, continuando a credere nell’avvento di ciò che è stato, per tentare di sottrarsi alle spire malinconiche di un presente immemore e appianante.
Eguale discorso si può fare per i versi della Attanasio. Il suo percorso poetico è stato scandito da significative pause di silenzio: l’opera esordiale, Interni, venne pubblicata nei Quaderni della Fenice di Guanda nel 197918; dopo sei anni è apparso Nero barocco nero, una silloge pubblicata nei Quaderni di Galleria di Leonardo Sciascia19; nel 1996 ha visto la luce Eros e mente, per le edizioni La vita felice20; nel 2003 è stata pubblicata Amnesia del movimento delle nuvole, introdotta da uno scritto di Giancarlo Majorino, una raccolta che ha riscosso un sicuro successo di critica21. Nel 2007 è stata editata la raffinata plaquette Del rosso e nero verso, illustrata dalla riproduzione di otto formelle dipinte da Vannetta Cavallotti22: questa raccolta di quattordici poesie è poi confluita in Blu della cancellazione, costituendone l’ultima sezione23. Come si vede tra un libro poetico e l’altro, l’autrice si è concessa lunghi periodi di elaborazione, correzione e lavoro variantistico. Tempi poco conciliabili con l’odierno mercato editoriale, incline a creare prodotti di facile consumo e troppo breve vita. L’accorto itinerario creativo della Attanasio ricorda quello di Vincenzo Consolo, la «prossimità al silenzio» di molti scrittori siciliani che si sono sottratti, in modo più o meno consapevole, alle regole di un’affannosa produttività. Come ha scritto Giuseppe Saja, la «prossimità al silenzio, e cioè la scelta di tempi compositivi lenti e quindi poco conciliabili con quelli dell’industria culturale, il fastidio per le vetrine massmediali, il coltivare la virtù oramai desueta dell’attesa, può essere altresì una vera e propria “scelta d’autore”, un consapevole e meditato “azzardo”, come nel caso dello scrittore Vincenzo Consolo»24.
Senza scomodare la memoria di scrittori che hanno avuto ragione del silenzio come Giuseppe Tomasi di Lampedusa o Gesualdo Bufalino, senza ricordare la tormentata elaborazione di un romanzo odissiaco come Orcynus Horca che è divenuto la personale odissea del proprio autore, Stefano D’Arrigo, si può ben cogliere nelle scelte dell’autrice un’inclinazione all’indipendenza dalla mercificazione letteraria, una collocazione eslege che trova un correlativo nei versi in cui viene cantata la virtù di una «scrittura disobbediente», attenta al recupero memoriale individuale e collettivo, al vissuto dei soggetti marginali25.
Il percorso poetico della Attanasio, lungo quasi un quarantennio, ha avuto delle tappe essenziali nelle raccolte Nero barocco nero e Amnesia del movimento delle nuvole. La recente pubblicazione di Blu della cancellazionesembra costituire un punto d’approdo, non tanto perché in quest’ultima raccolta confluiscono precedenti versi sparsi, pubblicati in plaquettes, riviste o importanti antologie, quanto perché essa è sintesi di un intero percorso esistenziale, proponendo componimenti che scavano nella memoria autobiografica e testimoniano, a un tempo, l’indignatio civile dell’autrice, l’inclinazione a confrontarsi con temi di drammatica cogenza come la morte in mare dei migranti e le guerre, il feticismo delle merci e le condizioni schiavili dei lavoratori nelle serre e nei campi siciliani.
È utile analizzare Blu della cancellazione partendo dalla perigrafia: il libro ha una struttura complessa e, fin dalla prima di copertina, sembra alludere alla ricchezza di determinazioni cromatiche che l’attraversa. Il titolo si staglia su una copertina verde dov’è riprodotto l’autografo di una poesia inclusa nella silloge, intitolata Rosso: «Rosso / che adesso è lama e cesoia / muro scrostato ombra / che s’allunga e ballarìa / – la zattera dei nomi alla deriva – / occidente spaesato / nel blu della cancellazione, / maria del declinare / addio»26. Il lettore si imbatte, già in limine e grazie a espedienti diversi, nell’evocazione di tre colori che, investiti di valori simbolici, ricorrono nei versi dell’intera raccolta. Tra le soglie paratestuali sono da annoverare le molteplici epigrafi poste sia all’inizio del libro sia delle singole sezioni.
A una prima lettura Blu della cancellazione appare diviso in due parti differenti per contenuto27, anche se una più accorta valutazione lessicale e semantica mette in evidenza l’unità di concezione dell’opera. La prima parte, dedicata alle memorie d’infanzia, alla cittadina natale di Caltagirone e al “romanzo familiare” dell’autrice, è intitolata (De)costruzione di biografia ed è articolata in tre sezioni: Gorgo della parola infanzia; Di dettagli e detriti e Crepe, mutazioni. La seconda parte s’intitola Blu della cancellazione (è, cioè, eponima del libro) e, simmetricamente alla prima, è articolata anch’essa in tre sezioni: Del rosso e nero verso (dove sono confluite le quattordici poesie pubblicate nella plaquette del 2007); Blu della cancellazione (ancora un titolo eponimo) e Sette palazzi celesti. Incastonata tra le due parti è la sezione più eccentrica nel contenuto: Frammenti dell’acqua mutante.
Come si è visto, il titolo Blu della cancellazione è ripetuto nella seconda parte del libro e in una sezione interna ad essa. Il sintagma ricorre anche in tre poesie28: una significativa reiterazione, quasi un’eco sotterranea, che amplifica la forza significativa del volume. Intervistata da Carla Barbetta, l’autrice ha spiegato la scelta di tale titolo:
Il blu è un colore plurale, con una pluralità di significati e rappresentazioni. Normalmente è un colore che ha un respiro infinito, che ci riporta a qualcosa di celestiale, come il blu del cielo e del mare (…), il blu a cui penso con maggiore gioia è quello delle ceramiche di Sidi Bou Said, in Tunisia, che è il blu della bellezza. Ma c’è anche un altro blu, il blu della negazione, della cancellazione e della distruzione29.
La scrittrice attribuisce al colore un valore di metafora: «La prima, la più evidente e drammatica, è quella dei migranti che attraversano il mare, che rischiano la vita e muoiono, per cui il blu della libertà e della bellezza si trasforma nel blu della negazione, della morte, una morte non per caso ma per ingiustizia»30. Il blu assume, dunque, una valenza anfibologica: da un lato, evoca la bellezza naturale del cielo e del mare, quella artistica delle ceramiche tunisine e calatine (per non dire del blu oltremare, il prezioso lapislazzulo usato dai pittori); dall’altro, ricorda la tragedia delle morti in mare, un mare che, da simbolo di libertà, può diventare emblema di sofferenza e annientamento, come il verghiano «mare amaro»31.
Non deve sfuggire che il blu è un colore da sempre associato alla malinconia e al sentimento saturnino del tempo che passa. È ben noto il gioco paronomastico che nel Medioevo, nella poesia d’area occitanica, poneva in rapporto il lemma «ancolie» (indicante un fiore azzurro) con «mélancholie». L’età romantica, come ha sottolineato Michel Pastoureau in Bleu, histoire d’un couleur, faceva del blu il colore del sogno, della melanconia e dell’arte32. Il libro della Attanasio è ricco di figure della malinconia, particolarmente insistite nella rievocazione della dura infanzia tra i calanchi di Caltagirone, segnata dalla fame, dalla guerra e da un rapporto difficile con i genitori. Ma si può dire, a differenza di quanto ha sostenuto Antonella Anedda nella prefazione della raccolta poetica, dove viene sottolineata la centralità del colore grigio33, che Blu della cancellazione è un’opera attraversata da una variegata policromia, ricca di determinazioni aggettivali e sostantivi relativi ai diversi colori.
In genere, i riferimenti cromatici non sono introdotti da verbi che alludono alla visione diretta. La mancanza di verba videndi è significativa dell’assenza di attività scopica: la visione cui allude la poesia è interiore ed è investita di forti valori simbolici e sinestetici.
Sarebbe fin troppo ampia la recensio dei versi riferiti ai colori nel libro. Bastino pochi esempi.
Statutariamente il rosso è associato alla vita e alla passione, ma spesso si accompagna alla rappresentazione di un’intima inquietudine: «Incerto / il bianco della conoscenza, il rosso / che sarà lussuria, violaciocca»; «L’inquieto rosso accovacciato nel fondo»; «Rosso che adesso è lama e cesoia». In un caso lo stesso colore determina una preziosa evocazione della porpora di Tiro: «Rosso di porpora fenicio». Talvolta, la vibrazione vitale del rosso può rifulgere nelle latebre della notte, come nella poesia introduttiva della sezione Del rosso e nero verso, la cui funzione liminare è messa in evidenza dall’uso del corsivo: «La notte abbassa le saracinesche / mostra gli artigli le zampe / aprendo un labirinto / in mezzo al pavimento in bilico / tra stasi e movimento il rosso / ha l’apparenza del rosso / la vita della vita»34. La stessa antitesi cromatica inscritta nel titolo Del rosso e nero verso, evocativa del romanzo giovanile di Stendhal, è così spiegata da Milo De Angelis: «Il rosso e il nero sono un binomio inseparabile. Da una parte il rosso del sangue, dell’amore, della passione politica. Dall’altra il nero del trauma e della morte. Di qui l’inquietudine e il movimento dissonante di questa poesia, la sua forza interna e insoddisfatta, le grandi domande che essa ci pone, l’oscuro legame tra ciò che trascorre e ciò che rimane, tra storia e destino, tra il divenire perpetuo delle cose e il loro destino»35.
Anche il nero ricorre spesso nella poesia della Attanasio e non sempre è investito di valori negativi: può essere connesso all’evocazione della figura materna (comunque connotata da forti ambivalenze), oppure ricondurre a una dimensione materica, al basalto lavico delle zone etnee, come nelle descrizioni in prosa che l’autrice ha dedicato alla città di Catania36. Ecco, dunque, incastonato in Opacità grado zero, il sintagma «nero della lava»37 e in …sul mucchio alla rinfusa un ricordo materno che si condensa in una sineddoche: «madre di nera pettinissa a vent’anni»38. Per contro, nella poesia Luglio 1920, il sentore di tempi ferali, sospesi «nel precipizio di luce / tra manganelli e acetilene», trova una rappresentazione nel «nero di cingolati nel selciato»39. La poesia posta ad explicit della sezione Del rosso e nero verso, anch’essa evidenziata dal corsivo come quella incipitaria, conferisce al nero un’esplicita valenza negativa: «Rime nere – insincere – / aprirono le porte ai condannati / alle fuggenti a frotte. La terapia / fu d’urto, la pagina si svuotò / e si svuotò del nero anche la stanza. / Ultima ratio: l’odore delle fresie / il mio vestito rosso»40.
Nelle costellazioni semantiche di Blu della cancellazione il bianco, non propriamente un colore ma l’assenza dei colori, allude al vuoto, alla cancellazione, alla violenza, alla mancanza o allo smarrimento della memoria, alla pagina bianca su cui è difficoltoso scrivere, all’impotentia dicendi: «Il bianco dilagò nella scrittura»; «incerto / il bianco della conoscenza»; «alla porta della pagina bianca»; «una bambina disidratata / sciolta nel fosforo bianco».
Non mancano, nei versi della Attanasio, riferimenti ad altri colori o sfumature tonali: «rosa che chiama il rosso di sentenza»; «Risalendo, il bruno cobalto, il viola quaresimale». Accanto alla ricchezza cromatica presente in queste poesie sarà necessario tornare all’essenziale e onnipresente antitesi tra luce e oscurità, al suo investimento simbolico.
Se si escludono le determinazioni cromatiche, Blu della cancellazione è in genere un’opera povera di aggettivi, mentre risaltano in essa le sequenze nominali, spesso caratterizzate da cadenze anaforiche. La successione di sostantivi e le cumulazioni prive di segni interpuntori fanno pensare a un’ansia di descrizione e nominazione, all’anelito e alla difficoltà di rappresentare l’odierna realtà violenta e immemore: si noti che simili sequenze nominali sono presenti anche nella prosa di Consolo a partire da Il sorriso dell’ignoto marinaio.
La raccolta del 2016 è un punto di approdo anche in rapporto alla scarnificazione del lessico, alla sua concisione e al condensamento semantico: l’esemplificazione sintattica, la penuria aggettivale e la sovversione dell’interpunzione definiscono una poesia che, secondo il celebre adagio michelangiolesco, sembra plasmata «a forza di levare».
Tra gli stilemi che connotano il libro vi è il ricorso al passato remoto che conferisce alla materia un carattere mitico e rimemorante, la ricchezza di valori sinestetici, l’alternanza tra la prima persona (il soggettivismo lirico, la rappresentazione dell’infanzia e dei rapporti parentali) e la terza persona che, nelle poesie incluse nelle ultime sezioni, narra delle tragedie collettive e dell’umanità offesa.
La lingua cui fa ricorso la Attanasio è assai sorvegliata; sono rari i sicilianismi puri, pochi gli inserti di latino e francese, mentre colpisce il ricorso a un inglese finanziario e tecnologico chiaramente investito d’ironia: «disabilitata tra spreed e default»41. L’uso del dialetto siciliano, che emerge in rari lessemi o sintagmi, caratterizza, invece, una poesia inclusa in Gorgo della parola infanzia, la prima sezione del libro. La poesia, Facci ri malacarni occhi di riutùra, è un’ironica preghiera rivolta al diavolo, un singolare scongiuro, un esercizio di mimesi delle filastrocche popolari che l’autrice propone in dialetto con la necessaria traduzione in nota42. Significativo è che, nel drammatico poemetto Il mio nome è Tarek di Helalia, il siciliano sia parlato da un migrante, sfruttato fino a morire di fatica nelle serre siciliane. In questo caso il ricorso al dialetto rappresenta la condizione di marginalità sociale e linguistica di Tarek.
Analizzata la struttura di Blu della cancellazione, le sue caratteristiche stilistiche e lessicali, i valori simbolici dei colori, è utile individuare le parole chiave del libro.
I versi della Attanasio sono accomunati dal motivo del corpo-cretto, di un corpo che muta in se stesso, che si fa parola, che conosce necessarie e difficili metamorfosi (come si è visto, Crepe e mutazioni è il titolo di una sezione del libro, mentre del lemma «metamorfosi» si annoverano tre significative occorrenze43). Nella sezione iniziale, Gorgo della parola infanzia, l’autrice canta i momenti più remoti della propria esistenza. Il regressus ad originem è denso di figure della malinconia. Diversi sintagmi, nelle prime tre sezioni, definiscono una densa isotopia carceraria e claustrale: «sola, compressa, nel cerchio di una stanza»; «orto concluso dove muore il tempo»; «guardando il volo dell’ultimo nato in gabbia»; «Notte o ventre di betoniera / senza luce di faro senso di parola»; «capelli di Medusa, labirinto»; «culovria che pietrifica».
L’ultimo cenno alla pietrificazione si accompagna alla singolare occorrenza di «culovria», un interessante hapax: si tratta di un recupero memoriale, di una leggenda propria del mondo contadino siciliano. La culovria o culofria, culofia, culoriva, culorva o biddina (molteplici sono le varianti grafiche e fonetiche riscontrabili nelle diverse province siciliane) è un animale mitico, un serpente che pietrifica e uccide grosse prede, divorando persino gli uomini. La rappresentazione scultorea dell’essere mostruoso caratterizzava una fontana barocca di Piazza Armerina, nel cuore della Sicilia: la fontana dell’Altacura era, infatti, decorata dalle immagini di due culovrie caratterizzate da spire squamose e grandi bocche aperte da cui zampillava l’acqua44. Qualche cenno a questo fantasioso animale è riscontrabile nelle opere di Sciascia, Bufalino e Consolo45.
Un altro sintagma connesso al sentire malinconico dell’autrice è incastonato nella poesia Della lettera M: «cerchio di pozzo imbuto di abbandono». In esso, nel suo ritmo e nel lessico, si può scorgere un’eco della levigata prosa consoliana, in particolare di Retablo. Con toni simili la Attanasio ricorda la propria difficile infanzia. Una poesia, posta quasi ad inizio del libro, è emblematica: «Gorgo della parola infanzia / di litanie e case bombardate / sola, compressa, / nel cerchio di una stanza, / ha fame e freddo / e non conosce il mare»46.
L’evocazione della città natale, la Caltagirone ricca di monumenti barocchi e botteghe di ceramisti, ripropone e rimodula motivi propri della silloge Nero barocco nero: «Città dispersa tra gli incensieri / il battito il vocio / la vita che fu notte barocca paramento…»47. Con toni simili la scrittrice parla dell’«impotenza dell’infanzia», della città «teatro degli eventi», del suo corpo-argilla formato al tornio come le ceramiche del calatino che spesso hanno forme antropomorfe o assumono l’aspetto di teste di moro: «Genealogie di santi in processione / tra i calanchi della città smarrita / al tornio cresceva la mia vita / di forme d’argilla di confessionali. / Il rito si compì: rejecta membra…»48.
La seconda sezione di Blu della cancellazione, dal titolo anaforico Di dettagli e detriti, è dedicata alla madre dell’autrice: «In memoria di Celeste C., che è stata ed è»49. La Attanasio ricorda la madre sarta, l’esattezza e la puntigliosità del suo lavoro, si riconosce in essa per speculum, con sorpresa e rabbia. Il fantasma materno non è per niente idealizzato, si manifesta nei termini del conflitto e della distanza: la donna è definita, con singolare univerbazione, «testadura / ostinata tutta la vita concentrata / a stanare ogni minimo dettaglio»50. I cenni all’arte del tessere non danno luogo, come ci si potrebbe aspettare, ad alcuna metafora del testo, ma lo scavo nella memoria, nei sentimenti forti e ambivalenti, nei detriti di una vita, è, per l’autrice, la scaturigine della parola poetica. Colpisce la densa isotopia equorea che accompagna l’evocazione materna, la presenza del tema della liquefazione e l’allusione al pianto, come nel mito ovidiano di Cyane. Una delle poesie più intense di Blu della cancellazione, in cui si fa riferimento alla morte della madre, condensa questi motivi, gioca sull’ambiguità di «celeste», nome di un colore ma anche nome proprio, e accenna al difficile contesto storico in cui la donna ha vissuto: «Dismise ago e filo, prese il boccaglio dell’ossigeno, / in attesa del viaggiatore per l’ultima rata mensile. / Il celeste si staccò dal vestito a fantasia, che si era / cucito a diciott’anni. Lo vide perdersi nel folto, / tra ronde e camice nere. Cominciò a liquefarsi a / gocciolare»51. Ancora più esplicita è la poesia Dell’acqua caìna, dov’è messa in evidenza la necessità di recuperare le radici, di ri-costruire o de-costruire l’esperienza biografica attraverso la scrittura: «Piovve quel giorno, a diluvio a tempesta, / fu un fuggifuggi per la sopravvivenza, / io, nel mio guscio di orfanità, / già pensavo a decostruirti, farti testo. / Non smise però, e ancora adesso piove: / un’acqua caìna che ha divelto radici, / sciolto inchiostri tracce: inutilmente / mi misi in ascolto tra i dettagli nel folto / – la serranda abbassata la tivù spenta / in cucina – rilucendo adesso, / imprevisto, l’oscurato alfabeto. / Ma più ti assomiglio più m’incazzo, / ritrovandola chiara – la password – / tra detriti e pietrisco / nelle crepe della muta domanda allo specchio»52.
Nella sezione successiva, Crepe, mutazioni, l’autrice si confronta con gli ineluttabili vulnera dell’esistenza: l’amarezza per «Il pianoforte disperso la casa / svenduta fatta merce», la necessità di percorrere il «Torrente sotterraneo sogno inverso / verso l’oscura alba dell’inizio», e ancora lo sguardo speculare rivolto al fratello morente: «…e mi guardo allo specchio / in quel vecchio che arranca / nella lingua che pure / si scioglie in fulgore»53. Va notato che lo stesso libro è dedicato ai due fratelli dell’autrice: «Ai miei fratelli Marcello e Salvatore: alla musica che continua ad abitarci».
Completano la «(De)costruzione di biografia» della Attanasio i riferimenti sommessi alla figura paterna, verso cui l’autrice concepisce una distanza e una conflittualità ancor maggiori rispetto a quelle concepite per la madre. Significativamente il padre è menzionato apertamente una sola volta, nella poesia incastonata nella seconda parte della raccolta di poesie, in cui predominano i motivi politici e sociali. Il ricordo del genitore, «fascista ostinato», si accampa nel contesto di una più ampia rievocazione del Novecento, secolo breve e tragico in cui anche i nomi e le parole sembravano perdere senso o smarrirsi alla deriva, come i montaliani «ossi di seppia»: «Il nome prese forma di merlo / in paesaggio invernale arrivarono / altri animali in bianco e nero la gazza / il randagio pezzato mio padre / – fascista ostinato morto da quarant’anni – / con la maschera antigas in Abissinia / “muoiono come topi intrappolati” / dice e si compiace scalando / in divisa da soldato il secolo / di nebbia e case dirupate (il nome / in forma di osso di seppia / di bomba a grappolo nella spianata)»54.
Le parole chiave riscontrabili nella prima parte del libro non mutano nella seconda, dove trova rappresentazione la tensione civile della scrittrice. Nell’intero volume hanno un’alta percentuale di frequenza i lemmi «corpo», «parola», «specchio» e «luce». La centralità del sostantivo «parola» è indicativo delle riflessioni metatestuali che attraversano Blu della cancellazione, della coscienza attiva di una scrittrice che vuole evitare «gorghi di metafore velami», contrapponendovi il «respiro terrigno» della «parola frontale», come si legge nella poesia programmatica posta a inizio della raccolta: «Poesia narratora che ha paura / del buio e non vuole andare lì sotto / tra gorghi di metafore velami, / il respiro terrigno, invece, la parola / frontale – che s’inabissa, risale – dalla madre radice della notte signora»55.
Il corpo-cretto, dunque, e una parola-terrigna, concreta ed etimologicamente umile, come cuore delle costellazioni semantiche di Blu della cancellazione. Se la «parola narratora» ha paura del buio, la sua essenza è di luce, una luce di memoria e consapevolezza: «fu la parola luce», come si legge in una bella incidentale incastonata in Nome e mente in cecità di vento56, mentre l’anelito al «chiarore di concetto» è rappresentato in La crepa, il crepaccio – la fenditura57. Significative sono le occorrenze di «radice» connesse alla ricerca della parola poetica, per cui anche la madre, nonostante la rievocazione all’insegna della conflittualità, è «nome della radice, orecchino di luce»58. Come l’opera narrativa della Attanasio presuppone lo scavo documentario e il recupero memoriale, così la rimemorazione, il regressus ad uterum, alimentano i suoi versi.
Una poesia, accennando alla Caltagirone dov’è nata l’autrice, allude alla scrittura del suo primo romanzo, Correva l’anno 1698…: «La parola mi prese per mano / fuggendo / il dito adunco dell’inquisitore / attraverso morbi città assediate / gorghi di noduli e piastrine / fino / al risuonante giardino della città d’argilla / – lì mi depose e fui sua figlia – / ritornando / talvolta in dormiveglia / col sambenito della penitenza / alta / sul rogo, a Sant’Ersasmo»59. A suo modo, dunque, anche la Attanasio è poetessa della luce e della memoria, in lotta contro la dimenticanza del passato e un presente immemore dei più elementari valori di umanità.
Se si esclude la sezione Dell’acqua mutante, è forte la coerenza lessicale di Blu della cancellazione. Dell’acqua mutante ha la funzione di cuscinetto tra le due parti del libro e consta di appena nove poesie, componimenti brevi i cui punti sospensivi, posti sia ad incipit che ad explicit, ne mettono in evidenza il carattere di frammentarietà. L’esergo della sezione è una citazione del premio Nobel Jean-Marie Gustave Le Clézio: «Quando si nasce sull’orlo di un simile abisso bisogna imparare a resistere». L’acqua, il suo movimento incessante, l’erosione che essa determina sono il tema delle nove poesie, nei cui versi si intuisce un’inquietudine profonda, l’anelito a una riconquistata armonia: «…oscilla s’increspa / al vento della forma – segno / che indomito cerca l’intero / l’intatta armonia – un brusio / dilaga dal fondo: frusciare / d’acqua alto crepitare di fiamma»60.
La tensione patemica dei versi cresce nella seconda parte del libro. Un sentore del «nulla che viene» era già presente in Crepe, mutazioni. L’autrice vi ha registrato i segni del cedimento, dell’invecchiamento, del graduale avanzare «nella sconnessione». Nella seconda parte di Blu della cancellazione la sofferenza si fa collettiva a causa del principio di prestazione che manipola e umilia i corpi, della stessa parola che spesso li degrada, li categorizza secondo paradigmi economici e produttivi. Ancora una volta, per la Attanasio, la luce della rimemorazione è necessaria e contrapposta al buio immemore della mediazione mercificata delle relazioni. Per l’autrice calatina il personale è politico, la microstoria individuale e la macrostoria collettiva coincidono, il che spiega la coerenza di lessico e significato riscontrabile nelle diverse articolazioni del libro. La stessa epigrafe che lo introduce, del resto, è una riflessione della Zambrano che emenda la tautologia dell’essere di Heidegger, la sua chiusa circolarità ontologica: «La poesia è un aprirsi all’essere verso dentro e verso fuori».
Tra le poesie incluse nelle sezioni conclusive del libro è Lettera ad un amante morto che canta la necessità di una scrittura disobbediente: «Una scrittura disobbediente devia fiumi e petroliere / scavando crepe tra gli zigomi e il mento / omologando ai mercati la torre di Babele. E umani rottami a fini produttivi»61. La voracità umana e la pervasività dei mercati non solo, secondo un’immagine scritturale, erigono nuove torri di Babele, ma travolgono i più deboli, gli umili, i soggetti marginali. A loro, come già nei propri romanzi, la Attanasio dedica costante attenzione anche nei versi.
Una delle poesie più significative della sezione Blu della cancellazione ha il suo nucleo nell’assurdità, concettuale e politica, della parola «clandestino». In Sono il bambino della grotta… la violenza linguistica investe un bambino immigrato che parla in prima persona, che è chiuso nel recinto opprimente della determinazione aggettivale, la cui luce è contrapposta alle «catene dell’oscuro» secondo l’antitesi luce/tenebra che percorre l’intero libro: «Sono il bambino della grotta / – il poliglotta, il diverso, a forza / chiuso nel recinto del nome – / adesso clandestino / – luce migrante fiato di candela / tra le catene dell’oscuro – / sono occhi e lingua straniera: / l’isola all’orizzonte / lo stelo d’oro splende oltre il confine»62. Anche la Sicilia, un tempo terra di emigrazione, è divenuta luogo infido e mortifero per i migranti costretti allo sfiancante lavoro nei campi, come si legge nel poemetto Il suo nome era Tarek di Helalia… Contenuti molto simili a quelli del romanzo Il condominio di Via della Notte sono riscontrabili nella poesia Liberté, il cui titolo è ironicamente antifrastico rispetto ai suoi contenuti: la pervasività mediatica, l’omologazione del pensiero e dei desideri, un mondo distopico che è invaso da «acide nuvole tra droni e petroliere»63.
L’intero mondo occidentale, per la scrittrice, è perso nel blu della cancellazione, vaga alla deriva come la zattera della Medusa menzionata in Metamorfosi e risveglio di Medusa. La stessa Attanasio, che non rinuncia alla propria pugnace disobbedienza, denuncia ormai il personale declino, la propria sofferenza: «occidente spaesato / nel blu della cancellazione, / Maria del declinare, / addio»64.
Una rappresentazione simbolica dell’attuale condizione di smarrimento è nella poesia Alcantara 1960. Qui la scrittrice recupera la forma del sonetus simplex, il suo sistema di quartine e terzine, salvo che nell’ultimo verso che consta di appena due sillabe. Tra le «muraglie di ossidiana» che definiscono lo scenario naturale del fiume Alcantara e le sue gole incise nei basalti lavici ai margini della provincia catanese, la scrittrice sogna un metro concluso, una forma definita (motivo già adombrato in Frammenti dell’acqua mutante). Ma quella forma certa ed equilibrata, lo stesso sonetto inventato dalla Scuola poetica siciliana e dal maestro Jacopo da Lentini, è ineluttabilmente perduto: «Era un silenzio d’acque e di crateri / – sfero perfetto senza turbamento – / tra i prismi di basalto era fulgore / la vita nome di verità amore // liquida rima in forma di sonetto / a giochi d’acqua nel complice duetto / Sul fiume d’improvviso gli sparvieri / fu lava incandescente rotazione // d’ere a passo di soldato scrittura / di tempesta il gorgogliare – scissura / salendo il greto della mutazione. // Notte fonda alla foce tra muraglie / l’ossidiana sonetto mutilato. / Perso»65. Ad explicit la breve unità versale che sovverte la successione di endecasillabi emblematizza il senso di perdita e di rimpianto che alligna in Blu della cancellazione, la disperata vitalità di una forte voce poetica.
- Per un proposta di studio e categorizzazione di quella particolare forma iconotestuale che è il fototesto, cfr. Fototesti. Letteratura e cultura visuale, a cura di M. Cometa e R. Coglitore, Quodlibet, Macerata 2016. ↵
- M. Attanasio, Il divino e il meraviglioso. Feste religiose in Sicilia, Bruno Leopardi Editore, Palermo 2000. ↵
- M. Attanasio, Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile, Sellerio, Palermo 1995. ↵
- M. Attanasio, Di Concetta e le sue donne, Sellerio, Palermo 1999. ↵
- M. Attanasio, Il falsario di Caltagirone, Sellerio, Palermo 1997. ↵
- Per una lettura dell’opera di Maria Attanasio attenta alla questione di genere cfr. S. Todesco, Tracce a margine. Scritture a firma femminile nella narrativa storica siciliana contemporanea, Pungitopo, Gioiosa Marea 2017. ↵
- V. Consolo, L’olivo e l’olivastro, Mondadori, Milano 1999, pp. 69-70. ↵
- M. Attanasio, Delle fiamme, dell’amore, in D. Amoroso e M. Attanasio, Piccole cronache di un secolo, Sellerio, Palermo 1997, p. 17. ↵
- M. Attanasio, Correva l’anno 1698…, op. cit., p. 22. ↵
- M. Attanasio, Della città dell’argilla, op. cit., pp. 17-20. ↵
- L’«archivio salvato» è, per M. Schillirò, la figura rappresentativa della scrittura della Attanasio, cfr. M. Schillirò, L’archivio salvato. Appunti sulla narrativa di Maria Attanasio, in Le forme e la storia. Studi in onore di Gaetano Compagnino, a cura di A. Manganaro, I, Rubettino, Soveria Mannelli 2008, Tomo II, pp. 1059-1071. ↵
- M. Attanasio, Delle fiamme, dell’amore, op. cit., p. 10. ↵
- M. Attanasio, Il viaggiatore insonne, in Id., Della città dell’argilla, op. cit., p. 22. ↵
- Ovvero «Donna dentro e uomo fuori». M. Attanasio, Correva l’anno 1698…, op. cit., p. 46. ↵
- V. Consolo, Introduzione, in M. Attanasio, Correva l’anno 1698…, op. cit., p. 14. ↵
- Ivi, pp. 98-99. ↵
- M. Attanasio, Di Concetta e le sue donne, op. cit., p. 32. ↵
- M. Attanasio, Interni, in Quaderni della Fenice, Guanda, Parma 1979. ↵
- M. Attanasio, Nero barocco nero, Edizioni Salvatore Sciascia, Caltanissetta-Roma 1985. ↵
- M. Attanasio, Eros e Mente, La Vita Felice, Milano 1996. ↵
- M. Attanasio, Amnesia del movimento delle nuvole, con uno scritto di G. Majorino, La Vita Felice, Milano 2003. ↵
- M. Attanasio, Del rosso e nero verso, con uno scritto di G. Majorino e A. Steffannoni, con la riproduzione di otto formelle di V. Cavallotti, Edizioni Il Faggio, Milano 2007. ↵
- M. Attanasio, Blu della cancellazione, La Vita Felice, Milano 2017. Tutte le successive citazioni saranno tratte da questa edizione. ↵
- G. Saja, Il silenzio e l’azzardo. Narratori e poeti siciliani del Novecento, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 2006, p. 7. ↵
- M. Attanasio, Blu della cancellazione, op. cit., p. 90. ↵
- Ivi, p. 108. ↵
- La divisione in blocchi di Blu della cancellazione è stata rilevata da Antonio Lanza. Cfr. A. Lanza, Della scrittura disobbediente, in «L’EstroVerso», Anno X, N. 1, luglio 2016. ↵
- Si tratta di tre poesie di Blu della cancellazione: Sigaretta ostinata…, Metamorfosi e risveglio di Medusa e Rosso. ↵
- La poesia per capire la migrazione, intervista di C. Barbetta a M. Attanasio, in «Vita Boozakine», 8 settembre 2016. ↵
- Ibidem. ↵
- In occasione della cerimonia di chiusura dell’anno sociale del comitato catanese della “Dante Alighieri”, l’8 giugno 2017, presso il Coro di Notte dell’ex monastero dei Benedettini di Catania, ho presentato la raccolta Blu della cancellazione. Discutendo del suo libro poetico, Maria Attanasio ha rapportato il mare attraversato dai migranti al «mare amaro» dei Malavoglia di Verga. ↵
- M. Pastoureau, Bleu, histoire d’un couleur, Édition du Seuil, Paris 2000. ↵
- A. Anedda, Nelle fessure tra silenzio e parola, in M. Attanasio, Blu della cancellazione, op. cit., p. 6. ↵
- M. Attanasio, Blu della cancellazione, op. cit., p. 79. ↵
- M. De Angelis, Maria Attanasio. Nessuno è al riparo, in «Doppiozero», 6 dicembre 2016. ↵
- Si pensi alle aperture descrittive dedicate alle zone periferiche della città di Catania, e in particolare al quartiere di Cibali, incastonate in M. Attanasio, Il falsario di Caltagirone, op. cit., o alla silloge di racconti Sei colori siciliani, Gruppo Editoriale Kalós, Palermo 2005, dove l’intervento della Attanasio, Viaggio nel nero, è dedicato a Catania, alle lave del 1669, alle novelle campestri di Verga, alle descrizioni della città caratterizzata dalla presenza del basalto nella letteratura odeporica del XVIII e del XIX secolo, all’evocazione degli scritti di Sebastiano Addamo. ↵
- M. Attanasio, Blu della cancellazione, op. cit., p. 50. ↵
- Ivi, p. 49. ↵
- Ivi, p. 38. ↵
- Ivi, p. 95. ↵
- Ivi, p. 58. ↵
- Ivi, p. 25. ↵
- Il lemma «metamorfosi» è incastonato nella poesia L’impotenza dell’infanzia e in 10 giugno 1940; ricorre, inoltre, nel titolo Metamorfosi e risveglio di Medusa. ↵
- Solo una delle due statue rappresentanti la culovria è sopravvissuta, ed è attualmente custodita nel cortile dell’ex collegio gesuitico, attuale Biblioteca Comunale di Piazza Armerina. ↵
- Leonardo Sciascia parla della «biddina» ad incipit di Nero su nero. Cfr. L. Sciascia, Opere. 1971-1983, a cura di C. Ambrioise, Bompiani, Milano 2001, p. 603: «La campagna è quest’anno popolata di mostri. (…) Molti contadini hanno visto la biddina, un serpente d’acqua, che però si trova benissimo anche in terra arsa, grosso quanto un braccio, lungo più di due metri, la testa duramente crestata. Se ne favoleggiava negli anni della mia infanzia; ma nessuno diceva allora di averlo visto. Ora lo vedono in molti». Un cenno al mostro mitologico è riscontrabile in G. Bufalino, Comiso, ancora, in Id., La luce e il lutto, Sellerio Editore, Palermo 1998, p. 122: «Scendevano i ragazzi a bagnarvisi, nei pomeriggi d’agosto, meno intimoriti che sedotti dalla leggendaria presenza d’una “culorva” (probabilmente un’innocua biscia acquaiola)». Anche Vincenzo Consolo si ricorda del leggendario serpente nel racconto eponimo della raccolta Le pietre di Pantalica. Cfr. V. Consolo, Le pietre di Pantalica, Mondadori, Milano 2009, p. 164: «Il vecchio parlava sempre, mi raccontava la sua vita, la fanciullezza e la giovinezza passate in quel luogo. Mi diceva di erbe e di animali, dei serpenti dell’Anapo, e di un enorme serpente, la biddina, fantastico drago, che pochi hanno visto, che fascina e ingoia uomini, asini, pecore, capre». ↵
- M. Attanasio, Blu della cancellazione, op. cit., p. 22. ↵
- Ivi, p. 20. ↵
- Ivi, p. 27. ↵
- Alla madre, Celeste C., Maria Attanasio ha dedicato anche il libro di poesie Nero barocco nero. ↵
- Ivi, p. 46. ↵
- Ivi, p. 45. ↵
- Ivi, p. 47. ↵
- Ivi, p. 57. ↵
- Ivi, p. 88. ↵
- Ivi, p. 13. ↵
- Ivi, p. 32. ↵
- Ivi, p. 37. ↵
- Ivi, p. 50. ↵
- Ivi, p. 28. ↵
- Ivi, p. 67. ↵
- Ivi, p. 90. ↵
- Ivi, p. 101. ↵
- Ivi, p. 100. ↵
- Ivi, p. 108. I versi sono parte della già menzionata poesia Rosso. ↵
- Ivi, p. 82. ↵
(fasc. 18, 25 dicembre 2017)