Recensione di Mario La Cava-Fortunato Seminara, “Mi batterò come un leone. Carteggio 1936-1981”, a cura di Erik Pesenti Rossi (2021)

Author di Carmine Chiodo

Questo carteggio tra i due scrittori calabresi del Novecento è stato curato e commentato esaustivamente da Erik Pesenti Rossi, il massimo studioso vivente dello scrittore di Maropati (F. Seminara) a cui ha dedicato fondamentali e imprescindibili studi quali: Diari. 1939-1976, Pellegrini 2009; Vita di Fortunato Seminara, scrittore solitario, Pellegrini 2012; Fortunato Seminara, lettore e critico, Pellegrini 2018, per esempio. Per quanto attiene a La Cava, si veda pure dello studioso Un giorno dell’anno/Un Jour de l’annèe (dramma in versione bilingue, Presses Universitaires de Strasbourg 2022).

Si ricordi preliminarmente che Seminara nasce a Maropati il 1903 e muore a Grosseto nella casa del figlio, nel 1984; La Cava nasce a Bovalino nel 1908 e muore in questo paese nel 1988. Il titolo al loro carteggio, «Mi batterò come un leone», si legge in una lettera indirizzata da Seminara all’amico scrittore di Bovalino.

Il carteggio fino a questo momento era inedito e la sua pubblicazione è stata resa possibile «dalla volontà di Rocco La Cava, figlio dello scrittore, che ha messo a disposizione il materiale del fondo La Cava di Bovalino. Questo materiale è stato completato dalle lettere di Mario La Cava presenti nell’Archivio della Fondazione Seminara di Maropati» (v. Introduzione, p. ix).

Da dire che esiste una lacuna, un vuoto, tra il 1955 e il 1970. Comunque, grazie a questo carteggio, eccellentemente introdotto da Pesenti Rossi dell’Università di Strasburgo, si vengono a conoscere nuovi elementi interessanti dei due interlocutori ed emerge il rapporto amicale e di collaborazione tra i due scrittori che abitavano e lavoravano in due paesi abbastanza vicini. Inoltre, il carteggio mostra il temperamento artistico, la cultura, la lingua, lo stile dei due; e vi si sottolineano pure le loro differenze caratteriali, trattandosi di due uomini e di due artisti completamente diversi, che hanno posto al centro del loro lavoro narrativo la Calabria. Questo carteggio fa conoscere elementi interessanti di due scrittori che hanno dato alla letteratura italiana opere importanti e che ormai a pieno ne fanno parte: prova ne sia anche che varie opere di Seminara e di La Cava sono state tradotte in lingua estera.

Pesenti Rossi – lo si evince dalla puntualissima e chiarissima introduzione e dal minuto e capillare commento alle singole lettere – evidenzia le notizie e le considerazioni più preziose contenute nel carteggio: ad esempio, permette di capire come possa nascere in una regione come la Calabria, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, l’opera di uno scrittore, anzi «di due giovani scrittori in un contesto politico, economico e geografico particolare e sfavorevole» (ibidem).

Il carteggio vede la luce dopo la pubblicazione dell’altro, tra Mario La Cava e Leonardo Sciascia (Lettere dal centro del mondo 1951-1988, a cura di Milly Curcio e Luigi Tassoni, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2012), e di quello fra Domenico Zappone e Mario La Cava (Domenico Zappone, Cinquanta lettere a Mario La Cava, a cura di Santino Salerno, Reggio Calabria, Città del Sole Edizioni, 2019).

Non è facile dire come i due scrittori si siano conosciuti, ma un fatto è certo: fin da queste primissime lettere entrambi ambiscono ad affermarsi come scrittori di narrativa e di teatro. Entrambi sono riusciti, sebbene vedendo i risultati dopo anni, nei loro intenti; ingaggiando anche molte battaglie con sé stessi, hanno raggiunto ottimi risultati grazie alla loro sensibilità, al loro ingegno, alla loro cultura, tutte doti che hanno usato per cimentarsi nei vari campi della scrittura.

Sia Seminara sia La Cava non sono scrittori statici, ma da un punto di vista artistico ed esistenziale hanno vissuto parte della loro vita non solo nei rispettivi paesi ma anche in varie regioni italiane; hanno anche viaggiato all’estero, e in tal modo hanno accumulato tantissime esperienze di vita, frequentando vari centri culturali, scrittori, artisti, editori, critici. Hanno, quindi, avuto una vita artistico-culturale intensa e proficua, che ha lasciato traccia nelle loro opere.

Per i temi che trattano e per lo stile, entrambi non sono da considerarsi scrittori calabresi o peggio ancora regionali, ma scrittori del mondo: le loro opere oggi sono molto analizzate dalla critica, come pure sono apparse varie ristampe introdotte da vari studiosi che mettono in evidenza nuovi elementi prima non sottolineati abbastanza. Ancora vengono alla luce, e di Seminara e di La Cava, interessanti inediti che spesso superano l’ambito regionale o paesano.

Entrambi hanno lavorato alacremente e sono stati sempre ben consci dell’importanza del lavoro a cui essi attendevano; pur battendo strade poetiche e narrative diverse, hanno raggiunto splendidi risultati: penso alle Baracche di Seminara o a Disgrazia in casa Amato e a Il vento nell’oliveto; e penso a opere di La Cava quali: Caratteri, La ragazza del vicolo scuro, Una stagione a Siena, per citarne solo alcune.

Queste lettere mostrano ancora chiaramente come questi due scrittori si trasmettessero notizie e informazioni, parlando di quello che stavano facendo o scrivendo, o di editori, giornalisti, amici che frequentavano. Spesso esprimevano giudizi su personaggi della cultura del loro tempo: critici e scrittori incontrati e ai quali si erano rivolti per un consiglio o un aiuto editoriale o per la collaborazione a qualche giornale. Ma si scrivevano anche riguardo ai libri che leggevano, agli autori cui guardavano come modelli.

In queste lettere Seminara e La Cava si comunicano anche i loro dubbi e desideri, le loro delusioni, le loro decisioni, fatti privati, i loro amori, i loro incontri, la decisione o meno di restare in paese o di andare a vivere e a lavorare fuori dalla regione o magari all’estero, approdando a centri editoriali e culturali importanti: non solo Milano o Roma, ma anche Francia, America, Lussemburgo, Ginevra o in qualche altra città europea.

Leggendo attentamente questo carteggio, emerge un altro aspetto: non vi si parla di politica, che viene «evocata poco come già era insignificante nel diario intimo di Seminara» (p. xxxiii).

Erano anche grandi amici: Seminara conosceva i genitori di Mario La Cava, i suoi parenti; e La Cava, quando dei delinquenti incendiarono la casa di campagna (sita in frazione Pescano) di Seminara con tutti i suoi libri e manoscritti, il 19 gennaio 1976 scrisse un articolo dal titolo è scrittore? Sia punito con il fuoco (in «Il Giorno», 19 gennaio 1976), che si legge nella sezione Documenti di questo carteggio e che termina così: «A settanta e più anni Fortunato Seminara non si arrende. Io credo che gli italiani farebbero bene ad accorgersi di lui. Forse un uomo un po’ puntiglioso nella vita, ma severo nell’arte. Solo così è possibile la comunicazione con i nostri simili. Alla speranza di comunicare Fortunato Seminara rimane aggrappato come una quercia, anche se la terra frana sotto i suoi piedi» (p. xxxviii dell’Introduzione: Quarantacinque «anni di amicizia tra i due scrittori»).

Seminara, fra tutti gli scrittori calabresi, si sente più vicino a La Cava: entrambi si sono formati e fermati in Calabria, subendo varie conseguenze denunciate nel carteggio. Dal primo periodo (1936-1955) al secondo (1970-1981) il tono di queste lettere non muta: il rapporto è sempre fortemente amicale, sincero, affettuoso, e per questo il 2 settembre 1970, in una lettera a Mario, Fortunato avverte l’urgenza di confidare all’amico tutto il dolore e la disperazione per un brutto incidente occorso all’amata mamma: «mia madre ferita con una coltellata al viso da un capraio danneggiatore e delinquente […] Vorrei gridare al mondo il mio dolore, vorrei invocare soccorso, e non so da chi […]».

Seminara fa poche confessioni intime, ma afferma varie volte che avverte il bisogno di essere amato, mentre la Cava tace al riguardo. I due scrittori si incontrano in varie occasioni ma in un certo periodo, specialmente tra il 1936 e il 1954, si vedono molto poco; nonostante questo, il loro rapporto non cambia mai, anzi si rafforza: «l’affetto tra i due resta fertilissimo e si caratterizza per una solidarietà indefettibile: […] Seminara, da Roma, tiene l’amico di Bovalino informato di tutte le opportunità di pubblicazione su giornali e cerca di facilitargli i contatti con il Minculpop e il mondo dell’editoria. Mentre Mario gli dà consigli, gli suggerisce spesso di andare a trovare lo zio Francesco o Bonaiuti, e lo informa a sua volta di tutto quello che può essere proficuo per entrambi» (Introduzione, p. xliii).

Dal Carteggio emerge ancora come questo rapporto non cambi mai, mentre fra il 1970 e il 1981 è «mutata» la loro situazione: Seminara, dopo aver avuto successi editoriali negli anni Cinquanta, non riesce più a pubblicare le sue opere narrative ed è costretto a vivere in paese; La Cava, invece, pubblica opere importanti ma «non può nemmeno lui lasciare il paese». Entrambi sono isolati, «sicuramente delusi dalla nuova Italia repubblicana da cui si aspettavano molto, continuano ad essere vicini, a tenersi informati di quello che sanno del mondo dell’editoria, anche se si vedono pochissimo» (p. xliii dell’Introduzione).

Gli anni dal 1960 al 1970 sono anni dolorosi per Seminara, che è stato quasi obliato, mentre infuriano le sue polemiche con lo scrittore Giuseppe Berto, con Saverio Strati (1979), con tutti coloro che dicono e parlano della Calabria senza minimamente conoscerla (di nuovo G. Berto, P.P. Pasolini e anche Leonida Repaci). Taccio di altre sue polemiche. Pure La Cava è deluso, si sente emarginato, amareggiato; però, al contrario di Seminara, si presenta più «moderato» almeno in quello che scrive pubblicamente sui giornali.

Seminara, ma pure un altro scrittore calabrese, Francesco Perri, e lo stesso Mario La Cava hanno l’impressione che le loro opere narrative in futuro saranno ignorate, saranno poco riconosciute in Italia. La Cava è deluso pure dall’azione del Sindacato Nazionale Scrittori, da cui si allontana, sebbene continui a lottare e a lavorare per creare un futuro più positivo. Nelle ultime lettere chiaramente si nota come entrambi siano in una condizione di solitudine, di difficoltà. Comunque, restano sempre amici e confidenti, e difatti la loro amicizia è rimasta «fertilissima» «fino alla fine», come si evince dal saluto contenuto nell’ultima lettera di Seminara all’amico Mario, datata 6 novembre 1981: «Addio, caro Mario, voglimi bene come io te ne voglio».

Questo carteggio è importantissimo anche per un altro motivo: rovescia totalmente i luoghi comuni circolati sinora sui due scrittori. Per La Cava il «centro del mondo» è il paese e la Calabria ove vive, nonostante le angustie, mentre Seminara odia il paese forse da prima che andasse a studiare a Napoli e «si batte come un leone per non tornare nell’inferno di Maropati», ma alla fine, dopo aver avuto tante esperienze e viaggiato in Italia e all’estero, fa ritorno proprio a Maropati. In sostanza, entrambi hanno un mondo romanzesco e poetico in sé, per usare sempre parole di Pesenti Rossi; perciò non seguono mode letterarie.

Pesenti Rossi sottolinea ancora il fatto che uno dei pregi del carteggio è quello di «mostrare l’universalità (e il mistero) di certi meccanismi dell’urgenza della scrittura letteraria (e dell’opera artistica in generale)» e come spesso «i giovani artisti siano succubi della loro materia» (p. xlvii).

I due scrittori hanno avuto fede nella loro opera, hanno avuto una fede e una forza che hanno spesso permesso loro di continuare a scrivere e a vivere a dispetto di tutto e di tutti, in quanto – come scrive Seminara – «una sola cosa è mia, e nessuno me la può levare, come non potrebbe darmela, se io non la possedessi: l’ingegno; e lo farò valere» (ivi, Lettera di Seminara a La Cava datata 11 settembre 1938).

Oggi, per valorizzare e far conoscere l’opera dei due scrittori sono attive due importanti istituzioni culturali: la Fondazione F. Seminara di Maropati (Presidente Rocco Melito; Presidente Emerita Caterina Adriana Cordiano) e il Caffè letterario M. La Cava di Bovalino, diretto da Mimmo Calabria.

(fasc. 45, 25 agosto 2022, vol. II)

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