L’editoria napoletana presenta una particolare fisionomia facilmente riconducibile alla situazione culturale dell’intera Italia meridionale e allo stretto legame con il mestiere di libraio, da cui tendenzialmente deriva e si sviluppa[1]. È difatti proprio la strettissima interdipendenza dei due mestieri – libraio ed editore – a riversarsi nella conformazione fisica della città di Napoli, i cui luoghi diventano il simbolo di un discorso molto vasto che riguarda la diffusione della lettura, l’editoria e la cultura in genere. I luoghi storici che hanno ospitato le librerie e i principali centri culturali ed editoriali della città permettono di tracciare una topografia libraria, che, appunto, richiama più o meno esplicitamente la duplice natura del libraio-editore napoletano.
Topografia libraria: San Biagio Maggiore
L’arte dei librai napoletani è legata in modo particolare alla chiesa seicentesca dedicata a San Biagio Maggiore, e alla via che ne porta il nome. Segno visibile di questo legame è un’iscrizione riportata sulla facciata della chiesetta:
Qui/ presso la casa di S. Gennaro/ martire patrono/ nella piazza degli Olmi/ sorgeva la basilica augustale/ che divenne diaconia abbazia parrocchia/ e venerati restano tuttora/ l’eremita S. Gregorio e il medico S. Biagio/ e qui dove la casa dei Marigliano/ sorta nel sec XV/ dette lustro e decoro/ al rinnovamento dell’arte nostra/ ebbe origine l’arte dei mastri librai/ di cui fu figlio/ Gian Battista Vico/ gloria napoletana
L’iscrizione celebra l’arte dei «mastri librai» e getta uno squarcio su una delle più illustri personalità della cultura napoletana, il filosofo Gian Battista Vico, figlio di Antonio, tra i librai aderenti alla confraternita creata per la manutenzione della chiesetta. Fu proprio quest’antica tradizione ad affiancare, al nome di via San Biagio, la denominazione «dei Librai», rendendone di fatto esplicita l’importanza.
Topografia libraria: Port’Alba
Altro luogo cardine per i librai napoletani è Port’Alba[2]. Essa può essere considerata l’“epicentro del libro” nella città, in quanto in uno spazio ristretto presenta una grande concentrazione libraria. In linea generale le diverse librerie sono specializzate nella vendita di libri usati e scolastici. Soprattutto quest’ultimo settore ha permesso negli anni di assicurare ai librai guadagni relativamente sicuri. Per quanto riguarda, invece, la vendita di libri d’occasione, essi caratterizzano non solo le librerie di Port’Alba, ma quelle di molte librerie del centro storico della città. È ravvisabile, difatti, la tendenza nel dare ai libri «riciclati» una nuova vita e la volontà nel rimetterli in circolo piuttosto che destinarli al macero. Quest’apprensione diviene il simbolo di una lotta contro il feticismo nei confronti del nuovo, altra faccia del consumismo delle merci. I libri usati possiedono un valore aggiunto e un fascino particolare, conferito dalla loro stessa usura.
Il simbolo di via Port’Alba è stato costituito dall’attività della libreria Guida, aperta intorno agli anni Venti del Novecento e fondata da Alfredo. La libreria ha non solo rappresentato un centro di diffusione del libro, ma ha contribuito all’apertura verso un discorso e un dibattito editorial-culturali. Difatti il vero simbolo dell’attività dei fratelli Guida è da considerarsi la fondazione – negli anni Sessanta – della «Saletta Rossa», spazio culturale destinato all’incontro di grandi intellettuali italiani ed europei. Gli eventi organizzati nel corso degli anni hanno fomentato un discorso prettamente culturale capace, tuttavia, di aprirsi anche all’innovazione. Sedendo sulle poltroncine rosse – che hanno determinato la denominazione della saletta –, si sono riuniti, infatti, Roland Barthes, Dominique Fernandez, Giuseppe Ungaretti, Pier Paolo Pasolini, Umberto Eco, Alberto Moravia e altri.
L’esperienza libraria della famiglia Guida è stata affiancata, negli anni Trenta, da un’attività editoriale. In questo senso si può notare come a Napoli si sia sviluppata una figura professionale tradizionale: il libraio-editore. I fratelli Guida iniziarono a far uscire testi sotto la sigla AGE (Alfredo Guida Editore), pubblicando gli opera omnia di Francesco D’Ovidio, in diciotto volumi. Dopo un primo decennio di florida attività editoriale, gli anni della Seconda guerra mondiale costituirono una prima grande crisi. Essa fu determinata da un lato dalle difficoltà dei giovani editori napoletani nell’iscriversi in una distribuzione a livello nazionale; e dall’altro dal blocco forzato della produzione e dalla penuria di carta. Di difficile soluzione si rivelò, anche dopo gli anni bellici, la volontà di affacciarsi a un’editoria nazionale, capace di competere – soprattutto nel settore della scolastica – con le già affermate aziende editoriali settentrionali.
Oggi la casa editrice, dopo la chiusura della storica libreria di via Port’Alba, tende a ridimensionare lo stretto legame con l’università e a privilegiare settori in grado di assicurare un pubblico più vasto. In questo modo si rende evidente la dicotomia tra collane capaci di conferire prestigio all’azienda e altre che assicurano invece sicuri guadagni.
Altra istituzione di Port’Alba è stata Don Ermanno Cassitto, libraio d’eccezione. La sua attività libraria consisteva nella vendita di libri usati e antichi e fu consacrata dalla pubblicazione del «Bollettino del libro raro ed esaurito della Bottega di Ermanno Cassitto a Port’Alba», grazie al quale divenne a tutti gli effetti un libraio-antiquario. Nonostante ciò, però, egli si era sempre sentito più legato a un’idea di libraio “bancarellaro”, capace di prendersi momentaneamente cura dei libri in giacenza, cercando un nuovo proprietario a cui affidarli. Anche Don Ermanno ha poi avviato una modesta attività editoriale, incapace tuttavia di competere con il complesso mondo editoriale e commerciale; perché forse troppo attento alla diffusione di testi di cultura, dimenticando in parte il peso del mercato. Nel 1982 ha avviato, con la direzione di Ugo Piscopo, la collana «La faglia. Medaglioni napoletani dall’Unità a oggi», con la quale ha tracciato i profili di grandi intellettuali napoletani.
Topografia libraria: Piazza Dante
La topografia libraria può proseguire con la menzione di Piazza Dante. La presenza del Convitto nazionale Vittorio Emanuele II ha permesso la fondazione di diverse librerie specializzate nel settore della scolastica e nella vendita di classici. Proprio a piazza Dante, intorno al 1860, Luigi Pierro aprì una libreria[3], alla quale fu affiancata intorno al 1880 un’intensa attività editoriale. Per questo motivo anch’egli approfondì il proprio impegno culturale su due diversi livelli: come libraio e come editore.
La libreria di «Don Luigi» divenne ben presto un’istituzione per quanti la frequentavano. Fu proprio l’assidua presenza delle più illustri personalità della cultura napoletana[4] a consentire la crescita e la diffusione del dibattito artistico e culturale nella città. L’attività editoriale, invece, favoriva la pubblicazione di opere in dialetto napoletano come poesie dialettali, racconti popolari e bozzetti paesani. Le prime opere pubblicate furono il frutto dell’impegno di alcuni giovani frequentatori della stessa libreria. Molto apprezzata dal pubblico fu, poi, una collana dedicata alle scienze economiche e giuridiche, pensata per il forte legame dell’editoria napoletana con l’università Federico II. Il successo del libraio-editore aumentò poi nel 1892, quando la libreria divenne il punto vendita autorizzato della famosa rivista topografica e artistica «Napoli Nobilissima», fondata nello stesso anno da Benedetto Croce, Giuseppe Ceci, Michelangelo Schipa, Salvatore Di Giacomo etc.
Per l’eclettismo, la novità, la scoperta di nuovi autori e per la promozione della proprie edizioni Luigi Pierro realizzò il «tipo dell’editore moderno»[5] capace di trovare un equilibrio tra mercato e cultura, aspetti imprescindibili del fare editoria.
Topografia libraria: Via San Pietro a Majella
In via San Pietro a Majella, lungo il decumano maggiore, al civico 32 è presente la storica libreria Colonnese. Essa, fondata nel 1965 da Gaetano Colonnese e sua moglie Maria, propone un’ampia sezione di libri dedicati alla cultura e alle tradizioni locali e regionali. Un’attenzione particolare è rivolta ai volumi antichi, rari e fuori catalogo, che hanno attirato molti bibliofili, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta.
L’attività libraria è stata accompagnata, fin da subito, da un’esperienza editoriale. I volumi sono concepiti come vere e proprie creazioni personali e si sviluppano, difatti, da una precisa idea di editoria, quella che mira a diffondere sul mercato l’insolito e lo stravagante. Il libro deve in questo senso apparire al lettore come un prodotto di artigianato colto, nella forma e nei contenuti. È per quest’interesse verso l’antiquariato che l’editore ha proposto e incentivato la creazione di raffinate pubblicazioni. La veste grafica presenta oggetti incastonati in una copertina pregiata e dai colori tenui, i caratteri sono chiari e impressi su una carta resistente e di qualità rilegata a filo refe. Per quel che concerne le collane, molta importanza riveste «I nuovi trucioli», la cui denominazione richiama le striscioline arricciate di legno, scarto della piallatura. Si tratta di opere trascurabili, ma solo all’apparenza. Proprio come i trucioli di legno.
Topografia libraria: Via Benedetto Croce
Percorrendo via San Sebastiano, è possibile arrivare in via Benedetto Croce, caratterizzata dall’imponente presenza del Palazzo Filomarino, storica residenza napoletana del filosofo abruzzese. Negli anni in cui visse a Napoli, egli si dimostrò un rigoroso organizzatore culturale e intorno a lui si riunirono intellettuali italiani e stranieri. La sua presenza fu centrale e ogni domenica, proprio a Palazzo Filomarino, soleva riunirsi con diversi studiosi con i quali si confrontava sui reciproci studi.
Il filosofo viene descritto dall’amico e intellettuale Gino Doria come un «gran signore della cultura»[6] e la sua biblioteca diviene il simbolo dei suoi interessi. Croce bibliofilo mostra difatti una ragionata attenzione per il libro, che diviene sia lo strumento attraverso il quale accrescere la propria conoscenza sia un depositario del pensiero che si presta a continue riletture capaci di accrescere il dibattito culturale.
Ciò che rimane oggi della predilezione di Croce per la cultura, oltre alla sua vasta opera di critico letterario, erudito, storico, filosofo, organizzatore di cultura, sono l’Istituto di Studi Storici – da lui fondato nel 1946 – e la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce[7]. Entrambi hanno sede nel Palazzo Filomarino, rappresentazione fisica del grande lascito crociano.
Topografia libraria: Via Santa Chiara
Via Benedetto Croce è collegata a via Santa Chiara, che nel passato aveva il proprio simbolo nel libraio Don Gennaro Cioffi. Egli era solito mettersi fuori dalla bottega di Santa Chiara[8] e aspettare l’arrivo dei clienti riscaldandosi al sole: «si metteva a leggere seduto all’angolo e, di tanto in tanto, guardava i suoi libri come il sergente guarda se il plotone è bene allineato»[9].
Topografia libraria: Piazza del Gesù Nuovo
Percorsa tutta via Santa Chiara, ci si ritrova nella maestosa Piazza del Gesù Nuovo, simbolo stesso del centro storico della città. Una targa Unesco, affissa sulla facciata della chiesa del Gesù Nuovo, consacra il centro storico patrimonio mondiale dell’umanità:
Napoli è una della più antiche città d’Europa.
I suoi luoghi conservano traccia di preziose tradizioni, di incomparabili
fermenti artistici e di una storia millenaria nelle sue strade piazze ed
edifici è nata e si è sviluppata una cultura unica al mondo che diffonde
valori universali per un pacifico dialogo tra i popoli. Il suo centro storico
inserito dal 1995 nella lista del patrimonio mondiale Unesco appartiene
all’umanità intera.
I luoghi diventano allora la metafora delle tradizioni e della cultura napoletane. La metafora – nella sua derivazione greca – si riferisce al fatto che le piazze, le vie, gli incroci diventano i luoghi che trasportano (dal greco μεταφoρέω, ‘porto oltre, trasporto, trasferisco’) una determinata cultura; sono luoghi che portano con sé un passato, rendendolo vivo con la propria presenza fisica. Diventano delle metafore, appunto.
In Piazza del Gesù Nuovo è possibile imbattersi nella libreria Dante & Descartes, succursale di quella storica ubicata in via Mezzocannone. Il libraio Giancarlo Di Maio caratterizza il proprio operato con scelte che vanno al di là dell’aspetto commerciale e mostra, difatti, di essere dedito soprattutto all’affermazione e alla diffusione della cultura. L’insegna «Dante & Descartes. Libri perduti e ritrovati» sembra esplicitare questa scelta etica e lavorativa. Mettere in evidenza il “ritrovare” inscrive l’operato di Giancarlo (e di suo padre Raimondo, che gestisce invece la libreria a Mezzocannone) nella tradizione libraria del centro antico della città. Il ritrovare presuppone un’iniziale perdita, a cui si accompagna la fortuna dell’avere tra le mani un testo con una storia, perché appartenuto a qualcun altro prima. Il libro usato e fuori catalogo assume un valore diverso. Difatti è molto sentita la predilezione per tutto ciò che rimanda a un passato da salvare. I librai Di Maio hanno affiancato alla vendita di libri un’esigua ma attenta attività editoriale, mai banale. Erri De Luca, scrittore e amico dei librai-editori, ha pubblicato molte opere sotto il marchio editoriale «Dante & Descartes». È chiaro che i librai sentono come proprio il mestiere di libraio, che non viene di conseguenza visto come un lavoro ma come una vocazione.
Topografia libraria: le biblioteche e le università
Nell’immaginare una mappa topografica capace di evidenziare i movimenti librai non si può evitare di richiamare l’attenzione sulle biblioteche e sull’università e sulla loro influenza nella diffusione della cultura a Napoli. Entrambi gli istituti svolgono una funzione di mediazione culturale. Entrambi sono poi collegati all’editoria e alla circolazione del libro. Le biblioteche sono luoghi di conservazione, consultazione e lettura dei volumi. Esse sono dei contenitori di cultura, in grado di raccogliere la storia e le tradizioni passate assieme a quelle più recenti, conferendo loro una continuità. Con l’Università, invece, il discorso riguarda, da un lato, la ricerca di un sapere sempre in movimento; dall’altro, la necessità da parte delle nuove generazioni di tenere sempre vivo e acceso il testimone della cultura.
Le biblioteche storiche sono quasi tutte collocate nel centro della città. Tra queste spicca la Biblioteca Nazionale, ubicata in Piazza del Plebiscito. Essa fu inaugurata il 13 gennaio 1804, con l’incremento del materiale libraio accresciuto sia con fondi provenienti dalla soppressione degli ordini religiosi sia con l’acquisizione di biblioteche private. Nel 1922 essa venne collocata nella sede attuale, nel Palazzo Reale, e negli anni successivi le furono annesse la Biblioteca del Museo di San Martino, la Brancacciana, la Provinciale, la San Giacomo. Anche negli ultimi anni la Biblioteca ha arricchito il proprio patrimonio con collezioni private – il fondo Doria, per esempio – e con acquisizioni volte a valorizzare la cultura meridionale.
Per quanto riguarda le università, il discorso si riallaccia soprattutto al secondo Ottocento, uno dei più intensi e floridi momenti dell’Università Federico II, in quegli anni ancora l’unica Università del Sud peninsulare. Sono, infatti, gli anni in cui essa si lega al mercato editoriale.
Le colonne portanti dell’editoria universitaria napoletana sono costituite da materie giuridiche e mediche, oltre che dalle facoltà umanistiche. Quest’editoria settoriale riguarda la pubblicazione delle dispense dei corsi e la pubblicazione da parte dei docenti di articoli, saggi e monografie; essa si rivolge a un pubblico selezionato e ristretto, formato da studenti e da tutti gli addetti del settore, ricercatori e docenti. Nonostante la sua importanza di base, questo tipo di editoria specializzata ha presentato, in passato, difficoltà nell’iscriversi a pieno titolo in un’editoria considerata di cultura. Traccia di tale dibattito è rinvenibile nelle parole di Luigi Mascilli Migliorini[10]:
È mai possibile che tutto questo, siccome è legato all’Università, siccome in molti casi riproduce lezioni universitarie in quelle che chiameremmo sprezzantemente dispense (ma che quando sono di Francesco De Sanctis ovviamente esitiamo a definire come tali […]), è insomma mai possibile che tutto questo, per il solo fatto che nasce all’interno del mondo universitario, che ne condiziona alcuni elementi e li deforma, è mai possibile che tutto questo non sia cultura? Cioè che l’editoria che trasmette questo tipo di sapere nelle forme della divulgazione accademica non dovrebbe essere cultura per il solo fatto che è pensata ed eseguita per un pubblico determinato, per un pubblico di studenti che acquistano le dispense dei loro docenti per sostenere il relativo esame?[11]
È impensabile, oggi, non considerare anche la divulgazione accademica come parte dell’editoria di cultura, che risulta accresciuta proprio per il lavoro di editori specializzati in questo ramo. Difatti, gli editori napoletani specializzati nella divulgazione accademica costituiscono «un modello dell’editoria italiana, non un antimodello, né tantomeno un elemento residuale di una città secondaria»[12].
Introduzione storica all’editoria napoletana
L’editoria napoletana si sviluppa inizialmente più come attività di stampatori che di editori nel senso moderno del termine. Le prime stamperie vengono fondate a Napoli nel 1471 e sono legate a una logica prettamente commerciale.
La situazione inizia a cambiare nel XVII secolo, in cui si ravvisa un rigoglioso sviluppo, concentrato tuttavia quasi esclusivamente su proventi sicuri. Nonostante la crescita del numero degli stampatori, pochi hanno svolto un’autentica attività editoriale. Il livello tecnico della stampa resta difatti modesto: i caratteri sono spesso di seconda mano, l’impaginazione è affrettata, i refusi abbondano, la carta e l’inchiostro sono scadenti. Nonostante ciò, si diffonde un gusto volto a impreziosire i volumi con fregi, incisioni e illustrazioni[13].
Tra gli editori e i tipografi, si affermò Antonio Bulifon. Egli si circondò di molti intellettuali, riuniti nel suo negozio di «libraio all’insegna della Sirena»[14] ed editò soprattutto opere di letteratura, diritto, religione, agiografia, medicina, filosofia e grammatica.
Negli stessi anni svolgeva la propria attività anche il libraio-editore Domenico Antonio Parrino. Quest’ultimo si specializzò negli stessi settori del collega Bulifon, col quale – soprattutto nel Settecento – si trovò in concorrenza. Nel 1702 Bulifon ottenne alla Regia Corte al costo di 300 ducati l’appalto degli Avvisi, fino a quel momento pubblicati da Parrino, che li aveva ottenuti per 800 ducati. Ciò provocò l’ira del Parrino, che nel 1708 approfittò dell’avversione nei confronti di Bulifon dei nuovi dominatori austriaci, per i quali stampò il Compendio storico del loro ingresso nel Regno e riprese la pubblicazione degli Avvisi, ottenendo dal re il privilegio di stampa a vita.
Nel Settecento, comunque, tra gli editori domina la figura di Felice Mosca, che pubblicò con grande accuratezza le opere delle più eminenti personalità culturali a lui contemporanee. Egli si preoccupò molto dell’aspetto formale dei volumi da pubblicare. Nonostante non si trattasse di edizioni di lusso, le scelte formali conferivano alle sue pubblicazioni una veste ordinata e precisa. Si avvalse per questo motivo dei migliori incisori e disegnatori del tempo; tra i primi spiccano Solimena, De Mura e Vaccaro, e tra i secondi invece De Grado, Maillar e Strina.
Uno dei maggiori problemi legati alla diffusione editoriale riguardava la mancanza della libertà di stampa, che rendeva il mestiere di editore e tipografo molto complesso. La stampa e il commercio librario erano regolati da una serie di prammatiche, conosciute come De impressione librorum. Conseguenza delle limitazioni imposte fu la diffusione di edizioni prive del consenso dell’autore[15]. Napoli divenne in questo senso la capitale dell’editoria pirata. Nonostante l’accezione possa sembrare negativa, essa si rivelò invece positiva in quanto favorì una certa dinamicità culturale, da cui altrimenti il meridione sarebbe rimasto escluso.
Altra difficoltà, oltre alle pressioni censorie, riguardava le ingenti lacune tecniche e commerciali. I caratteri e la carta erano di scarsa qualità e spesso importati dall’estero in quanto, soprattutto per quel che concerne la carta, le cartiere del Regno – ad eccezione di quelle Amalfitane – producevano una carta non adatta alla stampa.
La stasi culturale si fortificò sotto i Borbone, propensi a prediligere pubblicazioni volte ad encomiare solamente il prestigio dinastico e indifferenti a una reale crescita culturale ed editoriale. Nel 1748 venne istituita da Carlo II di Borbone la Stamperia Reale, con l’intento di pubblicare una mastodontica opera sui risultati degli scavi di Ercolano condotti nel primo decennio del Settecento. L’opera si rivelò impeccabile sotto un punto di vista formale, ma non fu destinata alla vendita. Difatti le poche copie stampate vennero donate a diverse autorità dell’epoca, dimostrando il totale disinteresse dei regnanti per la circolazione della cultura. Nonostante la Stamperia disponesse di innovative attrezzature[16], essa si dimostrò ben presto un buco nell’acqua per quanto riguarda la valorizzazione della cultura e la diffusione editoriale.
L’Ottocento, pur presentando uno sviluppo quantitativo dei macchinari e delle persone che si impegnavano in attività editoriali, mostrò un mestiere ancora radicato in uno schema di lavoro artigianale, impossibilitato ad ampliare i propri domini. Queste difficoltà furono probabilmente dovute – tra le altre cause – alla miopia culturale della dinastia borbonica. Essa, tornata al governo, impose un riassetto censorio molto più restrittivo rispetto alle precedenti normative. Queste ultime, difatti, avevano facilitato l’importazione, la stampa e la circolazione clandestina di libri considerati pericolosi. I governanti di conseguenza emanarono due decreti per sottoporre a controllo tutto il materiale stampato nei torchi napoletani.
Il lavoro di stampatori ed editori venne ulteriormente complicato con l’istituzione di un dazio sull’importazione di opere straniere, emanato nel 1822. Con questo provvedimento il governo borbonico credeva di riuscire ad allontanare dal regno i nuovi fermenti culturali europei e di proteggere l’industria tipografica nazionale; si ottenne invece il risultato opposto, in quanto l’industria editoriale subì un processo di stagnazione e gli editori-stampatori, per fronteggiare questa situazione, continuarono a importare e a stampare testi clandestinamente.
Le pressioni sugli stampatori alimentarono un’insoddisfazione tale da determinare uno sciopero il 25 aprile 1848, in cui si chiedevano agevolazioni ai proprietari delle stamperie che avevano diminuito drasticamente i salari, adeguandosi ai costi elevati a cui dovevano sottostare. La protesta, però, si rivelò inconcludente, a causa soprattutto dell’inconsapevolezza con cui gli scioperanti vi parteciparono.
Comunque, rispetto al secolo precedente, le aziende editoriali si moltiplicarono, pur mantenendo un aspetto artigianale. Gli editori napoletani rivelarono la loro scarsa imprenditorialità (rispetto ai loro colleghi del Nord della penisola), tendendo a circoscrivere il loro operato alla realtà locale. Questa caratteristica – che può essere facilmente considerata un atteggiamento tipico e costante nello sviluppo editoriale partenopeo – si radicalizzò nella Napoli ottocentesca, costituita da un’altissima densità demografica che spingeva gli editori a circoscrivere il proprio raggio d’azione al solo pubblico napoletano, in grado di garantire buoni e certi guadagni.
L’esiguo tasso di imprenditorialità derivava poi anche dalla scarsità dei macchinari e dal loro deterioramento, rendendo vana la competizione con i colleghi settentrionali. Nell’ottica di una riqualificazione editoriale, Gaetano Nobile, anima dell’editoria intorno alla metà dell’Ottocento, divenne il portavoce di questo problema. Oltre a curare in maniera esemplare le proprie edizioni, pubblicò nel 1850 il saggio Alcune idee sul riordinamento delle stamperie in Napoli e sul modo da regolarne con convenevoli precetti l’andamento, col fine di riqualificare le aziende editoriali campane, in favore di quelle più grandi e provviste di macchinari più tecnologici.
Nonostante questa iniziativa, persistevano le difficoltà e le limitazioni che sfavorivano l’intera produzione. Lo stesso Nobile, pur essendo un editore affermato, stampò volumi contraffatti, tra cui è necessario ricordare un’edizione illegale dei Promessi Sposi. Lo stesso Manzoni, per impedirne la circolazione, dovette mobilitare le proprie conoscenze. Egli era preoccupato perché probabilmente Nobile possedeva lo stesso numero di dispense e disegni, ma li avrebbe venduti alla metà del prezzo dell’edizione legalmente diffusa a Milano. L’episodio si concluse con la rinuncia obbligata dell’editore napoletano che però, dopo soli due anni, riuscì a pubblicare un volumetto popolare dell’opera.
La gravità della questione si lega alla mancanza di una legge che regolasse la proprietà letteraria nell’intera penisola. Ciò comportava infatti la perdita degli autori sui diritti morali ed economici delle opere.
Nel 1840, l’esclusione del Regno delle Due Sicilie dalla Convenzione austro-sarda determinò una prima spaccatura tra il Nord e il Sud della penisola, costituendo un primo colpo per l’editoria napoletana. A questo seguì, poi, l’abolizione del protezionismo doganale messo in atto dai Borbone e il definitivo riconoscimento del diritto d’autore. Quest’ultimo, unito all’indifferenza del governo postunitario nei confronti del Mezzogiorno, ampliò la cesura tra il contesto editorial-culturale napoletano e quello nazionale.
Furono molti gli editori che in questi anni cercarono di incentivare in maniera indipendente la ripresa dell’editoria napoletana, attraverso una serie di iniziative come l’apertura nel 1861 di un Emporio Libraio Partenopeo; la creazione, nel 1864, di una scuola tipografica gratuita, la Società Tipografica-Editrice Napoletana; e la fondazione di un periodico d’informazione libraia, «Il Bibliografo»[17], stampato dall’editore Morano.
È dalla crisi postunitaria che trae origine l’editoria moderna, con editori consapevoli del tramonto di un’epoca caratterizzata e favorita da leggi protezionistiche e sostenuta dalla committenza statale. Gli editori tendono a sviluppare una nuova imprenditorialità attraverso la riorganizzazione delle aziende, l’investimento in nuove tecnologie e l’elaborazione di specifici programmi editoriali improntati soprattutto sullo sviluppo delle conoscenze tecnico-scientifiche e sulla scolastica[18].
In generale, quindi, l’editoria napoletana si caratterizza per la presenza di alcuni elementi definiti tra i quali, soprattutto nel XIX secolo, la presenza di un pubblico vasto e diversificato, al quale tuttavia è impensabile poter offrire un prodotto costoso. Questa caratteristica, sommata alle ingenti limitazioni precedentemente presentate, aiuta a delineare il carattere prevalentemente regionale dell’editoria partenopea, chiusa e radicata nella propria “specialità”. Sono pochi, infatti, gli editori che hanno intrapreso un discorso diverso, capace di andare oltre un campo circoscritto e tracciato ormai innumerevoli volte. Chi ha avuto il coraggio e la spregiudicatezza di compiere questo passo ha rappresentato una rivoluzione all’interno del tradizionale regionalismo napoletano.
Mi sembra necessario a questo punto evidenziare l’esperienza professionale di alcuni editori, la cui mediazione ha contribuito ad accrescere il dibattito culturale napoletano, ma anche nazionale.
Primo tra tutti, in ordine cronologico, è Luigi Chiurazzi, il cui eclettismo si nota per l’eterogeneità degli interessi sviluppati. Egli fu libraio, autore e giornalista oltre che editore. La sua libreria fu un ritrovo per gli intellettuali dell’epoca; e l’attività editoriale invece si dimostrò abbastanza equilibrata tra mediazione culturale e testi più attenti al mercato. Tra le collane di maggior successo si trova la «Biblioteca Lillipuziana» stampata in un formato ridotto, il 64°. Essa raccoglieva racconti, novelle, scene, leggende e ballate di autori italiani e stranieri e prediligeva – anche per il basso costo – un pubblico popolare. Di fattura ben più elevata, si mostrò invece la «Collezione di Classici latini e greci tradotti», i cui volumi contribuirono alla diffusione dei classici e si distinsero per il rigore e l’accuratezza delle traduzioni, affidate a diversi intellettuali. L’editore fondò anche, nel 1875, un settimanale letterario, «Lo Spassatiempo», che raccoglieva testi in versi e in prosa scritti dall’editore stesso e da diversi collaboratori.
In generale, egli concepiva un’idea di editoria radicata in una logica prettamente artigianale, incapace di permettergli di affacciarsi alla grande diffusione. Era legato a un contesto locale. Unica eccezione è costituita dalla collana dei classici in traduzione, che ebbe importanza anche a livello nazionale.
I Morano
Diverso è il caso della famiglia Morano. Vincenzo aveva, infatti, fondato una casa editrice nel 1849 a Napoli, iscrivendosi inizialmente in una tradizione tipicamente locale[19]. I primi testi pubblicati furono di ampia diffusione e riguardarono soprattutto il settore educativo e quello della quotidiana pratica ecclesiastica. Testi che si bilanciavano bene con le ristrettezze imposte allora alla stampa e con proposte qualitativamente impeccabili. Fu, però, la pubblicazione delle Opere di Vico e di Gioberti a confermare e a rafforzare i tratti dell’editore.
Nei decenni postunitari, tuttavia, l’azienda della famiglia Morano acquisì un’identità: gli editori s’impegnarono in una riorganizzazione complessiva della struttura culturale. Il campo prediletto dell’attività divenne il settore educativo, in cui riuscirono ad affermarsi soprattutto grazie alla rivista d’istruzione ed educazione «L’amico delle scuole popolari», che permise agli editori di stringere nuovi legami con i professori delle scuole napoletane. Da questa sinergia nacque, negli anni successivi, la «Biblioteca scolastica», capace di raccogliere testi dall’ampia e duratura diffusione, assicurando così una presenza capace di confrontarsi coi circuiti nazionali.
Fu, tuttavia, la collaborazione con Settembrini a segnare la definitiva consacrazione dell’azienda come protagonista della vita culturale napoletana. Antonio Morano nell’aprile 1870 si fece carico del manoscritto del terzo volume delle Lezioni di letteratura italiana, destinato alle stampe nel giro di due anni. La collaborazione con il letterato comportò l’intera risistemazione del lavoro della famiglia Morano, anticipando in parte l’incontro con Francesco De Sanctis e la pubblicazione della Storia della letteratura italiana. Il legame col critico irpino, oltre a rappresentare un’occasione unica, venne avvertito come un trampolino di lancio per un’azienda giovane e inesperta. Questo aspetto si evidenzia nelle numerose preoccupazioni espresse dal De Sanctis circa l’applicazione del lavoro da parte degli editori, che avevano palesato le proprie fragilità organizzative e gestionali. È probabile, infatti, che l’editore fosse ancora troppo legato al mestiere di libraio più che a quello di editore vero e proprio; in questo senso emerge una delle più famose caratteristiche dell’editoria napoletana, ovvero la tendenza a non impegnarsi troppo e per questo il non riuscire a competere con il resto della penisola. Il rapporto col De Sanctis venne infatti interpretato dagli stessi editori come un’occasione per comprendere quali fossero le lacune, le difficoltà e i ritardi dell’azienda. Inoltre, poi, l’opera del De Sanctis presentava delle difficoltà intrinseche, che ne acutizzarono la complessità e l’uscita dagli usuali percorsi. La Storia della letteratura italiana era destinata a una scuola nata da poco, ragion per cui il pubblico di destinatari non era ben definito.
Dopo la Storia, l’iniziativa di maggior rilievo è il «Giornale napoletano di lettere e filosofia», nato con l’intento di restituire il patrimonio intellettuale napoletano alla sua reale importanza nella tradizione nazionale. Tuttavia, l’esperienza è destinata ben presto a concludersi.
L’ultimo decennio dell’Ottocento è segnato da una modernizzazione dell’azienda, basata sulla capacità di evolvere assieme alla società alla quale ci si rivolge. Questi anni segnano una vera e propria rottura col passato, forse soprattutto perché sono caratterizzati dalla scomparsa di molti tra i primi animatori della casa editrice. Emblematico, l’improvviso distacco da Croce nel 1919. I motivi della rottura non sono mai stati resi espliciti, ma è probabile che siano stati dovuti all’atteggiamento dimostrato dagli editori già nel rapporto col De Sanctis. Si trattava, anche nel caso del filosofo abruzzese, di problemi legati alla dispersione e alla mortalità elevata delle iniziative, all’esiguità della forza societaria, alla fatica nell’affermarsi commercialmente sul piano nazionale, alla difficoltà nel mantenere un fisiologico rapporto con gli autori, alla dipendenza da committenze, al forte legame con i circuiti obbligati e alla scarsa diversificazione fra imprese e cataloghi.
La caratteristica principale della famiglia Morano resta, fin dai primi anni, quella di aprirsi ai più svariati campi, senza permettere ad alcuna scelta editoriale di condizionarne altre né di imporre esclusioni. L’apertura del loro progetto editoriale verso più campi dello scibile ha permesso agli editori di mantenere in vita l’azienda per cinque generazioni. D’altro canto, però, proprio questo atteggiamento ha gravato sulla conduzione e sull’organizzazione dell’attività. Il non voler escludere niente e il non voler abbracciare appieno alcuna teoria hanno comportato un distacco cronico degli editori dagli autori e dai progetti intrapresi. La famiglia Morano si è mostrata insofferente verso qualsiasi rapporto troppo esigente, anche nei confronti di grandi personalità della cultura dell’epoca. È probabile che ciò sia derivato dal desiderio di conservare la propria autonomia gestionale ed editoriale, e dalla volontà di sentirsi liberi.
Riccardo Ricciardi
Riccardo Ricciardi è forse il più noto editore napoletano. La sua fama è legata soprattutto all’eleganza delle edizioni. Tuttavia, è necessario tener presente che egli dava importanza a ogni minimo aspetto del prodotto-libro. Nonostante ciò, però, non dotò mai la sua azienda di una personale tipografia, ma curò molto i rapporti con i vari tipografi ai quali si legò. Dette fiducia fin da subito al barone Raffaele Trani, la cui stamperia era considerata la migliore della città. I due stamparono le opere maggiori, caratterizzate da una compostezza rinascimentale e aldina, priva però di ornamenti barocchi. Contemporaneamente si avvalse, però, della tipografia di Silvio Morano per le pubblicazioni minori. Proprio in questa tipografia si legò a Guglielmo Genovese – che fondò poi la S.I.E.M. – col quale realizzò un tipo medio di edizioni, nitide e composte. Alla morte di Genovese, Ricciardi perse i contatti con la S.I.E.M. – che assunse una connotazione più industriale – e si avvicinò a un giovane artigiano, Angelo Rossi[20], col quale fu pronto a realizzare un nuovo tipo per le edizioni ricciardiane, modificandone le classiche peculiarità.
La relazione dell’editore con i tipografi, pur rappresentando il lato meno visibile del lavoro editoriale, costituisce un tratto essenziale per comprendere il lavoro di Ricciardi e la sua predilezione per ogni parte dei volumi. La singolarità estrinseca delle sue edizioni non ha fatto altro che accompagnare testi il cui valore principale è conferito dalla loro elevatezza spirituale e morale. La sua idea di cultura e di editoria era, infatti, basata sulla corrispondenza tra raffinatezza formale e selezione dei contenuti. Il tutto era, poi, completato dalla marca editoriale, un’imbarcazione a vele spiegate accompagnata dal motto «ventis secundis».
La lunga e consolidata attività di Ricciardi può essere suddivisa in tre periodi.
Una prima fase va dal 1907 alla fine della Prima guerra mondiale. In questo periodo l’editore si soffermò principalmente sulla pubblicazione di opere letterarie. Di notevole attenzione fu la pubblicazione delle Poesie di Salvatore Di Giacomo nel 1907. L’enorme successo dell’edizione fu accresciuto dalla dedica che l’editore fece a Croce, curatore del volume assieme a Francesco Gaeta, e dalla presenza di un glossario dei termini dialettali usati da Di Giacomo[21]. Il tutto fu stampato dal Trani che impiegò una carta a mano pregiata, una copertina gialla e una sobria e raffinata eleganza dei tipi. Tutti questi elementi – contenutistici e formali – conferirono grande prestigio al giovane editore napoletano, che seppe approfittare del talento di Di Giacomo per legare il nome della propria azienda a quella di un talentuoso e giovane poeta. L’edizione del 1907 fu seguita da altre quattro, di cui l’ultima merita una menzione. Si tratta dell’edizione definitiva, stampata dal Trani nel 1927. È assente la dedica a Croce a causa delle forti preoccupazioni mostrate in quegli anni dal poeta napoletano. Egli temeva, infatti, che dedicare l’opera a una personalità mal vista dal governo fascista potesse comprometterne il successo sperato. Per questo, la dedica a Croce venne sostituita da una nota bibliografica.
Il primo volume pubblicato da Ricciardi fu, però, L’Italia alla fine del secolo XVIII nel “viaggio” e nelle opere di J. W. Goethe di Eugenio Zamboni. L’opera fu in realtà già disponibile nelle librerie nel 1906, anno precedente alla fondazione della casa editrice.
In quel decennio l’attività fu legata soprattutto alla poesia crepuscolare, inserendosi nel profondo rinnovamento culturale del tempo col pubblicare opere di autori giovani e anticonformisti come Papini, Borgese e Prezzolini. Proprio quest’ultimo diresse la collana «Contemporanei d’Italia», nata con l’intento di mostrare il presente attraverso ritratti di significative personalità. Il primo volume fu realizzato da Prezzolini stesso, che si occupò di Benedetto Croce.
Nel primo periodo di attività, il giovane editore non si lasciò intimidire da delusioni e difficoltà. Egli era infatti ben consapevole della solida base culturale e del gusto raffinato delle proprie pubblicazioni.
Il secondo periodo della carriera editoriale iniziò nel dopoguerra e si protrasse per un ventennio. Esso si caratterizza per un’attenzione maggiore alla cultura storico-filosofica e alla critica letteraria. In effetti, il sodalizio con Croce e Gentile può essere interpretato come il simbolo dell’accresciuto interesse dell’editore per questo settore.
Nell’ambito della critica letteraria, invece, può essere utile riferirsi al legame che s’instaurò tra Ricciardi e Luigi Russo. Quest’ultimo stampò per l’editore napoletano una monografia su Verga, dando inizio alla collana «Studi di letteratura e d’arte». Prima della stesura dell’opera, l’autore la sottopose al Croce, che gli suggerì di stamparla presso Laterza, ma Russo si mostrò convinto nel volersi legare a Ricciardi, di cui aveva sempre apprezzato la raffinatezza e l’eleganza formale e dei contenuti.
Non manca in questi anni un’attenzione al mondo napoletano e locale, ripreso con la fondazione, nel 1919, della «Biblioteca napoletana di storia, letteratura e arte» che si apre con l’edizione delle Curiosità napoletane di Croce.
Significativa si dimostra anche l’idea di dare nuova vita alla famosa rivista topografica e artistica «Napoli nobilissima». Come accennato, essa era stata fondata nel 1892 e dopo quindici anni di attività era stata chiusa. Dopo la Prima guerra mondiale, Ceci e De Rinaldis decisero di creare una nuova edizione della rivista, affidandone la pubblicazione a Ricciardi. Quest’ultimo espresse la volontà di mantenere inalterata la veste tipografica della serie originaria. Per questo motivo, quindi, egli curò molto la parte iconografica. Sulla copertina, in carta Ingres grigia, si trovava il titolo in rosso e in nero, all’interno di una cornice rinascimentale. Il frontespizio invece, oltre ai nomi dei direttori, presentava una riproduzione fototipica del bassorilievo di Ferrante d’Aragona a cavallo. Tuttavia, dopo soli tre anni, la serie venne terminata a causa dell’indifferenza del pubblico, soprattutto quello più giovane.
L’ultimo periodo iniziò nel 1938, anno in cui Raffaele Mattioli, intellettuale poliedrico e grande amico di Ricciardi, divenne socio dell’azienda. A differenza di quanto si può immaginare, il suo intervento non modificò le specificità della casa editrice. Essa ha, infatti, mantenuto il proprio personale carattere e non ha assunto la forma di un complesso industriale; la collaborazione tra due personalità così diverse – e per questo complementari – ha permesso alle edizioni di sopravvivere al tempo e di aumentare di valore. Mattioli ha contribuito a conferire un rinnovamento e un nuovo impulso a un’attività ormai saldamente ancorata alla tradizione editorial-culturale contemporanea.
Dopo aver aperto un ufficio a Milano, Mattioli ha fondato l’illustre collezione «La letteratura italiana. Storia e testi» con la collaborazione di Pancrazi e del filologo e linguista Schiaffini. La collana si distingue per il coraggioso progetto, vasto ma utile per la completezza. Il piano generale dell’opera è ripartito in 7 sezioni, in ognuna delle quali un intellettuale affronta e ordina un periodo storico.
Oltre a questa mastodontica collezione, Mattioli ha continuato a diffondere – in linea con il progetto di Ricciardi – opere di grande prestigio, come gli Aneddoti di varia letteratura di Croce nel 1942, e opere storiche e filosofiche.
La casa editrice che porta il nome dell’editore napoletano s’iscrive, per l’immenso spessore qualitativo delle edizioni, in un contesto nazionale. La vita stessa di Ricciardi ha segnato un’indelebile impronta nel ricco e complesso panorama editoriale italiano. I suoi volumi, concepiti come delle creazioni personali più che come prodotti commerciali, non sono altro che una rappresentazione e un’esplicitazione della personalità e degli interessi dell’editore stesso. Spesso, infatti, il raggiungimento di circuiti nazionali è scaturito dalla scoperta di autori difficili e non allineati a cui si univa l’artigianalità del lavoro inscritto nei moderni criteri d’avanguardia culturale. Le sue edizioni, oltre che per la raffinatezza e l’eleganza, si propongono di indagare settori inesplorati del sapere, per contribuire all’arricchimento e al consolidamento di nuovi campi d’indagine. A Riccardo Ricciardi si deve riconoscere l’abilità nell’aver saputo muovere la cultura italiana in maniera nuova e signorile. Gino Doria, bibliofilo e grande amico dell’editore, ne offre un ritratto ineguagliabile in numerosi scritti raccontandone le «lentezze, le esitazioni, le tergiversazioni, le neghittosità, e conseguentemente l’avversione per ogni forma d’azione, di decisione e di alacrità»[22] e delineandone in maniera precisa la personalità, descrivendola come «una sorta di scetticismo che, imputatogli talvolta scherzosamente come colpa, era invece la salvaguardia della linea severa che s’era imposta»[23]. Sono state queste sue caratteristiche ad impedirgli di strafare e a permettergli di creare un catalogo significativo. Addirittura si potrebbe asserire che il suo particolarissimo fiuto editoriale consista proprio in questo suo carattere cauto e lascivo, sempre accorto e prudente ma al contempo saggio e sveglio.
Bibliopolis
Ultima, ma non meno importante nel panorama partenopeo e nazionale, è la casa editrice “Bibliopolis, edizioni di filosofia e scienze”. Essa è stata fondata nel 1976 da Francesco Del Franco e sua moglie Nella Castiglione Morelli. La fondazione presenta radici che ben s’intersecano con la tradizione culturale napoletana, legata a Vico, Filangieri, De Sanctis e Croce. È soprattutto quest’ultimo a rappresentare e ad anticipare gli interessi e il progetto dell’editore. Il legame col filosofo prescinde dall’interesse dottrinale e richiama anche valori affettivi. A tal proposito si può menzionare l’amicizia tra Croce e Costantino, padre di Francesco e meticoloso bibliofilo. Costantino, difatti, seguendo i preziosi consigli dell’amico filosofo, pubblicò nel 1948 la riproduzione anastatica degli Affetti di un disperato di Vico[24] e, nel 1953, La vedova, commedia di Cini accompagnata da un’introduzione dello stesso Croce[25].
L’evento che ha maggiormente influito sulla nascita della casa editrice resta, però, la fondazione dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici nel 1975. I fondatori si erano resi conto che a trent’anni dalla fondazione crociana dell’Istituto per gli Studi Storici – con cui era stato fomentato il dibattito storico e filologico – mancava in Italia soprattutto un dibattito filosofico e speculativo. È propria di Pietro Piovani[26] l’idea del nome «Bibliopolis» che sta per “città del libro” e si riferisce al legame della città di Napoli con la divulgazione del pensiero storico-filosofico.
Fin da subito, quindi, la casa editrice dimostra la propria coerenza nel perseguire un progetto di alta cultura, filosofica e scientifica. Il pensiero cardine, da cui deriva l’attività di mediazione della cultura, è la forte convinzione che la filosofia e la scienza abbiano il compito di ricoprire un ruolo sempre più fondamentale nell’evoluzione del sapere umano. Nello specifico, le pubblicazioni riguardano la filosofia antica e moderna, e le scienze matematiche e metamatematiche; entrambe di alto spessore qualitativo.
Il primo volume edito è un richiamo esplicito alla genesi e alla fondazione dell’attività. Si tratta del Carteggio tra Benedetto Croce e Manara Valgimigli, traduttore e studioso del mondo classico. L’aspetto formale è semplice ed elegante. La copertina, di cartoncino chiaro, presenta al centro il titolo e l’autore racchiusi in una piccola e sottile cornice decorativa, che impreziosisce il volume. In linea generale, ogni volume presenta aspetti simili, volti al raggiungimento di una sensazione di eleganza e sobrietà che deve manifestarsi in chiunque li tenga in mano. L’amore per il libro si palesa in una coerenza nella forma e nei contenuti, che esplica la passione di Francesco Del Franco e dei suoi collaboratori.
L’elevato progetto culturale è garantito dal carattere specialistico e non divulgativo delle scelte editoriali; i testi pubblicati, infatti, non sono destinati a un’ampia diffusione, ma agli studiosi e agli specialisti. Per quanto concerne, per esempio, le opere di filosofia antica, non è stato ritenuto necessario provvedere alla pubblicazione di una nuova edizione delle opere di Platone, Aristotele ed Epicuro (in quanto già ampiamente pubblicate); ci si è concentrati, invece, sulla pubblicazione di scritti inediti, o mai stampati in Italia dei discepoli di Platone, Epicuro e dei Socratici. Il fine è quello di ampliare la conoscenza e il dibattito culturali. Si è rivelata, a questo proposito, di grande importanza la pubblicazione di un’edizione critica, in lingua originale, delle lezioni di Hegel. Il progetto è, però, rimasto incompiuto a causa della scomparsa del professor Ilting, che collaborava all’edizione assieme a Gerardo Marotta. Nonostante questa perdita, però, anche la pubblicazione parziale delle lezioni ha costituito un grande evento scientifico.
La filosofia antica ricopre la parte più cospicua del catalogo e si articola in quattro collane. «La scuola di Epicuro» raccoglie i testi dei papiri ritrovati nella Villa dei Pisoni a Ercolano, mentre «La scuola di Platone» raccoglie testi dei filosofi dell’Accademia platonica. La collezione «Hellenica et Byzantina», che si apre con l’Epistola a Giovanni Xifilino di Michele Psello, raccoglie opere di filosofi tardoantichi e bizantini. Infine, «Elenchos», fondata da Gabriele Giannantoni e a cura dell’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee del CNR, raccoglie saggi sul pensiero antico ed è affiancata da un’omonima rivista semestrale. Le quattro collane presentano una corrispondenza formale, non solo contenutistica. La parte grafica delle collezioni è molto simile: le copertine sono molto semplici e sobrie, e l’unico elemento distintivo è il colore del cartoncino usato per la copertina, i cui colori vanno dall’azzurrino al marroncino e al giallo.
La filosofia moderna si articola in due collane: «Serie testi» raccoglie testi filosofici inediti in Italia; «Serie studi», invece, monografie di studiosi contemporanei.
Dal 1985 il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali ha affidato alla casa editrice il compito di occuparsi dell’Edizione Nazionale delle Opere di Benedetto Croce, allora diretta da Mario Scotti. Il progetto, di grande spessore culturale, ha permesso a Bibliopolis di divenire un importante riferimento per la cultura italiana.
L’edizione è diretta da un Comitato scientifico esperto di filosofia, storia, letteratura e arte, e prevede la pubblicazione dell’intero corpus crociano, nella forma definitiva licenziata dall’autore. Coerentemente con l’idea che Croce aveva dell’editoria, il progetto si distingue per il severo rigore filologico per cui i testi pubblicati rappresentano un perfetto equilibrio tra esteriorità e contenuti[27].
L’altro caposaldo della casa editrice è costituito, come accennato, da testi scientifici. Essi sono raccolti in quattro collane, due destinate alla fisica e due alla matematica. Ogni settore si compone di una collana non strettamente indirizzata a un pubblico specialistico, e aperta quindi alla divulgazione; e di un’altra invece rivolta agli specialisti: difatti, le opere sono edite in lingua inglese al fine di conferire un carattere internazionale e alimentare il dibattito scientifico sulla materia.
Negli ultimi anni sono state varate nuove collane come «Quaderni di filosofia», che raccoglie studi e monografie su grandi temi filosofici, sempre attualissimi. Con l’intento invece di aprire il catalogo a un nuovo e più ampio pubblico di destinatari, nel 2002 è nata «Poesia», che raccoglie soprattutto testi inediti in Italia.
In sintesi, si può sostenere che «Bibliopolis» rispetta a pieno titolo l’etimologia della propria denominazione. La coerenza del progetto e il rigore filologico contribuiscono, da più di quarant’anni, alla diffusione di testi dall’alto spessore culturale e dimostrano come Francesco Del Franco si sia mostrato sempre in linea con la propria vocazione e l’amore incondizionato verso il libro, non prodotto ma oggetto prezioso e da salvaguardare.
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- Si propone un estratto della tesi di Laurea Magistrale in “Editoria e scrittura” dal titolo Le mosche bianche nel “diluvio di carta stampata”. Mediazione e cultura nel panorama napoletano, discussa alla “Sapienza Università di Roma” nell’anno acc. 2018/2019: relatrice la Prof.ssa Maria Panetta e correlatore il Prof. Giulio Perrone [N.d.R.]. ↑
- La sua denominazione si richiama al duca d’Alba, Don Antonio Alvarez di Toledo, viceré spagnolo. Nonostante essa costituisse un encomio al duca, la porta venne ben presto soprannominata dalla popolazione Porta Sciuscella, per la presenza di sciuscelle, termine con cui in dialetto napoletano ci si riferisce ai ‘frutti dei carrubi’. ↑
- Pochi anni prima Pierro aveva gestito lì un chiosco di giornali. ↑
- È nella libreria Pierro che avviene l’incontro tra Croce e Ricciardi, preludio della fondazione della Ricciardi Editore. ↑
- Cfr. I primi quarantacinque anni della casa editrice Ricciardi, a cura di Gino Doria, Napoli, L’Arte Tipografica, 1952. ↑
- B. Croce, Stampatori e librai in Napoli nella prima metà del Settecento, Macerata, Biblohaus, 2010, p. 59. ↑
- Essa fu costituita in seguito alla morte del filosofo, con l’intento di assicurare la conservazione e l’uso della ricca biblioteca nella sua sede storica. ↑
- Era una bottega supplementare, usata spesso come deposito. La casa madre dell’azienda era, infatti, ubicata in Calata Trinità Maggiore in una bottega buia, umida e angusta. ↑
- Guida alle librerie di Napoli, a cura di M. Gatta e C. Raso, Napoli, Colonnese Editore, 1997, p. 96. ↑
- Storico e professore ordinario di Storia moderna presso l’università L’Orientale di Napoli. ↑
- Letteratura e cultura a Napoli tra Otto e Novecento: atti del convegno di Napoli, 28 novembre-1 dicembre 2001, a cura di Elena Candela, Napoli, Liguori, 2003, pp. 47-48. ↑
- Ivi, p. 48. ↑
- Le illustrazioni restano tra gli elementi più significativi della stampa seicentesca. ↑
- B. Croce, Stampatori e librai in Napoli nella prima metà del Settecento, Macerata, Biblohaus, 2010, p. 10. ↑
- Ciò fu dovuto anche all’assenza di una legge che regolasse il diritto d’autore nell’intera penisola, almeno fino alla Convenzione austro-sarda del 1840. ↑
- Esse erano state donate dal Principe di Sansevero, Raimondo di Sangro, che negli anni precedenti aveva dato vita a un laboratorio tipografico dotato di un innovativo sistema di stampa simultanea a più colori, da lui stesso sperimentato. ↑
- Nonostante una cospicua lista di associati, il periodico si arrestò dopo il primo anno di vita. ↑
- Da ciò deriva l’intreccio crescente con il mondo accademico e con la tradizione culturale locale. ↑
- Egli aveva, infatti, aperto pochi anni prima una libreria al civico 14 di vico Quercia, a cui in seguito aveva associato i fratelli Domenico e Antonio. ↑
- Egli sarebbe poi diventato il direttore del più famoso stabilimento tipografico napoletano, L’Arte tipografica. ↑
- Cfr. M. Panetta, Croce editore, Ed. Nazionale delle Opere di B. Croce, vol. I, Napoli, Bibliopolis, 2006, pp. 259-61. ↑
- G. Doria, Sogno di un bibliofilo, Napoli, Bibliopolis, 2005, p. 71. ↑
- I primi quarantacinque anni della casa editrice Ricciardi, a cura di Gino Doria, Napoli, L’Arte tipografica, 1952, p. 12. ↑
- Cfr. M. Panetta, Croce editore, op. cit., vol. II, pp. 667-72. ↑
- Ivi, pp. 709-15. ↑
- Tra i fondatori dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. ↑
- Cfr. la seguente URL: https://bibliopolis.it/b-croce-edizione-nazionale-delle-opere-2/. ↑
(fasc. 32, 25 aprile 2020)