A chi sofferma la propria attenzione sul significato da attribuire all’europeismo dei nostri giorni non sfuggirà, certamente, che il sistema tutto presenta sfaccettature diverse, a seconda dell’esame a cui viene sottoposto.
Se volgiamo lo sguardo alla più grande famiglia europea, a quella che per intenderci ha “confini” naturali e storici che giungono fino agli Urali, possiamo cogliere meglio i notevoli progressi in corso in tutta la comunità europea, ma c’imbatteremo anche in incongruenze attribuibili spesso al ridotto respiro politico e all’agire conseguente della comunità stessa.
Ciò che oggi appare piuttosto carente è, quindi, la capacità di questo continente d’inquadrare in scelte politiche unitarie, concordate e discusse, le correzioni e gli indirizzi generali per guidare la comunità verso il suo futuro.
In dimensione europea si può, infatti, attualmente parlare di sviluppo scientifico, tecnologico, di crescita civile ed economica, di imprenditorialità audace e avanzata e dei tanti modi in cui i giovani e anche i meno giovani riescono a guardare positivamente al futuro e sanno appropriarsi, per loro e per i loro figli, di percorsi innovativi, immaginabili e possibili; l’interesse, però, s’indebolisce notevolmente e spesso scompare del tutto, quando i termini da affrontare e le scelte da fare assumono rilievo e dimensioni politiche. A quel livello, l’analisi diventa frammentata e si riducono e talora scompaiono le certezze precedenti.
Le ragioni di un tale frammentato e incerto procedere vanno ricercate sia nell’analisi storica di quanto è avvenuto in passato sia nella difficoltà di sostituire valori in precedenza preferiti ad altri. Oggi alla vecchia Europa difettano, infatti, valori caratterizzanti gli obiettivi culturali e sociali del suo procedere, in cui si pone l’essenza del suo essere; mancano consolidate certezze su quanto sia da preferire.
Si creano, così, vuoti di potere e situazioni politicamente innaturali che altri provvederanno inevitabilmente a sanare.
Se si guarda al mondo intero, si assiste a scelte politiche che vengono principalmente condotte dalle potenze planetarie, mentre i restanti “colonnelli” si agitano per mantenere spazi di potere conquistati spesso più con l’arroganza che per meriti accertati. Finché, però, la politica avrà ruoli marginali e secondari, e le potenze economiche non avranno respiro politico, il destino di chi manca di tale prospettiva sarà asfittico, debole in presenza del nuovo. Subalterno.
Sono lontani i tempi del Manifesto di Ventotene (Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto), il noto documento per la promozione dell’unità europea redatto, nel 1941, da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Come tutti ricordano, esso propugnava la necessità d’istituire una federazione europea dotata di un parlamento e di un governo democratico, con poteri reali in alcuni settori fondamentali quali, sì, l’economia, ma anche la politica estera. Gli estensori del Manifesto sostenevano, infatti, che fosse necessario creare una forza politica che prescindesse dai partiti tradizionali, troppo vincolati alla lotta politica nazionale e, dunque, incapaci di confrontarsi con le nuove sfide dell’internazionalizzazione. Era necessario, cioè, dar vita a un movimento che sapesse mobilitare le forze popolari attive nei vari paesi per creare uno Stato federale, con una propria forza armata e soprattutto con «organi e mezzi sufficienti per far eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli stati stessi l’autonomia che consenta una plastica articolazione e lo sviluppo di una vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli».
Quando, dunque, si sostiene che oggi l’europeismo ha bisogno di respiro politico, s’intende dire che i progressi in ogni settore sono importanti, ma portano a svolte politiche durature soltanto se gli stessi sono rafforzati da una progettualità di più ampio orizzonte, che necessariamente deve incontrarsi con una cultura radicata, che affonda le proprie radici nel passato, ma che deve mirare responsabilmente a costruire un futuro compatibilmente con le mutate esigenze del presente.
Quanto sia arduo il cammino verso questo futuro diventa meglio comprensibile se si guarda ad esso in una visione che non escluda nessuno e che, anzi, includa responsabilmente i più.
(fasc. 22, 25 agosto 2018)