Angelo Maria Ripellino e Aleksandr Blok

Author di Martina Morabito

Un rigoglio di accese somiglianze

Blok: un’«immagine nordica» da «marinaio di navi scandinave»[1], ancorato al suo russo tempo febbrile, e che però nel diario annota greve «io sono nato nel Medioevo»[2], e «oggi ho visto il mio ritratto nella pagina di un libro antico e mi sono rattristato»[3]. Blok dalle molte vite, abitante di molteplici mondi: «mondo terribile»[4], «mondo d’argilla»[5], «mondo sublunare»[6], «mondo selvatico»[7], senza fari a baluginare intorno. Eppure, mondo di «prati in fiore»[8], di «cielo con stelle»[9], di betulle e di lillà.

Ripellino: «poeta russo, poeta ceco, poeta siciliano emigrato bambino in qualche provincia boema, che per scompigliare le carte scrive in italiano»[10]. Ripellino dalle molte vite, che ha abitato tutte le epoche di Praga, come «scolaro dell’Arcimboldo», «ciarlatano in una baracca a Piazza della Città Vecchia», «imbrattatele»[11], o (e?) personaggio di Kafka. Ripellino abitante di molteplici mondi: «mondo ulcerato e malconcio»[12], che «ha mappe grinzose»[13]. Eppure, «globo di uvaspina, erbe buone e meringhe»[14], «mondo incantevole»[15].

Del rapporto tra Aleksandr Aleksandrovič Blok (scomparso nell’agosto del 1921, quand’era «ormai [uno] squallido, spento manichino»[16]) e Angelo Maria Ripellino (nato nel dicembre 1923), che quel poeta lunatico e onirico lesse, studiò, tradusse, recensì e mise in scena, si è scritto purtroppo molto poco[17]. Nondimeno, tra le opere e le vicende umane dei due scrittori sembra emergere una sorta di affascinante consonanza, una vicinanza, una «preziosa affinità»[18], a evocare un quasi-incontro, reso impossibile dalla cronologia della realtà che non si può manipolare ma, allo stesso tempo, ha una possibilissima dimensione fantastica. «Quando elementi affini si incontrano nei secoli, si determina sempre una situazione mistica», scrisse Blok nel 1901, e subito dopo aggiunse: «ci sono altri mondi»[19]. Ripellino, nel suo indagare il retro, la faccia nascosta, le ombre laterali del reale, giunse a «dubitare della consistenza di quel che si crede vero, da ultimo il mondo stesso»[20]: «perché la realtà è anch’essa fittizia»[21]. Possiamo allora immaginare un luogo “altro” dove l’incontro sia stato possibile? Forse è avvenuto in sogno: le visioni notturne di Blok erano tormentate da strane apparizioni. C’è un paggio con i baffi che cerca qualcuno, forse proprio lui, in uno strano giardino colmo di rose, mentre il poeta si trova «in casa d’altri, ma – non sono forse in casa mia?»[22]. E ancora, quattro anni più tardi, al bancone di una bettola sognata incontra un uomo immaginario e ne annota il ricordo che, se trascritto in versi, potrebbe leggersi come l’inizio di una poesia ripelliniana:

Ristorante Čvanov. Al banco – incanutisce.

Soprabitino. Fazzoletto dalla tasca, pantaloni corti –

Aria fiera, ha alzato la testa, i baffi all’insù.

Poveraccio. Sosia da strapazzo.

Mentre io ho un magnifico bavero.

È pettinato a spazzola, e ubriaco fradicio,

vacilla e guarda con fierezza[23].

Non solo, quindi, Ripellino che omaggia il poeta nelle sue liriche, in cui «non è davvero lontano lo spirito delle carnevalate di Blok, dei caroselli sfrenati del teatro, delle guitterie e delle mascherate»[24], ma anche Blok che prevede e copia il suo allievo, il suo sosia?

Come una parlata straniera: Ripellino traduttore di Blok

Guardiamo, però, la “realtà”, i testi: al centro del corpus di scritti ripelliniani relativi a Blok si colloca certamente Poesie[25], traduzione di una scelta di 131 liriche accompagnate da uno Studio introduttivo, pubblicata per la prima volta da Lerici nel 1960 e poi riedita nel 1975 da Guanda e nel 2016 da SE, che resta ancora oggi nel panorama italiano la versione di riferimento. Per Alessandro Niero, infatti, Blok «fatica a uscire da una sorta di zona Ripellino»[26], e ciò è senz’altro vero anche grazie all’ampiezza del numero delle liriche scelte dal traduttore, che ha innegabilmente plasmato la ricezione italiana. Tuttavia, la forma antologica pare particolarmente problematica per la specificità della poetica di Blok che, come molti altri simbolisti, era devoto all’idea del ciclo poetico come un’unità indivisibile, con al suo interno un ordine ben preciso e precisi rimandi intertestuali[27]. A loro volta, con il passare degli anni, i cicli poetici furono montati da Blok in un’architettura[28] generale di tre libri, a formare la cosiddetta “trilogia lirica”, definita sin nei minimi dettagli e strutturata in modo che l’edificio poetico fosse incrollabile, spesso a costo di “tornare indietro” e modificare testi già pubblicati. Le traduzioni di Ripellino, inserite invece in un’antologia che non riporta alcun ciclo per intero, hanno ovviamente perduto questa fitta rete intertestuale; inoltre, lo studioso interviene anche sull’ordine originariamente pensato da Blok: frammenta i cicli e inverte spesso l’ordine delle poesie, componendo così una narrazione per così dire alternativa rispetto alla versione del testo di partenza. Oltre che a ovvie ragioni editoriali e di mole di lavoro, questa mancata osservanza di una rigida ciclizzazione, in direzione piuttosto di un ri-montaggio arioso, ininterrotto, può essere riportata a quello che Traina ha definito un tratto peculiare di Ripellino, ovvero la predilezione per la «struttura leggera, addirittura cedevole»: «Ripellino non è uno scrittore dalle architetture potenti»[29].

Tra i cicli contenuti nel primo libro spicca per quantità di liriche scelte Stichi o prekrasnoj dame (Versi sulla bellissima dama), mentre è quasi del tutto assente (ne sono presenti solo due esempi) la prima raccolta, Ante Lucem. Del secondo libro, più corposo, è assente il poemetto Nočnaja Fialka (La violetta notturna), che è tuttavia ampiamente trattato nell’introduzione – che, tra i molti pregi, ha anche quello di sopperire alle lacune inevitabili della scelta delle liriche da proporre. Manca un’intera raccolta, Vol’nye mysli (Liberi pensieri), non ricordata neppure nell’introduzione, e che tuttavia segna un momento particolarmente importante nella produzione blokiana: attraverso una descrizione naturalistica e concreta dei dintorni di Pietroburgo, Blok si pone l’obiettivo di superare il precedente simbolismo esoterico, il misticismo, per muovere in direzione più realistica. Appaiono invece centrali, nel Blok di Ripellino, le poesie di Puzyri zemli (Bolle di terra) che, con il loro contenuto stregonesco di «diavoletti, pretini palustri, monachine taciturne ed altri fantocci di muffa, minuzzoli primaverili, che incarnano le forze elementari della natura»[30], sono senza dubbio vicine al Ripellino poeta, così come anche le poesie tratte da Gorod (La città), in cui lo spazio urbano è morto e mortifero, scomposto in bettole e bordelli. Per quanto riguarda le liriche tratte dal terzo volume, fra le traduzioni sono assenti del tutto i cicli Karmen (Carmen), gioioso e armonico, primaverile, la sua “conclusione” Solov’inyj sad (Il giardino degli usignoli), e pure O čem poet veter (Di cosa canta il vento), crepuscolare e senile, essenziale nell’architettura dell’intera trilogia: la chiude, infatti, e diventa riflessione metaletteraria sull’intera opera, che prende le forme metaforiche di una casa, di un lavoro di filato, di una collana di perle.

Grande attenzione è, invece, data da Ripellino a Ital’janskie stichi (Versi italiani, che viene tradotto per una buona metà), Rodina (Patria), Arfi i Skripki (Arpe e violini) e, soprattutto, Strašnyj mir (Mondo terribile). È, dunque, quello che emerge dal florilegio di Ripellino un Blok “sbilanciato”, virato al fantastico, al mistico, alla teatralità, al comico-grottesco. È lo stesso Ripellino, scrivendo a Vittorio Strada, a sottolineare il «tono grottesco del poeta»[31], che in questo sarebbe simile a Kafka.

La raffinatezza del lavoro di traduzione di Ripellino[32], forse proprio in virtù del rapporto d’elezione con Blok, «intima sintonia»[33], si manifesta in una rispettosa aderenza al testo di partenza (negli aspetti delle qualità poetiche, delle immagini, del lessico) a sfavore, probabilmente, di «taluni valori fonici e ritmici»[34]. Del resto, come ha ben notato Niero, le versioni di Ripellino sono realizzate «in un momento storico in cui la resa in verso libero (o comunque in un verso non palesemente connotato sul piano della forma) sembrava rappresentare lo Zeitgeist traduttorio dell’epoca»[35]. Ripellino, quindi, traduttore esatto, «esatto nel senso, quasi sempre felice nel metro» eppure portatore di elementi propri: «un timbro, un’aura personali ed esclusivi, molto discreti, ma che sempre si sovrappongono al testo»[36]. Si consideri, come esemplificazione del processo traduttivo, la seguente Ja – Gamlet, appartenente alla raccolta Jamby (Giambi):

Я — Гамлет. Холодеет кровь,

Когда плетёт коварство сети,

И в сердце — первая любовь

Жива — к единственной на свете.

Тебя, Офелию мою,

Увёл далёко жизни холод,

И гибну, принц, в родном краю,

Клинком отравленным заколот.

***

Io sono Amleto. Si raggela il sangue,

quando l’astuzia intreccia le sue reti,

mentre nel cuore il primo amore è vivo,

vivo per l’unica creatura al mondo.

Il freddo della vita ti ha portato,

Ofelia mia, lontano, ed io perisco,

principe, nella contrada nativa,

trafitto da una lama avvelenata[37].

Il tetrametro giambico, verso principe della lirica russa, è reso con l’altrettanto nobile endecasillabo italiano che, tuttavia, in qualche verso (II, III, IV, VII) perde l’accentuazione sulla seconda sillaba del testo di partenza russo; l’esattezza lessicale è pressoché totale (kovarstvo ha però valore negativo, è più ‘perfidia’ e ‘slealtà’ che ‘astuzia’; “creatura” è un’esplicitazione; “vivo” è ripetuto due volte solo in traduzione; sono presenti alcuni spostamenti nella seconda strofa). Lo schema delle rime (ABAB CDCD) è infine assente dalla resa italiana, in cui tuttavia viene costruito un tessuto fonico peculiare, con l’uso di allitterazioni (Amleto, astuzia, amore; perisco, principe), la sequenza di r già presente nell’originale (krov’, kovarstvo, serdce, pervaja; raggela, intreccia, reti, mentre, cuore, primo, amore) e di u (nella seconda strofa Ofeliju, moju, uvel, gibnu, kraju; anticipata nella prima strofa da astuzia, cuore, unica, creatura), le rime interne, le assonanze, i rimandi fonici (cuore/amore; contrada/avvelenata; vita/nativa; nativa/avvelenata).

Ogni discorso sugli altri è sempre un diario truccato. Ripellino saggista e Blok

Ripellino saggista ingrandisce con la propria lente barocca il nome di Blok per la prima volta quando non ha ancora compiuto vent’anni. Nel 1942 «Maestrale» ospita l’articolo Aleksàndr Blok[38] in cui sono già visibili in nuce alcuni tratti che formeranno in seguito la sua personalissima scrittura critica[39]. Innanzitutto, già dalla primissima frase («Per noi, Aleksàndr Blok è sempre là, in mezzo alla neve, nella fioca luce del sogno; così lontano che si ascolta l’eco della sua malinconia canora»), quell’uso del «noi», non «banale pluralis maiestatis ma […] voluto allargamento del discorso a una condizione collettiva»[40], e addirittura dell’«io» («Vedrò la poesia blokiana ancora nel colore di quelle candeline e quei ramicelli di salice che portano i bimbi, la domenica delle Palme»), che racconta una visione personale eppure popolare, quotidiana. Già si avverte la tendenza alla costruzione ad anello: si comincia ricordando Keats, si conclude citando lo stesso poeta; accanto al suo nome, una cascata, una rete fittissima di rimandi ad altri scrittori, squarci che danno respiro alla (spesso asfittica) scrittura accademica: Verlaine, Mallarmé, Shakespeare, Milton, Blake, Guinizelli, Cavalcanti, Dante, Rilke, Rimbaud, d’Annunzio, Garcia Lorca, Petrarca, Donne, Achmatova, Dehmel, e altri ancora (senza dimenticare le incursioni nel mondo pittorico: Moise Kisling e i preraffaelliti).

Quello che invece cambia, e notevolmente, è il giudizio complessivo su Blok: se in questo articolo giovanile viene tratteggiato un poeta lieve, puro, intimo, tranquillo, incline alla preghiera e al monologo, piuttosto noioso e monotono, «senza spigoli», appannato (e il poema I dodici viene letto come poco riuscito), negli scritti successivi – soprattutto nello Studio introduttivo alle sue traduzioni blokiane – si assiste a un totale ripensamento di Blok, che diviene comico, grottesco, teatrale[41], musicale, febbrile, sismografico, poeta arlecchino, poeta amletico, poeta saltimbanco. Nell’articolo Cola sangue di mirtillo dalle vene di Pierrot, pubblicato postumo su «Repubblica» nel 1980 e contraltare allo scritto di «Maestrale», Blok emerge come cantore del comico triste, specchio e sosia di un Pierrot che è passato attraverso il baraccone della fiera popolare e si è contaminato con il simbolismo francese. Il sangue di mirtillo, non sangue ma succo, è il simbolo della parodia delle convenzioni teatrali che Blok mette in ridicolo:

Al calarsi interamente nella parte (di Stanislavskij) si sostituisce la falsità del gioco teatrale: invece di calarsi nella parte, l’attore cerca di sovrapporsi alla parte, come se dicesse di continuo: guardate che sto recitando! (quindi, non perdo sangue, ma mirtillo). In questo c’è il tipico gesto del teatro blokiano, l’attore che è esposto al ludibrio, l’attore che soffre, il pagliaccio che sta sulla ribalta per soffrire. La recita non è chiudersi in una camera, assenti dalla platea, recitare cioè come se il pubblico nel vuoto baratro non ci fosse (come voleva Stanislavskij): ma è un esporsi a questo vuoto baratro nemico, ostile, che ride di te che stai alla gogna[42].

Le assi del palcoscenico sono contigue alla ribalta del cabaret, allo schermo tremolante del primo cinematografo, al baraccone di fiera, e tale materiale popolare, secondario, laterale, ricorda la teoria formalista dell’eredità letteraria che passa da zio a nipote:

Tutta l’epoca del simbolismo, e poi del futurismo, si ispira alle cose popolari, e Blok partecipa di questo gusto, immergendosi nell’elemento del baraccone. “I borghesi non hanno concezione di ciò che è di fianco”, si legge nei suoi Diari, è molto interessante, quasi preformalista: l’arte che “sta di fianco” è molto più importante dell’arte che sta al centro, cioè l’arte borghese, grassa, compiaciuta. Il gusto blokiano del cabaret è un poco il gusto di tutta l’epoca (i celebri cabarets come “Il cane randagio”, “Il pipistrello”). Non va dimenticato inoltre che Blok era un frequentatore di cinematografo, e anche questo era considerato un genere basso[43].

È talmente centrale la dimensione teatrale di Blok che Ripellino non si accontenta di inquadrarla con le lenti della traduzione e della scrittura saggistica, e prova egli stesso negli anni Settanta a mettere in scena due drammi lirici, Balagančik e Neznakomka, in cui recitano studentesse e studenti dei suoi corsi[44]. Spettacoli particolarissimi: quasi a seguire il dettame dell’“arte che sta di fianco”, Ripellino monta sulla Baracchetta dei saltimbanchi (troppo breve per uno spettacolo) Depeše na kolečkách (Dispaccio a rotelle) di Nezval e pezzi lenti dei Beatles, e sulla Sconosciuta canzoni zigane e brani blues.

Amàlgama e compendio di citazioni: Ripellino riscrittore di Blok

La lingua di Blok trascende il testo tradotto, il testo recitato e l’analisi saggistica e si insinua nella scrittura poetica di Ripellino attraverso alcune lampanti analogie, tematiche, lessicali, formali. La prima, e forse più scontata, consonanza passa proprio per il teatro[45] e per il personaggio letterario di Amleto, per entrambi alter ego e protagonista di alcune poesie autobiografiche[46]. Ciononostante, notiamo una sostanziale discrepanza di vedute. L’Amleto di Blok, presente come personaggio lirico soprattutto nei primi anni, è ancora lontano dalla cartapesta posticcia del teatro del mondo, slegato dalla delusione della crisi del simbolismo, è eroe notturno, tormentato, serissimo, prossimo alla morte, tutto preso dalla passione per Ofelia[47]; l’Amleto di Ripellino è contemporaneo al suo autore, è immerso in un mondo provinciale, squallido, in una notte senza stelle, eroe in viaggio su treni rantolanti, finzionale, che tiene insieme gioia e tristezza: «Con grosse calze di lana rattoppata / e con la spada di cartapesta / il principe di Danimarca, / il capo dei guitti va errando / di villaggio in villaggio»[48]. Elsinore contagia Alvernia, impestandola di muffa e «lugubre tanfo»[49]: Ripellino trasporta nel suo tempo Amleto, che così abita il suo stesso spazio (c’è una continuità tra la sua Danimarca e il sanatorio di Dobrìš), mentre Blok viaggia all’indietro, nel tempo passato di Amleto, per divenire suo contemporaneo.

E il mondo del teatro ha come tetto una tenda da circo: accanto al principe di Danimarca si trova il pagliaccio, pajac blokiano, clown ripelliniano, «figura esposta, oggetto di derisione, di ‘ludibrio’, vittima»[50]. E sorge l’inevitabile grottesco, lo scheletro danzante, il manichino, la cartapesta della finzione: si confrontino, ad esempio, il componimento 1 delle Danze della morte di Blok, spettrale metamorfosi della vita in società in danza macabra di scheletri dalle ossa stridenti che indossano un elegante frac per andare a un inutile ballo di sciocchi, con il componimento 30 di Sinfonietta: «Io cosí goffo nel frígido frac da pinguino, / io che ormai guardo come uno sciamàno il mio scheletro / dai rami sempre piú storti e piú deboli, / l’albero gramo della mia vita, il mio manichino»[51].

La musica è un altro linguaggio comune: per Blok la romanza zigana, soprattutto, e i lontani violini singhiozzanti in desolato lamento[52], violini ultraterreni[53], che si struggono e si infiacchiscono[54], che come palcoscenico hanno spesso le bettole[55]; per Ripellino un violaceo violino «sempre aggrondato come in un numero comico», «banale feticcio dai lunghi capelli di corde», dagli «occhi verdastri», «squallido arnese», «svilito dal molto soffrire», vecchio ma ancora capace di «virtuosismi di acrobata»[56].

Accanto alla dimensione sonora, che nella scrittura poetica e saggistica di Ripellino si fa musicale, diviene fuga, sinfonia, ballata, c’è, pure, uno spettro cromatico affine, una sorta di similare “dispositivo” dello sguardo, fatto di specchi che riflettono «maschere, / cere demoniche e bianchi musi di gesso»[57], «coperti di sgorbi»[58]; sagome di ombre sui muri[59]; luci e guizzi e lumicini[60]; e trascolora i versi di entrambi la tavolozza di viola, verde, blu (tinte della lividezza) dei quadri di Vrubel’, che per Ripellino è «violino fremente di rami»[61] e per Blok un messaggero delle antiche tragedie. Le stesse tinte si ritrovano anche nelle numerose riprese ripelliniane (e attualizzazioni, alla luce della situazione politica dell’epoca) del territorio paludoso[62] di Bolle di terra di Blok: «Meglio non muovere le acque stagnanti, / meglio non inasprire / la demoniesca masnada di negromanti. / Verdi erano come cespugli d’aprile / gemmati da una boscaglia marcita, / verdi, bramosi di trasfigurare la vita»[63].

Spostandoci dal piano lessicale-immaginifico a quello stilistico-sintattico, la voce di Blok riecheggia soprattutto in alcune aperture e conclusioni di strofa e di componimento: il blokiano attacco «Sono sovrano, indipendente. / Guido le onde del destino»[64] risuona nell’esordio ripelliniano «Qui dentro io sono il sovrano / e mi appartengono tutti i colori»[65]; il celebre lamento di un Blok preveggente «Oh, se voi sapeste, amici / il freddo e la tenebra dei giorni futuri»[66] è ripreso nella chiusa di Ripellino «Perché scusatemi, posteri, che freddo, / che vitreo deserto, che uniformità, che sbaragli / soffiano da quel futuro»[67]; e più in generale, si riscontra una simile propensione alla costruzione ad anello delle poesie.

Ripellino scrive di Blok che, a volte, la sua poesia è trasposizione «in emblemi e motivi barocchi del suo pessimismo»[68] e che, sul palcoscenico dei versi, «resta solo Pierrot alla ribalta, a lamentarsi del proprio destino»[69]: si leggano dunque queste parole anche come relative alla propria poesia e valga, come provvisoria conclusione di questo discorso appena abbozzato, il confronto tra il componimento 55 di Autunnale barocco, che reca in modesta parentesi – quasi un “a parte” teatrale – la premessa «alla maniera di Blok», con alcune possibili sue “fonti” blokiane.

(alla maniera di Blok)

Io, che ero un tempo incendio, furia, spasimo,

me ne sto aggricciato su una panca,

assorto e assente aspettando il mio numero,

che eseguirò di malanimo.

Temo che fallisca il mio improvviso,

che il motore del cuore si spenga,

che la mia postura sbilenca

sia solo sorgente di riso.

Eppure aspetto di entrare in scena,

anche se so che non mi applaudiranno.

Aspetto di gridare la mia pena,

il mio stolido e farsesco affanno.

***

Tu ripeti che io sono freddo, chiuso ed arido

Tu ripeti che io sono freddo, chiuso ed arido,

è vero, e sarò tale anche con te […]

Eri tu stesso una volta più tetro e più intrepido,

tu sapevi leggere dagli astri,

che le notti future sarebbero state più cupe,

che le notti non hanno confine.

[…] Vi fu un tempo di grande fiducia e speranza —

io ero come te semplice e crèdulo.

Andavo dagli uomini con animo aperto e infantile,

senza temere l’umana calunnia…

E adesso — di quelle speranze non v’è alcuna traccia,

tutto è fuggito alle stelle lontane.

[…] E quell’anima stessa che, ardendo, anelava

di concedersi in preda ai turbamenti, —

è infiacchita dall’odio e dall’amore,

ed è bruciata, quell’anima.

Resta il ciglio rattratto dal sorriso,

la bocca serrata ed il triste potere

di eccitare, accendendo passioni ferine […]

Non troverai simpatia fra le povere bestie,

che prima si spacciavano per uomini.

Copri il viso con maschera di ferro,

inchinandoti alle sacre bare,

proteggendo col ferro finché puoi un paradiso,

inaccessibile agli schiavi folli[70].

***

Nell’ora in cui s’inebriano i narcisi

Nell’ora in cui s’inebriano i narcisi,

e il teatro è nella luce del tramonto,

nella penombra dell’ultima quinta

viene qualcuno per me a sospirare…

Arlecchino che ha obliata la parte?

Tu, mia, dàina dagli occhi sereni?

O la brezza che porta dai campi

un leggero tributo di soffi?

Io, pagliaccio, alla splendida ribalta

affioro da una bòtola dischiusa.

È il bàratro che guata tra le lampade,

avido ragno insaziabile.

E mentre che s’inebriano i narcisi

faccio smorfie, torcendomi e tinnendo…

Ma nell’ombra dell’ultima quinta

piange qualcuno che mi compatisce […][71]

Parole-chiave: Amleto, poesia russa, Ripellino, teatro, traduzione.

  1. A. M. Ripellino, Studio introduttivo, in A. Blok, Poesie, Milano, Lerici editore, 1960, p. 14.
  2. A. Blok, Zapisnye knižki, Moskva, Chudožestvennaja Literatura, 1965, p. 173, tr. it. a cura di F. Malcovati e E. Guercetti, in A. Blok, Taccuini, Milano, SE, 2014, p. 86.
  3. Ivi, p. 51 (tr. it. cit., p. 20).
  4. Dal titolo di una celebre raccolta di versi di Blok, Strašnyj mir.
  5. A. Blok, Poesie, op. cit., p. 139. Citiamo direttamente, da qui in poi, la traduzione di Ripellino e non il testo originale di Blok, in quanto nel nostro lavoro la resa ripelliniana ha un significato centrale.
  6. Ibidem.
  7. Ivi, p. 435.
  8. Ivi, p. 393.
  9. Ibidem.
  10. C. Vela, Presentazione, in A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, Torino, Nino Aragno, 2007, p. 8.
  11. A. M. Ripellino, Praga magica, Torino, Einaudi, 2005, p. 7.
  12. A. M. Ripellino, componimento 21 di Sinfonietta, ora in Id., Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde, Torino, Einaudi, 2006, p. 125.
  13. Ivi, componimento 16 di Sinfonietta, p. 120.
  14. Ivi, Don Pasquale. Tre lieder, C, p. 273.
  15. Ivi, Don Pasquale. 70, p. 275.
  16. A. M. Ripellino, Studio introduttivo, in A. Blok, Poesie, op. cit., p. 69.
  17. Ricordiamo alcune riflessioni di V. Magrelli, nella sua prefazione Ripellino docet (in A. Blok, Poesie, Parma, Guanda, 2000) alle poesie del russo edite per Guanda e il recente contributo di D. Cavaion Note sulla traduzione di Blok ad opera di A.M. Ripellino, in «Europa Orientalis», XL, 2021, pp. 465-80.
  18. A. M. Ripellino, Una grande nuvola dipinta, in Id., Poesie prime e ultime, op. cit., p. 434.
  19. A. Blok, Zapisnye knižki, op. cit., pp. 21-22; tr. it. cit., p. 11.
  20. F. Roana, Teatralizzazione dell’esistenza nella poesia di Angelo Maria Ripellino, in «OTTO/NOVECENTO», XXVI, 1, gennaio/aprile 2002, p. 113.
  21. A. M. Ripellino, Il trucco e l’anima. I maestri della regia nel teatro russo del Novecento, Torino, Einaudi, 1965, p. 123.
  22. A. Blok, Zapisnye knižki, op. cit., p. 49; tr. it. cit., p. 18.
  23. Ivi, p. 101; tr. it. cit., p. 43.
  24. G. Manfridi, Ripellino e il mito del demone precipitato, in A. M. Ripellino poeta-slavista, «Lunarionuovo», V, 21-22, 1983, p. 99.
  25. Si affianca a questo testo un altro importante lavoro di traduzione, pubblicato nel 1950: il dramma teatrale Balagančik (La baracca dei saltimbanchi).
  26. A. Niero, Considerazioni sulla poesia russa tradotta in italiano tra il 1987 e il 2022, in «Studi Slavistici», XX, 1, 2023, p. 99.
  27. Cfr. D. A. Sloane, Aleksandr Blok and the Dynamics of the Lyric Cycle, Columbus, Slavica Publishers, 1988.
  28. È Blok stesso a parlare della sua trilogia utilizzando metafore architettoniche, come è ad esempio evidente dal ciclo conclusivo dell’opera, O čem poet veter.
  29. G. Traina, Osservazioni su Praga magica, in Maestra ironia. Saggi per Luca Curti, a cura di F. Nassi e A. Zollino, Lugano, Agorà & Co., 2018, p. 193.
  30. A. M. Ripellino, Studio introduttivo, op. cit., p. 28. Il titolo del ciclo è di derivazione shakespeariana (Macbeth) e proprio Shakespeare è un altro elemento comune tra Blok e Ripellino.
  31. A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), a cura di A. Pane, introduzione di A. Fo, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2018, p. 73.
  32. Per osservazioni più dettagliate sulla traduzione di Ripellino a Blok rimando allo studio di D. Cavaion, Note sulla traduzione di Blok ad opera di A. M. Ripellino, art. cit.
  33. V. Magrelli, Ripellino docet, in A. Blok, Poesie, op. cit., p. VI.
  34. D. Rizzi, Studi italiani sul Simbolismo russo, in «Europa Orientalis», 9, 1990, p. 529.
  35. A. Niero, Tradurre poesia russa. Analisi e autoanalisi, Macerata, Quodlibet, 2019, p. 185.
  36. N. Minissi, A. M. Ripellino letterato neopoetista, in A. M. Ripellino poeta-slavista, «Lunarionuovo», a cura di M. Grasso, 21-22, 1981, p. 105.
  37. A. Blok, Poesie, op. cit., p. 417.
  38. A. M. Ripellino, Aleksàndr Blok, in «Maestrale», III, 1942, 8, pp. 29-38, ora in «eSamizdat», 2, 2004, pp. 139-44, disponibile online all’URL: https://www.esamizdat.it/ojs/index.php/eS/issue/view/17/18 (ultima consultazione: 14/10/2023).
  39. Nelle traduzioni proposte nell’articolo sono evidenti alcune sviste, poi corrette nelle traduzioni pubblicate in volume. Tra gli altri, “pioggia” per radost’ (‘gioia’), e “via” per žizn’ (‘vita’).
  40. G. Traina, Materiali per uno studio sul Ripellino saggista, in Angelo Maria Ripellino e altri ulissidi, a cura di N. Zago, A. Schininà, G. Traina, Leonforte, Euno Edizioni, 2017, p. 63.
  41. Si veda la prefazione Il teatro del giovane Blok (note di regia) alla traduzione di Leone e Pescatori dei Drammi lirici di Blok (1977).
  42. A. M. Ripellino, Cola sangue di mirtillo dalle vene di Pierrot, in «Repubblica», 28 novembre 1980, p. 16.
  43. Ibidem.
  44. Spettacoli che sono stati raccontati da A. Di Paola sulla rivista «Trasparenze», 23, 2004.
  45. Come nota Giuseppe Traina, «una delle più evidenti e note caratteristiche dello stile ripelliniano: la frequenza con cui ricorre all’area semantica del circo, della buffoneria, del teatro per coniare immagini, similitudini, metafore di assoluta importanza ermeneutica ed esistenziale» (Materiali per uno studio sul Ripellino saggista, op. cit., p. 64).
  46. Un giovane Blok recita, assieme alla fidanzata Ljubov’, brani dall’Amleto: lui è il principe, lei Ofelia (e Ripellino inserisce nel suo Studio introduttivo la fotografia che la coppia si fa scattare). Scrive Rita Giuliani che vita e teatro sono strettamente intrecciati (anche) in Ripellino: «La radice della passione di Ripellino per il teatro affonda nella sua concezione del mondo: il teatro rappresentava per lui molto più che una forma artistica e un campo di ricerca, ai suoi occhi si configurava addirittura come allegoria del mondo, come metafora della vita» (La lezione slavistica di Angelo Maria Ripellino, in Angelo Maria Ripellino e altri ulissidi, op. cit., p. 19).
  47. Si vedano, tra le altre, le liriche (escluse da Ripellino dalla sua antologia) Ja šel vo t’me k zabotam i vesel’ju… (preceduta da un’epigrafe che riporta una battuta di Laerte relativa a Ofelia che tutto trasforma in bellezza), in cui un mondo invisibile degli spiriti brilla indifferente nelle altezze stellari, mentre sulla terra un serpente tormenta il cervello di Amleto; Est’ v dikoj rošče, u ovraga, quadro di una natura ombrosa, liquida, verdastra, in cui Amleto colloca la sua sofferenza, sotto radici acquatiche, che si nutrono di lacrime eterne; Ofelija v cvetach, v ubore, descrizione “floreale” dell’aspetto di Ofelia; Pesnja Ofelii, che esiste in due versioni e mette in scena le lamentazioni e la follia della fanciulla.
  48. A. M. Ripellino, Amleto, in Id., Non un giorno ma adesso, ora in Id., Poesie prime e ultime cit., p. 107.
  49. A. M. Ripellino, 22, in Id., La fortezza di Alvernia e altre poesie, in Id., Poesie prime e ultime cit., p. 143.
  50. A. Fo, La poesia-spettacolo di Ripellino come lotta e ricerca, in A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime cit., p. 14.
  51. A. M. Ripellino, Sinfonietta, op. cit., p. 134.
  52. Cfr. A. Blok, Dalla nebbia di cristallo, in Id., Poesie, op. cit., p. 319.
  53. Cfr. A. Blok, Le voci dei violini, in Id., Poesie, op. cit., p. 337.
  54. Cfr. A. Blok, Là dove echeggia nelle lunghe sale, in Id., Poesie, op. cit., p. 353.
  55. Cfr. A. Blok, Come aumenta l’angoscia sul far della notte, in Id., Poesie, op. cit., p. 411.
  56. A. M. Ripellino, 1, in Id., Notizie dal diluvio, ora in Id., Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde, op. cit., p. 15.
  57. Ivi, 26, p. 40.
  58. A. Blok, Dalla nebbia di cristallo, in Id., Poesie, op. cit., p. 319.
  59. Si veda, soprattutto, la seconda parte del ciclo di Blok Snežnaja maska (La maschera di neve).
  60. Valgano, su tanti esempi, alcune immagini di Snežnaja maska, in cui in apertura si descrivono i riflessi sui vetri dei bicchieri ghiacciati, con fiammelle serpeggianti, che vengono riprese dal primo verso della Poesia 51 di A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio: «Sui calici freddi lingueggiano azzurre fiammelle».
  61. A. M. Ripellino, Poesia 39 di Id., Notizie dal diluvio, op. cit., p. 53.
  62. Non solo acqua stagnante, però: anche il mare solcato dalle vele, che sempre si accompagnano alla descrizione dell’atto visivo dell’io lirico, punteggia i componimenti dei due.
  63. A. M. Ripellino, Poesia 75 di Id., Notizie dal diluvio, op. cit., p. 93. Si vedano, anche, la 20 (Triangolini verdissimi di occhi) e la 37 (Sono pieno di boschi, di laghi) di A. M. Ripellino, Lo splendido violino verde.
  64. A. Blok, Na straže, in Id., Polnoe sobranie sočinenij i pisem v 20 tt., T. 2, Moskva, Nauka, 1997, p. 145.
  65. A. M. Ripellino, Poesia 59 di Id., Notizie dal diluvio, ora in Id., Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde, op. cit., p. 77.
  66. A. Blok, Golos iz chora, in Id., Polnoe sobranie sočinenij i pisem v 20 tt. cit., T. 3, p. 39.
  67. A. M. Ripellino, Poesia 60 di Id., Notizie dal diluvio, op. cit., p. 78. Componimento che, tra l’altro, nel primo verso «Tra due-trecento anni la vita sarà migliore», si apre nel segno del Čechov di Zio Vanja, con una riscrittura della battuta di Astrov «e se, fra mille anni, l’uomo sarà un po’ meno infelice».
  68. A. M. Ripellino, Studio introduttivo, op. cit., p. 52.
  69. Ivi, p. 32.
  70. A. Blok, Ty tverdiš‘, čto ja choloden, zamknut i such, in Id., Polnoe sobranie sočinenij i pisem v 20 tt., T. 3 cit., p. 107; tr. it in A. Blok, Poesie, op. cit., pp. 435-37.
  71. A. Blok, V čas, kogda p’janejut narcissy, in Id., Polnoe sobranie sočinenij i pisem v 20 tt., T. 1 cit., p. 177; tr. It. in A. Blok, Poesie, op. cit., p. 135. Desidero ringraziare chi ha assistito questi miei primi passi vacillanti nell’insidioso e meraviglioso territorio di Ripellinia, condividendo con me materiali e consigli: Alessandro Fo, Rita Giuliani, Giuseppe Traina.

(fasc. 50, 31 dicembre 2023, vol. II)