Finalmente possiamo leggere un libro innovativo sulla figura e sulla poesia di Alda Merini: l’autore è uno studioso che ha una sterminata conoscenza della letteratura classica, moderna e contemporanea, ed è, inoltre, un traduttore di lingue antiche e moderne. L’opera ben spicca nella foltissima bibliografia critica sulla poetessa milanese in quanto ha un taglio particolare che la differenzia da molti contributi in cui si sono ripetute riflessioni generiche sulla poesia meriniana.
Emiliano Sciuba si è laureato con una tesi comparata sulla Merini e l’orfismo della sua costellazione critica (nella laurea triennale), mentre per la laurea magistrale ha scritto una tesi comparata sulla letteratura erotica sanscrita e greca tra Amaru e l’Antologia Palatina. Si comprende, quindi, il taglio che ha dato a questa sua analisi critica sulla poetica o, meglio, sulle diverse fasi poetiche della poetessa dei Navigli.
In sostanza, dalla lettura del libro emergono tutte le linee di studio di Emiliano Sciuba, i cui campi di ricerca – come si apprende dalla Notizia (e si vede pure molto bene dal volume) – sono principalmente l’estetica letteraria e la presenza classica nelle letterature e nel pensiero (post)moderni («ricezione, adattamento e trasformazioni nei diversi linguaggi»), ma che non trascura le «intersezioni fra letterature e arti antiche, medievali, moderne e contemporanee».
Uno studio di tal genere sulla poetessa non era stato mai fatto, anche se nel corso del tempo si sono avuti interventi e analisi critiche notevoli, citate dallo studioso. Inoltre, è da dire che il libro risulta essere scritto in maniera chiara: tutto è omogeneo e sono chiariti e messi a fuoco aspetti che prima erano poco indagati, come pure sono suggerite stimolanti e proficue indicazioni di lettura. Insomma, Emiliano Sciuba si muove molto bene fra le poesie e nella vita della Merini e indica come bisogna leggere la poetica meriniana e quali sono i suoi addentellati culturali e le sue fonti. Ci viene pure offerto un commento minuzioso e convincente di tantissime poesie per le quali sono indicate le fonti e si ricostruisce come la poetessa le abbia fatte sue, adattando alla propria sensibilità ciò che leggeva in altri poeti e poetesse.
Sciuba conduce il proprio studio in base a un metodo – lo ribadisco –comparativo, ma nello stesso tempo non trascurando di fare ampie ed esaustive incursioni di messa a fuoco critica sulla poesia di altri poeti, conosciuti e meditati dalla Merini: Saffo, Quasimodo, Lorca, Manganelli e poi, ancora per fare dei nomi, Emily Dickinson, Sylvia Plath, Eugenio Montale, Dylan Thomas, Rainer Maria Rilke. Vengono illustrati i loro procedimenti poetici, come pure le divergenze e le convergenze con la poesia della Merini, la quale ad esempio presenta un’affinità elettiva con Saffo, da cui non può prescindere in quanto poetessa d’amore: con quella Saffo «figura mitica e mitizzata di solitudine nonché icona dell’amore rifiutato». La poetessa antica «aveva ammaliato la Merini nelle traduzioni del suo caro Quasimodo, fin dall’icastica dedica a ‘Saffo antica maestra e disperata portatrice d’amore’», inclusa nelle Lettere al dottor G, epistole datate 1965-1972 e indirizzate allo psichiatra che la seguiva presso l’ex manicomio Paolo Pini, nella periferia milanese.
Ecco ancora un’altra donna-poetessa, Gaspara Stampa, «nobile cortigiana», autrice di 311 Rime che costituiscono il suo canzoniere. Questa poetessa ha dedicato le sue poesie al proprio amore, il conte Collatino di Collalto, che però non ricambiava, e perciò Gaspara, secondo la leggenda, si suicidò. La Stampa scrive in una sua lirica: «Arsi, piansi, cantai; piango, ardo e canto;/ piangerò, arderò, canterò sempre». Lei è un’altra Musa della Merini, come pure la nominata Plath: «Povera Plath troppo alta per le miserie della terra,/ meglio certamente la morte/ e un forno crematorio/ alle continue bruciature del vento».
A parte ciò, l’analisi critica dello studioso inizia dalla raccolta La gazza ladra –Venti ritratti del 1985, collocata nella sezione della «raccolta di raccolte» Vuoto d’amore (Einaudi 1991) e si allarga poi alle altre sillogi poetiche.
Con La gazza ladra ci troviamo davanti a componimenti che la poetessa ha dedicato a venti poeti nei quali si riconosce: non si tratta solo di ritratti, ma di «figure cui una poetessa ‘maudite’ come la Merini doveva la sua stessa vita, risultando infatti per lei ineluttabile (in senso etimologico) il binomio arte/vita». Comunque, il taglio «comparativo-gnoseologico» del libro sopperisce a una lacuna: i pochi studi fatti da accademici e non che attengono alla poesia meriniana, apparsi nei due decenni del XXI secolo. «Forse la ‘pazzia’ della poetessa ha sviato la critica maggiore ma sarebbe ormai ora di considerare che la poesia di Alda Merini non deriva dal manicomio, ma ‘preesisteva’ ad esso, ed era precocemente matura» (per questa citazione e per quelle precedenti si veda l’Introduzione).
Emiliano Sciuba dapprima considera le prime dieci poesie della Gazza, in quanto vi sono contenute le fonti poetiche meriniane, da Saffo all’amante e poeta Manganelli. Spiegato molto bene il titolo della raccolta, che allude a un corvide, la «Pica pica» di Linneo, la gazza «ladra» viene «scelta come suggello della raccolta di ritratti meriniani, perché tali ‘personae’ sono come oggetti sfarzosi e rari, il cui bagliore spinge irrefrenabilmente l’uccello a rubarli, portandoli nel proprio nido, assimilandoli a sé. Non sfuggirà, inoltre, la dicromia ‘bianconera’ della gazza». Inoltre, il titolo del libro – come ci informa lo studioso – prende spunto dal terzo verso («A girl mad as birds») di una delle più belle poesie di Dylan Thomas, Love in the Asylum (‘Amore in manicomio’, 1946). Sciuba cita altri poeti europei come per esempio Lorca e Rilke, assai vicini alla Merini rispettivamente «per l’oscurità panico-onirica dell’erotismo» e «per l’estasi orfico-metafisica della vita». Tutto sommato, per le ragioni addotte dal critico, la poetessa milanese si può apostrofare «una ragazza folle come gli uccelli», e perciò ricorre il valore simbolico della gazza meriniana del 1985.
Viene descritta minutamente e in modo convincente la poesia della Merini con l’ausilio delle sue fonti, essendo ella poetessa essenzialmente d’amore, e non è certo un caso che la raccolta si apra con Saffo. Ci viene offerta una sinossi tematica dei dieci poeti a cui la Merini guarda, si rivolge, e ciò permette al critico di fissare «‘in nuce’, qual è il bagliore che di ognuno la gazza ladra ha voluto avocare a sé, saldandolo nel suo nido (il proprio ‘percorso poetico’) durante la vita, dal 21 marzo 1931 al 1 novembre 2009 (stessa data di morte dei due poeti a lei diversamente affini: Pasolini e Pound)».
Nei ritratti figura ancora Montale, che non è quello metafisico del male di vivere ma quello amoroso e paterno, «l’impossibile marito di una coppia-non coppia», quella con la poetessa Spaziani («Maria Luisa [Spaziani, di quasi trent’anni più giovane] fu il tuo gingillo felice/ vi ci giocasti la senilità»); entrambi finirono con lo sposare altri: Montale la Tanzi, una donna malata di spondilite che una volta tentò di uccidersi, la Spaziani il tisiaco Zolla. Tutto ciò rimanda alla sventura amorosa della Merini. Difatti, questi sono gli anni da lei vissuti nella città di Taranto, ove nel 1984 approda, dopo essere uscita dal manicomio milanese e passando un periodo di disperata carenza affettiva. Sposa il medico e poeta Michele Pierri, un uomo anziano: quindi, appare giusta la domanda che si pone lo studioso: «che la Merini si riveda nella Spaziani?». Pierri, poi ammalatosi in modo grave, morirà nel 1988, lasciando così di nuovo sola e disperata la poetessa, che ritorna nella propria città.
Ciò che importa rilevare – come fa Emiliano Sciuba – che «‘le disiecta membra poetarum’ si riducano al proprio ‘unum’, così come una costellazione nel firmamento rimanda a un’unica figura, seppur composta da una pletora di stelle». Perciò, l’undicesimo ritratto è un autoritratto in cui in otto versi sono racchiuse le fonti poetiche presenti nella sua poesia: «Amai teneramente dei dolcissimi amanti/ senza che essi sapessero nulla./ E su questi intessei tele di ragno /e fui preda della mia stessa materia,/ In me l’anima c’era della meretrice della santa della sanguinaria e dell’ipocrita, molti diedero al mio modo di vivere un nome e fui soltanto una isterica». Puntuale il commento di Sciuba: «L’autodafè non poteva essere più lucido». La prima metà della poesia potrebbe ricordare quei poeti già segnalati come la Dickinson e la Plath, per esempio. Insomma, «l’Alda Merini, come le piaceva definire sé stessa, fu ‘soltanto’ un’‘isterica’, cioè votata all’utero […], donna e madre: una poetessa d’Amore».
Il suo mondo simbolico è ben esplorato e analizzato, e lo studioso giunge alla conclusione che esiste una «linea orfica» della poesia italiana e che ad essa appartiene la Merini «a pieno titolo». Come già accennato, le sue fonti sono ampie e vengono tutte elencate: per esempio, la Bibbia, i mistici medievali, Angiolieri, i poeti del Due-Trecento italiano etc. Fonti che la Merini adatta alla propria sensibiltà e ai propri sentimenti.
Nel documentato e ben impostato libro si leggono pagine che attengono alla fortuna critica della poetessa, amatissima dai giovani e non tanto dalla critica accademica, e da questa poco studiata, anche se non mancano studi del passato o del presente che, però, hanno un carattere generale. Dopo aver fornito informazioni anche sulla vita della poetessa, lo studioso affronta i suoi testi, mostrandone stile e tematiche. Così viene delineato un quadro ben preciso dello svolgimento poetico meriniano e di come si è evoluto, raccolta dopo raccolta: per esempio, vengono isolati versi nei quali è racchiuso tutto l’universo poetico della poetessa trentenne, autrice della poesia Lirica antica che appartiene alla silloge del 1962, Tu sei Pietro.
Sciuba segue nel tempo lo svolgimento lirico della Merini, soffermandosi su testi chiave, ben commentati e illustrati; per esempio, la poesia Canto di risposta (che appartiene a La terra Santa del 1984), in cui risalta la poetica di Alda Merini: «L’essere stata in certi tristi luoghi,/ coltivare fantasmi /come tu dici, attento amico mio,/ non dà diritto a credere che dentro/ dentro di me continui la follia./ Son rimasta poeta anche all’inferno/ solo che io cercavo di Euridice/ la casta ombra e non ho più parole…/ Ecco, Franco, la tenera risposta/ al tuo dilemma: io sono poeta/ e poeta rimasi tra le sbarre» (il componimento è dedicato all’amico e scrittore Franco Gentilucci). Ancora è analizzata la cosiddetta “oralità” della poesia meriniana.
In queste pagine Emiliano Sciuba mostra la propria cultura classica, la conoscenza profonda che ha della poesia italiana, ma pure di quella straniera e al riguardo si rinvia soprattutto alle già menzionate pagine dedicate ai rapporti poetici della Dikinson e della Plath con la Merini: la parte terza del libro difatti prende il titolo Dikinson, Plath & Merini: quando le Grazie danzano.
Dopo queste analisi lo studioso perviene alle Conclusioni, per cui la Merini è «Folle come gli uccelli –vale a dire: libera e visionaria come il cielo». Il libro di Sciuba è teso a dimostrare proprio questo e ha messo a fuoco la poesia simbolica della Merini, «che dopo la recente morte della poetessa ha iniziato ad attirare un interesse sempre maggiore. La via per una piena rivalutazione del caso Merini – glissato subdolamente col pretesto del personaggio buffonesco e velleitario avulso dagli ambienti letterari e dall’impegno marxista, non in ultimo poiché donna – e la via per il suo riconoscimento da parte dell’Accademia italiana sono ancora lontane».
Comunque Alda Merini è una poetessa molto amata «in special modo dai giovani e dai giovanissimi, che ogni giorno ne riconsacrano il ricordo tra murales, citazioni sine nomine locoque online, canzoni cantautoriali rock-pop e altre forme d’arte». Insomma, è stata «un’immagine mass-mediatica, ‘popolare’ nell’accezione più positiva del termine – beninteso ciò non va tanto a detrimento del suo valore poetico, quanto a quello lungimirante e progressista degli ‘intellettuali’ -, e solo questo ha permesso fisicamente di quintuplicare le copie di ogni suo anche minimo o mediocre scritto, o plaquette» (cfr. le Conclusioni).
Per Emiliano Sciuba, dunque, Alda Merini è la maggiore poetessa che l’Italia abbia avuto, “un poeta” tra i più lirici e orfici. Il volume si chiude con una vasta bibliografia delle opere meriniane e della critica al riguardo.
(fasc. 35, 11 novembre 2020)