Il fumetto italiano degli anni Settanta tra cultura e controculture

Author di Giovanni Di Iacovo

La nascita del nuovo fumetto italiano

L’interesse per gli argomenti contenuti nel presente saggio si origina dall’esposizione tenutasi dall’11 novembre 2023 al 5 maggio 2024 presso il CLAP Museum di Pescara dal titolo Il Tempo è l’unico denaro, a cura di Oscar Glioti, sulle riviste «Frigidaire» e «Cannibale», su Stefano Tamburini e Andrea Pazienza e su altre figure e pubblicazioni di rilievo delle controculture legate al fumetto negli anni Settanta.

In apertura del primo numero di «Linus» nel 1965, prima rivista italiana interamente dedicata al fumetto, viene pubblicato quello che potrebbe essere considerato il più celebre dialogo sul fumetto in Italia, ovvero quello tra Umberto Eco, Elio Vittorini e Oreste Del Buono. Eco sostiene in questa occasione che, se il fumetto deve essere considerato un genere letterario, deve essere inserito in un circuito di distribuzione e di consumo, il che getterà le basi per lo sviluppo del nuovo fumetto degli anni Settanta. Per Eco, in sintonia con i suoi due interlocutori, il fumetto va «giudicato in un sistema di ‘lettura’ (e quindi anche di creazione) diverso»[1]. Un nuovo sistema di lettura e di creazione inizierà ad articolarsi, effettivamente, pochi anni dopo con l’arrivo degli anni Settanta, periodo in cui avremo per il fumetto nel nostro Paese una fase sia di grande sviluppo tematico sia di rinnovamento completo delle forme e degli obiettivi, degli autori e dei fruitori.

Assistiamo, in questi anni, alla nascita di nuove collane di fumetto che ampliano l’offerta della Sergio Bonelli Editore, fondata nel 1940 e ancora tra le principali case editrici italiane di fumetto. Dopo «Tex» degli anni Quaranta e «Zagor» del 1961, negli anni Settanta nascono «Mister No» (1975), serie d’avventura ambientata nell’Amazzonia degli anni Cinquanta, e «Ken Parker» (1977), atipica serie western con grande attenzione alle tematiche sociali.

Inoltre, iniziano a diffondersi ricerche sul linguaggio del fumetto, sulla sua semiotica e struttura narrativa. Nel saggio La nascita del fumetto italiano, Martina Monti ha raccontato come negli anni Settanta

Oltre alla cospicua produzione western, in Italia inizia quello che sarà il filone degli investigatori privati (che avrà tanta fortuna negli anni successivi nella sua declinazione fantastica): Sam Pezzo, creato da Vittorio Giardino, e Alack Sinner, di Muñoz e Sampayo. Parodia di questa tipologia è Big Sleeping, lanciato nel 1976 da Daniele Panebarco. La comicità ha il suo massimo esponente in Lupo Alberto (Guido Silvestri), pubblicato sul «Corriere dei Ragazzi» nel 1976. E anche il versante cattolico ha la sua ribalta con Il Commissario Spada, detective più ordinario e regolare, adatto a un settimanale come «Il Giornalino»[2].

Diversi esponenti della Neoavanguardia hanno trovato nel fumetto «strategie dei movimenti giovanili della controcultura e che utilizzano, altresì, gli stessi strumenti di produzione e distribuzione»[3].

Parallelamente a ciò che accade nel resto d’Europa, il nuovo fumetto, integrato da impegno politico e sociale, presenta temi espliciti, anticonformisti e a volte anche osceni, mostrando di essere un linguaggio non più rivolto a un pubblico giovanissimo o con intento di puro svago, ma di essere una forma culturale con contenuti forti, chiari e moderni, a volte di grande impatto, anche più impegnati di molta narrativa del tempo. Come afferma Martina Monti, anche la sinistra dell’epoca, in particolar modo quella extraparlamentare, prende coscienza, sebbene in ritardo, che i comics possono comunicare anche messaggi alternativi a quelli imposti dall’“imperialismo culturale americano” e si realizzano, così, alcuni tentativi di tradurre in fumetto persino Il Capitale e altri testi di riferimento[4]. Silvia Contarini e Claudio Milanesi affermano che questo periodo «ha lasciato tracce talvolta ancora da identificare, postumi liberatori o traumatici»[5] e che anche il fumetto è parte di quelle forme culturali che, «dato il contesto storico politico-sociale e data la tradizione culturale, hanno inciso sulla nostra stagione sessantottina contrassegnandola “all’italiana”»[6].

Il fumetto underground degli anni Settanta è anche stato in grado di sfuggire alla censura diffondendosi attraverso un sistema editoriale alternativo e militante, in parte costituito da autoproduzioni ben organizzate. Ad esempio, la rivista «Puzz», creata da Max Capa nel 1971 e pubblicata per la prima volta come supplemento di «Humour», completamente autoprodotta fino al 1976. Oltre alle autoproduzioni, il fumetto di questi anni è stato distribuito anche attraverso circuiti di piccole case editrici che hanno stretti legami con riviste e pubblicazioni della sinistra extraparlamentare come Stampa Alternativa o attraverso officine editoriali artigianali come Geiger di Adriano Spatola e Sampietro di Bologna, una delle case editrici legate alle Neoavanguardie che ha sostenuto anche il Gruppo 70.

Forma, stile e contenuto del fumetto degli anni Settanta

Due dei principali tratti che caratterizzano questo nuovo tipo di fumetto rispetto al mainstream che circola all’epoca (come i citati albi della Bonelli) sono, da un lato, il contenuto delle storie e, dall’altro, la sperimentazione del tratto del disegno, entrambi aspetti che hanno profondamente caratterizzato il nuovo fumetto degli anni Settanta. Per quanto riguarda il primo aspetto, possiamo affermare che le trame sono

Irriverenti o provocatorie, spesso oscene, in opposizione alle storie edificanti del fumetto mainstream, le storie fanno a meno, inoltre, di saldi nessi consequenziali di causa e effetto, con non poche suggestioni tratte dalle tecniche delle avanguardie storiche e cinematografiche, e si verificano frequentemente la parodizzazione di personaggi dei fumetti commerciali e la “velenosa” destrutturazione delle figure eroiche[7].

Il secondo aspetto riguarda il disegno in sé:

La sperimentazione del tratto del disegno, spinta talvolta verso una figurazione sgradevole alla vista, coinvolge invece l’intera struttura della pagina intaccando la linearità della sequenza di lettura dei panel. La serialità della produzione – la ripetizione dei personaggi e delle strutture diegetiche, che diventa statutaria nel fumetto commerciale – viene infine abolita, per lo più, in modo da infrangere del tutto, assieme alle altre strategie messe in campo, l’orizzonte d’attesa del lettore[8].

Entrambi aspetti che rendono il fumetto di quegli anni un «negativo deforme di un medium già di per sé bistrattato dalla cultura rispettabile»[9]. Eppure, paradossalmente, sarà proprio l’irruzione del fumetto underground negli anni Settanta a dare a questo mezzo la dignità letteraria: «una nuova forma di narrazione, nella quale grafica, formato, testo, disegno, spazi, ritmi del racconto si componevano entro una proposta che non si era mai vista entro nessuna tradizione editoriale»[10].

Il termine “controfumetto”, utilizzato a partire dagli anni Settanta per definire produzioni spesso molto diverse tra loro[11], viene introdotto nell’ambito della Neoavanguardia da Lamberto Pignotti, padre della poesia visiva e fondatore, con altri poeti e artisti, del Gruppo 70. Pignotti usa questo termine in «Civiltà delle macchine» per spiegare la poesia visiva che per lui «rappresenta in ultima analisi una merce respinta al mittente: dalla comunicazione del fumetto, della pubblicità e del rotocalco nasce la poesia-controfumetto, la poesia-contropubblicità, la poesia-controrotocalco»[12]. Questi ragionamenti si sostanzieranno nelle poesie contro-fumetto sue e degli altri membri del Gruppo 70, all’interno della rubrica Poesie contro-fumetto edite nella rivista «Lotta poetica» curata da Luciano Ori nel 1972.

Grande influenza per il fumetto degli anni Settanta avrà, poi, l’opera dell’artista Gastone Novelli, protagonista del movimento artistico della Nuova Figurazione in Italia, che nelle sue opere adotta moduli di scansione dello spazio pittorico ripresi dalle stripes e da altri elementi dei fumetti. Nel 1967 Novelli dà alle stampe il volume intitolato I viaggi di Brek che, come spiegano Pablo Echaurren e Claudia Salaris, rappresenta «un raro esempio di fumetto beat»[13]. Inoltre, come leggiamo in un articolo apparso su «Finestre sull’Arte»,

Gli interessi per il fumetto di Novelli si strutturano negli anni in cui aderisce al gruppo artistico Crack, assieme a Pietro Cascella, Piero Dorazio, Gino Marotta, Fabio Mauri, Achille Perilli, Mimmo Rotella e Giulio Turcato, riuniti attorno al critico Cesare Vivaldi, ed è proprio, in particolare, grazie al contatto con Mauri e Perilli che Novelli approfondisce le possibilità del fumetto come mezzo d’espressione artistica[14].

Raffaella Perna, nella prefazione all’edizione del 2021, ha aggiunto al riguardo che «la disarticolazione narrativa, il carattere primordiale e nervoso del disegno, la mancanza di corrispondenza logica tra immagine e parola, la compresenza di registri linguistici diversi, dànno alle strips una qualità straniante, in antitesi con la struttura canonica del fumetti»[15].

Un altro esponente del Gruppo 63 che presenta, nel 1977, un esempio di controfumetto d’autore sulla linea di quello di Gastone Novelli è Corrado Costa con il suo William Blake in Beulah, saggio visionario a fumetti pubblicato da Squilibri. Questa casa editrice, fondata a Milano nel 1976 da Dario Fiori, uno dei maggiori animatori dei movimenti controculturali degli anni Settanta, collaboratore di «A/traverso» e direttore delle riviste «Wow» e «Catastrofe», è stata per lungo tempo un punto di riferimento della controcultura italiana.

«Cannibale» e le riviste di fumetto underground

Frutto di questa nuova concezione del fumetto sarà «Cannibale», principale rivista di fumetti underground italiana, fondata da Stefano Tamburini e Massimo Mattioli nel 1977 assieme a Filippo Scòzzari, Tanino Liberatore e Andrea Pazienza. «Cannibale» rimane attiva fino al 1979, pubblicando 14 numeri, suddivisi in 10 fascicoli. La scelta del titolo è un omaggio alla rivista dadaista diretta da Francis Picabia nel 1920. Inizialmente edita da Stampa Alternativa, «Cannibale» viene poi pubblicata, come supplemento del «Male», diretto da Vincenzo Sparagna. Stefano Tamburini presenta così il progetto:

«Cannibale» parte con una fisionomia del tutto diversa dai fogli più o meno trasversali che giravano nel movimento del 77: copertina a quattro colori formato tipico delle rivistine Underground americane & dentro fumetti di strada allucinati, disegnati ripensando in un bar a una situazione di due ore prima o con il fumo lacrimogeni ben presente nelle mucose del naso! Siamo partiti con il numero 3[16] (e ancora ci chiedono gli arretrati) e subito dopo abbiamo fatto un numero quadruplo frutto dell’incontro avvenuto in gloriose mattinate milanesi con la Traumfabrik (Filippo e Andrea) che non aspettava altro: è nato un progetto globale che coinvolge cinque persone apparentemente (la punta dell’iceberg) ma in realtà si muove a diversi livelli (Moebius più Shackley) toccando tutta l’incredibile fauna metropolitana coatta, tossicomane, autonomista, creativa, borgatara, lisergica, ignara che poi sono i nostri migliori amici! «Cannibale» è l’Albo della Rosa del teppista ma anche altro…[17].

E al riguardo Lo Monaco racconta come

I redattori di «Cannibale» pubblicano le loro stripe anche su diverse testate legate ai movimenti di contestazione, come Re nudo e Lotta Continua, su alcune riviste autoprodotte, ma anche su Alter Alter, nata come supplemento di «Linus» e edita da Milano Libri, riconosciuta come la principale casa editrice di fumetti in Italia, nonché case editrice di «Linus»; la rivista è diretta, come «Linus», da Oreste Del Buono, ma accoglie un genere anticonvenzionale di fumetti rispetto a «Linus», di stampo colto o sperimentale, come quelli di Hugo Pratt, Guido Crepax, Guido Buzzelli o José Muñoz[18].

Il contenuto di queste riviste contrasta con il concetto di fumetto edificante, specchio dei valori visti come positivi della società dell’epoca, esprimendo invece le posizioni personali degli autori, spesso ferocemente antagoniste rispetto alle pratiche della società dominante. Le loro posizioni politiche emergono nel nuovo fumetto di quegli anni come leva culturale per ribaltare, tramite provocazione e contestazione, un intero mondo valoriale, puntando il fuoco della satira su temi che spaziano dalla religione al conformismo, dal familismo a tutte le contraddizioni della società capitalista.

Stefano Tamburini partecipa alla nascita delle radio libere nel 1976 ed è parte attiva delle azioni di lotta dei movimenti nel 1977. Su «Cannibale» appaiono le prime storie di Rank Xerox scritte da Tamburini e disegnate con Andrea Pazienza e Tanino Liberatore. Tamburini proseguirà, poi, nel 1978 con la testata dell’«Avventurista», inserto di satira di «Lotta Continua», per poi approdare a «Il Male». Nel 1974 si unisce a un collettivo di giovani romani che edita «Combinazioni», giornalino underground che ha per temi la politica, le droghe, la musica e il sesso, periodico realizzato con macchina da scrivere e ciclostile dove l’autore pubblica vignette, tavole e illustrazioni, e dà vita al suo primo vero personaggio, Fuzzy Rat, ispirato a quelli delle copertine dei dischi di Frank Zappa. Il protagonista è uno sballato musicista della Cramps, etichetta discografica realmente esistente contro cui era in atto una dura contestazione da parte di un’ala del movimento che considerava i suoi creatori accentratori della produzione e della distribuzione musicale. Lo stile grafico dell’autore riprende esplicitamente i fumetti underground californiani di Robert Crumb e dei Freak Brothers. «Combinazioni» si scioglierà per varie difficoltà organizzative e Tamburini entrerà a far parte della squadra di Stampa Alternativa guidata da Marcello Baraghini. Il fumettista racconterà così della sua più conosciuta creazione:

Rank Xerox è nato nel 77. Era un coatto con il naso schiacciato e gli zigomi alti dai tratti somatici molto asiatici, una specie di mongolo, in quel periodo c’è un primo avvicinamento tra coatti e movimenti e una parte gli studenti, studelinquenti, autonomi, operai, dall’altra coatti che si univano i compagni nelle piazze per ragioni di vicinanza sociale (condizione, quartiere…) ma anche per riversare efficacemente all’esterno la propria incapacità di sopportare… Poi il rapporto si è anche formalizzato con scambio di droga eccetera. Così nella storia uno studelinquente proietta nel coatto costruito dalla fotocopiatrice rubata all’università il proprio essere violento. Radiocomandandolo, restandosene a casa al riparo. La storia doveva finire lì, con la morte dello studente. E Rank Xerox che si trovava a vagare per la città multilivello omicida senza più ragioni. Invece sono arrivate tantissime lettere di consenso da tutta Italia e ho ripreso il personaggio impostandolo su un’altra chiave: l’amore possibile/impossibile per la ragazzina Lubna di cui, a causa di un cortocircuito mentale elettronico, lui non può fare a meno. La città è una Roma temporalmente proiettata solo qualche anno in avanti, nell’88, ma in realtà è molto più futura: trenta livelli, architetture e automobili americanizzate, è una gigantesca metropoli in cui basta salire sulla metropolitana per arrivare a Berlino, Madrid, Napoli… Queste dimensioni spaventose mi permettono di dare plausibilità a una decadenza incontrollabile e ai sintomi barocchi che si aggirano in essa. Tanino ha poi pensato che Rank Xerox con i muscoli fosse più coinvolgente ed evidentemente funziona. Io lo vedevo più asciutto, meno evidente in questa sua forza meccanica. Ha un carattere: irascibile, antipatico. Funziona in base ad un sistema di associazioni mentali che fanno scattare antipatie o simpatie. Basta un colore o un suono e reagisce come l’essere meccanico qual è, come quando spingendo il pulsante di una fotocopiatrice esce una fotocopia. L’unico programma ripetuto è il suo amore sintetico per Lubna[19].

La citata recente mostra su «Cannibale», Tamburini, Pazienza e Liberatore tenutasi nel Museo del Fumetto di Pescara racconta, nelle parole di Oscar Glioti, Michele Mordente e Vincenzo Sparagna[20], molto delle vicende editoriali e artistiche della rivista.

Tanino Liberatore ha frequentato a Pescara lo stesso liceo di Andrea Pazienza e quest’ultimo lo presenta nel 1977 alla redazione di «Cannibale». Tamburini trova subito in lui una certa affinità al punto da affidargli la successiva copertina di «Cannibale», in cui raffigura un muscoloso Tamburini che si autocannibalizza. All’interno disegnerà anche le sette tavole di Tiamottì, primo frutto del sodalizio artistico con Tamburini che continuerà nei numeri seguenti. La collaborazione prosegue, poi, con «Il Male» attraverso le imprese degli agenti Locatto e Pistoletta, e le avventure del giovane Johnny Devo. Quando esce la rivista «Frigidaire», Stefano Tamburini decide di affidare la sua creatura Ranxerox (il personaggio ha leggermente variato nome da Rank Xerox a Ranxerox per evitare conflitti con l’azienda della fotocopiatrice) a Tanino Liberatore, che la trasforma in un nerboruto stretto in aderenti T-shirt. Nel giro di poco tempo, le nuove storie vengono pubblicate sulle principali testate mondiali di fumetto, dove riscuotono grande successo. Nella storia editoriale di Ranxerox, come afferma Daniele Comberati, sono facilmente riconoscibili i tratti della serialità che farà scuola in Italia: un personaggio facilmente riconoscibile e definito (che dà nome al fumetto stesso), storie autoconclusive che solo in rari casi dialogano tra di loro. Come afferma Daniele Comberiati, tali aspetti, ancora non formalmente codificati in Ranxerox, diventano il marchio di fabbrica di collane come quella della Bonelli[21]. La saga s’interrompe nel 1986 con la prematura scomparsa di Tamburini. L’autore diceva del fumetto: «è una saga che potrebbe andare avanti in eterno se volessi per un mese potrebbe battere la testa e fare l’impiegato e un’altra volta essere un mercenario paracadutato in uno stato in rivolta. È un po’ un Big Jim lo vesto come lo voglio»[22].

Dell’intensa collaborazione con Tanino Liberatore, Stefano Tamburini scriveva:

Quando vidi come Tanino disegnava capii che era il quinto «Cannibale» che mancava, e l’ultimo. Lavorava nella sua stanza, una nuova stanza divisa con altri tre studenti con il cesso abusivo che scava in un negozio sottostante (quello che vidi nella sua vasca da bagno mi diede l’idea per il biomagma di Saturno contro la terra). Era assolutamente indifferente al disagio e ascoltava le stesse pile di dischi che ascoltavo io pur provenendo da un paesino vicino Chieti. Diventammo molto amici e quando ci vedevamo lavoravamo sulle copertine o sulle storie di «Cannibale» del Male e poi di Frida. Giravamo a volte per ore intorno alla stazione Termini sulla sua 500 blu, fino a sbatterci in un cinema porno (altra passione comune oltre la musica) oppure andavamo a rompere il cazzo a Mattioli nella sua casa al Colosseo principale redazione di «Cannibale» con succursale al ristorante Pasqualino. Questo prima che le donne e le vicende editoriali ci portassero su piani diversi dalla realtà[23].

Il legame di Pazienza con lui sarà sempre forte: l’autore di Pentothal lo inserirà tra i protagonisti della Leggenda di Italianino Liberatore (1985) e disegnerà la copertina di «Frigidaire», che annuncia la prematura scomparsa di Tamburini. Infatti, il gruppo di «Cannibale» fonderà nel 1980, assieme a Sparagna, «Frigidaire», che accoglie gli autori più rilevanti dall’esperienza del Settantasette. Proprio sulle pagine di «Frigidaire» farà il proprio debutto il suo personaggio pazienziano di Zanardi.

Il ruolo di Pazienza nella controcultura del fumetto

Per Daniele Barbieri, Pazienza voleva «Portare nel fumetto le conquiste della neoavanguardia letteraria italiana»[24]. Anche se Pazienza fu un innovatore del fumetto italiano, per poterne comprendere appieno il valore è importante contestualizzarlo proprio all’interno dell’ambiente di testate quali «Cannibale», «Il Male» e «Frigidaire». Al riguardo, è interessante il giudizio che Tondelli aveva su questa generazione:

La cosiddetta generazione del Settantasette «non ha mai, realmente, creduto a niente, se non nella propria dannazione». O, potremmo pur dire, ha creduto in tutto, che poi è lo stesso: ha creduto nell’impegno politico come nel solipsismo, nell’edonismo come nell’anticonformismo, nell’esaltazione della vita comunitaria come nell’autoripiegamento, nel vitalistico culto del sesso come nel letale culto dell’eroina, sesso ed eroina che venivano trattati, al contempo, come simboli politici e di liberazione generazionale e simboli di estremizzato individualismo. Una generazione — sono ancora le parole di Tondelli — che, nell’impossibilità di offrire a sé stessa una ben precisa identità culturale (seguendo percorsi, ponendosi obiettivi, rivalutando origini), ha preferito non darsene alcuna, o meglio, mischiare i generi, le fonti culturali, i padri putativi, fino ad arrivare alla compresenza degli opposti. Una generazione, e ora lo si vede bene, in cui i linguaggi si confondono e si sovrappongono, le citazioni si sprecano, gli atteggiamenti e le mode si miscelano in un cocktail gradevole e levigato che forse è il succo di questa tanto chiacchierata postmodernità. Andrea Pazienza è stato, sin dall’inizio, il grande cantore di questo universo giovanile attraverso le tavole delle Straordinarie avventure di Pentothal […]. Narcisismo e autobiografia, giochi di parole e slang giovanile, tecnica rivoluzionaria nel disegno e nella composizione della tavola, talento inverosimile nella coniugazione di stili opposti, ma sempre riconducibili a un tratto personalissimo, politica e Movimento, droga e sballi, donne e amici e branchi e gruppuscoli, deliri e paranoie… Anche adesso, risfogliando quelle pagine, si capisce al volo come Pazienza sia stato definito, in Italia, e soprattutto all’estero, il James Joyce del fumetto[25].

La collaborazione con «Frigidaire» rivelò un Pazienza prolifico; tra i personaggi che creò in questa fase: Francesco Stella, l’Investigatore senza nome, Pertini; inoltre, illustrò articoli e racconti su richiesta del direttore Sparagna. Collaborò con le più importanti riviste italiane del fumetto tra cui «Linus», partecipò alla creazione del mensile «Frizzer» (affiancato a «Frigidaire») e collaborò alla rivista «Tempi Supplementari». Dal 1986 collaborò anche con «Avaj», supplemento del mensile «Linus»; con «Tango», settimanale dell’«Unità»; con «Zut», rivista satirica diretta da Vincino, e con «Comic Art». Il semiologo e storico dell’arte Omar Calabrese descrive così lo stile narrativo di Pazienza:

Mi pare che Andrea Pazienza sia uno di questi pionieri, di questi innovatori [tra quanti, cioè, a partire dal Medioevo, hanno dato valore estetico o etico al volgare, ovvero al codice di minor prestigio, rispetto allo scritto, percepito come di maggior prestigio]. Io lo metterei nella schiera degli sperimentatori poetici dell’ibridazione “volgare”, come Pasolini con la sua ricerca del borgataro, come Dario Fo col suo grammelot, come Diego Abatantuono col suo milanese meridional-metropolitano (di cui un giorno spero si percepirà il giusto valore), come Nino Frassica col suo siciliota (che non è affatto una storpiatura d’avanspettacolo, ma il vero pidgin tentato dai siciliani acculturati della TV). Pazienza, in effetti, fa parlare i suoi personaggi come se fossero pentole in ebollizione[26].

E al riguardo Fabio Rosi afferma che Pazienza aveva piena coscienza delle proprie capacità autoriali, al punto tale da ironizzarci su, come mostra una bella visualizzazione della metafora “dono di natura”:

In una delle ultime tavole di Pentothal, del 1981, p. 132: vi vediamo una persona con alberi, sole, nuvole e uccellini al posto della testa, che si presenta all’autore: «Buongiorno sono la natura, ho qui un regalo per lei». Inoltre, l’arte fumettistica stessa comincia a scrollarsi di dosso i complessi di inferiorità nei confronti della letteratura e delle arti figurative. Se a questo si aggiunge l’inclinazione autoriflessiva e introspettiva di Pazienza, è facile comprendere come i suoi fumetti approdino assai di frequente al metafumetto, a partire dai giochi di parole fatti sul proprio nome. Nella prima tavola abbiamo visto la firma «bai Aindreia Paisienza» che richiama subito l’àmbito del fumetto: inglese italianizzato (bai) e napoletano iperbolico (Paisienza). Nell’arco della sua intera produzione, si firma almeno Andrenza, Paz, Spaz (col gioco Spaz/atura), Apaz, Andrew Patience, Andraus ecc. Si aggiunga il noto gioco di parole: “La pazienza ha un limite, Pazienza no!” Si tratta di una metatestualità tipica del postmoderno: “parlo del mio scrivere parodizzandolo e parodizzando me che scrivo, oltreché analizzando le modalità stilistiche e produttive della mia scrittura. A partire da Pentothal, la trama si alterna con le vicende delle consegne del fumetto e della sua strutturazione, crollano le barriere tra la storia e il suo farsi, tra il piano della finzione e quello della realtà, tra quello diegetico e quello extradiegetico: anzi, il secondo entra a pieno titolo nella diegesi” [27].

Come lo stesso Pazienza dice in Penthotal, esprimendo obiezioni ai risultati del suo stesso lavoro: «Questa è l’ultima storia di Pentothal, nata male l’estate scorsa e portata avanti ancora peggio. Doveva essere così e cosà e invece è venuta fuori colì e colà. Ha due inizi, forse tre, e non finisce. Faccio molti errori […] ancora una tavola così e poi inizia la storiella, coraggio»[28]. Le straordinarie avventure di Pentothal appaiono a puntate (dal ’77 all’81) su «Alter Alter», il supplemento allo spin-off di «Linus» nato con il nome di «Alter Linus». L’opera è in primo luogo un diario onirico del cruciale anno 1977 a Bologna, con tutte le sue implicazioni politiche e generazionali.

In questo decennio l’Italia cambia considerevolmente a livello economico, politico e sociale; gli italiani vivono gli scontri e le contestazioni studentesche e operaie, i terrorismi, gli estremismi politici e le coalizioni di governo di centrosinistra: è un’epoca di fortissimi coinvolgimenti politico-ideologici.

Secondo Oreste Del Buono, Pazienza ha deciso di sostituire la tavola conclusiva del primo capitolo poco prima che fosse pubblicata perché la stagione inizialmente spensierata del ’77 bolognese aveva preso una piega tragica. In particolare, la morte di Francesco Lorusso, uno studente di Lotta Continua, ucciso da un colpo di arma da fuoco l’11 marzo 1977, aveva causato una profonda divisione tra i movimenti studenteschi e la sinistra istituzionale. Il lavoro di Pazienza era appunto incentrato sulle tensioni politiche e culturali che avevano visto tra i protagonisti il cosiddetto movimento del 77. Dario Maniscalco, al riguardo, afferma che in Penthotal

Venne raffigurata e descritta la “quotidianità politica” del capoluogo emiliano, nodo della rete del movimento autonomo italiano degli anni Settanta. Le pagine offrono così un’accumulazione iconotestuale di frammenti riconducibili alla pratica teorica antagonista. In particolare, l’intenzionale e qualificante incontro tra quotidiano e politico possibile in un movimento che affermava una concezione “schizoanalitica” della produzione sociale come produzione desiderante ed eccedente la regolazione del capitale[29].

Nella stessa tavola, l’autore spiega la decisione di modificare il finale con queste parole:

Mentre lavoravo a queste tavole, nel mese di febbraio ’77, ero convinto di disegnare uno sprazzo, sbagliando clamorosamente perché invece era un inizio. Ne avessi avuto il sentore, avrei aspettato e disegnato questo bel marzo. Così mi ritrovo di colpo a non sapere più cosa fare. Ho già consegnato tutto il materiale a “Linus» venti giorni fa ma – Cristo – sono cambiate tante cose, nel frattempo, e tante altre cambieranno fino al giorno in cui il fumetto sarà pubblicato che mi sento male e mi do del coglione per non averci pensato. Cioè disegnare fumetti non è come scrivere per un quotidiano, se capite cosa intendo. Allora disegno questa tavola qui e provo a portarla a “Linus» in sostituzione dell’ultima pagina originale sperando di fare in tempo. L’ultima tavola originale aveva in fondo al posto di “fine” di prassi, un “allora è la fine” che suona decisamente male. Madonna vi giuro! Credevo fosse uno sprazzo ed era invece un inizio. Evviva![30].

Di questa tavola Mariscalco afferma che: «L’intera puntata, realizzata a Bologna nel mese di febbraio, fu pubblicata nella rivista “Alter” nell’aprile 1977. In essa venne raffigurata e descritta la “quotidianità politica” del capoluogo emiliano, nodo della rete del movimento autonomo italiano degli anni Settanta. Le pagine offrono così un’accumulazione iconotestuale di frammenti riconducibili alla pratica teorica antagonista»[31].

«Linus» e la maturità del controfumetto italiano

Un’altra esperienza di fumetto straordinariamente importante per questi anni è stata «Linus», nella fase in cui è stata diretta da Oreste Del Buono. Il fondatore di «Linus» Giovanni Gandini passa il testimone di responsabile di direzione a Oreste Del Buono nel dicembre 1971. Del Buono, dal primo numero collaboratore fisso di «Linus», ha scritto per la rivista numerosi articoli, curato rubriche e ideato diversi contenuti. Prima di «Linus» ha collaborato con «l’Unità» e con «Milano Sera», e ha lavorato accanto a Elio Vittorini per «Il Politecnico». È noto il contributo di Oreste Del Buono anche al mondo di «letteratura e cinema, fumetti colti e pubblicità, calcio e televisione, con un atteggiamento nettamente anti-elitario e con un’attenzione costante alla cultura di massa»[32]. Una sua intuizione è stata anche quella di creare l’autonoma rivista «Alter Linus» nel 1974 come supplemento di «Linus». Una linea, questa, che porterà a offrire fumetti a un pubblico sensibilmente differente da quello che abitualmente legge il periodico, aggiungendo, oltre alla qualità, una virata verso l’impegno civile e anche verso contenuti, trame, personaggi e narrazioni che raggiungeranno un nuovo e più adulto pubblico.

In anni in cui era particolarmente alta la sensibilità verso i temi della politica e del cambiamento sociale, la stessa redazione di «Linus» e i suoi collaboratori non hanno avuto remore a dire la loro sui dibattiti che attraversavano il Paese, e non solo. Questo viene esplicitato in modo particolare nelle risposte della redazione alle domande poste dal pubblico nella rubrica “La posta di Charlie Brown”, poi affiancata da un’altra rubrica di posta che potremmo definire di orientamento femminista chiamata “La posta di Lucy e Sally” (entrambi, com’è noto, personaggi di Peanuts) dedicata, quest’ultima, a temi legati alla donna, al lavoro femminile, al matrimonio, al divorzio, all’aborto eccetera. Dalle risposte date in questa rubrica era facile evincere il pensiero e la posizione politica dell’intera rivista che generava, naturalmente, delle reazioni da parte dei lettori che non le condividevano, come evidenziato molto bene nel saggio su «Linus» di Federica Cimorelli dal titolo «Linus»: nascita ed evoluzione di una rivista di fumetti (1965-2019) in cui viene riportata la seguente risposta della Redazione:

Tante volte abbiamo ricevuto l’invito, ora cortese, ora intimidatorio: “Meno politica e più fumetti!” E tutte le volte, credeteci, abbiamo fatto il nostro bravo esame di coscienza ma abbiamo finito immancabilmente per darci ragione. Avere un’opinione e non nasconderla, proporla anzi per un confronto, non è il peggiore dei mali, ne siamo convinti. Come siamo convinti che il decidere di non fare politica sarebbe una decisione ugualmente politica[33].

Queste prese di posizione non indeboliscono in nessun modo la forza e la centralità dell’offerta di fumetti della rivista, che continuano a rimanere il cuore della stessa. Le nuove storie che compariranno in seguito sono, nelle parole di Federica Cimorelli,

Coerenti con la nuova linea politica intrapresa, come Doonesbury di Gary Trudeau, che ambientato in un college americano “costituisce una delle fonti informative e critiche più vere e serie dell’evoluzione della società e della politica americane”[34] e i fumetti di satira politica di Jules Feiffer, Altan e Wolinski che ostentano un impegno politico chiaro e costante. Altre pubblicazioni invece mirano ad ospitare il meglio della produzione corrente di fumetti come Fritz il gatto di Robert Crumb, Inside Woody Allen ideata da Stuart Hample, Animal Crackers di Rog Bollen, La pagina dei frustrati di Claire Bretechér e i disegni degli argentini Copi e Alberto Breccia e gli italiani Guido Crepax, Alfredo Chiappori, Enzo Lunari, Dino Battaglia, Hugo Pratt e Benito Jacovitti[35].

Tra le prese di posizione della rivista che maggiormente fanno eco, una copertina in cui il personaggio di Schroeder urla un «No» in riferimento al voto per il referendum abrogativo sul divorzio del 12 e 13 maggio 1974, che intende annullare la legge in vigore. Anche lì la redazione controbatte a chi accusa «Linus» di strumentalizzare i celebri personaggi dei fumetti Peanuts, come riporta Cimorelli:

Non avevamo alterato la vignetta, che era stata riprodotta tale e quale, solo un poco ingrandita e colorata, non avevamo stravolto il pensiero dell’autore che vive negli Stati Uniti, paese in cui il divorzio non è certo fuorilegge, e che, del resto, ha divorziato da poco più di un anno, non avevamo strumentalizzato politicamente un corno, la legge sul divorzio era una legge dello Stato italiano. Siamo lieti che sia restata una legge dello Stato italiano[36].

Come conclusione di questo breve confronto tra fumetto mainstream e controfumetto degli anni Settanta, trovo particolarmente opportuno il ragionamento di Stefano Magni sul contesto culturale nel periodo del rapimento Moro: «Se da un lato c’erano la contestazione dura di piazza e la lotta armata, dall’altro esisteva anche una creatività giocosa che irrideva il potere. […] Il fumetto rappresentava in modo aspro la società di quegli anni attraverso le tavole di Andrea Pazienza»[37]. Al termine di questo periodo, il controfumetto patisce il diradarsi dei grandi movimenti di contestazione. Mentre l’underground viene fagocitato dalla cultura pop di massa, il fumetto antagonista vede progressivamente diminuire la propria carica sovversiva, assieme al proprio ruolo e alla propria diffusione.

  1. Charlie Brown e i fumetti. Umberto Eco intervista Elio Vittorini e Oreste del Buono, in «Linus», 1965, p. 2.
  2. M. Monti, La nascita del fumetto italiano, in «Diacritica», fasc. 29, 25 ottobre 2019; cfr. l’URL: https://diacritica.it/storia-dell-editoria/la-nascita-del-fumetto-italiano-le-origini-del-fumetto.html (ultima consultazione: 30 giugno 2024).
  3. G. Lo Monaco, “Controfumetto” in italia negli anni Sessanta e Settanta, in «Lea», n. 8, 2019, p. 398.
  4. Cfr. P. Favari, Le nuvole parlanti. Un secolo di fumetti tra arte e mass media, Bari, Edizioni Dedalo, 1996, p. 162.
  5. S. Contarini, C. Milanesi, Controculture italiane, Firenze, Franco Cesati, 2019.
  6. Ibidem.
  7. G. Lo Monaco, “Controfumetto” in italia negli anni Sessanta e Settanta, art. cit., p. 398.
  8. Ibidem.
  9. V. Mattioli, Puzz, Fallo! e ciclostilati vari, in «Linus», 10, 2015, p. 60.
  10. Riviste d’arte d’avanguardia. Gli anni Sessanta e Settanta, a cura di G. Maffei e P. Peterlini, Milano, Edizioni Bonnard, 2005, p. 29.
  11. Dai fumetti parodici di stampo popolare pubblicati sulla rivista umoristica «Controfumetto per gli adulti intelligenti», che conta due numeri tra il 1971 e il 1972, ai periodici che negli anni Ottanta proseguono la tradizione del fumetto underground: cfr. F. Calarota, R. Calarota, Pablo Echaurren. Lasciare il segno. Opere 1969-2011, Catalogo della mostra (Ravenna, 8 ottobre-11 dicembre 2011), Milano, Silvana Editoriale, 2011, p. 135.
  12. L. Pignotti, La poesia visiva, in «Civiltà delle macchine», XIII, 6, 1965, p. 48.
  13. P. Echaurren, C. Salaris, Controcultura in Italia 1966-1977: viaggio nell’underground, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 156.

  14. Tra cultura beat e maoismo: I Viaggi di Brek di Gastone Novelli, quando il fumetto è arte, in «Finestre sull’arte», all’URL: https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/i-viaggi-di-brek-di-gastone-novelli-tra-maoismo-e-arte, 19/08/2021 (ultima consultazione: 20 marzo 2024). L’autore di questo articolo è indicato come Redazione.

  15. R. Perna, Gastone Novelli e le bandes dessineee: alle origini dei viaggi di Brek, in G. Novelli, I Viaggi di Brek, Milano, Postmedia books, 2021, p. 31.
  16. Essendosi la rivista «Cannibale» di Picabia fermata al numero 2, la seconda «Cannibale», presentandosi come la prosecuzione di quel lavoro, ha inteso partire dal numero 3.
  17. S. Tamburini, Scratch & mix, a cura di M. Mordente, in «Flit – Periodico di fumetti e critica», n. 5, febbraio 1998.
  18. G. Lo Monaco, “Controfumetto” in italia negli anni Sessanta e Settanta, art. cit., p. 407.
  19. S. Tamburini, Notiziario, in «Linus», n. 215, febbraio 1983, p. 15.
  20. Cfr. D. Comberiati, Un autre monde est-il possible? Bandes dessinées et science-fiction en Italie, de l’enlèvement d’Aldo Moro jusqu’à aujourd’hui (1978-2018), Macerata, Quodlibet, 2019.
  21. S. Tamburini, Notiziario, in «Linus», n. 215, febbraio 1983, p. 15.
  22. S. Tamburini, T. Liberatore, Rank Xerox, Lecce, Edizioni del Grifo, 1984.
  23. D. Barbieri, Breve storia della letteratura a fumetti, Roma, Carocci, 2014, p. 121.
  24. F. Rossi, Dannate lingue del Paz! Osservazioni linguistiche sui fumetti di Andrea Pazienza, in D. Pietrini, Die Sprache(n) der Comics. Kolloquium in Heidelberg, 16.-17. Juni 2009, Monaco, Martin Meidenbauer, 2012, pp. 127-46.
  25. O. Calabrese, L’eterno rinnovamento del “volgare”, in Andrea Pazienza, a cura di M. Comandini, M. Paganelli, Montepulciano, Editori del Grifo, 1991, pp. 12-15.
  26. F. Rossi, Dannate lingue del Paz! Osservazioni linguistiche sui fumetti di Andrea Pazienza, op. cit., p. 122.
  27. A. Pazienza, Le straordinarie avventure di Pentothal, Milano, Baldini & Castoldi, 2001, p. 68.
  28. D. Mariscalco, Transizione e risveglio nell’immobilità. Un’immagine di Andrea Pazienza, in Roots & Routes, research on visual cultures; cfr. l’URL: https://www.roots-routes.org/politics-and-poetics-of-displayingtransizione-e-risveglio-nellimmobilita-unimmagine-di-andrea-pazienza/ (ultima consultazione: 20 marzo 2024).
  29. A. Pazienza, nota manoscritta a margine dell’ultima tavola della prima puntata di Le straordinarie avventure di Pentothal, in «Alter», aprile 1977, p. 15.
  30. D. Mariscalco, Transizione e risveglio nell’immobilità. Un’immagine di Andrea Pazienza, cit.
  31. Come riportato in «Linus»: nascita ed evoluzione di una rivista di fumetti (1965-2019) di F. Cimorelli che, nel tracciare un profilo di Del Buono, cita anche G. C. Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Torino, Einaudi, 2004; G. Rosa, L’infaticabile OdB, Milano, Mondadori, 2016 e F. Vanagolli, Oreste del Buono da “Bertoldo” a “Linus»”. Il più eclettico intellettuale italiano e i fumetti, Livorno, Ass. Culturale il Foglio, 2016.
  32. In «Linus», n. 111, giugno 1974, p. 6.
  33. D. Barbieri, Breve storia della letteratura a fumetti, op. cit. p. 67.
  34. F. Cimorelli, «Linus»: nascita ed evoluzione di una rivista di fumetti (1965-2019), tesi di laurea in Comunicazione, media e pubblicità, Milano, IULM, aa. 2018/2019.
  35. In «Linus», n. 111, giugno 1974, p. 6.
  36. S. Magni, La tribù di Moro Seduto e dintorni: Stefano Benni e gli anni Settanta, in L. Casalino, A. Cedola, U. Perolino (a cura di), Il caso Moro: memorie e narrazioni, Massa, Transeuropa, 2016, p. 239.

(fasc. 52, 31 luglio 2024)