Giuseppe Langella, marchigiano, già professore ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è il Presidente dell’Associazione dei contemporaneisti italiani, la MOD o Società italiana per lo studio della modernità letteraria. Nell’ateneo lombardo ha diretto per anni il Centro di ricerca “Letteratura e cultura dell’Italia unita”, e l’“Archivio della letteratura cattolica e degli scrittori in ricerca”.
Oltre a essere noto per tali meritorie iniziative, è uno stimato studioso soprattutto di Manzoni, Svevo e altri autori dell’Ottocento e del Novecento italiano, avendo pubblicato svariati volumi di critica letteraria, fra i quali si possono ricordare: Il secolo delle riviste. Lo statuto letterario dal Baretti a Primato (Milano, Vita e Pensiero, 1982); Da Firenze all’Europa. Studi sul Novecento letterario (Milano, Vita e Pensiero, 1989); Italo Svevo (Napoli, Morano, 1992); Le ‘favole’ della Ronda (Roma, Bulzoni, 1993); Il tempo cristallizzato. Introduzione al testamento letterario di Svevo (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995); Poesia come ontologia. Dai vociani agli ermetici (Roma, Studium, 1997); L’utopia nella storia. Uomini e riviste del Novecento (Roma, Studium, 2003); Cronache letterarie italiane. Il primo Novecento dal Convito all’Esame (Roma, Carocci, 2004); Amor di patria. Manzoni e altra letteratura del Risorgimento (Novara, Interlinea, 2005); Manzoni poeta teologo (1809-1819), uscito a Pisa per ETS nel 2009. Numerose sono, però, anche le curatele che portano la sua firma, a partire da testi dedicati alla formazione e al rapporto tra scuola secondaria e università come Il Novecento a scuola (Pisa, ETS, 2011) o La didattica della letteratura nella scuola delle competenze (Pisa, ETS, 2014); fino ad arrivare ad Atti di convegno come: L’interrogazione infinita. Roberto Sanesi poeta (Novara, Interlinea, 2004); A verità condusse poesia. Per una rilettura di Clemente Rebora, con Roberto Cicala (Novara, Interlinea, 2008); Giuseppe Pontiggia. Investigare il mondo. Atti del Convegno internazionale di studi nel decimo anniversario della scomparsa (Milano 30 ottobre 2013), con Alberto Cadioli, Daniela Marcheschi, Gino Ruozzi (Novara, Interlinea, 2015); o antologie poetiche come: Il canto strozzato: poesia italiana del Novecento. Saggi critici e antologia di testi, con E. Elli (Novara, Interlinea, 1995); e Silvio Ramat, Tutte le poesie (1958-2005) (Novara, Interlinea, 2006). Infine, da ricordare Luci di posizione: poesie per il nuovo millennio. Antologia del realismo terminale (Milano, Mursia, 2017): la silloge, di cui Langella è curatore e anche uno dei sei poeti antologizzati (ognuno con dieci testi), è quella che, in questa sede, c’interessa maggiormente perché anche il recente Pandemie e altre poesie civili – di cui si tratterà più nello specifico in seguito – s’inscrive di diritto nella poetica del Realismo Terminale.
Pino Langella, infatti, ha pubblicato anche altri versi, ma quelli della citata Luci di posizione sono pienamente in linea con l’indirizzo del movimento poetico il cui “punto di partenza” è stato Il realismo terminale, manifesto elaborato dal poeta Guido Oldani nel 2010[1]. Dopo un primo contatto con i realisti terminali in occasione del Convegno di Cagliari del 2012 (inserito nel festival Traghetti di poesia), Langella è entrato ufficialmente a far parte del gruppo in occasione della nascita del movimento, al Salone del libro di Torino del 10 maggio 2014, e ha sempre preso parte a tutte le iniziative di militanza organizzate fino a oggi.
Il Realismo Terminale ha al proprio attivo tre antologie: oltre alla già menzionata Luci di posizione (2017), L’occhio di vetro. Racconti del realismo terminale, a cura di Daniele Maria Pegorari (Milano, Mursia, 2020); e Il gommone forato. La poesia civile del Realismo Terminale, a cura di Tania Di Malta (Pasturana (AL), puntoacapo, 2022), che racchiude poesie, riferimenti militanti a fatti di cronaca e foto di opere d’arte che testimoniano del progressivo allargamento del movimento anche a ulteriori linguaggi espressivi. Fra gli altri libri editi, da ricordare La guancia sull’asfalto di Oldani (Milano, Mursia, 2018), oltre a Pandemie.
Per illustrare, in primo luogo, quali siano le caratteristiche del Realismo Terminale si ritiene utile rimandare in primis a un bel saggio di Stefania Segatori, uscito proprio recentemente su «Diacritica», dal titolo Pandemie, glossari e visioni: il Realismo Terminale e la poesia di Giuseppe Langella[2]: un punto di riferimento importante per inquadrare il fenomeno entro il quale s’inscrive la raccolta Pandemie[3].
Sappiamo bene che purtroppo la poesia occupa una posizione marginale nello scenario culturale e nell’editoria di oggi, sebbene le nuove forme di poesia e post-poesia – come quella di ricerca, quella in prosa, il neo-metricismo, fra le altre – attirino ancora l’interesse di certa critica, specie francese e americana (si ricordino almeno i nomi di Christophe Hanna, K. Silem Mohammad, Emanuel Hocquard). Attualmente, com’è noto, hanno successo soprattutto ibridazioni fra poesia e paradigma narrativo, versi attenti all’aspetto performativo o forme caratterizzate dal «riuso citazionistico dei linguaggi dei nuovi media» (S. Segatori, art. cit.), frequentissimo anche nei versi di Langella (si veda, per esempio, Notiziario, alla p. 9 di Pandemie).
Il Realismo Terminale ha risposto alla progressiva perdita di centralità della poesia anche nel panorama editoriale con la pubblicazione, nel 2009, della raccolta collettiva Prosa in prosa (per Le Lettere, con introduzione di Paolo Giovannetti): un invito a tornare a credere nell’importanza dell’espressione poetica e nella sua capacità di rappresentare il reale.
Come ha acutamente notato Segatori, il Realismo Terminale è un’avanguardia sui generis che non ama né lo sperimentalismo fine a sé stesso né l’utilizzo di un lessico troppo ricercato; non dimentica la tradizione, tornando al gioco delle rime, delle consonanze e delle assonanze; all’importanza della sonorità e alla misura del verso. Dal punto di vista del contenuto, la poetica realista terminale è fortemente militante in senso civile, attirando l’attenzione del lettore su gravi eventi di cronaca per stimolare il suo senso di empatia e indurlo a riflettere sul destino dell’umanità: l’io scrivente resta, infatti, spesso implicito, in questi versi, prevalendo la dimensione collettiva del “noi”.
Secondo Oldani (Il Realismo terminale, Milano, Mursia, 2010, pp. 14 e 17), è propria del Millennio in corso, ovvero dell’era dell’Antropocene, la coscienza che hanno gli uomini di essere attori con un’enorme influenza sull’ecosistema: pertanto, ciò che rende attuale il Realismo Terminale – con una bella definizione sempre di Segatori (art. cit.) – è il suo essere una «voce interrogante del tempo presente». Fra le sue tematiche, infatti, si possono annoverare la contrapposizione tra natura e città, l’oppressione per l’affollamento degli oggetti “servi-padroni” del quotidiano, le istanze ambientaliste ed ecologiste, problematiche che la pandemia da Covid-19 ha di certo aggravato. Una delle parole-chiave del Realismo Terminale è proprio “pandemia”, termine utilizzato già da Oldani, in tempi non sospetti, nel pamphlet del 2010 e poi ripreso nella versione breve del Manifesto datata 2014:
A TESTA IN GIÙ
Manifesto breve del Realismo terminale
La Terra è in piena pandemia abitativa: il genere umano si sta ammassando in immense megalopoli, le “città continue” di calviniana memoria, contenitori post-umani, senza storia e senza volto.
La natura è stata messa ai margini, inghiottita o addomesticata. Nessuna azione ne prevede più l’esistenza. Non sappiamo più accendere un fuoco, zappare l’orto, mungere una mucca. I cibi sono in scatola, il latte in polvere, i contatti virtuali, il mondo racchiuso in un piccolo schermo. È il trionfo della vita artificiale.
Gli oggetti occupano tutto lo spazio abitabile, ci avvolgono come una camicia di forza. Essi ci sono diventati indispensabili. Senza di loro ci sentiremmo persi, non sapremmo più compiere il minimo atto. Perciò, affetti da una parossistica bulimia degli oggetti, ne facciamo incetta in maniera compulsiva. Da servi che erano, si sono trasformati nei nostri padroni; tanto che dominano anche il nostro immaginario.
L’invasione degli oggetti ha contribuito in maniera determinante a produrre l’estinzione dell’umanesimo. Ha generato dei mutamenti antropologici di portata epocale, alterando pesantemente le modalità di percezione del mondo, in quanto ogni nostra esperienza passa attraverso gli oggetti, è essenzialmente contatto con gli oggetti.
Di conseguenza, sono cambiati i nostri codici di riferimento, i parametri per la conoscenza del reale. In passato la pietra di paragone era, di norma, la natura, per cui si diceva: «ha gli occhi azzurri come il mare», «è forte come un toro», «corre come una lepre». Ora, invece, i modelli sono gli oggetti, onde «ha gli occhi di porcellana», «è forte come una ruspa scavatrice», «corre come una Ferrari». Il conio relativo è quello della “similitudine rovesciata”, mediante la quale il mondo può essere ridetto completamente daccapo.
La “similitudine rovesciata” è l’utensile per eccellenza del “realismo terminale”; il registro, la chiave di volta, è l’ironia. Ridiamo sull’orlo dell’abisso, non senza una residua speranza: che l’uomo, deriso, si ravveda. Vogliamo che, a forza di essere messo e tenuto a testa in giù, un po’ di sangue gli torni a irrorare il cervello. Perché la mente non sia solo una playstation.
Firmato
Guido Oldani
Giuseppe Langella
Elena Salibra
Si noti, fra l’altro, il riferimento iniziale alle “città continue” di calviniana memoria, come Leonia e Pentesilea.
Come si legge anche nello stesso Manifesto, lo strumento retorico preferito dai poeti realisti-terminali è la “similitudine rovesciata”, dispositivo che si serve di capovolgimenti, inversioni, paragoni stranianti che possono aiutare il lettore a comprendere meglio la dimensione artificiale in cui oggi vive: se, infatti, in passato il secondo termine di paragone di una similitudine era in genere rappresentato da un elemento naturale, arrivati al Terzo Millennio, paradossalmente è il mondo artificiale a essere divenuto indispensabile per comprendere quello della natura. La “similitudine rovesciata” tende, dunque, ad assimilare fenomeni naturali come la grandine a oggetti artificiali del quotidiano contemporaneo come i chicchi di polistirolo (la similitudine è stata proposta dallo stesso Langella nel suo intervento al menzionato convegno di Cagliari)[4], contravvenendo alla logica, che invece tenderebbe a rispettare l’ordine cronologico degli eventi: così, ad esempio, il sole potrebbe essere avvitato come una lampadina nel mezzo del cielo, come accade in un recente spot pubblicitario; oppure potrebbero essere utilizzati come faretti dalla luce calda dei limoni tagliati a metà (si veda lo spot Esselunga del 2018 di Armando Testa)[5]. L’asse temporale viene, dunque, infranto dalla retorica del Realismo Terminale, perché è come se la Storia fosse stata interrotta e non scorresse più lungo una linea retta: il movimento poetico, dunque, non fa altro che aiutare i lettori a prendere coscienza e a divenire consapevoli di fenomeni e tendenze già in atto nel mondo contemporaneo.
Così Langella nella poesia Pandemie:
Pandemie
A Guido Oldani
La Terra è un otto volante, una giostra
che si contendono a spinte e sgambetti
i più ambiziosi per mettersi in mostra.
È anche un cesto di posti mai visti,
da offrire a pacchetti in pasto ai turisti.
Per la finanza, invece, è biancheria
da strizzare a oltranza, finché ne avanza.
Per tutti gli altri è un grande frullatore,
dove ogni cosa vortica e si ammucchia,
si urta e si miscela senza posa;
anche i virus: quello a forma di mina,
nato, Dio sa come, in pancia alla Cina,
sta facendo una strage d’innocenti,
seminato nei cinque continenti.
Sfocia ogni crisi in una pandemia:
questa è la legge del mondo globale,
il tempo del realismo terminale.
Da notare, in questi versi, oltre alla presenza di varie similitudini rovesciate “accatastate” (ottovolante, giostra, cesto, frullatore etc.), l’uso sapiente dell’enjambement e la posposizione del soggetto al predicato, artificio assai utilizzato da Langella che contribuisce a turbare l’ordine atteso dei costituenti logici del discorso, movimentandolo e catturando l’attenzione del lettore. Il fine di tali versi impegnati è quello di risvegliare nel lettore l’attenzione all’impatto dei manufatti umani sull’ambiente, nel tempo della crisi perpetua, e a sensibilizzarlo sulla problematica ecologica, prima che gli esseri umani divengano essi stessi parte della catena di montaggio che hanno creato, riducendosi a meri pezzi di ricambio. Al riguardo, si legga anche C-ottimisti, inclusa nella Sezione L’uomo delle metropoli:
C-ottimisti
Ragionieri, stagiste, calciatori,
modelle, segretarie, tute blu,
lavoratori stagionali in nero,
siamo come padelle in mano a un cuoco,
che devono vedersela col fuoco,
congegni a molla cui dare la carica.
Pezzi di ricambio, o al massimo bijoux,
quando, pile esauste, non serviremo
più, ci smaltiranno in una discarica.
Da notare l’accumulazione caotica in cui tutto si mescola (torna idealmente l’immagine del frullatore già incontrata), tratto dominante pure in Tutti al mare (p. 32). In relazione al paragone con le «pile esauste» (v. 8), in particolare, la mente corre alle struggenti illustrazioni dell’artista giapponese Avogado 6[6], che genialmente rappresenta sentimenti e stati d’animo con una sensibilità e una potenza evocativa di fortissimo impatto.
La silloge delle ultime poesie di Langella, edite per l’editore Mursia (nella collana «Argani», diretta proprio da Oldani) ma precedentemente accolte anche su alcune riviste, si compone di un prologo (Pandemie), cinquanta poesie, suddivise in cinque sezioni (Cronache della barbarie; L’uomo delle metropoli; Money, money, money; La Terra presa a calci; Fratelli tutti, gli ultimi i primi), e un epilogo (Le ultime parole famose).
L’autore invita gli uomini a unirsi nuovamente nella «social catena» di leopardiana memoria in versi come quelli della sezione La Terra presa a calci quali Disastro ambientale (p. 50) o La pentola a pressione (p. 55). Nella raccolta Langella si scaglia spesso contro il consumismo e le speculazioni ambientali; deride il pop e il contraffatto (ad esempio, in La movida, p. 31); descrive l’uomo come ingranaggio di un sistema (ad esempio, in Pendolari, p. 24, e Underground, p. 25), un sistema che gli nega anche un nome (in Nickname, p. 30, e Il Grande Fratello, p. 29).
Non mancano rimandi alla sfera religiosa: ad esempio, alle parabole del figliol prodigo (La leggenda del figliol prodigo ai tempi di Las Vegas, pp. 44-45) e del buon samaritano; nella ricorrenza del termine «esodo»; nel titolo De profundis sul Bel Paese (p. 49); o nell’allusione al vitello d’oro e «ai falsi profeti di ogni libertà», nell’amara L’idolo di gesso (p. 19), che allude alla Statua della Libertà divenuta priva di significato nel momento del ritiro della Nato dall’Afghanistan, nell’agosto 2021.
In versi dall’andamento cantilenante e ricchi di assonanze interne, Langella racconta la dimensione tragicomica del quotidiano, deridendolo con ironia o sarcasmo: in Disonorevoli (p. 10) si utilizza il martellante decasillabo anapestico del primo Coro del manzoniano Carmagnola per mettere in burletta la politica dell’oggi («S’ode a destra uno slogan di fronda, / gli fa eco, dal centro un insulto; […]: p. 10, vv. 1-2); e in Quando si dice il destino (pp. 11-12) l’alternanza fra tondo e corsivo sottolinea il passaggio dal racconto degli eventi (in tondo) al loro commento dal sapore quasi aforismatico (in corsivo):
Il destino è un cecchino spietato:
dove punta il fucile alla cieca,
reca danni e il bersaglio è spacciato.
Sei al volante, in vacanza, sereno,
e dal monte si stacca una frana…
Cento metri più avanti, anche meno,
eri salvo e la notte lontana.
Il destino non prende la mira,
non ti vede nemmeno, ma tira.
[…]
Il destino è sempre in agguato.
A chi tocca, fra mille, è un mistero
di pietà che ci lascia sgomenti,
ma chi arma il destino rammenti
che una vita val più di uno zero.
Da notare anche che in questa, come in varie altre poesie dell’antologia, la chiusa contiene un memento, un monito, una conclusione di tono completamente diverso dal resto della composizione poetica, che rimanda al “sugo” della storia, all’insegnamento che deve venire dai gravissimi fatti di cronaca rievocati, fra le righe, dai versi: che siano storici come la morte dell’anarchico Pinelli in Non era l’Uomo Ragno (p. 14) o che siano di cruda attualità come il Pestaggio con spettatori (p. 15) del ventiduenne scandiccese Niccolò Ciatti.
Alcune poesie rimandano alla tradizione letteraria: impossibile non pensare al pascoliano Lavandare, leggendo Attende il trattore (p. 13), dedicata all’imprenditore Vittorio Mocchi; fa riandare con la mente a Una valigia di cartone di Nelida Milani la terribile Esodi (p. 18); l’uso insistito dell’onomatopea e lo stridore dei freni in Underground (p. 25) rievoca la carducciana Alla stazione in una mattina d’autunno; si cita esplicitamente dalla Canzona di Bacco di Lorenzo de’ Medici nella chiusa di L’altalena (p. 36); allude a Dostoevskij il titolo di Memorie dal sottosuolo (favoletta ecologica) (p. 57) etc. Rimanda, poi, efficacemente alla Commedia Cose dell’altro mondo. Terzine ecologiche per Dante (pp. 58-59): si noti, in effetti, che il plurilinguismo dei versi di Langella – che accosta anglismi e latinismi ad esempio in Brace, brace! (p. 35), mescolando termini dell’inno nazionale inglese con titoli di videogiochi e formule liturgiche – si rifà maggiormente al modello linguistico dantesco che a quello petrarchesco, meno atto a rappresentare il caotico mondo globalizzato attuale.
Particolarmente sentita la partecipazione del poeta agli eventi di cronaca rievocati nell’ultima sezione, divenuta sceneggiatura per un cortometraggio realizzato dalla studentessa Margherita Merzagora come laboratorio e presentato il 7 dicembre 2021 all’Università Cattolica di Brescia. Il titolo, Fratelli tutti, gli ultimi i primi, rimanda all’enciclica papale: vi sono raccolte dieci poesie di testimonianza su recenti episodi di discriminazione, miseria, brutalità, abuso, oltraggio ai diritti dell’umanità, al fine di evitare che si ripetano a causa dell’indifferenza dilagante e dell’assuefazione alla violenza tipica della civiltà dell’immagine. Si ricordino almeno: Il letto di cartone (p. 63), dedicata al senzatetto Michele Ubaldi, spentosi a ventinove anni nel 2019 («Per quasi tutte le persone sono un oggetto fuori posto»); Il bambino coi libri in braccio (p. 64), ispirata all’undicenne di origini marocchine che, nello sgombero di un ex-edificio scolastico occupato da famiglie di sfollati a Primavalle, scelse di portare con sé «i libri di scuola, tutto il futuro»; Slogan per Willy (p. 70), che rievoca il sacrificio del ventunenne Willy Monteiro Duarte, ucciso brutalmente a Colleferro il 6 settembre 2020 per essersi intromesso in una lite; e I can’t breathe (p. 66), i versi dedicati a George Floyd, assassinato a causa di pregiudizi razziali a Minneapolis il 25 maggio 2020.
Appare opportuno, infine, chiudere con la malinconica e struggente rievocazione del villaggio israeliano “Oasi di pace”, fondato nel 1972 da un domenicano, in cui convivevano pacificamente ebrei e arabi palestinesi, in parte distrutto da un incendio doloso il 31 agosto 2020, ma che resta a testimoniare il sogno di un mondo in cui s’impari a essere fratelli nella diversità, e a valorizzare le differenze che ci rendono unici, invece di appiattirle:
Wahat al-Salam
Lievita l’odio i più sordi rancori,
come le schiume dei poliuretani,
invoca vendetta, dente per dente,
nutre di sangue la mente e le mani.
Appicca incendi la setta fugace
nei villaggi per spegnere la pace.
Arde Nevé Shalom, manda bagliori,
rifulge nel rogo il sogno dei saggi,
fa più luce di cento riflettori.
- Al riguardo si veda il sito web dedicato a tutte le opere del Langella poeta all’URL: http://giuseppelangellaopere.weebly.com/il-realismo-terminale.html. ↑
- Cfr. n. 44, vol. II, 25 maggio 2022: https://diacritica.it/letture-critiche/pandemie-glossari-e-visioni-il-realismo-terminale-e-la-poesia-di-giuseppe-langella.html). ↑
- Il testo di questa recensione riproduce alcuni passaggi della presentazione del volume che ha avuto luogo a Roma, presso la libreria L’Altracittà, il 3 dicembre 2022. ↑
- Cfr. G. Langella, Chicchi di polistirolo, in La faraona ripiena. Bulimia degli oggetti e Realismo Terminale, a cura di Elena Salibra e Giuseppe Langella, Milano, Mursia, 2012, pp. 54-61. ↑
- Cfr. l’URL: https://newsroom.armandotesta.it/it/con-esselunga-e-armando-testa-va-in-scena-la-convenienza/. ↑
- Cfr. le URL: https://www.collater.al/illustratore-giapponese-avogado6-illustration/ e il sito dell’artista https://www.avogado6.com/. ↑
(fasc. 47, 25 febbraio 2023)