La seguente intervista è collegata col contributo dal titolo: La diffusione della cultura lusofona nel panorama editoriale italiano: Edizioni dell’Urogallo, La Nuova Frontiera, Tuga edizioni, Vittoria Iguazu Editora e Voland Edizioni.
Quanti libri pubblicate annualmente? Quanti di questi appartengono ad autori di espressione portoghese?
Il piano editoriale, senza sottostare a una programmazione troppo rigida, si attesta quasi spontaneamente intorno ai dieci titoli all’anno, con una presenza di due o massimo tre titoli lusofoni per stagione.
Avete una collana specifica destinata agli autori lusofoni?
No.
Quali autori di lingua portoghese sono stati pubblicati dalla vostra casa editrice? Genere letterario?
Gil Vicente (teatro del Cinquecento) (DGLAB); Bernardim Ribeiro (romanzo portoghese pastorale del Cinquecento) (DGLAB); Francisco Manuel de Melo (teatro portoghese del Seicento) (DGLAB); Álvaro do Carvalhal (racconto gotico dell’Ottocento) (DGLAB); Aluísio de Azevedo (romanzo gotico dell’Ottocento) (nessuno); Fialho de Almeida (romanzo portoghese gotico dell’Ottocento) (DGLAB); Eça de Queirós (romanzo portoghese biografico dell’Ottocento) (DGLAB); Manuel Ferreira (romanzo Palop) (DGLAB); Almada Negreiros (racconto, libro d’artista, Novecento portoghese) (DGLAB); Mário de Sá-Carneiro (racconto Novecento portoghese) (nessuno); Fernando Pessoa (teatro del Novecento portoghese) (nessuno); Flavia Cristina Simonelli (romanzo brasiliano contemporaneo) (FBN); Ariano Suassuna (teatro brasiliano contemporaneo) (FBN); Valério Romão (racconto portoghese contemporaneo) (DGLAB); Manuel da Silva Ramos (romanzo portoghese contemporaneo) (nessuno).
Quanti dei titoli di autori di lingua portoghese presenti nel vostro catalogo sono stati pubblicati con l’aiuto dei fondi stanziati ad esempio dalla DGLAB o dall’Instituto Camões? Quali? Il denaro ricevuto è stato sufficiente a coprire le spese per cui era stato erogato? Conosce altri enti che, oltre all’Instituto Camões, la DGLAB e la FBN, istituiscono fondi destinati alla traduzione di autori lusofoni all’estero?
Vedi lista con specificazione accanto. No, le somme non sono mai sufficienti, ma sono comunque vitali, altrimenti molti dei titoli elencati non sarebbero economicamente sostenibili. Le vendite a malapena riescono a coprire le spese di stampa e quelle interne di redazione, figuriamoci l’onorario del traduttore. Non conosco altri enti pubblici che erogano questo tipo di contributo, ma credo che a cercare meglio, in base alla natura del volume, si possa sempre trovare qualche sponsor, anche privato, interessato a farsi una buona pubblicità, magari in cambio di qualche copia da sfruttare come strenna od omaggio aziendale. Come si può evincere dai titoli, i contemporanei sono in netta minoranza. C’è infatti da tenere in conto anche la questione delle royalties sui diritti d’autore derivati dalle vendite, e talvolta dagli anticipi.
Chi sono i vostri traduttori? Vi affidate a risorse interne o esterne?
Entrambe le situazioni, in caso di traduttori esterni spesso si tratta di contatti con le università di Siena, Pisa, Genova.
Perché, secondo lei, la letteratura lusofona in Italia fatica ad emergere, rimanendo così una letteratura di “nicchia”?
Credo che quella lusofona fatichi al pari di altre letterature poco sostenute dal circuito commerciale dominante e oggi poco sponsorizzate da figure culturali di peso. Rispetto agli anni Novanta, dove mi pare si sia toccato il momento più alto, mancano “influencer”, nel senso sano del termine, come prima potevano essere un Saramago, un Tabucchi, ma anche musicisti e cineasti di fama internazionale. Oggi l’attenzione nel lettore medio è calata, va scovata e risvegliata, e nessun organo mediatico ha più il potere di farlo perché non arriva più a quelle persone. Mi riferisco al ruolo delle pagine culturali, alle riviste di critica, ai profondi conoscitori di ogni rango e settore. Spesso sono anzi avvertiti come noiosi, polverosi: chi legge più gli approfondimenti? La concentrazione in media è in drastico calo, specialmente nelle nuove generazioni (inclusa la mia, i quarantenni con lo smartphone). La cultura non commerciale è la ragione di vita di pochi superstiti, il grosso dei lettori segue la scia, nella quale si trovano comunque buone cose, per fortuna. Per questo i dati sui best seller rimangono alti, le mode, si sa… Certo, la Tv arriva a tutti, potrebbe fare qualcosa, ma purtroppo è un medium affamato di notizie glamour che scompaiono nel breve volgere di un giorno: non c’è dietro la forma mentis adatta per favorire un certo tipo di cultura del libro. Le rubriche, rare, sono cosa di poco conto. Comunque, chi ascolta più Handel o Tartini? Chi studia al conservatorio forse. E l’Einaudi pianista, per rimanere tra i compositori contemporanei? Gente sofisticata, forse i suoi ascoltatori non sono più di coloro che hanno letto Pessoa.
Qual è la nozione che il lettore italiano ha del mondo lusofono?
Credo ancora in parte velata di esotismo, un luogo dove si parla più o meno spagnolo, come in Brasile, ma dove si può andare abbastanza facilmente grazie a Ryanair e che in fondo si riassume in una gita sull’elettrico n. 28 o una roda de samba al Pelourinho. La musica portoghese una pizza pazzesca, il cinema vallo te a capire, troppo concettuale, con tutti quei sottotitoli poi… Non tutto l’esotismo è da condannarsi, però: in fondo fa leva sulla nostra immaginazione; ciò che ci fa sognare ci attira, è un bene. Negli ultimi due decenni sono tornate dal Portogallo e dal Brasile tante persone entusiasmate che poi, grazie a quell’esperienza, hanno iniziato a correggere il proprio punto di vista che era forse stereotipato o solo un po’ superficiale, da rivista patinata. Saremmo ingenerosi nel non riconoscerlo. Non tutti sono acritici consumatori seriali. Pensiamo anche alla potenza del progetto Erasmus per i giovani. Bisogna saper guardare per vedere.
Qual è il modo più efficace per farsi conoscere? Fiere? Festival? Social?
Per gli autori credo che oltre alle fiere siano importanti gli scambi culturali con gli altri Paesi, tipo le residenze artistiche. Per noi editori certamente le fiere, ma spesso si traducono in occasioni per batter cassa e costruire ben poco in termini di contatti. Gli stand sono carissimi, dovremmo vendere centinaia di euro al giorno per sperare di riprendere un po’ le spese. Parlo da piccolo editore, sicuramente le majors avranno delle risorse diverse da destinare alla pubblicità, al rapporto con il pubblico, ufficio stampa, ufficio diritti ecc. Anche se ultimamente mi è parso di capire che i margini di movimento si stanno riducendo per tutti.
Che rapporti avete con le pagine culturali e con i mezzi di comunicazione?
Quasi nulli. Le stesse testate sono a caccia di notizie sensazionali, oppure devono soddisfare una tabella di marcia scandita da rapporti personali, dai piccoli scambi di favori tra giornalisti e scrittori, anche legittimi, per carità, così come tra i grandi marchi e le scuole di scrittura affiliate.
Importanza della collaborazione/relazione tra università ed editoria nella diffusione della cultura lusofona in Italia?
Questa sì che è vitale per noi. L’ambiente universitario è ancora in buona parte garanzia di rigore scientifico e di una visione non mercantilistica dell’editoria. Sarà forse perché pubblicando i propri studi i docenti arricchiscono il proprio curriculum, fanno “titoli”, come si suol dire, e quindi hanno tutto l’interesse a mantenere sani rapporti anche con gli editori di medio cabotaggio. Non tutti certo possono pubblicare sempre con Il Mulino, Laterza, Carocci ecc. Noi per esempio, pur essendo una realtà microscopica, abbiamo colmato molte lacune dei cataloghi dei grandi editori. Opere che scommetto non avrebbero mai accettato di pubblicare. Perché? Perché purtroppo di alcuni titoli, sebbene fondamentali, non si riescono a vendere più di 30 o 40 copie. Faccio un esempio: Menina e Moça di Bernardim Ribeiro, un testo difficile, del Cinquecento. Fino al 2014 nessuno si era sognato di tradurlo per i lettori italiani. Ci sono voluti quasi cinque secoli, un giovane traduttore e un editore di nicchia. Pazzesco no?
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(fasc. 32, 25 aprile 2020)