La nuova monografia su Cesare Pavese scritta da Monica Lanzillotta e pubblicata da Carocci editore rappresenta un contributo di notevole importanza per lo studio e la conoscenza del grande scrittore piemontese: essa offre finalmente una ricognizione approfondita, completa e aggiornata della sua vita e della sua opera. Il volume, di grande respiro, si presenta come una riconsiderazione complessiva di tutta la produzione pavesiana, che viene discussa e analizzata nella sua interezza, rimanendo però sempre strettamente ancorata al percorso biografico dello scrittore. Quest’ultimo viene ricostruito con cura e con piglio quasi narrativo, anche in quei dettagli minimi che appaiono però rilevanti nell’ottica di una maggiore comprensione della personalità di Pavese. Lo scrittore, vissuto in un secolo tragico, tra fascismo e guerra fredda, ha «interpretato i valori di fondo della storia di lungo periodo con sguardo ampio, tessendo, da infaticabile artigiano della scrittura, trame che sono sopravvissute nel tempo, diventando classici» (p. 11).
Il libro si articola in otto capitoli che, partendo dalla nascita dello scrittore e arrivando fino alla sua tragica morte, ne ripercorrono l’intera vita, soffermandosi di volta in volta, in ordine rigorosamente diacronico, su tutte le opere da lui composte. La Premessa iniziale è fondamentale per comprendere appieno l’impostazione critica su cui si basa questo lavoro. L’autrice presenta un Pavese che si mantiene lontano sia dal Naturalismo sia dal Neorealismo, sfuggendo «a ogni collocazione nel territorio strettamente letterario del primo Novecento» (p. 12). Egli «può semmai essere collocato nella più ampia categoria del modernismo» (ibidem) in quanto la sua narrativa, come quella modernista, «è caratterizzata dalla rappresentazione di una realtà non più positiva e verificabile che si dissolve in un prisma di punti di vista, dalla presenza dell’antieroe […] che si guarda dentro o si guarda vivere, e dallo sfrangiarsi della trama classica unilineare che determina il collasso della forma lunga in strutture a tenuta debole, grazie all’influsso di cinema e teatro» (p. 13).
La poetica di Pavese, che si nutre di diverse tradizioni (classici, letteratura angloamericana, etnologia, psicanalisi), ruota essenzialmente intorno a due poli: l’infanzia e la maturità. La prima è l’età istintivo-irrazionale che si fissa nella memoria e diventa “mito”, ponendosi come «periodo di predeterminazione del destino» (p. 14) e quindi della successiva maturità. Infanzia ed età adulta si ricollegano rispettivamente alla campagna (che rappresenta lo spirito dionisiaco) e alla città (che rappresenta l’apollineo). A detta di Lanzillotta, dunque, le opere di Pavese «sono incentrate sul riemergere delle origini, che permettono di comprendere chi si è: le trame ruotano intorno all’indagine conoscitiva che porta progressivamente il personaggio a riconoscere il destino, la forza inconscia che lo respinge in una sola direzione, verso le origini» (p. 15). Per questo motivo i miti fondativi dell’opera pavesiana sono quelli di Dioniso, «che rappresenta lo stato costitutivo dell’infanzia, il caos indifferenziato, il mostruoso» (ibidem), e quello di Edipo, che simboleggia il destino tragico dell’uomo. «Dioniso e Edipo sono inoltre condannati […] a essere erranti», precisa la studiosa, «e la strada costituisce la struttura fondante della produzione creativa di Pavese» (ibidem). A questa componente dionisiaca ed edipica l’autrice farà costante riferimento nel corso di tutto il libro. Ecco perché le ultime pagine della Premessa vengono riservate al racconto preliminare di questi due miti archetipici (Dioniso e la poetica della fanciullezza ed Edipo e la poetica del destino) sulla base delle fonti pavesiane: la loro conoscenza, infatti, si rivelerà fondamentale per comprendere l’approccio interpretativo adottato nel saggio. Lanzillotta, dunque, spiega preliminarmente che «Edipo, come Dioniso, è nomade e selvaggio, perché è condannato a non poter essere un cittadino della pòlis […]: è ascrivibile dunque, come Dioniso, alla barriera, ai margini, che sono eletti da Pavese a poetica» (p. 33).
Il primo capitolo prende in esame gli anni 1908-1930 e si concentra sulla formazione di Pavese tra letteratura e cinema (arte, quest’ultima, particolarmente sviluppata a Torino in quegli anni e di cui lo scrittore fu appassionato fruitore). Si parte dalla nascita, il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, e, attraversando tutta la fase dell’istruzione primaria e liceale (particolarmente importante per gli incontri con il suo maestro Augusto Monti e con amici del calibro di Einaudi, Bobbio, Mila o Ginzburg), si arriva alla sua prima affermazione come traduttore.
Il secondo capitolo si sofferma sulle prime prove di scrittura giovanili: poesie e racconti «caratterizzati da un alto tasso di autobiografismo» e che «riflettono gli stati d’animo di Pavese» (p. 61), ma soprattutto il diario adolescenziale di un campo scout a Celle Ligure (Dodici giorni al mare) e il prosimetro Ciau Masino, composto fra il ’30 e il ’32, che vede protagonisti l’operaio Masin e il giornalista Masino.
Gli anni fra il 1930 e il 1938 sono al centro del terzo capitolo: è il periodo che vede l’affermarsi definitivo di Pavese come traduttore di letteratura angloamericana, ma sono anche anni dolorosi in cui si susseguono numerose delusioni amorose, che costituiranno una costante di tutta la sua vita. Il 1933 è, inoltre, l’anno della nascita della casa editrice Einaudi a cui Pavese parteciperà attivamente. Le posizioni antifasciste dell’ambiente einaudiano e della rivista «La Cultura» portano, però, Pavese all’arresto e al suo confino in Calabria, a Brancaleone Calabro, dove rimarrà dall’agosto 1935 al marzo 1936. Al suo rientro pubblica per «Solaria» la prima edizione di Lavorare stanca, raccolta di poesie fortemente innovativa sia dal punto di vista formale sia da quello contenutistico rispetto alla lirica coeva. Due anni dopo racconta l’esperienza del confino nel suo primo romanzo, Il carcere, che però verrà pubblicato solo nel 1948.
Gli anni 1939-1941 (presi in esame nel capitolo quarto) vedono Pavese come «motore intellettuale dell’Einaudi». Per lo stesso editore pubblicherà Paesi tuoi, il romanzo che farà conoscere lo scrittore al pubblico come narratore. Segue La bella estate, che assieme a Il diavolo sulle colline e a Tra donne sole formerà un trittico: attraverso la simbologia dell’estate, questi testi raccontano la stagione dell’adolescenza. Infine, con La spiaggia, romanzo che ha per protagonista un anonimo professore torinese, lo scrittore si concede una «breve vacanza dionisiaca dalla maturità apollinea» (p. 115).
Il capitolo quinto si concentra sui terribili anni della guerra (1942-1943): Torino viene bombardata e Pavese si rifugia a Serralunga di Crea dalla sorella Maria (periodo successivamente rievocato nella Casa in collina), non prendendo parte alla lotta partigiana come invece avevano fatto molti suoi amici di gioventù. Nel ’43 esce per Einaudi la nuova edizione (parecchio accresciuta) di Lavorare stanca, vero e proprio canzoniere che pone al centro il tema del passaggio dall’adolescenza alla maturità.
Gli anni dell’immediato dopoguerra, 1945-1946, sono raccontati nel sesto capitolo. È questo il periodo in cui si afferma la letteratura dell’impegno sociale, a cui però Pavese non ha mai guardato con particolare simpatia. Anzi, egli in più occasioni ha manifestato avversione verso il Neorealismo, opponendo come modello il realismo americano. Questo è anche il periodo che vede Pavese impegnato, assieme a Ernesto De Martino, nella direzione della cosiddetta «Collana viola», originale progetto editoriale di studi religiosi, etnologici e psicologici. Nel ’45 lo scrittore conoscerà Bianca Garufi, segretaria della sede romana dell’Einaudi: per lei comporrà la silloge di nove poesie La terra e la morte e insieme scriveranno il breve romanzo, rimasto incompiuto, Fuoco grande. Il disagio provato da Pavese nei confronti degli amici morti nella lotta contro il fascismo lo porterà a “pagare il suo tributo” alla letteratura dell’impegno, scrivendo Il compagno (pubblicato nel ’47). Nel ’46 viene dato alle stampe anche Feria d’agosto, libro ibrido diviso in tre sezioni e composto sia da racconti sia da saggi. Qui l’estate, la stagione delle ferie, è rappresentata come la stagione dionisiaca dell’infanzia, contrapposta all’inverno, «stagione della maturità e della consapevolezza edipea» (p. 160).
Nel settimo capitolo viene presentato il “triennio creativo” di Pavese 1947-1949, che vede la composizione di opere di grande importanza: i Dialoghi con Leucò, La casa in collina, Il diavolo sulle colline e Tra donne sole, a ognuna delle quali Lanzillotta dedica diverse pagine di accurata analisi. In particolare i Dialoghi con Leucò – libro complesso costituito da ventisette dialoghi mitologici – sono considerati dallo stesso Pavese la sua opera più importante e il suo «biglietto da visita presso i posteri».
Infine, l’ultimo capitolo del volume si concentra per intero sul 1950, anno in cui Pavese pubblica l’ultimo romanzo, La luna e i falò, che definisce la sua «modesta Divina Commedia». Questo è il libro «della strada e della casa provvisoria» (p. 203) in cui il protagonista, Anguilla, si muove tra passato e presente. Ma il 1950 è anche l’anno dell’amore per Constance Dowling, alla quale dedica dieci poesie (otto in italiano e due in inglese) lasciate nel cassetto della sua scrivania e pubblicate postume da Massimo Mila e Italo Calvino con il titolo Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Tra il 26 e il 27 agosto 1950 Pavese muore suicida in una camera d’albergo a Torino, ingerendo dei sonniferi: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi» sarà il suo messaggio di addio, annotato su una copia dei Dialoghi con Leucò che lascia sul comodino.
Qui il volume si conclude: nelle pagine finali il lettore trova raccolte tutte le note e un’utile bibliografia critica, accanto alla quale viene offerto un ampio elenco di opere musicali ispirate a Cesare Pavese (a cura di Flavio Poltronieri e Manlio Todeschini), indice della grande fama raggiunta oggi dallo scrittore. Utile tanto per gli studenti quanto per studiosi, critici e ricercatori, questo libro – molto chiaro e scorrevole anche nella forma in cui è scritto – è destinato a rimanere un punto di riferimento imprescindibile per chiunque si accinga a studiare la figura e l’opera di Pavese, che qui viene svecchiata e considerevolmente aggiornata con nuovi e originali apporti critici e interpretativi.
(fasc. 47, 25 febbraio 2023)