Bruno Maier, una vita da letterato: un breve profilo a cento anni dalla nascita

Author di Lorena Lazaric

Bruno Maier ha scritto molto di altri, ma in pochi hanno scritto di lui[1]. In occasione del centenario della sua nascita, volevo unirmi a quanti lo hanno onorato, nella speranza che tanti altri dopo di me gli dedichino degli studi, perché «l’importante è farsi sentire, anche se poche persone tendono l’orecchio»[2].

Ritenuto già alle scuole elementari «gente di grosso calibro»[3] (così lo ha definito in un racconto inedito la compagna di scuola Nerea Romano per il suo amore per le lettere), Maier si è laureato nel 1945 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trieste. Dopo essere stato assistente ordinario di Mario Fubini e di Giuseppe Citanna, e successivamente professore incaricato, ha ricoperto il ruolo di professore ordinario di Lingua e Letteratura italiana presso la Facoltà di Magistero di Trieste. È stato socio ordinario dell’Accademia dell’Arcadia, dell’Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Udine e della triestina Società di Minerva, e presidente dell’Università Popolare di Trieste.

Nella sua lunga attività di studioso, critico letterario e saggista, si è occupato di vari campi dell’italianistica, dal Duecento al Novecento, e della letteratura giuliana, triestina e istriana. Ha diretto con Giorgio Baroni la «Rivista di letteratura italiana»; presieduto giurie di vari premi letterari, tra cui il Leone di Muggia e Istria Nobilissima; e diretto la collezione «Biblioteca istriana». Ha scritto sulla «Voce del popolo» e per le riviste «La Battana», «Dometi» e «Panorama», edite nel territorio dell’Istria; e su altri periodici italiani come il «Giornale Storico della Letteratura Italiana», «La Rassegna della Letteratura Italiana», «Belfagor», «Terzo Programma», «Letterature moderne», «Archeografo Triestino», «Pagine istriane», «Atti e Memorie della Società istriana di Archeologia e di Storia Patria», «Il Piccolo», il «Messaggero Veneto», «Trieste Oggi» etc[4].

In ogni lavoro dell’opus critico di Maier è riscontrabile un’attenta cura del testo. Secondo lui, gli ingredienti con cui si fa critica sono quattro: fortuna, cultura, intuizione e intelligenza storica[5].

Sosteneva che per parlare di un autore occorresse prima conoscerlo attraverso una rassegna puntuale dei suoi scritti e delle critiche sulla sua opera, e riteneva che «anche la critica nasce da un moto d’affetto verso l’autore studiato»[6], poiché ogni critico ha un gusto personale, condizionato dalla sua formazione culturale e teorica, dalle sue letture, dalla sua ideologia e dalla sua esperienza umana.

La specificità di Maier si può cogliere proprio nel suo tenersi stretto al testo, nella sua discrezione e fierezza di lettore ben consapevole di compiere un cammino circolare che, dal testo, porta alla critica, per poi ritornare nuovamente al testo. Nei suoi saggi fitti di citazioni si direbbe che siano i testi, accuratamente selezionati e richiamati, a parlare del lettore per il critico, che, come scrive Dell’Aquila, «ne cura il montaggio nell’architettura del discorso»[7]. In Maier, infatti, era il testo che parlava per il critico, che ne metteva abilmente in luce le peculiarità interessanti e ne illuminava il senso e la storia. Il testo, in fondo, come osserva Segre, «è tutto il nostro bene»[8], e non vi è discorso critico che valga più del testo. Sta nell’abilità del critico, dunque, offrire una chiave di lettura adatta a farlo vivere nell’atto stesso della lettura.

Mentre nel passato, sosteneva Maier[9], la critica era perlopiù pertinente a un’intera epoca culturale, in tempi recenti essa non può sottrarsi a ritmi frenetici e al logorìo del consumo. Maier credeva più nell’aspetto pragmatico del lavoro critico che in quello teorico, perché preferiva essere un lettore e interprete concreto di testi e di autori piuttosto che un teorico o uno studioso di problemi generali. Il testo per lui era il mezzo per avvicinarsi il più possibile all’autore, al fine di entrare a far parte della sua realtà. A tal fine egli ha curato anche svariati libri di critica letteraria altrui, con l’intenzione di renderli attuali, basandosi su più recenti studi condotti sugli autori in essi trattati.

Secondo Maier, l’impegno di aggiornamento critico e metodologico non significa rifiuto o rinnegamento del passato, ma formulazione e soluzione ‒ o tentativo di soluzione ‒ di problemi che altri hanno posto prima, o di problemi nuovi alla cui definizione possano riuscire utili anteriori insegnamenti e suggerimenti: a suo giudizio, infatti, la ricerca letteraria non può prescindere né dalla macrostoria né dalla microstoria, e cioè dai fatti avvenuti in un territorio.

Il critico non rivolge lo sguardo esclusivamente ai valori estetici del testo, ma riserva attenzione anche alla cultura e alla formazione degli scrittori, alla realizzazione artistica delle loro opere, a questioni di lingua letteraria, alle poetiche individuali e di gruppo, di scuola, di accademia, di tendenza, d’età: interessi, questi, che si sono largamente manifestati sia nelle ricerche sull’Arcadia e sul Neoclassicismo sia nelle indagini, di taglio più storiografico pur se fondate su spaccati monografici, sulla cultura triestina, un terreno nel quale Maier si è rivelato un tenace e attento esploratore e indagatore, anche per larghi quadri d’insieme.

Maier ha sempre avuto una spiccata predilezione per il saggio di media misura, nell’intento di ribadire che le idee critiche nascono solo da un costante ri-attraversamento del testo e dal rifiuto di accontentarsi dell’ultimo risultato della ricerca. A più riprese, infatti, egli ha “rimesso le mani” sugli argomenti delle proprie indagini, rivedendone le conclusioni, aggiornandole, arricchendole di nuove pezze d’appoggio reperite nel frattempo. C’è da dire, infine, che anche il suo saggio di media misura, il suo articolo di giornale, la sua nota più breve hanno sempre il taglio del capitolo che sembra un estratto o pare in attesa di essere collocato in una trattazione più ampia poiché, secondo Maier, i preamboli ai saggi sono come i cavi di collegamento delle carrozze di un treno, che attendono di essere connesse per formare un insieme più vasto.

Il critico triestino ha compiuto più volte di queste operazioni di racconto, mettendo insieme volumi di saggi, soprattutto di contenuto triestino. Ad aiutare il lettore è egli stesso, che descrive chiaramente la propria posizione critica, spesso in polemica con altri interpreti, ma sempre con garbo e con grazia, senza asprezza.

Anche quando si occupa di uno scrittore e non di periodi, età, scuole, che inducono necessariamente alla “foto di gruppo”, ha il gusto ‒ più che dell’articolo sul particolare, sul tema micrologico ritagliato da un insieme ‒ del saggio panoramico, della veduta complessiva. Segue il percorso storico-filosofico di una questione dalle sue origini fino alla soluzione da lui proposta, riallacciandosi così al “monografismo” crociano, non inteso semplicemente come trattazione di un singolo autore, ma prendendo in considerazione tutti i secoli della storia documentabile di vari pensatori[10].

La preoccupazione di Maier è soprattutto quella di fornire un ritratto dell’individualità dell’artista. Infatti, la parola-chiave del critico triestino, non a caso, è “peculiare”. La peculiarità che gli interessa va dalle scelte di poetica a quelle di stile.

Un altro problema da lui posto frequentemente è quello dell’“attualità” dei vari scrittori studiati: attualità che Maier non vuole considerare in rapporto a una lettura attualizzante. Anzi, il suo obiettivo è quello di lasciare l’oggetto del discorso ben vincolato al suo contesto, alla sua cultura e al suo pubblico di riferimento. Per il critico, “attualità” significa rappresentazione di quei “valori di comportamento” che sono, sì, segno di un’originalità, di una perspicuità in rapporto al quadro e al contesto del tempo, ma devono essere anche di tale forza da attraversare il tempo stesso, da raggiungerci e colpirci anche per la loro coerenza, che (per dirla con Croce) «ognuno di noi, a seconda della capacità delle sue forze può sempre allargare e arricchire»[11]. Anche nelle analisi più tecniche, la qualità del discorso resta sempre quella di una piacevole e civile conversazione, spia del costante obiettivo didattico del Maier critico alle prese con la conquista del lettore, con la necessità di prenderlo nel cerchio dell’illustrazione e del ragionamento. Scriveva, infatti, al riguardo che ogni critico può essere meglio disposto verso un autore e meno verso qualche altro, sostenendo che non esiste il critico assolutamente oggettivo, capace di capire ogni autore, perché, se esistesse, non sarebbe un umano ma «un robot o un cervello elettronico»[12].

La vocazione alla critica letteraria lo ha accompagnato per tutta la vita. Capì molto presto che «un piccolo critico stava […] sonnecchiando»[13] in lui e già al liceo cominciò «a scrivere, pagine e pagine di qualcosa che per [lui] era o poteva essere critica letteraria»[14] poiché, come afferma Svevo, «non c’è miglior via per arrivare a scrivere sul serio che quella di scribacchiare quotidianamente»[15].

Per Maier «non esiste filologo che non sia critico, né critico che non sia, al tempo stesso, filologo»[16]. Il metodo critico di Maier nasce dalla ricerca stessa; è più euristico e connotativo che dimostrativo, è più un’ipotesi che una tesi, perché i propri autori Maier preferisce cercarli, inseguirli: preferisce vivere con loro, diventare in parte loro, tornare sui loro e anche sui propri passi. Per Maier il materiale autobiografico di ogni scrittore è solo preliminare all’indagine critica, il che gli consente di «riconoscere le impronte che le sue creature hanno lasciato quando ne sono uscite per andare a vivere nel mondo dell’arte»[17].

Nella sua attività di critico e saggista acuto, Maier ha contribuito alla diffusione della letteratura italiana in tutto il mondo, avendo illustrato, in lungo e in largo, autori e momenti della storia letteraria nel suo svolgimento plurisecolare.

Capodistriano di nascita e triestino di adozione, ha dedicato la maggior parte della sua carriera di critico proprio a Trieste e all’Istria, la terra natìa a cui era particolarmente legato, occupandosi con particolare attenzione degli scrittori triestini del Novecento e della loro cultura che, nata periferica, ha saputo conservare dei caratteri autonomi e autoctoni che costituiscono tuttora il fondamento della sua originalità e della sua importanza. Se oggi esiste il concetto stesso di “triestinità”, se oggi Trieste è considerata la città di Svevo, Saba, Giotti e Stuparich, oltre all’intrinseco valore di questi nomi, lo si deve proprio a Bruno Maier. Con eccezionale equilibrio e lucidità d’intenti egli ha, infatti, lasciato molti poderosi saggi e volumi unitari e coerenti, che si configurano come testimonianze ormai già classiche della triestinità nonché punti di riferimento d’obbligo per gli studiosi della letteratura italiana, in genere.

Maier, come egli stesso ha raccontato in un’intervista a Federico de Melis, ha iniziato a scrivere sulla letteratura triestina spinto da Giani Stuparich, e su Svevo grazie all’iniziativa di Nino Valeri[18]. Numerosi sono i suoi libri che hanno contribuito a portare Trieste ai vertici dell’attenzione nazionale e internazionale: dalla famosa e ormai storica Letteratura triestina del Novecento, introduzione agli Scrittori triestini del Novecento, a Trieste nella cultura italiana del Novecento. Profili e testimonianze ai Saggi sulla letteratura triestina del Novecento a Dimensione Trieste. Nuovi saggi sulla letteratura triestina a Il gioco dell’alfabeto. Altri saggi triestini, fino ai Compositori di vita (uscito postumo). Ha voluto offrirci la più estesa ed esauriente visione possibile della letteratura e della cultura triestine, inserendo nel termine “letteratura triestina”, in relazione alle coordinate geografiche e spaziali, non soltanto gli autori nati a Trieste ma anche quelli gravitanti nell’orbita triestina o attivi per un periodo più o meno lungo a Trieste ma di origine istriana (come Lina Galli, Pier Antonio Quarantotti Gambini, Fulvio Tomizza etc.), dalmata, come Enzo Bettiza; gradese, come Biagio Marin; e autori che, nati a Trieste, avevano poi operato altrove, come Giulio Caprin, Mariano Rugo, Franco Vegliani, Luciano Budigna. Ha voluto dimostrare che la letteratura triestina non era costituita soltanto da scrittori di riconosciuta grandezza, perché una tradizione letteraria e culturale non è mai frutto di singole iniziative individuali ma prodotto di un’operazione collettiva. Non si è occupato, dunque, della letteratura triestina come di un semplice argomento di studio, di un esclusivo interesse critico, povero o privo di implicazioni umane e psicologiche, ma come di un tema di ricerca in cui si è sentito personalmente coinvolto, mettendoci parte di sé.

Affermava di vivere per la letteratura e della letteratura, di non vedere niente oltre alla letteratura, perché tutto il resto nella sua vita contava molto meno o non contava affatto. Come altri grandi letterati, in passato Maier ha sempre avuto il coraggio di mettersi in discussione, di accettare il dialogo, le obiezioni e le eventuali critiche e di meditare su di esse. Sapeva ritornare sui propri passi, correggere se stesso e gli altri, aggiustare, puntualizzare, riscrivere, modificare e aggiornare continuamente i propri testi per renderli più completi, rispettando le ultime ricerche svolte e tenendo conto delle acquisizioni sopravvenute.

Anche se è noto soprattutto come profondo conoscitore di autori contemporanei e non, ed è da molti considerato il massimo esperto di Italo Svevo, in tarda età Maier si è avvicinato anche al mondo della scrittura, lasciandoci in eredità il racconto su quel piccolo angolo di mondo in cui è nato, Case a Capodistria: tra memoria e romanzo[19], e il romanzo autobiografico L’assente[20]. Come accennato, del secondo romanzo, intitolato Le ali di Pegaso, esiste solamente l’incipit.

Più m’inoltravo nella ricerca su Bruno Maier e più mi rammaricavo di non aver avuto il piacere e l’opportunità di conoscere di persona questo (per dirla con Tulio Kezich) «autentico maestro come oggi ce ne sono pochi»[21], un cittadino del mondo di spirito e di umori cosmopoliti, vissuto dei suoi ricordi, con la letteratura, per la letteratura e della letteratura, che amava vivere in totale e serena tranquillità, lontano dalle luci della ribalta e della mondanità dei salotti letterari, dedicandosi alla propria attività intellettuale.

Ci ha lasciati il 27 dicembre del 2001, «in punta di piedi»[22], perché ‒ per dirla con Saba ‒ «uno nasce con tutto dentro: dal colore degli occhi la statura e il sangue, all’egoismo la grandezza e lo stile»[23].

  1. L’autrice di queste pagine ha discusso una tesi di dottorato di ricerca in Scienze umanistiche e filologia dal titolo Erudizione e creatività di Bruno Maier presso l’Università di Zara il 9 luglio 2018: relatrice la Prof.ssa Suzana Todorović e correlatrice la Prof.ssa Zaneta Sambunjak. Cfr. l’URL: https://repozitorij.unizd.hr/islandora/object/unizd%3A2440/datastream/PDF/view [N.d.R.].
  2. T. B. Jelloun, Ospitalità francese, Roma-Napoli, Theoria, 1992, p. 100.
  3. A. Cherini, Poesia giocosa e satirica a Capodistria, Trieste, Autoedizione, 1990.
  4. Diego Redivo ha raccolto nella Bibliografia di Bruno Maier (Trieste, Circolo della Cultura e delle Arti, 2003) tutti gli interventi di Maier (saggi, interviste, interventi radiofonici e altro).
  5. B. Maier, Scritti inediti, in «Resine Quaderni liguri di cultura», XXVI, 2004, 99/100, pp. 125-29, cit. a p. 125.
  6. Cfr. E. Giammancheri, P. Zovatto, Ricordo di Bruno Maier, Trieste, Edizioni Parnaso, 2003, p. 108.
  7. M. Dell’Aquila, Maier: l’amore del testo, in Aa.Vv., Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro. Per Bruno Maier, Convegno promosso dalla Provincia di Trieste e dal Circolo della cultura e delle arti nell’ambito delle attività dell’Aulé di poesia, con la collaborazione dell’Università di Trieste, dell’Università popolare di Trieste, della Società di Minerva e dell’Istituto giuliano di storia, cultura e documentazione, svoltosi il 20 giugno 2002 presso l’Auditorium del Museo Revoltella di Trieste, Trieste, Circolo della Cultura e delle Arti, 2003, pp. 33-40, cit. a p. 39.
  8. C. Segre, Ritorno alla critica, Torino, Einaudi, 2001, p. 99.
  9. Cfr. B. Maier, La critica sveviana contemporanea, in Italo Svevo:“l’inquietudine del nostro tempo”, a cura di R. Brambilla, Assisi, Biblioteca della Pro Civitate Christiana di Assisi, 1980, p. 35.
  10. G. Cotroneo, Benedetto Croce e altri autori, Soveria Manelli, Rubbettino Editore, 2005, p. 25.
  11. Cfr. G. Gentile, La critica letteraria tra le due guerre, in Novecento, a cura di G. Luti, Padova, Piccin Nuova Libraria Casa Editrice Dr. Francesco Vallardi, 1993, p. 1147.
  12. B. Maier, La letteratura triestina del Novecento, in Scrittori triestini del Novecento, a cura di O. H. Bianchi et al., op. cit., p. 4.
  13. B. Maier, L’assente, Pordenone, Studio Tesi, 1994, p. 101.
  14. Ivi, pp. 141-42.
  15. Cfr. G. Genco, Italo Svevo. Tra psicoanalisi e letteratura, Napoli, Alfredo Guida Editore, 1998, p. 76.
  16. B. Maier, Pubblicare Svevo, in «Il banco di lettura», 1998, 18, pp. 27-31, cit. a p. 28.
  17. G. Genco, Italo Svevo. Tra psicoanalisi e letteratura, op. cit., 1998, p. 17.
  18. E. Giammancheri, P. Zovatto, Ricordo di Bruno Maier, op. cit.
  19. B. Maier, Case a Capodistria, in «La Battana», XXVIII, 1991, 99-102, pp. 159-76.
  20. L’assente”, l’unico romanzo di Maier (del secondo, intitolato Le ali di Pegaso, esiste solo l’incipit), è stato finalista al premio “Strega” del 1995 e ha ottenuto la Croce di Gisulfo al concorso “Latisana per il Friuli”.
  21. I. Visintini, Ricordo di Bruno Maier, in «La Battana», art. cit., p. 7.
  22. A. Mezzena Lona, Maier, la letteratura come passione. Con alcuni saggi ha fatto luce su Svevo e gli scrittori triestini del ’900, in «Il Piccolo», 3/1/2002, p. 25.
  23. U. Saba, Lettere a un’amica. Settantacinque lettere a Nora Baldi, Torino, Giulio Einaudi editore, 1966, p. 24.

(fasc. 44, 25 maggio 2022, vol. II)