Dopo aver letto il secondo romanzo di Carmen Pellegrino, Se mi tornassi questa sera accanto (Giunti 2017), cercavo, per definirne la qualità principale, un termine che mettesse assieme la capacità di analisi e di riflessione, l’attenzione ai dettagli, l’amore per i termini assaporati nella loro precisione e nelle loro risonanze poetiche, l’attrazione per la fragile complessità delle cose e della vita, anche un certo disinteresse per le scorciatoie e le impazienze in voga in tanta narrativa di oggi. Ecco, questo termine a mio parere è “delicatezza”.
È un’invenzione delicata, poetica e convincente, nella sua improbabilità e astoricità, quella del padre Giosuè di affidare i propri pensieri in forma di lettera alla corrente di un fiume; è delicata, cioè trattenuta, giocata su sguardi e silenzi, priva insomma di esplosioni di enfasi, la descrizione degli attriti familiari, dei progressivi fraintendimenti e allontanamenti tra figlia (Lulù) e padre, il declinante richiudersi della madre nella malattia; delicata è la figura dello stesso Giosuè, uomo energico, sì, ma segnato da fallimenti d’ideali, abbandoni, morti di amici, ostinazioni, assai diverso nella sua complessità da certe figure unidimensionali di padre-padrone; delicato è il ricominciare della storia lungo il corso di un altro fiume, un rinnovarsi della materia narrativa, un ripetersi lieve e fiabesco della vita di Lulù accanto a un’altra figura paterna, buona questa, trasognata; delicata, nel suo insieme, cioè mai forzata, mai pretestuosa, allo stesso tempo intrisa di echi illustri, è l’impalcatura allegorica eretta attorno ai due fiumi. Delicata, infine, è la capacità dell’autrice di muovere da un’esperienza personale forte, anche dolorosa, ripesandola e risognandola per ricavarne materia romanzesca.
Carmen Pellegrino sa come contaminare la concretezza rocciosa delle cose, della vita, con l’evanescenza dei sentimenti, delle emozioni, di tutto ciò di imponderabile che ci portiamo dietro e ci lavora dentro instancabilmente.
(fasc. 18, 25 dicembre 2017)