Premessa
Che Angelo Maria Ripellino sia stato un importante e apprezzato slavista è noto; altrettanto nota e parimenti apprezzata è la sua produzione saggistica[1], accademica e divulgativa[2], nonché l’attività di recensore[3] e giornalista[4]. Pressoché sconosciuta è, invece, la trama che si cela dietro alle raccolte poetiche pubblicate dall’Einaudi. Lo scopo del presente lavoro è di fare luce proprio su questo punto.
Le omissioni di Calvino, il rifiuto di Fortini, l’equidistanza di Manganelli
La storia dei rapporti tra Angelo Maria Ripellino e l’Einaudi inizia con un rifiuto. L’autore è Cesare Pavese[5]. Nell’autunno del 1947, Ripellino chiede ad Antonio Giolitti di passare a Pavese un elenco di titoli relativi alla produzione letteraria ceca recente (l’elenco non ci è giunto, come ha fatto notare Savioli)[6]. Giolitti consegna il materiale a Pavese, che poco tempo dopo dichiara: «I due volumi cechi proposti da Ripellino non mi convincono per nulla. Vedi di levarteli dai piedi»[7]. È anche a causa del rifiuto di Pavese se Storia della poesia ceca contemporanea vede la luce nel 1950 presso le Edizioni d’Argo; e non è forse un caso neppure che Ripellino venga considerato e poi assunto all’Einaudi dopo la sua morte.
L’agosto del 1950 è una data simbolica. La scomparsa di Pavese lascia un immenso vuoto in casa editrice e obbliga i senatori del consiglio editoriale a ridisegnare il sistema delle consulenze e delle collaborazioni. È in questo momento che emergono personaggi chiave della storia dell’Einaudi: Calvino, Foà, Bollati, Ponchiroli, Cerati, Fortini e, non da ultimo, Renato Solmi[8]. Proprio Solmi propone Ripellino ai colleghi. Lo fa durante la riunione dell’11 maggio del 1955: «SOLMI […] Sarebbe forse opportuno incaricare Ripellino […] di tenerci informati sulle cose migliori che escono, nel campo letterario, in Urss. Il Consiglio è favorevole […]»[9]. A Torino serve una figura in più che si occupi dell’estesa letteratura sovietica che, fino a quel momento, eccezion fatta per i russi, è semiassente nel catalogo. Ripellino ha il profilo ideale: è giovane, informato, poliedrico, è di area socialista. Il consiglio gli accorda un ampio margine di manovra e una fiducia totale. Ripellino non disattende le aspettative e opera fin dall’inizio con zelo encomiabile[10].
Come hanno fatto notare Vela e Fo, però, a Ripellino sta a cuore soprattutto la poesia. Ha scritto Vela: «Angelo Maria Ripellino pervicacemente ha voluto essere considerato un poeta»[11]; ha aggiunto Fo: «Non dimentichiamo che per la propria pietra tombale Ripellino volle la designazione di “poeta”. […] sempre scorse il centro di ogni propria iniziativa nella poesia»[12]. La poesia era «il centro», ed è forse per questo che Ripellino vive con apprensione l’iter editoriale delle raccolte inviate a Torino. Un’apprensione più che giustificata, se consideriamo che la destinataria è l’Einaudi e l’interlocutore è Calvino.
L’Einaudi dal secondo dopoguerra ha abbandonato di fatto la collana di poesia («Poeti») e deciso di investire, a dire la verità non grandi risorse, sugli stranieri (per rinfrescare l’aria di autarchia culturale respirata fino a pochi anni prima sotto il regime): è per questo che nasce la «Nuova collana dei poeti tradotti con testo a fronte», dove peraltro Ripellino compare nel 1957 come traduttore di Pasternak.
L’interlocutore è Calvino, che dal 1950 ha preso il posto di Pavese. Nel 1957, Ripellino fa leggere a Calvino le prime prove della raccolta che verrà poi pubblicata con il titolo Non un giorno ma adesso. Il giudizio che ne riceve (una lunga lettera inviatagli il 14 giugno 1957)[13] dà la misura delle capacità critiche di Calvino; però qui ci interessa per un altro motivo. Calvino elogia Ripellino («perbacco, sei bravo sul serio»[14]; oppure «mi pare sicuro che sei una personalità a sé stante e d’una grande sicurezza»[15]; e ancora: «Mi pare che hai ormai un libro molto notevole in mano»[16]), ma non parla di pubblicazione. Quando si congeda, scrive semplicemente: «Adesso faccio leggere a qualche amico, per verificare le mie impressioni»[17]. Ripellino interpreta positivamente le sue parole e continua a tenerlo aggiornato sull’evoluzione del lavoro[18].
L’amico a cui accenna Calvino è Sergio Solmi. Lo attesta la lettera del 3 luglio del 1957 a lui indirizzata: «[…] ti sarò grato se mi dirai quel che ne pensi sul piano del valore e dell’inquadramento storico, e anche quale suggerimento editoriale possiamo dargli»[19]. La risposta di Solmi arriva a Calvino intorno alla metà di ottobre del 1957[20]. Una risposta tardiva, se la commisuriamo alla fretta di Ripellino, che ben trapela nella lettera a Calvino del 30 agosto del 1957: «Ho adesso ordinate, ritoccate, e ricopiate le liriche e vorrei ormai concretarne la pubblicazione. Pensi che sia impossibile farle uscire da voi? In questo caso […] ti pregherò di farmi una presentazione per Mondadori o per Neri Pozza. Frattanto le darò anche a Bertolucci. Ma il mio sogno sarebbe, lo capisci, di pubblicarle con voi»[21]. La lettera è inequivocabile: Ripellino vorrebbe pubblicare da Einaudi, è il suo «sogno». Ma Calvino continua a eludere la questione. Nella lettera del 4 settembre del 1957 gli consiglia di puntare altrove: «Non so dirti nulla delle poesie. Da Solmi nessuna risposta. Non aver fretta […]. Penso che Neri Pozza sia la via migliore […]»[22]. Anche quando il 27 ottobre del 1957 inoltra a Ripellino la tanto attesa risposta di Solmi, Calvino non nomina mai l’Einaudi: «Sergio Solmi m’ha finalmente risposto. Ti accludo la lettera. Dimmi se vuoi che gli scriva (o scrivigli tu) per indicazioni editoriali, dato che lui ha le mani in pasta in molta editoria poetica italiana»[23]. Poiché la risposta di Solmi non è ancora stata ritrovata, per dedurne le componenti essenziali non resta che affidarsi alla lettera che Ripellino spedisce a Calvino il 29 ottobre 1957. Capiamo che Solmi ha espresso un giudizio positivo, ma che, come Calvino, non ha parlato di editori: «Caro Calvino, sono contento che il giudizio di Solmi coincida col tuo. […] Ti sarei grato frattanto se tu volessi a mio nome ringraziare Solmi (di cui non posseggo l’indirizzo), chiedendogli di consigliarmi per la pubblicazione»[24]. Solmi viene sollecitato da Calvino con una lettera, datata 13 novembre 1957: «Ripellino ti è molto grato del giudizio sulle sue poesie. Vorrebbe, siccome lui è fuori dal giro dell’editoria poetica, che tu gli dessi qualche indicazione (o entratura) presso un’edizione di poesia come sarebbe la Meridiana (ma esiste ancora?) o Mantovani, o Neri Pozza»[25]. Ripellino è apprezzato da tutti, eppure non trova chi lo raccomandi o pubblichi. La lettera del 29 ottobre del 1957 indirizzata a Calvino offre in questo senso un quadro perfetto:
Caro Calvino, […]. Ho fatto leggere a Bertolucci: giudizio altamente positivo. A Gallo: sorpresa e interesse. Ora darò a Bassani. Vedo che i pareri sono unanimi, tutti sono per la pubblicazione, ma non so davvero dove bussare. Bertolucci sostiene che Garzanti non includerebbe nella sua collana delle poesie di carattere così nuovo e “sperimentale”. La cosa più triste è che non si possono fare con voi. Proverò, attraverso Bassani, lo Specchio mondadoriano; e, con l’aiuto di Vigorelli, Vallecchi, riservandomi per ultimo Neri Pozza[26].
Come risulta dalla lettera del gennaio del 1958[27], Ripellino ha intenzione di provare da Neri Pozza[28], seguendo il consiglio di Calvino del 4 settembre 1957. Ma una nuova possibilità si apre presso Lerici che, dopo la rifondazione della casa editrice voluta da Roberto Lerici nel 1956[29], è alla ricerca di autori e titoli nuovi; lo dimostra la lettera di Ripellino a Calvino del 7 maggio 1958: «Lerici ha deciso di stampare le mie liriche, e perciò penso che […] potrei redigere per lui un volumetto di liriche blockiane […]»[30]. Calvino non risponde alla lettera e da Lerici non uscirà nulla. Le poesie rimangono senza editore, anche perché sembra che Ripellino voglia pubblicarle solo con Einaudi: è forse per questo che preferisce aspettare un momento migliore.
Lo ritiene arrivato quando scopre che Calvino e Vittorini dirigeranno una nuova rivista: il «menabò». Tenta di inserirsi immediatamente nel loro programma. Il 25 febbraio del 1959 scrive a Calvino: «Caro Calvino, […] ho letto sul “Giorno” che farai una rivista con Vittorini. Se ti sarà possibile, ricordati delle mie cose»[31]. Calvino gli risponde il 27 febbraio 1959; è sorpreso, perché si ricordava di un accordo con Lerici: «Parlerò delle tue poesie a Vittorini. Ma non esce il volume da Lerici?»[32]. Anche in questa occasione, Calvino non si prende la responsabilità di pubblicarlo e si limita a dire che riferirà a Vittorini. Non sappiamo se Calvino abbia mantenuto la parola. Il dato certo è che nulla di Ripellino apparirà sul «Menabò». Non un giorno ma adesso esce per Grafica nel 1960[33].
Nonostante le omissioni, Ripellino continua a puntare su Calvino. L’8 novembre 1960 gli scrive se ha «visto le sue poesie su “Tempo Presente”? Che te ne pare?»[34]. Anche stavolta Calvino tace; senza per questo acconsentire. Per evitare un secondo giro a vuoto, l’8 maggio 1962 Ripellino si rivolge a Giulio Einaudi:
Profitto dell’occasione per ricordarti la spinosa questione delle mie poesie. Vorrei pubblicare un volume che comprendesse le prime (apparse in un’edizione semiclandestina) e le più recenti, che Calvino in parte conosce. […] prima di rivolgermi ad altri editori […] desidero sentire il tuo definitivo verdetto. Comprendi certo che mi dispiacerebbe uscir di “casa”, per cercare asilo altrove […][35].
Il tema di fondo è lo stesso delle lettere precedenti: Ripellino non vuole «uscir di “casa”». Aver sollecitato direttamente Einaudi ha un effetto concreto. Pochi giorni dopo, infatti, il 21 maggio 1962, Calvino gli risponde:
guarda, io proprio bisogna che ti dica che non credo che ti convenga pubblicarle. […]. Questo non ti deve affatto scoraggiare. Il lavoro letterario, soprattutto di noi che cerchiamo, che sperimentiamo anche in base a punti di riferimento culturali, è fatto così: ha i suoi momenti di riuscita e le sue battute di pausa che possono essere anche foltissime di pagine ma senza un risultato se non l’averci fatto superare una data fase. Continua a far poesie come io ho continuato a far narrativa anche se ho passato anni e anni a scrivere lunghi romanzi e a seppellirli per sempre nei cassetti[36].
La questione merita di essere inquadrata con più rigore. Calvino in questo frangente si è comportato da direttore editoriale. Il ruolo prevede (anche) di trasmettere agli autori le decisioni prese in consiglio. Analizzando i verbali delle riunioni, si scopre che il giudizio negativo su Ripellino non è solo di Calvino. L’artefice è in realtà Franco Fortini. Calvino dà in lettura l’opera di Ripellino a Fortini; lo attesta il verbale della riunione del 18 aprile 1962:
CALVINO: […] Il nostro collaboratore, professor Ripellino, scrive delle poesie che ci manda e su cui sollecita un parere: sono versi a carattere crepuscolare e cubo-futuristico, un po’ ingenui. FORTINI fa notare che le poesie di Ripellino sono normalmente caratterizzate da una certa bravura tecnica. Il manoscritto passa a FORTINI per una seconda lettura[37].
In questo periodo, Fortini è il consulente per la poesia. Nella riunione del 16 maggio del 1962, dichiara: «Le poesie di Ripellino, viste con attenzione, sono decisamente brutte»[38]. Nella lettera del 21 maggio del 1962, quindi, Calvino comunica un giudizio che ha maturato assieme a Fortini: anzi, la cui paternità è soprattutto di Fortini. Probabilmente, è anche a seguito di questa lettera che Ripellino congela l’idea di pubblicare. È il secondo tentativo che non va a segno. E purtroppo non l’ultimo.
Ne seguirà un altro nel 1967. Il contesto editoriale è diverso. Dal 1962 molti fattori in via Biancamano sono cambiati: Fortini non è più un collaboratore della casa editrice; nel 1964 è stata avviata la «Collezione di Poesia» (giova ricordare che senza il contributo di Ripellino probabilmente questa collana non sarebbe mai nata)[39]; il responsabile della nuova collana è Guido Davico Bonino, una figura giovane, vicina alle proposte “novissime” e sperimentali. Emanazioni editoriali di Davico sono anche le due serie, di letteratura e di critica, di «La ricerca letteraria», che dirige assieme a Edoardo Sanguineti e Giorgio Manganelli.
Il 22 gennaio Davico riceve da Manganelli una lettera con alcuni pareri editoriali. Tra questi, compare anche quello su Ripellino:
Ho scorso anche Nonostante di Ripellino: strano testo, con manierismi arcaizzanti e felici immagini, guastato da continue tentazioni di poetizzare; tentazioni che non di rado gli prendono la mano anche nel tradurre. Ma insomma Ripellino è una presenza nella cultura italiana, anche se personalmente dissento da certi suoi atteggiamenti, e se non credo che la sua poesia sia di eccezionale importanza. Non vedo motivi per escluderlo dalla collana di poesia, sebbene non veda neppure motivi pressanti per includerlo[40].
Dato che il confronto su Ripellino non compare né nella corrispondenza della casa editrice né nei verbali delle riunioni, è probabile che sia avvenuto in via privata tra Davico e Manganelli. Il nodo è se inserire nella «Collezione di poesia» La Fortezza d’Alvernia. L’elemento che lo fa supporre è il titolo del materiale preso in esame: Nonostante. All’interno della raccolta che sarà edita da Rizzoli, nella sezione finale intitolata Congedo, Ripellino scrive:
“Nonostante” è il “Leitwort” del poema: l’avverbio si fa sostantivo, a indicare noi tutti che, contrassegnati da un numero, sbilenchi, gualciti, piegati da raffiche, opponevamo la nostra caparbietà all’insolenza del male. […] Mille scuole, mille lune si avvicenderanno nei cieli letterari, ma il poeta sarà sempre un Kao-O-Wang, un nonostante, una sardina decapitata […][41].
“Nonostante” è parola chiave che descrive sia i pazienti di un sanatorio sia il poeta. Vista l’importanza che Ripellino gli attribuisce, non è da escludere che in un primo momento possa essere stato anche il titolo dell’opera. È dunque probabile, e non solo per ragioni cronologiche, che l’opera che Manganelli non si sente di sostenere del tutto sia La Fortezza d’Alvernia, che non a caso uscirà da Rizzoli.
Il 14 aprile 1967, Ripellino chiede indietro il manoscritto a Giulio Einaudi. Dalle parole che scrive si capisce che non sa chi lo abbia valutato: «ti prego di volermi rispedire il dattiloscritto delle poesie poiché ho firmato il contratto con Rizzoli per la pubblicazione, avendomi detto Calvino che voi non potete pubblicarle»[42]. Il rapporto con Calvino continua all’insegna dell’ambiguità. Una spiegazione possibile è che Calvino abbia una doppia, forse tripla opinione di Ripellino: lo ammira come consulente (nella lettera del 9 maggio 1957[43] lo chiama il «consulente perfetto»), ma resta perplesso di fronte al poeta[44]; e anche del saggista non ha un’idea unitaria, dato che all’inizio lo stima, ma con il passare del tempo, come confida a Fortini in una lettera del 26 gennaio 1972, cambia impressione, perché gli sembra «sempre uguale»[45]. E così, tra i silenzi di Calvino, il rifiuto di Fortini e lo scarso entusiasmo di Manganelli, la poesia di Ripellino resta fuori dai programmi dell’Einaudi per più di un decennio.
Guido Davico Bonino, Notizie dal diluvio e Sinfonietta
Nel febbraio del 1969 avviene una svolta, perché Davico Bonino e, in seconda istanza, Fossati si esprimono a favore della pubblicazione della nuova raccolta di Ripellino. Lo si scopre nel verbale (inedito) del 19 febbraio del 1969: «FOSSATI: Da parte di Davico ho il lascito di parlarvi delle poesie di Ripellino che sono state lette da Davico, Calvino e da me. Qualche anno fa avevamo rifiutato una raccolta che poi uscì da Rizzoli. Pur rimanendo nella stessa tematica, il risultato di questa raccoltina è più maturo, più autonomo. Andrebbe nella collana di poesia con tutta dignità. Io sono favorevole (Sì)»[46]. La «stessa tematica» rappresenta, dunque, un limite, ma non un limite invalicabile; il problema dell’ingenuità invece, già ravvisato nel 1962 da Calvino, è ritenuto superato: secondo Davico, la raccolta è matura e coesa. Dell’opinione di Calvino non ci sono tracce nei verbali, ma quel che solitamente conta per superare l’esame del Consiglio è che la maggioranza dei lettori sia dalla parte del candidato. Stavolta Ripellino ha sicuramente il sostegno di Davico e Fossati, ed è per questo che Notizie dal diluvio nel 1969 può vedere la luce nella «Collezione di poesia».
Dalle Notizie alla raccolta successiva Sinfonietta trascorrono tre anni. All’Einaudi se ne inizia a parlare dal settembre del 1971. Lo attesta la lettera del 26 settembre che Ripellino invia a Davico: «Ti scrivo anche perché da tempo Sereni mi sollecita a dargli la mia nuova raccolta di versi, che vuol pubblicare assieme alle precedenti ne “Lo Specchio”. […] S’intende che preferirei, per tante ragioni, farla con voi, anche se “Lo Specchio” ha peso nei domini della poesia. Che devo dirgli? Consigliami»[47]. La strategia di Ripellino è sempre la stessa: giocare su più tavoli e cercare di alimentare a suo vantaggio la concorrenza tra gli editori. La caratterizzano altri due elementi: la fedeltà verso la casa editrice torinese e la trasparenza con cui descrive le sue mosse. Davico accetta l’opera di Ripellino[48], ma non nella formula da lui proposta. Come si legge nella lettera mandata a Ripellino il 14 dicembre del 1971, i termini dell’operazione devono essere ripensati:
abbiamo parlato da vicino del tuo supercorallo poetico, e messo a fuoco con perizia professionale l’“oggetto”-libro verso cui tendiamo. Siamo un po’ tutti d’accordo che forse non conviene sommare meccanicamente tutti i libri precedenti in una sorta di “tutta l’opera poetica”; ma piuttosto dare ampia rappresentanza antologica a ciascun volume, così da farne il “meglio di me”. Oltre alle ragioni (sempre opinabili, ma credo portanti) sottese a quanto sopra, ce ne sono di pratiche: non fare un libro troppo voluminoso (Cerati consente energicamente) che oltre al resto ci costringerebbe a chieder troppo agli editori d’origine. Ma questo è argomento secondario. Per noi (anche per Bollati) conta soprattutto il primo: vogliamo il meglio e il nuovo[49].
Il discorso di Davico è interessante e porta a un’interpretazione “pratica” dell’edizione di Sinfonietta. Il “finito di stampare” recita 15 aprile 1972: una data molto a ridosso della lettera del dicembre 1971. Come si legge nella presentazione di Lenzi alla raccolta: «Il libro […] raccoglie, oltre ad ottantadue nuove poesie, anche l’intera raccolta Notizie dal diluvio – tanto da sembrarne la continuazione»[50]. Ripellino vuole raggruppare in un unico volume le raccolte precedenti sia per ragioni stilistico-tematiche sia per tentare di salvarle dall’anonimato e metterle a disposizione di un pubblico di lettori più largo. All’Einaudi non gradiscono l’idea. Anche se Davico tende retoricamente a sminuirli, sappiamo quanto in editoria siano importanti gli aspetti che lui definisce “pratici”: «chieder troppo agli editori d’origine» è uno di questi. Non può essere, dunque, un caso se, delle tre raccolte di Ripellino, alla fine si scelga di includere, nel volume della nuova, solo quella che era già apparsa da Einaudi. Da questo dipende anche la velocità del passaggio dalla discussione alla stampa. Nella composizione del «Supercorallo», sembra quindi che le ragioni economiche e “pratiche” dell’editore abbiano avuto la meglio su quelle autoriali.
Sull’orlo del rifiuto: Lo splendido violino verde
Passano due anni dalla pubblicazione di Sinfonietta e Ripellino si fa avanti di nuovo. L’8 luglio 1974 informa Davico Bonino che sta: «concludendo una raccolta di poesie»[51]. Davico non accusa risposta, ed è forse questo il motivo per cui Ripellino decide di rivolgersi a Giulio Einaudi, come dimostra la lettera del 5 maggio 1975 a lui indirizzata: «hai avuto il tempo di dare un’occhiata alle mie poesie? Mi fai sapere qualcosa?»[52]. Come era accaduto in precedenza, anche stavolta comunicare direttamente con l’editore si rivela una mossa vincente. Nella prima riunione utile, i lettori dell’Einaudi prendono in esame la raccolta di Ripellino. Lo dimostra il verbale (inedito) del 14 maggio 1975, in cui si legge: «BOLLATI: […] Ripellino ci manda un nuovo libro di poesie. Vuole una risposta. EINAUDI: Diciamo di NO. Piuttosto firmo io la lettera. BOLLATI: Anch’io sono contrario»[53]. La posizione non lascia adito a dubbi: si esclude la pubblicazione di una terza raccolta di Ripellino. Raramente si sono contestate le direttive di personalità così eminenti. Eppure, Lo splendido violino verde esce a Torino l’anno successivo.
Il 23 maggio 1975, Ripellino scrive di nuovo a Giulio Einaudi, perché vorrebbe capire cosa abbia portato Bollati a liquidarlo:
Qualche giorno addietro Bollati mi ha informato che in casa editrice non è aria per le mie liriche o per la poesia in genere e che gli umori non sono favorevoli. Dopo Sinfonietta non me l’aspettavo. Ora, prima di rivolgermi ad altri editori, cosa per me sommamente spiacevole, vorrei un tuo conclusivo parere. Puoi capire come io sia amareggiato nella mia persistente illusione di essere un “vostro” autore e non uno di quegli autori erratici che saltano come cavallette da editore a editore. Talvolta ho la sensazione di esser rimasto, nonostante i lunghi anni di affettuosa e non oziosa fedeltà, tra voi un estraneo[54].
Dalla lettera emerge tutta l’amarezza di Ripellino. Non può conoscere i dettagli, ma quanto gli confida Bollati è vero: dopo quasi un decennio di relativa stabilità, la poesia torna a creare malumori all’interno della casa editrice. Una crisi che inizia nel 1974 e vede una prima tregua a partire dal 1978, quando, rassegnate le dimissioni da parte di Davico Bonino e di Ernesto Ferrero[55], Fortini torna a lavorare all’Einaudi e convince i vertici della casa editrice ad avviare un’iniziativa nuova per uscire dall’impasse: la proposta di Fortini prenderà il nome di Nuovi poeti italiani[56]. Essendo un consulente esterno, Ripellino non può sapere cosa stia accadendo all’interno. L’11 giugno 1975, Einaudi fornisce a Ripellino le spiegazioni che aveva chiesto, ma non deroga su quanto espresso in precedenza da Bollati:
mi dispiace che tu abbia visto nella nostra incertezza anche soltanto un’ombra di atteggiamento personale. Tu non sei un estraneo, ma un amico per tutti noi. Se abbiamo avuto, ed abbiamo, delle indecisioni nel pubblicare questa raccolta di tue liriche, è per motivi di carattere strettamente editoriale. Abbiamo da poco pubblicato un tuo libro di racconti. Pensiamo che non si debba troppo inflazionare con Autori cui teniamo. Che ne pensi?[57].
Einaudi ritiene che un’inflazione di titoli danneggerebbe sia l’editore che l’autore, e omette il discorso sostanziale sulle indecisioni e le perplessità interne riguardo alla poesia italiana contemporanea. La sua opinione non persuade del tutto Ripellino, che nelle parole di Einaudi non legge la possibilità di essere rinviato, ma il solito, vecchio e ipocritamente garbato trucco che gli editori spolverano quando vogliono liberarsi di una proposta. Se ne sente ferito, vista la lunga e prolifica amicizia. È per questo che nella lettera del 18 luglio 1975 indirizzata a Davico alza i toni e pretende che gli si dia un riscontro solido e meno sibillino:
prima delle vacanze vorrei un segno scritto che in un ragionevole lasso di tempo la Casa Editrice pubblicherà la mia raccolta. Sinora ho notato in tutti voi un’estrema perplessità e non vorrei creare fastidi. Ho già detto più volte che se non vi piacciono, se agli occhi vostri non valgono, se non corrispondono ai criteri della Casa Editrice, non avete che a dirlo, ma con fermezza e senza lasciarmi nel “si vedrà”. Sto da tempo implorando un contratto, una risposta scritta definitiva. Per la nostra amicizia ti prego di essere assolutamente franco e di mettere con due parole: sì o no in pace la mia inquieta anima[58].
Pochi giorni dopo, con la lettera del 25 luglio 1975, Davico Bonino ribalta la posizione finora assunta dal Consiglio editoriale e riferisce a Ripellino quanto segue: «ti confermo qui che tra autunno e primavera inseriremo la tua raccolta nella Collezione di Poesia»[59]. Davico deve aver fatto una profonda opera di convincimento: è bene ricordare che dal 1963 al 1978 è la figura su cui convergono le proposte poetiche. Dunque, è anche in nome di una “linea” (che potremmo definire “sperimentale”) portata avanti durante la sua gestione se Davico, consapevole di essere ormai avviato a concludere il mandato, sostiene nuovamente Ripellino. Con il suo sforzo egli vuole difendere sia un autore longevo della casa editrice sia la coerenza del proprio operato: salvare Ripellino significa anche, in qualche misura, salvare la traiettoria data alle collane per cui si è più speso (la «Collezione di poesia», «La ricerca letteraria» e i «Supercoralli»). Il vantaggio è per entrambi.
Dal 1975, però, Davico Bonino comincia ad allentare l’impegno editoriale, un aspetto che non sfugge a Ripellino. Il 16 ottobre 1975, gli scrive: «mi fai sapere qualcosa sulla probabile data di pubblicazione della mia raccolta? Non ho più da tempo vostre notizie»[60]. E contemporaneamente avvisa Giulio Einaudi:
imploro una risposta definitiva. Devo rispondere a Gelli della Garzanti. Sì o no, per favore: sono rimasto a mezz’aria. Si fa, non si fa? Se la soluzione è quest’ultima, rimandami indietro, ti prego, il dattiloscritto al più presto. Se invece è l’altra, allietami con un contratto, in cui si dica anche l’eventuale data di uscita, possibilmente prima della fine del secolo[61].
Ripellino non riceve rassicurazioni precise in merito, ma sappiamo con sicurezza, come attesta la lettera del 19 novembre 1975 indirizzata a Davico Bonino, che la raccolta è in preparazione: «Spero anche che un giorno mi arriveranno le bozze delle mie grame liriche»[62]. Grazie alla mediazione di Davico, Lo splendido violino verde può uscire l’anno successivo nei «Supercoralli».
Conclusioni
Dopo un anno dall’ultima lettera a tema poetico, Ripellino, l’11 dicembre 1976, torna a scrivere a Davico: «prima di stipulare il contratto con Guanda, mi è sorto lo scrupolo di chiederti ancora sia pure con domanda retorica. Pensi che per il prossimo futuro sia esclusa la possibilità di pubblicare da voi delle poesie?»[63]. La lettera è diversa dalle altre. Dalla cautela di Ripellino si capisce che anche lui è a conoscenza della crisi che la poesia italiana contemporanea sta attraversando nella Casa editrice: ora pone la questione della possibilità di pubblicare all’Einaudi in termini puramente (e veramente) esplorativi. Ai fini del nostro discorso, la lettera dell’11 dicembre 1976 è interessante perché è cronologicamente l’ultimo tentativo di Ripellino di pubblicare una raccolta presso Einaudi. Rispetto agli altri, però, questo risulta più neutro, protocollare, sembra vergato da un uomo stanco di chiedere, sperare e soprattutto di insistere. Sorge spontanea una domanda: nel caso di Autunnale barocco sarebbe una forzatura parlare di rifiuto, visto il tono della lettera e la volontà dell’Einaudi di mettere un freno ai poeti italiani contemporanei? Considerate le pubblicazioni poetiche del 1978 (Loi) e del 1979 (Sinigaglia e Ceronetti), pensiamo di no: è ovvio che i titoli erano stati programmati in anticipo, ma ciò non toglie che si potesse inserire all’ultimo anche un autore della casa come Ripellino. Se non è successo, è perché probabilmente non si è voluto. Va aggiunto, inoltre, che l’altra proposta avanzata da Ripellino a Davico nella lettera dell’11 dicembre, relativa al volume di saggi che prenderà poi il titolo di Saggi in forma di ballata, viene invece accolta senza tentennamenti, come si legge nella risposta di Davico del 4 marzo 1977: «abbiamo parlato dei tuoi saggi. […] Naturalmente sono tutti d’accordo a pubblicarli»[64]. La dinamica riporta alla luce quella che molto più dettagliatamente è emersa un decennio prima con Calvino: di Ripellino interessa soprattutto lo studioso, il saggista.
Se per la penultima raccolta, Lo splendido violino verde, era riuscito a imporsi, tra il 1976 e il 1977, in un contesto mutato, Davico Bonino non esercita nessuna pressione in favore di Ripellino: forse perché si sente fuori dai giochi einaudiani o forse perché la nuova prova lo convince meno. Fatto sta che Autunnale barocco si dirige altrove: esce da Guanda nel 1977.
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Interessanti in merito i seguenti saggi: N. Borsellino, Ripellino e il teatro della scrittura, in Angelo M. Ripellino poeta-slavista, Atti del convegno di Acireale, 9-12 dicembre 1981, a cura di M. Grasso, in «Lunarionuovo», V, febbraio 1983; A. Cortellessa, Rivestire di nomi l’abisso. Note per un itinerario in Ripellinia, in «Ermeneutica Letteraria», V, 2009, pp. 115-34; G. Traina, Approssimazioni a un profilo di Ripellino saggista: Letteratura come itinerario nel meraviglioso, in La scrittura che pensa: saggismo, letteratura, vita, con un saggio introduttivo di G. Fichera, Cuneo, Nerosubianco, 2016, pp. 116-26. ↑
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Cfr., A. M. Ripellino, L’arte della prefazione, a cura di A. Pane, prefazione di A. Fo, Ospedaletto (Pisa), Pacini Editore, 2022; Id., Iridescenze. Note e recensioni letterarie (1941-1976), a cura di U. Brunetti e A. Pane, Torino, Nino Aragno, 2020; Id., Solo per farsi sentire. Interviste (1957-1977) con le presentazioni di programmi Rai (1955-1961), a cura di A. Pane, Messina, Mesogea, 2008. ↑
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A. M. Ripellino, Nel giallo dello schedario, Note e recensioni «in forma di ballate» (1963-73), a cura di A. Pane, postfazione di A. Fo, Napoli, Cronopio, 2000. ↑
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Si rimanda al contributo sugli articoli politici che Ripellino redasse per «l’Espresso» prima e dopo la Primavera di Praga: R. Deiana, «Voi siete la coscienza del mondo»: Angelo Maria Ripellino inviato de «l’Espresso» a Praga, in Parola di scrittore. Altri studi di letteratura e giornalismo, vol. 3, a cura di C. Serafini, Roma, Bulzoni, 2020, pp. 279-300. ↑
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Sull’uso del rifiuto da parte di Pavese, tra esercizio di stile e sfogo nevrotico, si veda: G. C. Ferretti, L’editore Cesare Pavese, Torino, Einaudi, 2017, pp. 69-71 e pp. 96-101. ↑
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C. Pavese, Officina Einaudi. Lettere editoriali 1940-1950, a cura di S. Savioli, con introduzione di F. Contorbia, Torino, Einaudi, 2008, nota 4, p. 296. ↑
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Ivi, p. 295. ↑
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Cfr., G. C. Ferretti, L’editore Cesare Pavese, op. cit., p. 183. ↑
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I verbali del mercoledì 1953-1963, a cura di T. Munari, Torino, Einaudi, 2013, pp. 197-98. ↑
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Cfr. A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), a cura di A. Pane, introduzione di A. Fo, Torino, Einaudi, 2018. ↑
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C. Vela, Presentazione, in A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, a cura di F. Lenzi e A. Pane, introduzione di A. Fo, Torino, Nino Aragno, 2006, p. 7. ↑
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A. Fo, L’Einaudi, Ripellino e i suoi «mulini di idee», in A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali, op. cit., pp. X-XI. ↑
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I. Calvino, Lettere 1940-1985, a cura di L. Baranelli, introduzione di C. Milanini, Milano, Mondadori, 2000, pp. 493-94. ↑
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Ivi, p. 493. ↑
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Ivi, p. 494. ↑
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Ibidem. ↑
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Ibidem. ↑
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Cfr. A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), op. cit., nota 1, pp. 32-33. ↑
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Archivio Einaudi, Corrispondenza con gli autori e collaboratori italiani, Cartella 199, fascicolo 2842 “Sergio Solmi”, f. 20. D’ora in poi si userà la sigla “AE” in luogo di “Archivio Einaudi” e la dicitura “Cor.” al posto di “Corrispondenza con gli autori e collaboratori italiani”. ↑
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Non è possibile stabilire la data esatta, perché la risposta di Solmi non è stata ancora trovata: risulta assente sia nell’Archivio Einaudi sia nel Fondo Sergio Solmi. ↑
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A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), op. cit., p. 32, nota 1. ↑
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Ibidem. ↑
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Ibidem. ↑
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Ivi, p. 32. ↑
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AE, Cor., Cartella 199, fascicolo 2842 “Sergio Solmi”, f. 22. ↑
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A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), op. cit., p. 30. ↑
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I fogli inediti ripelliniani, che provengono dai fascicoli intitolati a Ripellino (così numerati: 2577/1, 2577/2, 2577/3) raccolti in due mazzi (così numerati: 174/1 e 174/2) e contenuti nella sezione dell’AE dedicata alla Cor., si citeranno con l’acronimo FR (fascicoli Ripellino) seguito dal numero del foglio. ↑
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FR, 206. ↑
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M. Giocondi, Breve storia dell’editoria italiana (1861-2018), Firenze, Goware, 2018, pp. 175-76. ↑
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FR, 217. ↑
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FR, 275. ↑
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FR, 278. ↑
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Riceve il plauso (privato) di Calvino, come si legge nella lettera del 3 febbraio 1960: «Caro A., un gran piacere mi ha fatto riceve il tuo libro (in una bellissima veste) qua su questa riva del Pacifico. Ho riletto le poesie che conoscevo (e quella a me dedicata!) e le nuove con gran gioia»: I. Calvino, Lettere 1940-1985, op. cit., pp. 639-40. ↑
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A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), op. cit., p. 60. ↑
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Ivi, pp. 65-66. ↑
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Ivi, nota 4, p. 66. ↑
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T. Munari, I verbali del mercoledì 1953-1963, op. cit., p. 592. ↑
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Ivi, p. 604. ↑
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Cfr. A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), op. cit., pp. 67-68. ↑
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AE, Corr., Cartella 126, fascicolo 1860/1 “Giorgio Manganelli”, f. 162. ↑
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A. M. Ripellino, La Fortezza d’Alvernia e altre poesie, Milano, Rizzoli, 1967, pp. 133-34. Ora in A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., pp. 204-205. ↑
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FR, 1065. ↑
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FR, 167. ↑
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Si segue in merito l’interpretazione che del rapporto tra Calvino e Ripellino ha tracciato Alessandro Fo. Cfr. A. Fo, L’Einaudi, Ripellino e i suoi «mulini di idee», in Lettere e schede editoriali, op. cit., pp. IX-XII. ↑
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I. Calvino, Lettere 1940-1985, op. cit., pp. 1141-42. ↑
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AE, Verbali, Cartella 6, fascicolo “Verbali 1969”, verbale della riunione editoriale del 19 febbraio 1969. ↑
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A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), op. cit., p. 112. ↑
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Lo capiamo dalla lettera che Ripellino invia a Davico l’11 ottobre 1971: «Caro Guido, grazie ancora per la bella notizia a proposito delle mie poesie, che ti manderò fra poco» (ivi, p. 113). ↑
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Ivi, nota 1, p. 114. ↑
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A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo, F. Lenzi, A. Pane e C. Vela, Torino, Einaudi, 2007, p. 99. ↑
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A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), op. cit., p. 123. ↑
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Ivi, nota 1, p. 124. ↑
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AE, Verbali, Cartella 7 bis, fascicolo “Verbali 1975”, verbale della riunione editoriale del 14 maggio 1975. ↑
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A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), op. cit., p. 124. ↑
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Cfr. E. Ferrero, I migliori anni della nostra vita [2005], Milano, Feltrinelli, 2016, pp. 172-76. ↑
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Cfr. R. Deiana, Fortini all’Einaudi, in Franco Fortini. Scrivere e leggere poesia, a cura di D. Dalmas, Macerata, Quodlibet, 2019, pp. 113-19. ↑
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Ivi, nota 1, p. 124. ↑
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Ivi, nota 1, pp. 124-25. ↑
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Ibidem. ↑
-
Ivi, nota 1, p. 126. ↑
-
Ibidem. ↑
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Ivi, p. 126. ↑
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Ivi, p. 129. ↑
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Ivi, p. 131. ↑
(fasc. 50, 31 dicembre 2023, vol. II)