Inutilmente, magnanimo Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira dagli alti bastioni. Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto gli archi dei porticati, di quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti; ma so già che sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato: la distanza dal suolo d’un lampione e i piedi penzolanti d’un usurpatore impiccato; il filo teso dal lampione alla ringhiera di fronte e i festoni che impavesano il percorso del corteo nuziale della regina; l’altezza di quella ringhiera e il salto dell’adultero che la scavalca all’alba; l’inclinazione d’una grondaia e l’incedervi d’un gatto che si infila nella stessa finestra; la linea di tiro della nave cannoniera apparsa all’improvviso dietro il capo e la bomba che distrugge la grondaia; gli strappi delle reti da pesca e i tre vecchi che seduti sul molo a rammendare le reti si raccontano per la centesima volta la storia della cannoniera dell’usurpatore, che si dice fosse un figlio adulterino della regina, abbandonato in fasce lì sul molo. Di quest’onda che rifluisce dai ricordi la città s’imbeve come una spugna e si dilata. Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole[1].
Salivano dal sud, dalle estese sacche della disoccupazione meridionale – il 37% dalle Puglie, il 23% dalla Sicilia, il 13% dalla Calabria, il 10% dalla Campania – consumando, nel lungo viaggio, una lacerazione delle radici contadine maturata da tempo. Tutti in una sola direzione: dalle campagne alla città. Tutti in qualche modo impegnati in un faticoso percorso geografico, ma anche sociale e politico: dalla periferia al centro, dalla marginalità al protagonismo, dalla subalternità al potere. […] [Q]uell’esercito di pionieri senza frontiera cercava appunto, disordinatamente, questo: non solo un salario, un lavoro, una sistemazione, ma “un centro”. Un punto cardinale su cui innestare l’elaborazione di una nuova cittadinanza[2].
(fasc. 52, 31 luglio 2024)