Originale per temi e linguaggio è La chioma di Berenice (Berenikini žametni lasjè) di Angelo Manitta (Il Convivio editore 2017), tradotta in lingua slovena da Ivan Tavčar e prefata da Denis Poniž.
In questo poemetto, che tratta un tema affine alle classiche composizioni di Callimaco e di Catullo, spiccano l’abilità e la bravura del poeta, oltre che la sua cultura e sensibilità, nel dar vita a metafore in versi assai originali.
L’autore ci fa viaggiare nello spazio, e quindi ecco pianeti, galassie, costellazioni; ciò con la piena consapevolezza di effettuare un viaggio «indietro nel tempo, cioè attraverso la storia» (come si legge nella chiara e condivisibile Prefazione di Ivan Tavčar e Denis Poniž, p. 6), nel quale si incontrano «chiome torbide / di stelle» che si «cristallizzano in luminarie di corone» (Il sole danzando, p. 6). Inoltre, nell’opera sono presenti grandi uomini scomparsi (scrittori, regine), ma anche gente comune. Nel suo itinerario, che si snoda per 108 canti, di cui uno è La chioma di Berenice, il poeta incontra «le diverse forme dell’azione, del sentimento, della coscienza e dell’emotività umana (la pace, la guerra, l’amore, la fede, l’ateismo, la giustizia, l’ingiustizia, l’odio, la speranza)», come si legge nella citata Prefazione.
Nell’opera, dal titolo Big bang, si notano anche altri personaggi storici e mitici (Cristo, Rama, Orfeo, Prometeo, Berenice appunto, Adamo etc.) e profeti come, per fare solo qualche nome, Salomone, David, nonché la regina di Saba, San Pietro, San Paolo. Senz’altro, questo viaggio di Angelo Manitta è straordinario e affascinante: attraversa mitologia e cosmo per approdare, poi, alla fonte originaria, prima del Creato. L’opera si chiude con un’intensissima visione di luce: «Ecco, è la chioma della nostra / regina che dall’alto protegge / i nostri destini, è luce / eterna di profumi divini» (Conone scopre la chioma, p. 56).
Dall’opera viene fuori tutta la sensibilità, la maestria, la personalità di Angelo Manitta, il quale è senza alcun dubbio un poeta colto, istruito, conoscitore profondo della mitologia, del cuore e dei destini umani, un poeta per il quale il linguaggio ha qualcosa di sacro. Intensi e sentiti versi raccontano, attraverso strofe classiche ma di accentuazione e musicalità moderna, la storia dell’uomo. Si tratta, insomma, di un’opera valida ed equilibrata nelle sue parti; originale per impianto, temi e stile.
Manitta sa leggere e scrivere nella storia del passato, nell’uomo e nel suo cuore, sa vedere bene le sue azioni, i sentimenti, i sogni, che sono d’ogni tempo: «Il fasto d’uno sposalizio, canto / d’Imene che unisce gli uccelli / dell’aria con i terrestri volatili / adunchi, smorza i veli / del tempio (…) Si rincontrano i cuori, e l’amore, / dapprima sopito, si tramuta / in ebbrezza, (…)» (Tolomeo III sposa Berenice, p. 42); «Tutto è concluso all’ombra / d’un brumoso palazzo: l’accordo / è fatto. La sposa non sa nulla. / Si spengono le luci della sera» (Il Padre Magas, p. 32); «L’amore è sbocciato d’un tratto, / sorto come fiore che solleva / il capo dalla brina pesante / della notte»; «Maledetto chi il ferro inventò, / ma premono ai confini i nemici / e si muovono i Carri ruotanti, (…)» (Tolomeo parte per l’Assiria, p. 46); «Le novelle spose non dispregiano / i piaceri di Venere, ma maledicono / le separazioni violente di chi ha colto / la verginità d’una seconda notte» (Il pianto di Berenice, p. 48).
Parole di alta qualità poetica mettono a nudo l’uomo di ogni epoca: «La mia storia non è una storia comune, / perché i miei genitori non sono / persone comuni. Hanno pensato / alla grande, hanno calpestato / emozioni, ma hanno raggiunto / la meta. L’amore è venuto / di soppiatto, inaspettato: ho saggiato / le grazie del vento scita» (Berenice racconta la sua storia, p. 30). Angelo Manitta è chiaro e incisivo, e i suoi versi sono sempre limpidi e fluidi; rendono il lettore partecipe della storia dell’umanità: questa è la nota precipua non solo di quest’opera, ma di tutta la sua produzione.
(fasc. 18, 25 dicembre 2017)