Tra narrazione e saggio, autobiografia e menzogna: cento anni dalla nascita di Luciano Bianciardi

Author di Sandro de Nobile e Maria Panetta

Gli anniversari, nel mondo della letteratura, rappresentano, sì, una moda ormai consolidata, ma anche un utile strumento attraverso il quale portare o riportare all’attenzione del pubblico autori più o meno noti, con tutti i risvolti commerciali o accademico-scientifici del caso (ristampe, monografie, convegni, numeri monografici etc.), a maggior ragione quando si tratta di centenari.

Questo 2022 non è sfuggito a tale moda: anzi, ne è espressione tra le più significative degli ultimi anni, potendo annoverare, accanto alle celebrazioni del centenario della morte di Giovanni Verga, anche quelle relative alla nascita di vari scrittori e poeti del Novecento come Bartolo Cattafi, Luciano Erba, Beppe Fenoglio, Mario Lodi, Giorgio Manganelli, Luigi Meneghello, Pier Paolo Pasolini… E Luciano Bianciardi.

Bianciardi si trova, poi, nella singolare condizione di essere stato oggetto di una scoperta e di una riscoperta ondivaga e quasi – potremmo dire – schizofrenica, tanto in vita quanto in morte: assurto a un successo insperato nel 1962 con il romanzo La vita agra, infatti, l’autore grossetano ha poi vissuto un decennio di progressivo ripiegamento e (auto)marginalizzazione sino alla precoce morte (1971), seguita da un funerale significativamente andato deserto.

Pressoché dimenticato nei due decenni successivi, Bianciardi ha poi trovato nuova visibilità soprattutto grazie alla bella biografia firmata da Pino Corrias nel 1993 per Baldini&Castoldi (Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano), cui hanno fatto seguito ristampe, monografie, volumi miscellanei, le pubblicazioni della casa editrice Isbn-ExCogita, l’edizione dell’opera omnia in due volumi (L’Antimeridiano, 2005 e 2007), le attività benemerite della Fondazione “Luciano Bianciardi” di Grosseto, tutte leve che hanno fatto sì che l’opera dello scrittore maremmano riguadagnasse il posto che effettivamente merita all’interno della storia letteraria del nostro Novecento.

Noto soprattutto per la trilogia (Il lavoro culturale, L’integrazione, La vita agra) con la quale, con piglio autobiografico, ha analizzato, per primo in Italia, la condizione dei lavoratori “quartari” dell’industria culturale, Bianciardi è stato anche molto altro: intellettuale impegnato nella provincia grossetana negli anni ’50, anche attraverso la stesura di reportage (tra questi non possiamo non citare I minatori della Maremma, scritto a quattro mani con Carlo Cassola); conoscitore e divulgatore del Risorgimento, cui ha dedicato numerosi volumi (ad esempio, Da Quarto a Torino, nel 1960); traduttore di centinaia di libri, prevalentemente dall’inglese; critico televisivo, anticipatore della fenomenologia di Mike Bongiorno che sarebbe stata ripresa da Umberto Eco; analista sportivo sottile e appassionato nel «Guerin Sportivo» di Gianni Brera; sostenitore di battaglie di liberazione dei costumi, soprattutto dalle colonne di rotocalchi inusuali per un intellettuale come «Playmen», «ABC», «Le Ore».

Soprattutto, però, Bianciardi è stato un grande scrittore, un autore mai banale e modernissimo, capace di mettere insieme narrazione e saggio, autobiografia e menzogna, etimologia e transcodifica in testi che, dietro l’apparente facilità suggerita da un tono perlopiù leggero e ironico, nascondono una complessità articolatissima, che fa dell’autore della Vita agra un anticipatore delle tendenze più recenti di una narrativa sempre più giocata sul sottile crinale che divide fiction da non fiction.

Questo numero monografico di «Diacritica» vuole essere, oltre che un doveroso omaggio a una figura di intellettuale di capitale importanza nel Novecento letterario italiano, una nuova occasione per sottolinearne la poliedricità, in pagine che lo indagano dai punti di vista più diversi e inediti, restituendone un ritratto a tutto tondo che, a nostro avviso, mette in luce anche aspetti della sua opera finora meno indagati dalla critica.

(fasc. 45, 25 agosto 2022, vol. I)

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