Marcel Proust o dell’inattuale necessario

Author di Giuseppe Girimonti Greco e Maria Panetta

Già nei fascicoli precedenti abbiamo avuto modo di sottolineare come anche il 2022 sia stato punteggiato da una serie di importanti anniversari: queste ricorrenze si traducono spesso, per ogni rivista di cultura (e non solo) in ghiotte occasioni per riportare all’attenzione dei lettori affezionati opere e autori di particolare interesse o per stimolare le fasce di pubblico più giovani ad accostarsi ai grandi classici senza timori reverenziali, ma anzi predisponendosi con fiducia a lasciarsi attraversare dalla complessità di universi paralleli disegnati dalla fantasia creatrice di autori non contemporanei; oppure a immergersi in atmosfere e “paradisi” ormai perduti, potendo attingere a immagini del passato grazie alla fascinazione della scrittura.

Che gli anniversari vengano talora sfruttati dal mondo editoriale a scopi commerciali non ci interessa né ci riguarda, dato che la nostra è una rivista indipendente, che non beneficia di nessun finanziamento: in ogni caso, se il mercato editoriale, invece di andare a caccia di effimeri “casi”, sostenuti per qualche mese dai media o dai social, in rare ma preziose circostanze dedica spazio ai classici e riempie gli scaffali e le vetrine delle librerie di edizioni aggiornate, commentate, critiche delle loro opere – oppure di inediti[1] o di studi innovativi –, riteniamo che ciò non possa che rappresentare un fecondo arricchimento sia per gli specialisti sia per il grande pubblico.

La Recherche è indiscutibilmente uno dei più grandi classici di tutti i tempi, e per opere come questa il problema della loro “attualità” non si pone neanche, dal momento che permettono di attingere a un “serbatoio” di emozioni, pulsioni, percezioni e idee comuni a tutti gli esseri umani sin dall’alba dei tempi: per capolavori come il romanzo proustiano, eventuali accuse o sospetti di “inattualità”[2] risultano, in definitiva, oziosi: in quanto «contemporanei del futuro»[3], questi testi (che pure appartengono al Modernismo, una stagione apparentemente lontana) continueranno a offrire al lettore à venir (destinatario privilegiato del Narratore proustiano) un nutrimento spirituale “necessario”; e, soprattutto (la Recherche in modo particolare, si direbbe), continueranno a offrire anche al lettore non specialista uno “strumento ottico” insostituibile ai fini dell’introspezione e della decifrazione del mondo[4].

Questo numero monografico di «Diacritica» vuol essere, oltre che un appassionato omaggio a una figura di capitale importanza del panorama letterario universale, una nuova occasione per attirare l’attenzione su uno scrittore che ha permeato di sé pagine e pagine di opere a lui successive e che ha cambiato per sempre la storia del romanzo europeo e poi mondiale. Abbiamo l’ambizione di ritenere che gli studi raccolti in questo fascicolo si soffermino su aspetti ancora poco indagati dalla critica e possano, perciò, risultare di una qualche utilità sia agli studiosi sia a coloro che amano leggere solo per il disinteressato e vivificante piacere di dedicare ore della propria vita all’arricchimento intellettuale.

Se questo fascicolo avrà guadagnato anche un solo lettore alla Recherche, potremo affermare con gioia che il nostro scopo è stato raggiunto.

  1. Per Proust ci limitiamo a ricordare due edizioni italiane di “manoscritti ritrovati” di capitale importanza: Il corrispondente misterioso e altre novelle inedite, seguito da L. Fraisse, Alle fonti della “Ricerca del tempo perduto”, testi trascritti, annotati e presentati da L. Fraisse, trad. di M. Botto, Milano, Garzanti, 2021; I settantacinque fogli, a cura di N. Mauriac Dyer, prefazione di J.-Y. Tadié, edizione italiana curata da D. Galateria, traduzione e nota alla traduzione di A. I. Squarzina, Milano, La Nave di Teseo, 2022. Segnaliamo anche due edizioni ricche di inediti appartenenti a epoche molto diverse (dagli scritti adolescenziali a una serie di frammenti finalmente “riemersi” dal mondo sommerso degli avant-textes): M. Proust, Essais, édition publiée par A. Compagnon, avec la collaboration de Ch. Pradeau et M. Vernet, Paris, Gallimard, 2022; M. Proust, De l’ècòlier à l’écrivain. Travaux de jeunesse (1884-1895), éd. par L. Fraisse, Paris, Classiques Garnier, 2022. Per una panoramica su questi ritrovamenti, si vedano almeno i seguenti interventi online di Mariolina Bertini usciti su «Doppiozero»: Ritornare a Proust, pubblicato il 12 gennaio 2020 (URL: https://www.doppiozero.com/ritornare-proust); Novità di Proust. Una Recherche senza madeleine del 12 luglio 2021 (URL: https://www.doppiozero.com/novita-di-proust-una-recherche-senza-madeleine); Proust senza tempo e ovunque dell’11 dicembre 2022 (URL: https://www.doppiozero.com/ritornare-proust).
  2. Sulla questione dell’“inattualità” (versus “attualità”) di Proust, si vedano almeno: A. Beretta Anguissola, Proust inattuale, Roma, Bulzoni, 1976; A. Compagnon, Proust tra due secoli. Miti e clichés del decadentismo nella «Recherche» [1989], trad. it. di F. Malvani e P. Minsenti, Torino, Einaudi, 1992 (in particolare le pp. 10 e sgg.); M. Vernet, Comment lire Proust en 2013?, in «Acta fabula», 14, 2, Let’s Proust again!, février 2013 (URL: http://www.fabula.org/acta/document7578.php); E. Biagini, Proustismo e proustologia, in Non dimenticarsi di Proust. Declinazioni di un mito nella cultura moderna, a cura di A. Dolfi, Firenze, FUP, 2014, pp. 25-56 (in particolare le pp. 26-37); S. Brugnolo, Dalla parte di Proust, Roma, Carocci, 2022.
  3. L’espressione viene da una bella raccolta di Giuseppe Pontiggia: I contemporanei del futuro. Viaggio nei classici, Milano, Mondadori, 1992.
  4. Cfr. M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, ed. diretta da L. De Maria, note di A. Beretta Anguissola, D. Galateria, trad. di G. Raboni, prefazione di C. Bo, Milano, Mondadori, 1983-1993, IV, p. 596: «In realtà, ogni lettore, quando legge, è il lettore di se stesso. L’opera d’arte è solo una sorta di strumento ottico che lo scrittore offre al lettore per consentirgli di scoprire ciò che forse, senza il libro, non avrebbe visto in se stesso. Il riconoscimento dentro di sé, da parte del lettore, di ciò che il libro dice, è la prova della sua verità, e viceversa, almeno in una certa misura, giacché spesso la differenza fra i due testi può essere imputata non all’autore, ma al lettore». E ancora: «[L’arte] è la rivelazione, che sarebbe impossibile attraverso mezzi diretti e coscienti, della differenza qualitativa esistente nel modo in cui il mondo ci appare, differenza che, se non ci fosse l’arte, resterebbe il segreto eterno di ciascuno. Solo attraverso l’arte noi possiamo uscire da noi, sapere cosa vede un altro di un universo che non è lo stesso nostro e i cui paesaggi rimarrebbero per noi non meno sconosciuti di quelli che possono esserci sulla luna. Grazie all’arte, anziché vedere un solo mondo, il nostro, lo vediamo moltiplicarsi, e quanti sono gli artisti originali, altrettanti mondi abbiamo a nostra disposizione, più diversi gli uni dagli altri di quelli che ruotano nell’infinito; mondi che mandano ancora fino a noi il loro raggio inconfondibile molti secoli dopo che s’è spento il fuoco – si chiamasse Rembrandt o Vermeer – da cui esso emanava» (p. 578).

(fasc. 46, 30 dicembre 2022)

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