«Tempo presente», la gloriosa rivista fondata nel 1956 da Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte e ora diretta da Alberto Aghemo, ha dedicato il primo, corposo fascicolo del 2022 proprio a Nicola Chiaromonte, raccogliendo gli atti di una densa Giornata di studi tenutasi a Roma il 29 aprile scorso presso la Sala Perin del Vaga di Palazzo Baldassini e presso la Sala Capitolare del Palazzo della Minerva.
L’iniziativa ha visto la partecipazione di studiosi del calibro di Pietro Adamo, Marco Bresciani, Rosaria Catanoso, Dino Cofrancesco, Mirko Grasso, Filippo La Porta, Raffaele Manica, Samantha Novello e Cesare Panizza, oltre ai tre curatori del poderoso fascicolo: Alberto Aghemo, Aldo Meccariello e Corrado Ocone.
Nel ricco volume, edito dalla Fondazione Giacomo Matteotti (grazie anche al prezioso contributo erogato ex art. 1 della Legge n. 534/96 dal Ministero dei Beni Culturali, Direzione Generale Educazione, ricerca e istituti culturali), ai discorsi introduttivi di Aghemo, Meccariello e Gianni Marilotti – Presidente della Commissione per la Biblioteca e per l’Archivio storico del Senato della Repubblica – seguono dodici saggi distribuiti in due sottosezioni dai titoli: Credere e non credere: il pensiero politico e Che cosa rimane: l’eredità culturale.
L’intento della Giornata di studi era, fra gli altri, proprio quello di evidenziare cosa resta dell’eredità culturale di Nicola Chiaromonte a cinquant’anni dalla sua scomparsa, avvenuta a Roma il 18 gennaio del 1972, ma la pubblicazione va ben oltre i propri scopi iniziali, delineando un dettagliato ritratto a tutto tondo della complessa personalità di Chiaromonte – intellettuale eclettico, versatile e fuori dagli schemi –, specie per quanto concerne i suoi rapporti con il fascismo, il marxismo, il socialismo e il liberalismo nonché con l’anarchismo post-classico; e, nella seconda parte (ancora più vicina alle nostre corde), la sua attività di romanziere, drammaturgo e filosofo “dilettante” nonché quella alla direzione del suo periodico, dal 1956 al 1968. Assai utili agli studiosi sono anche le quattro pagine finali di riferimenti bibliografici all’opera di Chiaromonte e dei suoi critici.
Nel volume secondo del fascicolo 45, che qui si presenta, «Diacritica», lungi dal concepire un numero monografico articolato e complesso come quello dedicato a Chiaromonte dall’attuale Direttore della sua rivista, si è riproposta di omaggiare questo caleidoscopico e anticonformista intellettuale lucano con alcuni densi saggi: due sono firmati da Raffaele Manica e Cesare Panizza, che già avevano partecipato alla ricordata iniziativa di inizio anno; e altri due da Leonardo Casalino e Ugo Perolino, promotore di un Seminario – presso l’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara – di presentazione dell’importante «Meridiano» progettato e curato proprio da Manica nel 2021.
I quattro saggi che ruotano attorno alla figura di Chiaromonte ne illustrano efficacemente le principali linee di attività, le idee politiche e filosofiche, la travagliata biografia costellata anche di violenti strappi ed esili. Con un finale affondo sui Taccuini, miniera ancora da esplorare da parte della critica.
Da Rapolla, in provincia di Potenza, a Roma; dall’Italia all’esilio in Francia, alla militanza in Spagna; da Parigi a Tolosa e poi ad Algeri e a Casablanca; e in seguito il viaggio negli Stati Uniti del 1941 e il rientro a Parigi nel 1949, e a Roma nel 1953, laddove il cerchio della sua esistenza si chiude. Quella che ne è emerge è una figura sui generis di antifascista (per cui il fascismo è «il morbo più grave»), una complessa personalità di pubblicista, collaboratore di «Solaria» e dei «Quaderni di Giustizia e Libertà» (fra le riviste), critico teatrale (per il «Mondo» di Pannunzio e l’«Espresso») e cinematografico; di tormentato intellettuale cosmopolita, profondamente convinto che la libertà individuale debba essere necessariamente coniugata con la chiara consapevolezza di essere cittadini dell’umanità, affinché l’Occidente possa reggere il confronto con gli altri sistemi e le loro differenti civiltà, e al fine di non soccombere di fronte all’economicismo personale dilagante.
Ci ripromettiamo di approfondire ancora, in futuro, questa interessante figura di uomo di cultura dalla caratteristica “antipoliticità”, intesa come cifra dell’autonomia del mestiere intellettuale: nelle pagine che seguono, il lettore ne troverà, comunque, un bel ritratto, sapientemente delineato anche nelle sue più vive e feconde contraddizioni.
(fasc. 46, 30 dicembre 2022)