La voce Democrazia, scritta da Francesco Postorino per il volume Lessico crociano recentemente pubblicato, consente di approfondire un argomento delicato e controverso entro la famiglia del liberalismo e del neoidealismo italiano. La coscienza della «comune umanità», cara a Benedetto Croce, può costituire sia l’originale connotazione dell’apertura liberale verso la democrazia sia il limite insito nell’incapacità di penetrare e condividere la rottura radicale rappresentata dalla democrazia politica contemporanea.
S’intende dire che la complessa e tormentata frequentazione teoretica dell’ethos democratico, da parte di Croce, sconta una sorta di peccato originale difficilmente emendabile. La sua lettura storicistica e, quindi, “continuistica” dei processi politici o sociali gli impedisce di fissare in modo stabile il collegamento tra l’affermazione della libertà e gli sviluppi innovativi conseguenti, ma anche di individuare il nesso ineludibile tra qualità e quantità, proiettandolo nel superamento dei tradizionali confini del costituzionalismo liberale.
La lezione metodologica del realismo, nonché l’eredità dei risultati (otto-novecenteschi) ottenuti nel campo delle discipline storiche e sociali sono tutti presenti nell’intelligenza crociana. E, tuttavia, come si evince dalla rigorosa indagine di Postorino, quell’organica ricognizione intellettuale non smuove il conservatorismo liberale del filosofo neoidealista.
Un grumo teorico (forse ideologico) resistente e irriducibile, diremmo quasi un ostacolo epistemologico, figlio forse di una più antica «metafisica influente», impedisce a Croce la comprensione-accettazione «persuasa» della democrazia. Questa, infatti, declinata in chiave formalistica, risulta amputata dell’intuizione del valore (rivoluzionario) sia procedurale che etico-sociale (Bobbio), incentrato sulle prerogative del popolo sovrano.
Ecco perché Postorino, mettendo in evidenza il rifiuto crociano di connettere, su un piano strutturale, «l’immobile triangolo immortale della ragione» – liberté, egalité, fraternité –, indica una pista che preclude la possibilità di comprendere l’animus della democrazia contemporanea. La democrazia, sottolinea sempre Postorino, non è riducibile, in Croce, all’«empiria» e ai «suoi nessi ineccepibili di utilità»; i quali, aggiungiamo noi, fanno dell’ordinamento democratico un sistema politico e sociale «di massa» (Ingrao), vivificato dal suffragio universale e impegnato nell’ampliamento costituzionale dei diritti di cittadinanza.
Una tale concezione, condensata, appunto, nella locuzione «democrazia di massa», può sembrare irriverente e financo blasfema per un grande pensatore che, come Croce, ha temuto, contrastato e dissuaso dai plausibili rischi del «livellamento» e della «massificazione», tipici della nostra «società aperta» e, perciò, esposta ai radicalismi ideologici.
Proprio su questo punto, l’attento studio di Postorino sottolinea la sostanziale inconciliabilità tra «un’idea atomistica di individuo […] di pari entità nel confronto generalizzato con gli altri» e «la concezione ‘religiosa’ della libertà […] eguale alle altre solo nell’idea minima di ‘umanità’».
Nell’universo crociano, seppure modellato e arricchito dall’urgenza, tutta politica, di adottare uno spirito pubblico unitario (anti e postfascista), non c’è spazio filosofico per un’alleanza effettuale tra libertà e uguaglianza. Ancor meno un télos civile per coniugare giustizia sociale e «ideale egualitario», frutto malsano per Croce di un antistorico e intellettualistico giacobinismo di matrice illuministica e dottrinaria.
Sulla base di queste premesse, la fatica crociana, feconda e innovativa nello scavo di alcuni essenziali saperi della contemporaneità – dalla storiografia all’estetica alla critica letteraria –, a nostro avviso, non trova analoga originalità e «autonomia» nella ricerca filosofico-politica sulla democrazia. Sicché, con Postorino, appare difficile non condividere la (scettica) conclusione riguardo a un pensiero politico che, pur esigendo la mutua integrazione tra liberalismo e democrazia, non rinuncia ad assegnare al primo il valore di «ideale regolativo e morale», mentre alla seconda la contingente (e congiunturale) qualificazione di un «ideale pratico, una realtà empirica», i cui risvolti, parole di Croce, potrebbero degenerare «in tirannide piazzaiola e faziosa». Si tratta, a nostro parere, di una rigidità gerarchica fin troppo semplicistica e unilaterale, inadeguata a dare conto dei problemi complessi, delle aspettative e delle lotte che sfidano in egual misura la democrazia del nostro tempo.
È un vero pregio della stimolante riflessione di Francesco Postorino che di una tale, vitale questione se ne possa discutere utilmente e criticamente.
(fasc. 10, 25 agosto 2016)