Recensione di “Videorama” di Gianfranco Tomei (Idrovolante 2019)

Author di Carmine Chiodo

Per comprendere appieno Videorama di Gianfranco Tomei è necessario soffermarsi sulla personalità dell’autore: scrittore, critico letterario (innovante una sua lettura esegetica su Pier Paolo Pasolini), studioso dai molteplici interessi culturali che vanno dal cinema alla letteratura, alla psicologia; professore universitario presso La Sapienza di Roma, ove insegna Psicologia e Comunicazione. Queste sue passioni e competenze le ritroviamo tutte espresse in questa sua nuova opera, che bisogna saper leggere e scandagliare per apprezzarne pregi e valore letterario. Le sue note precipue sono la distribuzione degli argomenti, la lingua con cui sono espressi e la varietà dei vari personaggi che sfilano davanti agli occhi.

Come possiamo definire Videorama? Si possono dare varie definizioni ma – a me pare – la più vera, forse, è quella di “opera totale”, ricca di senso storico, letterario, umano, ambientale, psicologico (soprattutto, o in maggiore quantità, psicologico), e che ha un punto centrale e focale nella Città Eterna, con i suoi luoghi, con la sua gente varia, anche estera, assetata di Potere: una Roma piena di malavitosi.

Ciò che conta, però, qui è ‒ ancora insisto su questo ‒ il linguaggio, la tecnica narrativa usata dallo scrittore, che con grande perizia fa leggere pagine scorrevoli, caratterizzate da un linguaggio naturale, icastico, analogico, ricco e imbottito di riferimenti storico-cinematografici, per esempio che ricordano alla perfezione i luoghi di Roma, vista in concomitanza con lo stato d’animo dei diversi personaggi. Un linguaggio pure fortemente cinematografico: in questo Videorama (ma possiamo dire VideoRoma) c’è, infatti, tutta la cultura e il modo di vedere e sentire e rappresentare le cose da parte di Tomei uomo e psicologo che coltiva altre passioni.

È un romanzo su Roma? Lo è e non lo è, perché qui interessano l’uomo, le sue azioni, le nostre contraddizioni, i nostri sogni, i nostri incubi, le battaglie, le Energie oscure che ci governano e ci spingono a fare, magari, delle brutte azioni. Che sia così è ampiamente provato dai vari capitoli/sequenze in cui è scandito questo affascinante “romanzo storico-psicologico”, una seconda definizione che però va presa, come suol dirsi, “con le pinze”.

Lo scenario, come accennato, è Roma, che Tomei rende con perizia e felicità di scrittura nei suoi luoghi e nella sua gente, non solo romana ma pure estera, per esempio russa, polacca, israeliana: «Ostia se ne stava in fondo al Tevere come una villeggiante annoiata, pronta a risvegliarsi, parzialmente, solo d’estate […] Ostia era sonnolenta, ma sapeva anche come ferirti, vigliacca e sorniona com’era» (p. 86); «Dariusz, il polacco, se ne stava silenzioso a chattare con il computer. Non proferiva parola, e non era un buon segno. Non lo era affatto. Stava rimuginando qualcosa. Lo Smilzo si affrettò a fare un panino al formaggio nell’angolo del bar […]. Lo Smilzo era un tipo strano; Christian aveva già avuto modo di rendersene conto» (p. 89); «Nella piazzola lungo la Casilina l’aria era immota, paralizzata. Alcune, rade automobili passavano alzando terriccio e fogliame in sbuffi» (p. 92).

Destini e storie che si intrecciano, che si svolgono nei luoghi più diversi, frequentati dalla gente più varia che si muove per una Roma anni ’70, degradata e soffocata dalla corruzione, dalla malavita che estende o, meglio, si impossessa della città. Vi si svolgono le vite di Christian, Marcello, l’Architetto; Deborah, una “schifosa” donna ricca e malandrina come il figlio Aureliano (detto il Principe nero), che domina su Roma e su una ragazza crudele e cinica come Veronica. Ma c’è pure, in questo ambiente malavitoso, corrotto, potente, una povera ragazza che alla fine si sveglia dal coma, Sonia.

Il romanzo si svolge come un vero e proprio film; ecco i titoli delle sequenze che lo formano: Videorama, Principi e devianti, Free style, Divertissement, Il Groviglio, Resa dei conti, Sentieri interrotti, Sparatoria in Villa e infine Epilogo. Leggendo con la dovuta attenzione le pagine ben calibrate dell’opera, ci si rende conto di essere abbagliati da tanti ori, da tanti ambienti in apparenza preziosi nei quali, invece, regnano la perversione e la corruzione, molta degradazione umana, arrivismo, ipocrisia, violenza, sangue.

Fra i tanti personaggi fortemente caratterizzati, ci sono la sensuale anche se anziana Baronessa e il suo giovane amante Giordano, quest’ultimo voglioso di entrare in politica. Giordano è un giovane gagliardo e virile ma roso dall’ambizione del potere, e a tal riguardo la Baronessa organizza una bella festa nella sua lussuosa villa sull’Appia.

I protagonisti appartengono a varie classi sociali, per la maggior parte ricche, borghesi: sono uomini spietati e affamati di potere, e alcuni di essi faranno poi una brutta fine. Da questo punto di vista il romanzo è pulsante di vita, di sangue, di colpi di scena, di crudeltà interiore ed esteriore, e il tutto viene narrato con un linguaggio disinvolto, chiaro, incisivo, ricco di modi di dire romani molto vividi e suggestivi, che rendono alla perfezione le caratteristiche peculiari di un luogo o di un personaggio.

Vita e storia vi si incontrano: la storia condiziona la vita, non solo quella romana ma pure quella europea, quest’ultima “pressata” dall’America da una parte e dall’altra «dai paesi in via di sviluppo» (p. 52). È pure presente la storia degli anni 2006-2008: in questo tempo vive per esempio Christian, deciso e non avvezzo ad arrendersi, che si è incaponito con una ragazza derelitta con la quale ha un rapporto che poi finisce, in quanto la giovane si mette sotto le ali protettive del più potente e già citato losco figuro Aureliano, che poi sarà assassinato durante la festa nella villa sull’Appia. Accanto agli uomini, i luoghi; ed ecco «Palazzo Ferrante, era una costruzione anonima nel panorama della Roma del centro» (p. 31). E non mancano le belle descrizioni di certe ore delle giornate romane: «Il sole illuminava via della Conciliazione, fino al Cupolone, che regnava immoto come un Budda, grasso e serafico» (p. 36); nelle varie piazze romane si è svolta e si svolge tanta vita saputa raccontare da Tomei, che conosce bene la storia della gioventù, e in particolare gli anni 1968-1975 con gli avvenimenti politici assai noti.

Da sottolineare ancora il fatto che lo scrittore immette in “corridoi” di «grigi palazzi giudiziari lì dove si svolgevano le cause» e dove si imparava «cosa vuol dire subire un torto dalla legge» (p. 40). Una giustizia calpestata, offesa, da una parte; dall’altra, il trionfo dei potenti e dei facoltosi e di quelli che hanno grossi appoggi e quindi la fanno franca, calpestando la legge.

Come già espresso, il punto di maggior forza e pregio di quest’opera è il linguaggio, in tutte le sue evocazioni e in tutti i suoi pluri-sensi: «Era un figlio di puttana, e lo sapeva. Era stronzo, e lo sapevano tutti. Ma quello che non tutti sapevano è che era romantico. Sì, il Principe nero romantico» (si tratta di Aureliano, figlio della Baronessa, rivale in amore di Christian).

Ma cosa appare ancora in questo romanzo? Una Roma con la «sua putrida immobilità», così come la vede Aureliano, che ora se ne sta a Montecarlo. E compaiono ancora locali come quello ZED, che si «ergeva come un monolite vicino ai Bagni di Tivoli con le sue luci in bella vista e i led multicolore»; poi ecco la trasformazione: «luogo malfamato dove convenivano tutti i bucatini e gli accannati della zona» (p. 53).

Videorama si configura, dunque, come un azzeccato romanzo corale di storia umana e culturale della Roma dagli anni ’70 in poi, una Roma ricca di “fiori del male”, di splendore nero, dietro al quale ci sono tanti elementi ributtanti: sangue, carrierismo, legami, politica e malavita, per esempio.

Ma poi cosa resta della storia, delle storie, dei momenti tragici degli uomini e delle donne che popolano il romanzo di Tomei? Alcuni vengono ammazzati, altri ritornano alle azioni di prima, altri dopo l’incendio in villa sono in preda agli incubi (e penso alla vicenda umana e sentimentale di Christian e Kasia). Si cerca di cambiare aria, vita e città. È già pronto un aereo che porterà alcuni di loro a Parigi; ed ecco l’epilogo: «L’aereo rollava sulla pista e si tenevano per mano […] appunto Christian e la bella ballerina russa Kasia. Una hostess passò vicino a loro, a pochissima distanza» (p. 189). Bisogna staccarsi dalle radici della violenza, “radici” che non «verranno mai divelte, perché poggiano su un terreno solido e fertile che la società contribuisce ad irrorare e mantenere produttivo. I cui fiori del male sbocciano maturi e avidi per immettere e contaminare con il loro succo velenoso la vita degli uomini» (p. 190).

In conclusione, dunque, il romanzo di Gianfranco Tomei merita di essere letto e preso in considerazione anche dai cosiddetti “addetti ai lavori”, in quanto si tratta di un’opera valida da un punto di vista letterario, che racchiude alti e profondi sensi umani.

(fasc. 53, vol. II, 13 ottobre 2024)

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