Con questo numero monografico interamente dedicato a Benedetto Croce s’inaugura una nuova stagione dell’attività di «Diacritica»: la rivista cambia passo e diviene trimestrale.
Il fascicolo raccoglie svariati contributi dei più eminenti studiosi della vasta opera del filosofo abruzzese di adozione napoletana e ambisce a essere un doveroso omaggio a Croce, nel settantesimo anniversario della sua scomparsa, che cadrà il 20 novembre prossimo.
Si ricordi che il 25 febbraio 1866 è la data di nascita dello storico ed erudito nonché critico letterario, editor e organizzatore di cultura: non per caso, la nostra rivista, il cui titolo volutamente riecheggia quello del luminoso modello della sua «Critica», ha iniziato le proprie pubblicazioni il 25 febbraio del 2015, esattamente sette anni fa.
Nei tempi oscuri e minacciosi che stiamo vivendo, l’opera multiforme e instancabile di Croce si rivela, al solito, ricca di preziosi spunti di riflessione e di non trascurabili moniti per il futuro, oltre che inesauribile fonte d’ispirazione.
Fra i tanti utili stimoli alla pacata riflessione, assai proficuo mi pare oggi rammentare la cristallina posizione del filosofo in relazione alla sua notoria venerazione per la cultura tedesca: si ricordi, infatti, che ‒ nell’agosto del 1936 ‒ in un celebre scritto elaborato per un giornale di Berna, «Die Nation», e poi apparso anche sulla «Critica» (n. 34, pp. 461-66) con il titolo La Germania che abbiamo amata, rievocando il drammatico periodo storico-politico degli anni della Prima guerra mondiale e le polemiche culturali del tempo, Croce puntualizzava, attualizzando:
Durante la guerra ci si diceva, dalla parte degli avversari della Germania, che la filosofia, la scienza, la poesia tedesca erano manifestazione dello stesso spirito barbarico e strumento della stessa politica di prepotenza contro cui l’umanità civile si difendeva con le armi, e che conveniva perciò discacciarle dalla nostra anima e dalle nostre scuole. Oggi da moltissimi tedeschi, o piuttosto da una voce corale che nella Germania odierna fa tacere le altre tutte, ci si dice che punto non importa quel che gli altri popoli sentano e pensino della filosofia, della scienza, della poesia tedesca, perché queste son cose affatto proprie e peculiari del loro popolo, espressione della individualità della razza, e perciò gli altri popoli non possono mai né sentirle né comprenderle. Agli avversari del tempo della guerra rispondemmo, allora, che poesia, filosofia, scienza non sono tedesche né di alcun popolo particolare, ma appartengono alla pura umanità; e, contro le loro ingiunzioni, continuammo a pregiare e a studiare quelle opere scritte in lingua tedesca.
Ai presenti germanomani e razzisti si è costretti (strana ironia delle cose) a ripetere proprio il medesimo che si diceva ai loro estremi oppositori, congiungendo (anche se ciò li ferisca e li renda furiosi) la pacata dichiarazione che quelle opere sono nostre non meno che loro, perché sono di tutti coloro che le comprendono e le amano, in ogni paese, nessuno eccettuato e nessuno escludente gli altri; e forse oggi sono più nostre che loro, perché essi non le rispettano nella loro verità, ma le storcono ai loro particolari fini, fraintendendole o falsificandole.
Non mi resta, in conclusione, che ringraziare di vero cuore il co-curatore di questo numero, Lorenzo Arnone Sipari (nipote di Erminio, cugino di Croce per parte di madre), per la sua instancabile, proattiva e alacre collaborazione alla lavorazione di tutto il fascicolo. E, inoltre, per la dedizione e la passione con la quale da sempre attende, con sapiente competenza e acribia, alla meritoria opera di tutela e conservazione della propria importante eredità famigliare, oltre che alla curatela, all’interpretazione e alla diffusione d’innumerevoli testi, anche assai poco conosciuti, del grande intellettuale.
(fasc. 43, 25 febbraio 2022)