Premessa
Ormai da molti anni, il concetto e la filosofia Open Access sono divenuti un tema ricorrente nell’ambito dell’editoria accademica e oggi hanno assunto un ruolo centrale nel dibattito sul futuro della comunicazione scientifica internazionale[1]. Nonostante derivi da un fenomeno nato in campo informatico, l’Open Access ha trovato terreno fertile in quello della ricerca scientifica, la quale sente la necessità di diffondere liberamente i propri contenuti tra ricercatori, al fine di rendere la comunicazione scientifica più inclusiva.
L’Open Access, ad oggi, sembra essere il destino naturale della comunicazione scientifica, eppure la sua implementazione nei diversi paesi del mondo ma anche nelle diverse comunità disciplinari non è univoca. A una sua affermazione si oppongono pregiudizi, antichi retaggi ma anche e soprattutto considerazioni legate ai modelli economici tradizionali; si aggiungono anche una scarsa conoscenza del modello e una generale confusione da parte dei vari protagonisti della comunicazione scientifica.
Va sottolineato come le scienze umane e sociali abbiano risposto in maniera meno immediata, rispetto alle scienze “dure”, ai nuovi impulsi forniti da Internet e dalla tecnologia, a causa dell’esiguità dei finanziamenti alla ricerca, della prevalenza di pubblicazioni monografiche, la cui struttura è meno adatta alle potenzialità della rete, e della minor propensione alle tecnologie degli studiosi, dei docenti e dei ricercatori, oltre al fatto di non avere una cogente necessità di velocizzare il sistema di scambio di contenuti[2].
Solo negli ultimi anni il digitale ha cominciato lentamente ad affermarsi come strumento di comunicazione anche nelle scienze umane, grazie alla spinta data dall’Unione Europea, la quale ha posto come obbligatoria la pubblicazione Open Access per tutte le ricerche da essa finanziate; e grazie alle varie iniziative che puntano ad accelerare la transizione verso un accesso aperto completo per tutta la comunicazione scientifica finanziata con fondi pubblici, quali Plan S[3] e Transformative Agreements[4]. All’estero questo passaggio è iniziato molto presto e l’Italia ha dovuto seguire la scia del cambiamento per non rimanere indietro nel mercato internazionale, per cui anche il Ministero dell’Università e della Ricerca ha sentito la necessità di adeguarsi, varando una proposta di legge per un’incentivazione della pubblicazione ad accesso aperto in Italia[5]. Questo passaggio, però, non può essere effettuato con una semplice imposizione da parte delle istituzioni, ma necessita di un cambiamento del sistema commerciale delle case editrici italiane e dello studio e della creazione da parte di queste ultime di un sistema di editoria digitale che possa permettere la larga disseminazione, scopo primo dell’Open Access.
Il ruolo delle case editrici commerciali
In Italia, storicamente, sia i destinatari che i produttori della ricerca scientifica hanno spinto per una produzione libraria esterna alle università e hanno mantenuto queste abitudini editoriali consolidate nel tempo, continuando ad alimentare rapporti con editori privati sviluppatisi nel corso di decenni. Inizialmente gli editori non ottenevano grossi profitti dalle pubblicazioni, ma sfruttavano il nome di personalità illustri del mondo accademico per rafforzare il proprio prestigio e aprirsi un canale per entrare nel mercato editoriale scientifico e, a loro volta, essi stessi erano una presenza benefica, in grado di permettere agli studiosi e agli autori di diffondere il proprio pensiero[6]. Negli anni Cinquanta del Novecento gli editori iniziano a vedere la pubblicazioni di riviste scientifiche anche come uno strumento di profitto, e per le università italiane, che hanno da sempre fatto i conti con problemi di natura finanziaria che impedivano agli atenei di assumersi l’onere di un’attività editoriale, affidare la pubblicazione dei lavori nati in seno all’università all’esterno dell’istituzione è un’esigenza.
Per questo in Italia ci sono state varie case editrici private che hanno instaurato feconde collaborazioni con singoli atenei o con un settore disciplinare specifico e da qui con i docenti: è il caso per esempio di Giuffrè o Simone per le edizioni giuridiche, Apogeo o Zanichelli, note per il settore scientifico; Laterza o Il Mulino, prestigiose per il settore della saggistica e molte altre. Quindi in Italia prima di tutto esistono editori di saggistica a carattere specialistico che agiscono anche nel mercato accademico[7]. Fino agli anni Novanta del XX secolo, la situazione resta invariata. C’è un’editoria più propriamente universitaria, nata in seno all’università (ad esempio, il Mulino, Edipuglia, All’insegna del Giglio etc.) ma che opera al di fuori dagli atenei di riferimento; soprattutto, ci sono diversi protagonisti che si dividono un mercato ristretto, ritagliandosi ognuno un proprio spazio[8].
La necessaria nascita delle University Press
Il mercato editoriale scientifico internazionale attraversa un periodo di crisi quando, a causa della forza di alcuni grandi editori commerciali che tendono ad avere il monopolio delle pubblicazioni, vengono poste barriere di accesso alla pubblicazione, sfruttando la necessità degli scienziati di pubblicare per ottenere prestigio scientifico e benefici in termini di carriera. Il bisogno di pubblicare (publish or perish, pubblicare o morire[9]) è stato una delle cause dell’iperproduttività editoriale. Si arriva alla crisi dei prezzi dei periodici: le biblioteche non riescono ad affrontare la spesa necessaria ad acquistare gli abbonamenti per tutte le riviste scientifiche e si ritrovano costrette a rinunciare a diverse pubblicazioni nel tentativo di mantenere il possesso di quelle edite dai maggiori editori internazionali.
Nel contempo, con l’innovazione tecnologica e l’avvento dell’editoria digitale è stato possibile diminuire il prezzo di produzione dei periodici e ciò ha permesso la nascita di nuovi editori. Anche i “vecchi” editori commerciali hanno sfruttato a proprio vantaggio le possibilità offerte da Internet, affiancando all’edizione cartacea quella digitale[10]. È aumentata l’iperproduttività editoriale e in questo modo per le biblioteche è stato sempre più difficile acquisire cataloghi completi di tutte le riviste e delle pubblicazioni. In questi fenomeni risiedono le ragioni che hanno spinto la nascita di University Press (UP) anche in Italia.
Un’UP è una casa editrice di appartenenza universitaria che utilizza le risorse accademiche per pubblicare libri e periodici strettamente correlati alle ricerche e agli insegnamenti dell’istituzione accademica: esse non nascono con l’obiettivo finale di ottenere un profitto economico, ma con l’intento di diffondere cultura e conoscenze. In Italia le UP costituiscono un fenomeno recente: il primo momento di confronto che ha messo in evidenza il tema dell’editoria accademica è stata la conferenza Scholarly communication and academic press[11] tenutasi a Firenze, presso l’Università degli Studi, nel 2001. La prima University Press è nata proprio a Firenze nel 2000.
Le UP italiane nascono già come editori digitali, in quanto le nuove tecnologie hanno permesso agli atenei di far fronte alla produzione editoriale[12]; l’editoria digitale consente di contenere i costi rispetto al tradizionale modello distributivo, nonché di ampliare il potenziale bacino geografico di utenza: non a caso le UP sono le maggiori case editrici italiane per utilizzo del metodo Open Access, ma questa non è stata l’unica spinta che ha permesso loro il maggiore sfruttamento di questa opportunità. Le UP possono usufruire dei fondi forniti loro dalle università e dagli atenei di appartenenza, e possono quindi sostenere una pubblicazione in Open Access senza dover richiedere un elevato pagamento a monte (all’autore), a differenza delle case editrici commerciali, che devono anche fare una valutazione sulla sostenibilità economica del progetto. Naturalmente, anche le UP devono far quadrare i bilanci e conciliarli con la missione editoriale, sebbene la diffusione dei risultati delle ricerche e la circolazione della conoscenza scientifica resti più importante della valutazione economica[13]. Per un editore, che sia questo un’University Press o un editore commerciale, è comunque necessario a monte lo stesso quantitativo di lavoro editoriale sulle pubblicazioni, in quanto Open Access non significa “libera pubblicazione di qualunque ricerca senza controllo editoriale”, ma ha come scopo principale rendere la comunicazione scientifica più facilmente accessibile e aumentare la disseminazione, mantenendo la qualità del lavoro editoriale portato avanti da un personale altamente specializzato.
Archivi: e-print, pre-print e post-print
Un primo impulso all’Open Access viene dai cosiddetti e-prints, i quali non sono altro che la versione digitale di un prodotto di ricerca scientifico. A loro volta gli e-prints si distinguono in due categorie: pre-prints e post-prints. I primi sono contributi che circolano esclusivamente online e, non essendo ancora stati stampati, non sono ancora stati sottoposti a valutazione (peer review o altra forma) da parte della Comunità scientifica di quel settore disciplinare. Ovviamente la pubblicazione di un pre-print è uno strumento valido e utile soprattutto, e quasi unicamente, per le scienze “dure”. I post-prints, invece, sono contributi che assumono la forma digitale successivamente a quella cartacea e per questo hanno già conseguito l’approvazione dei pari[14].
Un secondo impulso alla diffusione dell’Open Access è stata proprio la creazione degli archivi digitali ad accesso aperto, che nascono al fine di permettere l’auto-archiviazione, all’interno di questi repositories, di tutto il materiale di ricerca utilizzato per una specifica ricerca, in accordo con le politiche di copyright dell’editore.
Nel 1999 a Santa Fe (Usa) nasce OAI, Open Archives Initiative, che ha organizzato i protocolli e le regole per lo scambio di dati, dando avvio a una standardizzazione su larga scala dei repositories internazionali e ha consentito l’adozione di strumenti software Open Source messi a disposizione gratuitamente per creare archivi e piattaforme interoperabili[15].
Possiamo definire gli archivi come «organizzazioni dedicate alla missione di raccogliere, immagazzinare, conservare e fornire accesso a documenti»[16]; dunque, gli archivi digitali conservano e rendono disponibili agli utenti documenti e contenuti in formato digitale. Gli archivi possono essere disciplinari, e dunque riguardare un unico ambito, oppure istituzionali, nel qual caso la gestione è nelle mani di un’organizzazione. I repositories istituzionali devono trovare una collaborazione con l’editoria universitaria, cercando il coinvolgimento fattivo di dipartimenti e facoltà.
Le Raccomandazioni della CRUI sull’editoria elettronica[17] prendono in esame, a partire dal contesto generale creato dall’Open Archives Initiative (OAI) e dagli archivi istituzionali, gli aspetti tecnici e di formato, gli aspetti legali inerenti il diritto d’autore, le problematiche legate alla valutazione della ricerca e alle prospettive che essa può assumere rispetto ai repositories.
Incentivi all’Open Access nei progetti di finanziamento della ricerca da parte della Comunità Europea
Negli ultimi anni vari Paesi e diverse istituzioni hanno implementato politiche di sfruttamento del modello Open Access differenti, analizzando i meccanismi della comunicazione scientifica attuale, hanno attuato le loro scelte in relazione ai differenti contesti sociali, economici, culturali, politici. L’Europa ha avuto un ruolo cruciale nella spinta verso l’adozione di policies Open Access nei vari paesi europei.
L’azione europea si è focalizzata entro il quadro dello Spazio europeo della ricerca (SER), un mercato unico della ricerca e dell’innovazione in Europa per migliorare la circolazione, la concorrenza e la collaborazione transfrontaliera fra ricercatori e istituzioni di ricerca[18].
Infatti, nel luglio 2012 l’Unione Europea emana due documenti strategici per l’OA, volti a promuovere l’ampia diffusione dei risultati della ricerca:
- Comunicazione COM (2012) 401 final, Towards better access to scientific information: Boosting the benefits of public investments in research, che definisce gli obiettivi di una policy sull’accesso aperto ai contenuti della ricerca finanziata nel corso del programma quadro Horizon 2020[19];
- Raccomandazione 2012/417/UE, Sull’accesso all’informazione e sulla sua conservazione che fornisce il contesto di applicazione della policy stessa: la Commissione pone l’accesso aperto alle pubblicazioni scientifiche come principio generale di Horizon 2020, il programma quadro dell’UE per il finanziamento della ricerca e dell’innovazione per il periodo 2014-2020. L’intenzione è di estendere l’obbligo di deposito per tutte le pubblicazioni scientifiche risultanti da progetti finanziati in Horizon 2020 in tutti i settori disciplinari[20].
Horizon 2020 rappresenta una svolta fondamentale e può considerarsi tra i più importanti traguardi nell’accesso aperto in Europa. Il programma rappresenta la messa in pratica della scelta di campo operata dalla Commissione Europea di fare dell’accesso aperto alle ricerche finanziate lo strumento per dare impulso all’innovazione e restituire slancio e competitività alla ricerca europea rispetto a paesi molto più produttivi[21]:
The European Commission emphasises open access as a key tool to bring together people and ideas in a way that catalyses science and innovation. To ensure economic growth and to address the societal challenges of the 21st century, it is essential to optimise the circulation and transfer of scientific knowledge among key stakeholders in European research — universities, funding bodies, libraries, innovative enterprises, governments and policy-makers, non-governmental organisations (NGOs) and society at large[22].
Horizon 2020 è lo strumento finanziario che attua l’Unione dell’innovazione, un’iniziativa faro di Europa 2020 volta a garantire la competitività globale dell’Europa: il più grande programma di ricerca e innovazione dell’UE con finanziamenti disponibili per 7 anni (dal 2014 al 2020), oltre agli investimenti privati che sono stati attirati; implementato tramite work program pluriennali, che si distinguono per alcuni cambiamenti, al fine di un miglioramento della comunicazione scientifica e un abbattimento delle barriere per creare un vero mercato unico per la conoscenza.
L’ultimo work program si riferisce al periodo di tempo che va dal 2018 al 2020[23]; come quelli precedenti, segue la policy delineata nel Regolamento Horizon 2020 e le disposizioni del Grant Agreement, per il quale ogni beneficiario di finanziamento è tenuto a garantire il libero accesso, gratuito, online, per qualsiasi utente di tutti i prodotti scientifici sottoposti a peer review[24].
All’interno del Grant Agreement viene presentato dalla Commissione un progetto pilota flessibile sulla pubblicazione libera dei dati di ricerca, Open Research Data Pilot (ORD) (articolo 29.3), il quale mira a migliorare e massimizzare l’accesso e il riutilizzo dei dati di ricerca generati dai progetti di Horizon 2020. Nei work program 2014-2016, il progetto pilota ORD includeva solo aree selezionate, mentre, nella versione rivista del work program 2017, il progetto ORD è stato esteso a tutte le aree tematiche di Horizon 2020. La partecipazione al progetto pilota è oggi su base volontaria: «While open access to research data thereby becomes applicable by default in Horizon 2020, the Commission also recognises that there are good reasons to keep some or even all research data generated in a project closed»[25]. Quindi, la valutazione di una proposta non viene influenzata sulla base della partecipazione al programma ORD Pilot. Ai progetti partecipanti sarà richiesto di sviluppare un piano di gestione dei dati (Data Management Plan – DMP) in cui si deve specificare quali dati saranno aperti, quali dati genererà il progetto, se e come saranno sfruttati o resi accessibili per la verifica e il riutilizzo e come verrà curato e conservato. I costi associati all’accesso aperto ai dati di ricerca, inclusa la creazione del Data Management Plan, possono essere dichiarati costi ammissibili di qualsiasi sovvenzione di Horizon 2020[26].
Problematiche e obiettivi
La Commissione Europea si è mossa verso il modello Open Access in risposta all’aumento dei prezzi delle riviste e alle richieste della Comunità scientifica. Ed è anche grazie a ciò che un numero crescente di enti di finanziamento della ricerca e università in tutto il mondo richiedono oggi ai ricercatori di fornire ad accesso aperto i risultati della ricerca finanziata con fondi pubblici. Molti editori hanno reagito ai mandati istituzionali consentendo l’auto-archiviazione dei manoscritti in fase di pubblicazione.
Un problema, però, è quello dell’irregolarità e del mancato coordinamento dell’azione e delle strategie di mercato dei diversi Stati membri. Servirebbero degli sforzi basati sulla definizione e lo scambio di beni per portare economie nuove e funzionanti in ogni Paese membro.
Il passaggio all’accesso aperto è, ormai, una tendenza mondiale. Attualmente sono più di 1000 le istituzioni accademiche od organizzazioni di finanziamento della ricerca che richiedono l’accesso aperto per pubblicazioni in tutto il mondo[27].
Alcuni ritengono che muoversi troppo velocemente verso l’accesso aperto possa destabilizzare il settore editoriale accademico e, quindi, il sistema dell’informazione scientifica. È necessario, perciò, che il passaggio tenga in considerazione il costo del processo di selezione, revisione e pubblicazione degli articoli. Questo può essere fatto fornendo fondi per la pubblicazione su riviste ad accesso aperto (Gold Road) e garantendo la possibilità dei ricercatori di autoarchiviare i propri risultati (Green Road); è necessario, quindi, arrivare a un equilibrio in cui vengano soddisfatti sia i requisiti dei finanziatori che le necessità degli editori, anche con l’implementazione di periodi di embargo, durante i quali gli editori possano generare entrate tramite la vendita e gli abbonamenti. La mancanza di organizzazione e chiarezza sulle responsabilità nel migliorare l’accesso e l’utilizzo dei dati scientifici sono i principali ostacoli al cambiamento. Molti ricercatori e varie imprese innovative sono riluttanti a condividere ciò che percepiscono essere i “loro” dati e sono preoccupati che altri possano trarre ingiustamente benefici dai loro sforzi; inoltre, i ricercatori potrebbero non voler investire tempo negli aspetti pratici del deposito dei propri dati anche per la mancanza di una “ricompensa” immediatamente percepibile di aumento dell’impatto nella comunità scientifica e nelle citazioni.
Plan S
L’Unione Europea, oltre alle sue iniziative, sostiene cOAlition S[28], un consorzio formato da 20 organizzazioni di finanziamento della ricerca lanciato il 4 settembre 2018 con lo scopo di accelerare il processo di transizione verso un accesso aperto completo e immediato alle pubblicazioni di ricerca, ideando a questo fine l’iniziativa Plan S. cOAlition S comprende 16 organizzazioni nazionali di finanziamento della ricerca e 4 fondazioni. L’Italia è rappresentata dall INFN-Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. L’obiettivo intorno a cui ruota questa iniziativa è il seguente:
With effect from 2021, all scholarly publications on the results from research funded by public or private grants provided by national, regional and international research councils and funding bodies, must be published in Open Access Journals, on Open Access Platforms, or made immediately available through Open Access Repositories without embargo[29].
A scopo di divulgazione e presentazione sono stati redatti un documento contenente i dieci principi fondamentali per il raggiungimento dell’obiettivo e una guida alla loro implementazione[30].
Transformative agreements
Come illustrato precedentemente, la pubblicazione dei contenuti della ricerca è tradizionalmente monopolio di aziende editoriali esterne alle istituzioni universitarie e della ricerca; da tale situazione emerge come ricercatori e docenti universitari, i quali svolgono un ruolo sia di autori dei contenuti sia di fruitori dei contenuti stessi, vengano fortemente penalizzati da questo sistema di pubblicazione e diffusione delle opere di ricerca. Il ciclo di vita del contenuto scientifico è ad anello: il contenuto nasce nelle università e nei laboratori di ricerca e ad essi ritorna, avendo spesso come cliente principale la biblioteca. Accade così ciò che, grazie alla definizione coniata da Stevan Harnad (1996), è passato alla storia con il nome di Faustian Bargain[31], per cui gli stessi ricercatori sono costretti a pagare, in qualità di fruitori, per accedere ai contenuti prodotti dai propri colleghi. Come afferma invece Guédon[32], il sapere scientifico, essendo finanziato da denaro pubblico, dovrebbe essere a sua volta reso pubblico. Al fine di evitare o superare questo paradosso si stanno oggi iniziando a stipulare dei transformative agreements ovvero contratti negoziati tra istituzioni (biblioteche, consorzi nazionali e regionali) ed editori che trasformano il modello di business della pubblicazione accademica da uno basato sugli abbonamenti a uno in cui gli editori sono remunerati a un prezzo equo per i loro servizi di pubblicazione ad accesso aperto[33]. Gli accordi trasformativi non sono nuovi; tutti i maggiori editori, così come altri più piccoli, hanno firmato uno o più di questi accordi, che possono essere stipulati con una singola biblioteca, un sistema bibliotecario o un consorzio di biblioteche[34]. Il Piano S ha portato la nozione di accordi trasformativi in primo piano nelle discussioni contemporanee, ma questi accordi sono ben precedenti. Le singole biblioteche, i consorzi bibliotecari e le organizzazioni nazionali sviluppano spesso accordi per andare incontro alle proprie necessità. Anche il Sistema Bibliotecario di Ateneo della Sapienza (SBS) partecipa al contratto nazionale trasformativo per l’accesso ai periodici elettronici dell’editore Springer e per la pubblicazione ad accesso aperto senza costi a carico degli autori; infatti, tutti i costi del contratto sono interamente a carico del Centro Sistema Bibliotecario Sapienza[35]. AISA ha, però, evidenziato alcune criticità di questa pratica in un articolo pubblicato sul sito web dell’associazione:
Gli accordi trasformativi, programmaticamente pensati come convenzioni temporanee per agevolare la transizione dell’editore ad un accesso aperto completo tramite un graduale spostamento del suo compenso dall’abbonamento ai servizi di pubblicazione, comportano l’esborso di una cifra complessiva, ancorché variamente articolata, per leggere e per scrivere. In questo modo, gli autori delle istituzioni firmatarie, quando pubblicano ad accesso aperto con l’editore in via di trasformazione, difficilmente si rendono conto di farlo a pagamento, mentre la controparte rimane libera di continuare a praticare l’accesso chiuso e a chiedere APC sui fondi di ricerca di chi non appartiene a tali istituzioni. I costi paragonabili se non superiori ai vecchi abbonamenti fanno però sospettare che l’oligopolio dovuto all’esternalizzazione della valutazione della ricerca non sia affatto venuto meno: non si paga per ottenere dei servizi editoriali, ma per ottenere i servizi editoriali di Elsevier, Springer-Nature o Wiley[36].
cOAlition S lavorerà con Directory of Open Access Journals (DOAJ)[37], Directory of Open Access Repositories (OpenDOAR)[38], SHERPA/RoMEO[39], Efficiency and Standards for Article Charges (ESAC)[40] e altri potenziali partner per stabilire meccanismi di identificazione e segnalazione verificando se riviste, piattaforme editoriali, archivi e accordi di trasformazione soddisfano rispettivamente i requisiti di cOAlition S. L’associazione sosterrà lo sviluppo di uno strumento che i ricercatori potranno utilizzare per identificare se le sedi che suscitano il loro interesse soddisfano i requisiti del Plan S[41]. Prima della fine del 2024, cOAlition S concluderà un processo di revisione formale che esaminerà i requisiti, gli effetti e l’impatto del Piano S; in particolare, la revisione esaminerà l’effetto dei transformative agreements nonché l’opzione di fornire un accesso aperto immediato a contenuto in abbonamento tramite repositories aperti, al raggiungimento di una transizione all’accesso aperto completo e immediato.
Le proposte italiane per far fronte al cambiamento
L’idea generale è quella di arrivare, almeno a livello europeo, a un diverso modello di business per le pubblicazioni scientifiche e a una conversione dell’intero sistema delle pubblicazioni scientifiche al modello dell’accesso aperto[42]. I Paesi che hanno normato la materia, rinnovando e modificando le proprie leggi sul diritto d’autore, sono: la Germania nel 2013, i Paesi Bassi nel 2015, la Francia nel 2016 e il Belgio nel 2018. Tali normative mirano a conferire al diritto di messa a disposizione del pubblico i caratteri dell’irrinunciabilità e dell’inalienabilità, modificando la legge sul diritto d’autore, con riferimento a specifiche tipologie di opere scientifiche[43]. Tuttavia, le formulazioni delle norme differiscono per diversi aspetti da paese a paese.
Anche l’Italia ha promosso una legge per l’accesso aperto (Legge 7 ottobre 2013 n. 112)[44] che, però, sembra essere rimasta lettera morta, soprattutto in quanto non prevede né controlli né sanzioni, in caso di mancato rispetto, né analisi e monitoraggio sul grado di applicazione[45].
Il 27 marzo 2018 il Deputato Luigi Gallo del Movimento 5 Stelle, Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati, ha presentato la proposta n. 395 intitolata Modifiche all’articolo 4 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, in materia di accesso aperto all’informazione scientifica[46]. La proposta mira a rafforzare le politiche italiane in materia di accesso aperto, modificando la legge del 2013 che ha, ad oggi, avuto pochi risultati. Queste norme avrebbero dovuto rappresentare uno strumento per adeguare l’Italia alla raccomandazione della Commissione sull’accesso all’informazione scientifica e sulla sua conservazione[47]. La legge si rivolge non solo ai soggetti finanziati ma anche ai finanziatori. In particolare, il riferimento implicito è soprattutto al Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (MIUR) e alla sua attività di finanziamento della ricerca di università ed enti, ma tali obblighi, come i precedenti, non sono assistiti da un apparato sanzionatorio né da investimenti pubblici per lo sviluppo dell’Open Access. Il riempimento degli archivi istituzionali delle università sembra procedere a rilento e non è paragonabile al successo che sembrano avere i social network scientifici come Academia.edu oppure ResearchGate.
La proposta Gallo si propone di migliorare il quadro legislativo ed è stata sottoposta a discussione con molti soggetti potenzialmente interessati alla normativa. Sono state effettuate alcune audizioni informali presso la Commissione Cultura della Camera dei Deputati[48] dalle quali sono emerse delle richieste di miglioramento della proposta di legge: il professor Fernando Ferroni, esponente dell’INFN, critica l’utilizzo dell’Impact Factor come metro di valutazione della ricerca, in quanto esso non valorizza le riviste più recenti, anche se qualitativamente valide, perché non abbastanza diffuse e conosciute e anche per questo non ancora indicizzate come riviste di alto livello. Prendendo spunto dall’iniziativa del CERN, il quale ha istituito un repository libero e gratuito in cui possono essere depositate tutte le ricerca nel campo della fisica rigorosamente ad accesso aperto, auspica che anche le istituzioni italiane si impegnino a favorire la creazione di repositories Open Access per ambiti diversi da quelli di fisica.
Andrea Angiolini, direttore editoriale e responsabile dell’area digitale della società editrice Il Mulino nonché presidente del gruppo accademico professionale dell’Associazione Italiana Editori, si è soffermato sull’importanza di considerare la sostenibilità di una casa editrice e afferma che sia necessaria un’adeguata pianificazione all’implementazione del modello Open Access, che deve convivere con il tradizionale metodo di pubblicazione. Pubblicare, anche in digitale, costa: le spese con il digitale non sono sparite ma si sono ridotte e hanno cambiato sbocco e per questo servono finanziamenti al sostegno di questo obbligato cambiamento. Esprime anche delle perplessità su alcuni effetti indesiderati che le norme proposte potrebbero portare: il più pericoloso è la fuga di cervelli causata dalla normativa, art. 2 ter, che prevede la nullità dei contratti che prevedono un’esclusiva di pubblicazione, combinato con un accorciamento dei termini di embargo, e ciò sarebbe imposto solo alle case editrici italiane. Il tempo medio di pubblicazione di un rivista va ben oltre i dodici mesi: quindi, la riduzione dei termini di embargo non riuscirebbe a coprire i normali termini di pubblicazione di una rivista annuale; senza un finanziamento specifico, le case editrici sarebbero costrette a imporre ai ricercatori e agli autori un peso non sopportabile su di loro e sul loro budget di ricerca. Inoltre, in questa legge viene specificato come tutte le ricerche finanziate debbano essere pubblicate in Open Access, ma sarebbe più corretto aggiungere che anche la pubblicazione debba essere finanziata perché poi questa possa essere resa disponibile in Open Access, in quanto quasi tutte le ricerche sono in qualche modo sostenute da un finanziamento, ma di poche di queste vengono estese le risorse alla pubblicazione. Per tutti questi motivi si chiede di guardare anche alla sostenibilità dell’apparato editoriale e delle specifiche del mercato italiano, che è diverso da quello internazionale.
Il professor Roberto Caso, professore Associato di Diritto Privato Comparato all’Università di Trento (Facoltà di Giurisprudenza) e Presidente dell’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta (AISA), auspica una variazione della legge sul diritto d’autore che attribuisca all’autore il diritto di pubblicazione; inoltre, propone una propria proposta di legge elaborata all’interno dell’AISA che ripropone nell’articolo La libertà accademica e il diritto di messa a disposizione del pubblico in Open Access[49].
Il punto più importante è una critica al sistema valutativo praticato dall’ANVUR: il rischio è che lo scopo del ricercatore non sia più quello di pubblicare una buona ricerca ma di inseguire i parametri e le metriche valutative imposte dalla valutazione italiana, spingendo i ricercatori alla pubblicazione solo in riviste di Fascia A (etichetta imposta dall’alto dell’agenzia di valutazione) e, quindi, non in quelle riviste Open Access che ancora non possono vantare questo prestigio. A seguito di queste audizioni e della messa in luce delle problematiche e delle discussioni in assemblea la proposta di legge è stata approvata il 13 marzo 2019 con un nuovo titolo, in seguito alle modifiche apportate al documento Modifiche all’articolo 4 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, nonché introduzione dell’articolo 42-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di accesso aperto all’informazione scientifica[50] e risulta attualmente in esame presso la commissione permanente (Cultura, scienza e istruzione) del Senato.
Il passaggio effettivo all’Open Access in Italia risulta, quindi, ancora in lavorazione ed è difficile dare giudizi definitivi. Nel prossimo futuro si avranno la pubblicazione e l’implementazione della proposta di legge e si vedrà in che direzione porta l’evoluzione dei programmi di finanziamento internazionali.
- Si tratta di un estratto della tesi di Laurea magistrale in “Editoria e scrittura” dal titolo L’editoria accademica umanistica verso l’Open Access discussa presso la Sapienza Università di Roma nella sessione invernale dell’Anno Accademico 2019/2020: relatore il prof. Julian Bogdani, correlatrice la prof.ssa Maria Panetta. In funzione della pubblicazione in rivista si è ritenuto opportuno dividere i temi principali dell’elaborato in due contributi. Il primo riporta un’analisi storica e analitica delle necessità e delle spinte che hanno permesso al modello Open Access di diffondersi anche in Italia. Il secondo articolo, che uscirà prossimamente, darà risalto in maniera più empirica al punto di vista delle case editrici nel settore umanistico, le quali si trovano oggi a dover affrontare il cambiamento in corso. ↑
- M. Casella, L’Open Access nelle scienze umane, in «Biblioteche oggi: Mensile di informazione aggiornamento dibattito», Vol. XXVI n. 10, dicembre 2008, pp. 40-49 (http://www.bibliotecheoggi.it/pdf.php?filepdf=20081004001.pdf; ultimo accesso: 2 aprile 2021). ↑
- Plan S. Making full and immediate OpenAccess a reality, What is cOAlitions S? (https://www.coalition-s.org/about/; ultimo accesso: 2 aprile 2021). ↑
- ESAC, Transformative agreements (https://esac-initiative.org/about/transformative-agreements/; ultimo accesso: 2 aprile 2021). ↑
- Normativa, Portale legge vigente (https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2013;112; ultimo accesso: 2 aprile 2021). ↑
- G. Vitiello, La comunicazione scientifica e il suo mercato. Riusciranno le biblioteche digitali e l’editoria “alternativa” a sovvertirne i “fondamentali”?, in «Biblioteche oggi: Mensile di informazione aggiornamento dibattito», Vol. XXI, n. 5, giugno 2003, pp. 37-57. ↑
- L. Spinazzè, La comunicazione scientifica accademica italiana nel mondo digitale. Siti internet, biblioteche digitali, archivi aperti, case editrici universitarie digitali, Tesi di laurea Università Ca’ Foscari di Venezia, Anno Accademico 2004/2005. ↑
- G. Vitiello, L’editoria universitaria in Italia. La mobile frontiera tra iniziative private e intervento pubblico, diritto d’autore e accesso aperto, in «Biblioteche oggi: Mensile di informazione aggiornamento dibattito», Vol. XXIII, n. 3, aprile 2005, pp. 34-49. ↑
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- Cfr. R. Caso, La libertà accademica e il diritto di messa a disposizione del pubblico in Open Access, art. cit. ↑
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- Cfr. R. Caso, La libertà accademica e il diritto di messa a disposizione del pubblico in Open Access, art. cit. ↑
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(fasc. 38, 28 maggio 2021)