Recensione di Azar Nafisi, “Quell’altro mondo: Nabokov e l’enigma dell’esilio” (Adelphi 2022)

Author di Giuseppe Candela

Azar Nafisi raggiunse la fama soprattutto grazie al romanzo autobiografico Reading Lolita in Tehran: A Memoir in Books, pubblicato nel 2003 negli Stati Uniti, dove la studiosa si era rifugiata in seguito al trasferimento dall’Iran fondamentalista. Nel libro Nafisi ripercorreva gli anni di docenza all’università Allameh Tabatabei della capitale iraniana, dove insegnava letteratura americana e dedicava le proprie lezioni soprattutto all’opera di Nabokov, uno scrittore per lei oltremodo interessante. Eppure, la sua prima opera sull’autore russo risaliva a quasi un decennio prima, quando aveva scritto in farsi il suo primo studio su Nabokov, Ân donyâ-e digar: ta’ammol-e dar âsâr Vladimir Nabokov [lett. Quell’altro mondo: riflessione sull’opera di Vladimir Nabokov], pubblicato a Teherân nel 1994.

Il volume ebbe una florida circolazione in Iran e andò presto esaurito, entrando poi nel mercato nero fino a esaurimento delle scorte, come spiega l’autrice nella prefazione all’edizione inglese. Infatti nel 2019, venticinque anni dopo la prima edizione in farsi, Azar Nafisi licenziò l’edizione inglese, That Other World: Nabokov and the Puzzle of Exile, tradotta da Lotfali Khonji e uscita per i tipi della Yale University Press (New Haven). Nella nuova edizione in inglese l’autrice aggiungeva appunto un’importante premessa, intitolata Volodja (il nome con cui in famiglia era chiamato Nabokov), nella quale rifletteva sul ruolo svolto dall’opera dello scrittore russo sulla sua carriera di docente e lettrice. Su questa nuova edizione è condotta la traduzione di Valeria Gattei uscita per Adelphi nel 2022.

Tornando al proprio lavoro in farsi dopo venticinque anni, Nafisi spiega il motivo dell’importanza di Nabokov per lei e molti altri iraniani. Non solo nella sua opera, ma anche nella sua esperienza biografica lo scrittore russo ha riflesso, infatti, il destino di diversi persiani costretti all’esilio a seguito dell’istituzione della Repubblica Islamica in Iran, che limitò drasticamente la libertà di espressione e la dignità di molte classi sociali. La stessa Nafisi fu costretta a ritirarsi dall’insegnamento universitario perché donna.

In particolare, la studiosa identifica il lascito più importante dell’opera dello scrittore russo nei suoi romanzi. In essi è riscontrabile in sordina un sottile tono ironico che smorza quelli della più triste tragedia:

Quel silenzio doloroso, espresso nei romanzi, genera una forte empatia. Le opere di Nabokov, più di qualunque altro romanzo moderno, sono variazioni sui mali del solipsismo. Tuttavia, sia nei romanzi non politici che in quelli politici, e perfino nei più tragici come Lolita, si trova sempre una vena di assurdo, una presa in giro sprezzante, quasi una parodia di qualche forma di crudeltà; il pathos è sempre accompagnato dalla discesa nel ridicolo. (P. 23)

Nonostante Nabokov abbia sempre tenacemente rigettato l’idea che le sue opere potessero contenere elementi ideologici e politici, Azar Nafisi, sulla scorta di altri specialisti nabokoviani (è il caso di menzionare almeno la lettura di Connolly e, in tempi più recenti, il lavoro del 2007 di Leland de la Durantaye) insiste sulla presenza di un fondo morale e di una finalità pedagogica in tutti i suoi romanzi:

Non critica un governo specifico in un’epoca specifica; il bersaglio dei suoi libri è la mentalità totalitaristica, che si tratti di opere distopiche come Invito a una decapitazione e Un mondo sinistro o, su un piano più personale, della cecità di Humbert verso Lolita quale essere umano separato e distinto, con ambizioni proprie e sentimenti propri. Alla fine il crimine peggiore di Humbert non è l’assassinio di Quilty, ma la confisca della vita di una bambina, trasformata in un prodotto della sua immaginazione disturbata, in un oggetto di desiderio. (P. 25)

L’attenta lettura dei suoi libri non rivelerebbe dunque, secondo Nafisi, solo uno scrittore attento all’aspetto formale e alla resa impeccabile del congegno narrativo: in essi emergerebbe invece con forza la visione del mondo dell’autore e quindi il suo messaggio positivo ed essenzialmente ottimista al lettore. I suoi personaggi disturbati e perversi, i suoi mondi distopici e infelici, sono creati allo scopo proporre una pedagogia in negativo:

Libro dopo libro, Pnin, Lolita, Invito a una decapitazione, Un mondo sinistro, Fuoco pallido e Ada, scopriamo che i cattivi sono i solipsisti, coloro che, per una ragione o per l’altra, diventano troppo egocentrici per udire, vedere ed essere capaci di empatia; coloro che impongono a esseri umani vivi, reali, non soltanto la loro volontà, ma immagini e idee prefabbricate. Questi nuovi, affascinanti mostri sono tra i grandi contributi di Nabokov alla narrativa moderna. (Pp. 37-38)

Azar Nafisi, nonostante ciò, si professa una lettrice e una critica «formalista» (p. 28), fedele a una lettura tradizionale della macchina narrativa, senza però tralasciare quella portata metaforica e attualizzante che la rende significativa per il lettore. Lo scopo del libro ab origine era quello di «parlare del rapporto fra la nostra realtà e le opere di Nabokov, un modo che definii metaforico» (p. 26).

Il libro, esclusa la premessa, è rimasto immutato dal 1994 ad eccezione di qualche piccolo ritocco dovuto all’aggiornamento degli studi. Esso si compone di sette capitoli, il primo dei quali è essenzialmente introduttivo e narra in breve la vita dello scrittore russo, concentrandosi sugli eventi più importanti e attingendo ampiamente al fondamentale lavoro biografico e critico di Brian Boyd sugli anni russi (1990) e quelli americani (1991) di Nabokov. Più precisamente, Nafisi dà ampio spazio al racconto dell’infanzia tra San Pietroburgo e la tenuta di Vyra, dove Vladimir crea il suo immaginario poetico, mentre gli anni del college a Cambridge e quelli nei quali si conquista progressivamente il ruolo di più grande scrittore dell’emigrazione russa di Berlino sono narrati più sbrigativamente per dar maggior risalto agli anni americani, nei quali Nabokov compone le opere di cui le pagine successive tratteranno quasi esclusivamente (ad eccezione del Dono). In questo primo capitolo biografico è presente anche un cappello introduttivo che riflette sull’importanza del tema del tempo, presente in quasi tutti i romanzi nabokoviani, seppur declinato in maniere differenti: «Uno dei temi principali di Nabokov è la lotta sofferta per mantenere intatto ogni momento vissuto, sia come scrittore sia come uomo che condivide un’esperienza universale. Ma alla fine questa lotta deve fare i conti con il fluire del tempo, che si fa beffe persino delle nostre ambizioni più salde» (p. 43). E poco più oltre:

Le idee di Nabokov prendono forma alla luce di questo metatema del “tempo come prigione”, che getta le basi della sua intera opera e ne scolpisce ogni meandro. In questo libro mi propongo di esplorare a fondo l’evoluzione dei temi ricorrenti in Nabokov. L’esilio, la realtà contrapposta al sogno, la crudeltà e il dolore, l’arte e l’amore (o l’amore e l’arte): sono i mattoni con i quali l’autore costruisce il suo mondo narrativo. (P. 44)

Nei capitoli che seguono sono oggetto di analisi i seguenti romanzi: nel capitolo II Il dono, Guarda gli Arlecchini e La vera vita di Sebastian Knight, che trattano «il tema delle associazioni nascoste e dell’interdipendenza di tutte le cose» (p. 95); nel III, Invito a una decapitazione e Un mondo sinistro, romanzi di carattere distopico; Pnin nel IV, Fuoco pallido nel V, Lolita nel VI capitolo e Ada nel VII e ultimo. La scelta di queste opere tra l’ampia produzione narrativa di Nabokov si deve a un principio tematico che collega, appunto, il motivo del rapporto tra arte e vita al tema dell’esilio e a quello del tempo contro cui la memoria (e l’arte) ingaggia una lotta per la sopravvivenza: «L’unico modo di sopravvivere, allora, è trasformare per mezzo dell’arte la “realtà” intollerabile: il mondo reale diventa un mondo di ombre, così che la memoria e l’immaginazione possano ottenere lo status di “realtà”. I romanzi di Nabokov ci insegnano come vivere nel vuoto» (p. 98).

In molti romanzi di Nabokov, inoltre, la narrazione si concentra su intrecci tragici, ma queste storie, come nota Nafisi, possiedono una forza polisemica proprio in virtù della loro capacità di non esaurirsi in un’unica tonalità e di contenere molto spesso elementi parodici e ironici che smorzano la visione tragica di molti protagonisti: «Lolita, come la maggior parte dei romanzi di Nabokov, combina la tragedia con la parodia della tragedia, cosicché la trama procede, inevitabilmente, lungo due linee diverse» (p. 304).

Avvalendosi dei contributi di altri critici, Azar Nafisi ricostruisce la struttura e i temi principali dei romanzi trattati senza uniformarli a una visione parziale e particolare tipica di molte monografie. Il fil rouge dell’esilio, che dà il sottotitolo anche alla traduzione italiana (L’enigma dell’esilio), è infatti illustrato all’interno della costellazione tematica dei romanzi e si riconnette all’importante premessa scritta nel 2019.

Vale la pena ricordare in chiusura che questa traduzione è tanto più preziosa in quanto rappresenta una delle pochissime monografie presenti in italiano sull’opera narrativa di Nabokov, con la sola eccezione del sintetico Invito alla lettura di Nabokov di Andrea Carosso (Milano, Mursia, 1999) e di I romanzi russi di Vladimir Nabokov di Gabriella Schiaffino (Milano, Arcipelago, 2004). La pubblicazione di questa traduzione di Azar Nafisi sembra inoltre aver anticipato due importanti volumi su Nabokov usciti in italiano nel 2023: Strange opinions? Le lezioni di letteratura di Vladimir Nabokov a cura di Cinzia De Lotto, Susanna Zinato e Manuel Boschiero (Liguori), che si concentra sull’opera critica dello scrittore; e Il clan Nabokov di Chiara Montini (Mimesis), che studia il rapporto tra Vladimir e il figlio Dmitri nell’ambito della versione in inglese dei romanzi russi, di cui Dmitri fu spesse volte traduttore.

(fasc. 52, vol. II, 3 giugno 2024)

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