OLGA Un anno fa oggi morì nostro padre. Cinque maggio, il tuo onomastico, Irina. Che freddo! Che neve! Io credevo di non arrivare alla sera. Tu eri morta, disfatta. È passato un anno e ce ne ricordiamo appena.
Così la struggente battuta iniziale di Tre sorelle di Čechov[1]. Proiettandoci idealmente verso il 4 dicembre, noi, di anni, ne contiamo oggi cento, non dalla scomparsa, ma dalla nascita del grande poeta che onoriamo. E tuttavia oggi è il 23 ottobre del 2023. Questo significa, contestualmente, che domani, 24 ottobre 2023, saranno cento e uno anni da che a Praga nacque colei che sarebbe stata sua sposa, Elisa (ma, per tutti, Ela) Hlochová. E che dopodomani, 25 ottobre 2023, ricorrerà il loro anniversario di matrimonio: il settantaseiesimo. Non «è passato un anno», dunque, ma ne sono passati cento e uno, cento, settantasei… non importa: certo non si può dire, con la Olga di Čechov, che «ce ne ricordiamo appena». E di questo va innanzitutto ringraziata «La Sapienza» Università di Roma, che con ben due manifestazioni, e soprattutto grazie al costante impegno di Rita Giuliani, ha voluto quest’anno ricordare Angelo Maria Ripellino e il suo mondo[2].
Sappiamo bene come il tema čechoviano del «saremo dimenticati» attraversi tutta la produzione poetica di Ripellino, fino al celebre «non si accorgeranno nemmeno / di quello che hai scritto» del n. 17 di Autunnale barocco[3]. Ma compare già nei primissimi testi rimasti inediti e recuperati, per la meticolosa cura di Antonio Pane, in Poesie prime e ultime. È bello ricordare alcuni versi del 1946:
Sì, c’è un archivio per ogni stagione,
ma sulla nostra vita
nessuno farà una leggenda,
noi scenderemo dal loggione,
sperduti in una folla senza volto.
La menzogna infila i suoi pidocchi
nel bàvero del tempo, ed un giorno
troveranno storpiati i nostri nomi[4].
O ancora:
Quando avremo toccata l’altra riva,
allora il mondo saprà dimenticarci[5].
Tanto più significativa, dunque, è l’occasione di oggi.
Personalmente non ho potuto conoscere Ripellino, ma un giorno sono stato colpito nel profondo dalla folgore del suo formidabile genio e, come mi è avvenuto già di raccontare[6], ho preso ad amarlo nello stesso modo in cui spero possano ancora farlo molti giovani appassionati di lettere, ovvero, per rubare nuovamente le parole del Salvacondotto di Pasternak, «con dedizione, senza riserve, con un’intensità pari al quadrato della distanza»[7]. Così è avvenuto ad altri: già, prima di me e indipendentemente, ad Antonio Pane, e poi a mia sorella Laura, Claudio Vela, Federico Lenzi, Umberto Brunetti, Federica Barboni… Mi permetto di ricordarlo perché ad alcuni di noi, rimasti al di qua del contatto diretto con Ripellino, sono perlomeno toccati quelli che il poeta tardolatino Rutilio Namaziano (de reditu I 11) definisce proxima munera primis, cioè la sorte, subito seconda per felicità, di poter – nel nostro caso – comunque guadagnare un accesso particolare a quel «meraviglioso» attraverso la compagna di una vita e custode della memoria di Angelo. Per questo desidero che questo breve intervento tenga una volta di più, per quanto possibile, strettamente uniti Angelo ed Ela.
Ormai più di vent’anni fa, in vista di una fotobiografia di Ripellino, poi pubblicata su «Il Caffè Illustrato» del marzo-aprile 2003, Ela raccontò ad Antonio Pane e a me vari particolari dei primi anni con Angelo. Prese una bella istantanea a colori, un po’ stinta dal tempo, e la commentò così[8]:
Qui siamo al castello di Karlstejn, vicino a Praga. Ci eravamo conosciuti da poco ed era subito iniziata una tenera amicizia[9]. Il primo incontro fu nel gennaio del ’46; io lavoravo a un’agenzia di viaggi, e, appena terminavo, mi dedicavo agli studi. Mi era stato suggerito di seguire un corso di letteratura italiana contemporanea all’Istituto di Cultura Italiana: quel corso era tenuto da Angelo, chiamato lì da Ettore Lo Gatto. Ancora non conosceva il ceco: lo stava studiando; e io non sapevo ancora bene l’italiano; nei nostri primi incontri parlavamo francese.
Trovo molto bello che i primi contatti di quella tenera amicizia si siano svolti fra i due nella lingua che troviamo come lingua del sogno e del corteggiamento amoroso in Der Zauberberg di Thomas Mann[10]. Ela continuò:
Nell’estate tornò in Italia e rimanemmo in contatto epistolare. Tornò nell’estate ’47 per il Festival della gioventù. Fu allora che entrammo in rapporto con i futuri grandi amici del gruppo di artisti Forma 1, di cui dovevo diventare una sorta di madrina. Li conoscemmo a Praga, dov’erano venuti […] per il Festival […]: Angelo li portò tutti a casa mia. Avevano preparato un vagone pieno di opere d’arte, che però da Vienna, anziché giungere a Praga, era per un errore finito a Budapest. Così, anziché fermarsi tre giorni, come avrebbero dovuto, si fermarono tre settimane, e quella fu l’origine della grande amicizia per esempio con Piero Dorazio e Achille Perilli (che peraltro era stato allievo del padre di Angelo al Liceo Giulio Cesare). All’inizio dell’autunno raggiunsi Angelo a Roma e ci sposammo.
Le chiedemmo allora qualche foto del matrimonio, e lei ci rispose in tutta sincerità che non ce n’erano, e ricordò come fossero andate le cose:
Le nozze fra me e Angelo furono nozze d’altri tempi, modeste e in forma molto privata. Era il 25 ottobre del ’47. Pioveva molto. A mia madre – che peraltro aveva mobilitato un domenicano di sua conoscenza, proveniente dalla Cattolica di Milano, perché indagasse su chi fossero questi Ripellino che si accingevano a portare via la sua Ela – non fu possibile venire da Praga a Roma. E così dei miei non c’era assolutamente nessuno. Dei parenti di Angelo v’erano solo i genitori, e i due testimoni, i coniugi Castaldi, che erano stati coinquilini dei Ripellino in una casa, poi distrutta dai bombardamenti, di via della Lega Lombarda. Partimmo tutti e sei – noi due, i genitori di lui, i testimoni – da via Cimarosa, a piedi, sotto gli ombrelli. Raggiungemmo la cappella della chiesa di Santa Bonosa, a Piazza ‘Quadrata’ (Piazza Buenos Aires). E dopo il matrimonio ce ne tornammo tutti a casa Ripellino, dove mia suocera Vincenzina, che sapeva cucinare molto bene, aveva preparato un pranzetto speciale. E finì così. L’unico gesto di tono un po’ più solenne venne dalla mamma di Angelo, che, attraverso la parrocchia, ottenne una benedizione particolare dal papa. Al momento dello scambio degli anelli un celebrante scalzo, con i piedi tutti bagnati e infangati, fece il suo ingresso portando il tanto atteso telegramma del Pontefice. Il viaggio di nozze? Quando smise di piovere, andammo a Villa Borghese.
Con il marito Angelo, Ela diede vita a quella che fu a lungo definita «l’officina Ripellino». Il loro rapporto di profonda intesa intellettuale si concretizzava in imprese comuni, a tutti noi note, e che non sto qui a ricapitolare, versandole in una nota[11]. Particolarmente toccante l’edizione, nel 1983, di Una notte con Ofelia e altre poesie di Vladimír Holan, per Einaudi. Il saggio introduttivo, da lei tradotto, era di Vladimír Justl, le traduzioni figurano attribuite in coppia a lei e ad Angelo, come anche la cura del volume, nonostante il marito fosse ormai scomparso da cinque anni, sicché a pagina XXII una breve nota di Ela (e precisamente con la sigla «E. R. H.») dedica il libro «alla memoria dei due grandi poeti amici, Angelo Maria Ripellino e Vladimír Holan».
Ripellino a sua volta scrisse molte poesie su di lei e sui loro giorni giovanili in Cecoslovacchia[12]. E ricordò nelle sue liriche anche la malinconica figura della madre di Ela, corteggiata un tempo da Max Brod: l’ha immortalata nella splendida poesia n. 32 di Notizie dal diluvio[13], e poi nel lungo e commovente inedito risalente al 1977 intitolato La vecchina[14]. A Ela Ripellino ha dedicato la raccolta di esordio Non un giorno ma adesso, e poi La Fortezza d’Alvernia e altre poesie, Notizie dal diluvio (con le parole «a lei, a Ela, ancora») e Sinfonietta[15].
Una delle più celebri poesie di Angelo per Ela – la n. 35 di Notizie dal diluvio: molto vicina, dunque, nell’architettura del libro, alla ricordata poesia sulla suocera – esprime l’angoscia dell’autore di fronte al distacco imposto da una morte sentita come sempre incombente. Ma, a leggerla oggi, se ne coglie meglio anche la proiezione verso quel futuro giorno – il fatidico primo giorno di aprile del 2010 – in cui Ela lo avrebbe raggiunto oltre la barriera. Ripellino, consapevole di quanto fosse precaria la propria salute, vi manifesta una parallela consapevolezza di essere destinato ad andarsene prima di lei[16]:
Dove ci incontreremo dopo la morte?
Dove andremo a passeggio?
E il nostro consueto giretto serale?
E i rammarichi per i capricci dei figli?
Dove trovarti, quando avrò desiderio di te, dei tuoi occhi smeraldi[17],
quando avrò bisogno delle tue parole?
Dio esige l’impossibile,
Dio ci obbliga a morire.
E che sarà di tutto questo garbuglio di affetto,
di questo furore? Sin d’ora promettimi
di cercarmi nello sterminato paesaggio di sterro e di cenere,
sui legni carichi di mercanzie sepolcrali,
in quel teatro spilorcio, in quel vòrtice
e magma di larve ahimè tutte uguali,
fra quei lugubri volti. Saprai riconoscermi?
Mi sembra interessante sottolineare come questa celebre lirica si apra con una movenza che richiama abbastanza da vicino l’apertura di una poesia di Vladimír Holan, dal significativo titolo Sempre lei, appartenente a una raccolta del 1967 che anch’essa reca un titolo non meno significativo: In punto di morte. Nella traduzione dell’“officina Ripellino”, reperibile nel ricordato Una notte con Ofelia, l’incipit di Sempre lei suona «Dove incontrarci? L’estate è fuggita»[18]. E, tratto non meno interessante e significativo dei precedenti, in quello stesso Una notte con Ofelia – che, ricordo, è uscito nella “bianca” Einaudi, con la dedica di Ela, co-curatrice con Angelo, ai defunti Ripellino e Holan – la poesia Sempre lei, con quel suo «Dove incontrarci?», è proprio quella scelta per venire esposta (quasi nella sua interezza) in copertina.
Notizie dal diluvio vede la luce nel 1969: in questa raccolta cogliamo la fase matura e assestata del rapporto con Ela. La tratteggia un’altra celebre lirica, la n. 43[19]:
Cresce dal bianco e nel bianco si scioglie,
così da non essere né da esser cresciuto,
eppure cresce e non potrà farsi nero,
né oggetto né limite, e non avrà mai volume.
Di bianco in bianco, appena percettibile
solo ad occhi invaghiti, filiera di luce,
che avvampa e si affioca in uno spazio infinito,
che sorge ed annega in un precipizio prospettico,
timidezza che nega persino i vezzeggiamenti,
che preferisce l’assenza alla cattura,
fuga in filigrana, galassia con frange di lacrime,
disperatissimo imbroglio: un amore che dura
ormai da vent’anni.
Fra i fuochi artificiali della lingua, spremuta come tubetto di colore sulla tela della pagina, e del caleidoscopico stile[20], si intravede da parte del poeta una “sistemazione”, personale e indubbiamente assai soggettiva, della vita di coppia. Un contrappunto di passione e ritenutezza, «timidezza che nega persino i vezzeggiamenti», di infinita apertura e forse limiti imposti alla libertà («avvampa e si affioca in uno spazio infinito», «fuga in filigrana, galassia con frange di lacrime, / disperatissimo imbroglio»).
Se ci spostiamo un po’ più indietro nel tempo, colpiscono per il loro trasporto e per la loro giovanile carica di entusiasmo le molte poesie, recuperate nell’edizione postuma curata da Antonio Pane, che risalgono ai primi tempi dell’amore con Ela. Databili fra febbraio del 1946 e fine 1947[21], sono parte di un’appassionata manovra per colmare una distanza: affiancandosi a un fitto carteggio (testimoniato da Ela, ma, temo, perduto), stilano il verbale di un’improvvisa fioritura del cuore, che la lontananza va rinvigorendo[22]. Di alcune, come ricordavo, si conserva anche la traduzione in ceco di Ela, ulteriore riprova, ce ne fosse bisogno, di quanto profondamente questi testi fossero radicati in quel primo remoto reciproco innamoramento[23].
Accanto alle icone di Ela sulla Vltava[24], spicca soprattutto il vero e proprio mito personale del fiume Berounka e della vecchia capanna (a cui Ela disponeva di un misterioso accesso) che fu luogo di primi incontri e di scambi intellettuali e letterari[25], rimasti sempre incandescente ricordo. Basti pensare alla stilizzazione che ancora ne tesse Ripellino in uno dei suoi ultimi libri, e cioè nel testo eponimo di Storie del bosco boemo, al paragrafo numerato 6[26]:
[…] risolsi di fare un salto nei dintorni del paese, per rivedere una capanna legata alla mia giovinezza.
Immaginate un paesaggio siffatto: l’argillosa e plumbea Berounka, il terrapieno con la strada ferrata, un largo prato cosparso di vecchie scarpe e scatole vuote, – e infine una capannuccia di tronchi con cancelletto e veranda e sambuchi all’intorno, sull’orlo di un bosco. Era chiusa ed abbandonata, ma in cima al comignolo dormivano ancora, come una volta, due colombi rossicci. Mi tornarono alla memoria i giorni in cui vi andavamo da Praga, dalla stazione di Smíchov[27]. Estrella traeva da uno zaino due chiavi enormi. Aperta la scricchiolante porta massiccia, tanfate di umido e di stantìo ci aggredivano. All’interno da una scaletta di lampionaio traboccava, obesa pasta di piume, una massa di molli piumini, sempre più rosicchiati dai topi. Topi morti giacevano dentro una trappola incrostata di ruggine.
Anche adesso, mentre osservavo con malinconia quei tronchi muffiti, di tanto in tanto si udiva, come in un vecchio carillon, la musica di un passaggio a livello. Guardai dalla parte del fiume: come allora, un treno merci se ne andava svogliato in direzione di Řevnice. Agosto era agli sgoccioli.
Continuamente si riverbera questo mito nei testi poetici della stagione 1946-47. A cominciare dalla poesia direttamente intitolata O Berounka (1946)[28]:
Berounka, fiume triste
come un corteo di topi,
ferisce il tuo pallore
con scaglie violacee la luna.
[…]
O Berounka, o Berounka,
corteo lento di topi,
tutti i più dolci ricordi
nel mio male mi sono tornati.
O ancora in versi da Siamo scesi sul fiume, per guardare (marzo 1946)[29], da Ricordo il volo straziante dei gabbiani[30]; o da Noi scendiamo le scale del calendario (entrambe sempre del 1946)[31]:
Ricordo la Berounka, solenne
come una pagina del Testamento,
e il mormorìo gutturale delle ombre
che si perdeva tra boschi e capanne.
Conosco lo slang di quelle ombre
che, lungo rive coperte di mota,
come il destino avaro ci inseguivano
con un chiacchierìo fastidioso.
Molta tristezza adorna il frontespizio
dei giorni passati, e la felicità
non resta nelle schede, come un libro,
ma, velata di nero, svanisce.
A questo della capanna lungo la Berounka si connette il mito dell’aprile. Un mese – prima di quelli del 1978 e del 2010[32] – ancora tutt’altro che «crudele»: e anzi porta che apre sui ricordi e la gioia. Basterebbe – sempre fra gli inediti del fervido biennio 1946-47 – il Lungo poema d’aprile (datato 1947, si direbbe, con evidenza, appunto in aprile)[33]
Tu sei a Smichov, è tempo di Pasqua,
e aspetti il treno-formica, s’addensa
la nebbia chiara sul verde
tra selve di fiori gialli,
come aironi si piegano i fiori.
Mentre tu aspetti, brulica la folla
nello stanzone coperto di cicche e fanghiglia,
di vecchi orari e biglietti forati.
Poi sali sul treno che delira
e ti inonda di cenere balorda.
Qui, sul Tevere, sprizzano i tramonti
da un’incudine di rame,
la luna ha un alone di frecce
che spicca contro le foglie.
[…]
Come allora, tu bussi alla mia porta,
cantando «Il mondo azzurro scuro»,
mentre da ogni angolo divampa
l’incendio bugiardo d’aprile.
Tu copri le cose, come l’acqua,
ed il fondo dei sogni resta chiaro,
attraverso di te, mio cristallo,
vedo un orizzonte fiorito.
[…]
Stagioni, care immagini
dei miei distacchi e delle mie speranze,
la pioggia è innamorata
delle pietre e di noi e del fiume.
[…]
io dimentico il mio male
che in punta di piedi, l’inverno,
come un’ombra, mi seguiva.
[…]
E la giovinezza è aprile,
e tu, mio cristallo, sei aprile,
e gli urli dell’uccelliera
anch’essi sono aprile.
E l’acqua verde di salici,
e i gelsomini fioriti,
e l’acqua che odora di treno
e il crepitìo delle rane.
E tutti i fiori, come occhi,
ed il passaggio a livello,
ed il comizio dei gabbiani a riva
e la smania degli alberi,
appena fa notte.
Ora se aprile è aprile
anche nella tua terra,
poggia le mani sul vento,
apri le finestre alla luce
e grida che noi siamo vivi.
Da vedere anche Previsioni metereologiche (1947)[34]:
Forse aprile sarà un’allegoria[35],
treni barocchi corrono in aprile
con volute di fumo che nel vento
si fanno angeli dalle gote gonfie.
Primavera cavalca lungo la ferrovia,
traversa la Berounka limacciosa,
primavera cavalca lungo il fiume,
fra schegge di vetro e piume di colombe.
[…]
Nella Berounka già si sentono le rane,
tra giunchi rossicci e blatouchy,
si sgretola la fanghiglia delle sponde
in lunghe e torbide filacce.
E infine l’Elegia per Ela del 1947 (palese il sottile, esibito gioco paronomastico che inscrive il nome dell’amata nel cartiglio di un illustre genere poetico)[36]:
Quando riappare la tiepida luna
tra ramo e ramo, le sere d’aprile,
si posano le mosche insonnolite
sugli orologi di vecchie stazioni.
Prima di sera, sul tender del treno
sbocciano fiori che il vento travolge,
tu esci dalle quinte dell’inverno
tra le frange di luce del fogliame.
[…]
Quando ritorni, la notte, col treno,
e le chitarre ronzano come zanzare,
schiere d’alberi crollano sui finestrini,
e nel fiato gèlido d’aprile
ti senti frusciare sul viso
tutta l’erba del mondo che riluce
dietro una lanterna gialla.
Fra il motivo dell’aprile e quello della Berounka si affaccia qui anche il ricordo di uno degli affetti maggiormente presenti accanto alla giovane coppia in formazione, l’attrice Zora Jiráková, le cui lettere, più avanti nel tempo, saranno da Ripellino trasformate nelle liriche di un ciclo che si colloca ai vertici della sua poesia[37]:
Quando l’inverno in un sudicio letto
muore come gli avari nelle stampe,
attorniato da eredi e pipistrelli,
fioriscono i salici, nidi di vespe,
con bocciòli spinosi e ricciuti,
lungo la strada in salita che porta
da quell’amica che si chiama Zora
e recita al disk ogni sera.
Questa lontana, prima stagione praghese del loro incontro, presa nel suo complesso, gemma cristalli di partecipati ricordi anche in un testo pubblicato da Ripellino in rivista nel 1952 che, nel titolo Mia sorella Praga, significativamente s’ispira al titolo di Pasternàk Mia sorella, la vita[38].
Fra le poesie “ufficiali”, ovvero quelle pubblicate in vita da Ripellino, il mito personale dei giorni della Berounka ritorna nelle struggenti nostalgie del n. 52 di Sinfonietta, che chiamano alla ribalta due importanti parole chiave dell’universo di Ripellino, inscritte l’una nell’altra, «giovinezza» e «gioia»[39]:
Tornare dal fiume Berounka, dal nero fiume la sera,
intrisi di malinconia, scarruffati dalle chitarre,
in un trenino sbilenco che balla come una balera
sotto il barbaglio di stelle malariche.
[…]
convocateli subito i dolci ricordi appassiti,
accarezzate le chiome della memoria,
restituitemi la giovinezza, la gioia,
fate questo miracolo.
Dell’autentica pioggia di versi su Ela che segna la prima produzione di Ripellino, solo una parte relativamente piccola viene riconosciuta da Angelo degna di entrare nelle raccolte pubblicate. In quella di esordio, Non un giorno ma adesso, si segnalano soprattutto Senza di te e Lungo i campi polacchi ti ho pensato[40], testo in cui Ela si fa riconoscere per quegli stessi «occhi smeraldi» che abbiamo incontrato nella n. 35 di Notizie dal diluvio:
[…]
Ho sognato le tue camicie sghembe,
lunghe sino agli antìpodi,
i tuoi verdi occhi socchiusi
tra le pagliuzze delle ciglia.
[…]
Ed io pensavo al tictac della tua voce,
che cinguetta come una grondaia,
ai tuoi denti, minuscole lampade
nel grigiore funesto dei miei giorni.
L’angelo di Angelo si intravede naturalmente anche fra i ferrigni e cupi colori di La Fortezza d’Alvernia. Da lontano, nell’incipit del n. 17 del poema (Da questa spenta città minerale vi mando notizie e un fagottino di desideri[41]) e nel n. 34, in cui accanto a Ela si delineano le figure dei figli[42]:
Va’ a Roma, ballatetta, a salutare
ciò che più amo, il mio Tingeltangel,
la loro allegrezza ferita, ma non turbarli
col troppo ricordo da questa corte di pianto.
Cruda ventura mi avvinghia, e nulla, nulla
può scaldare il mio gelo. Giorno e notte
è una battaglia di sospiri che attraggono
come adamàs un acquivento di lacrime.
Ma tu va’ a Roma, ballatetta, a scherzare
come Despina, come se nulla.
Quando, travolti dalla passione per gli scritti di Angelo e dopo aver, di conseguenza, chiesto un colloquio alla signora Ripellino, mia sorella Laura, Antonio Pane e io entrammo per la prima volta nello storico appartamento di Via Sant’Angela Merici 69 ‒ erano le 15 del 12 marzo 1988 ‒, Ela ci accolse con cordialità e con molta prudenza[43]. Era abituata alle improvvise accensioni e si apriva, sì, a chi desiderasse accostarsi al mondo di Ripellino, ma con riserbo e infinite cautele. E, a ripensarci da oggi, non poteva che essere così: quel mondo era troppo profondamente anche il suo personale; era stato ed era il “loro” universo. Al di là del profilo pubblico, che aveva registrato soprattutto i successi di Angelo, v’erano i mille risvolti privati, le vicende della famiglia, gli stessi travagli della loro vita di coniugi (di cui lei aveva profondamente – e anche pubblicamente – sofferto, e che tuttavia non le impedivano ora di continuare a farsi custode e promotrice del legato di Angelo e delle memorie di un passato comune). E quelli erano tutti àmbiti che richiedevano adeguata protezione.
La forza centrifuga delle storie “alternative” prospettate dalla «bella vita dalle mille offerte»[44] tenta, come ben sappiamo, anche i rapporti più solidi. Gli inediti poetici di Angelo hanno messo in luce un piccolo cedimento di Ela all’altezza del 1955, cui, per quanto marginale e di relativa importanza possa essere stato, Ripellino, nella sua gelosia, assegnò un rilievo tale da assumerlo come fine della propria giovinezza (basti la poesia Così, spazzando la gioia della mia giovinezza: dove si apprezzi il ricorso dei due cruciali e interconnessi poli di felicità di cui già si diceva)[45]. Tuttavia, fra i tardi Cinquanta e gli anni Sessanta la presenza di Ela nei versi è ancora forte, e il suo profilo vira da quello del giovane angelo foriero di ebbrezze e di sogni verso quello della solida compagna di una vita che troveremo confermato nella ricordata poesia 43 di Notizie dal diluvio: in questa direzione vanno inediti come A Ela, di difficile datazione su quei due decenni (incipit «quando sei triste, quando sei più triste, / perle nere tu compri alla fiera del pianto»[46]), e soprattutto «Mi sono scelta una sposa», con datazione congetturale successiva al 1957[47]:
Mi sono scelta una sposa,
bionda e bella come Pearl White.
È nata sui tetti di Praga,
città radicata al mio cuore,
e sgambetta affannata per le stanze
come nelle straducole sghembe
d’un variopinto quartiere cinese.
Una sposa a tutto vapore,
che piange ogni tanto per nulla,
come un attore che reciti per puro giuoco.
Per me, arrugginito nei libri,
somiglia a un allegro cow-boy
su grigi prati di legno.
Mi ha regalato due figli, due piante
con foglioline di ruvida seta,
con occhietti furbi, due scoiattoli
che girano come due trottole
nel mio levigato silenzio.
Più avanti nel tempo, il cedimento alle seduzioni si avrà, notoriamente, sul fronte di Angelo. Possiamo qui sfiorarlo con queste parole di un suo famoso saggio del 1970 (e ben sappiamo da Ripellino stesso che «ogni discorso sugli altri è un diario truccato»): «Il gabbiano è anche un’allegoria spietata di quel male inevitabile, di quel fumoso e ubriaco fuoco di rèsina, che è l’invaghimento di un quarantenne per una fanciulla, e del viceversa, l’estatica infatuazione di una fanciulla per un quarantenne»[48].
Ela, com’è risaputo, rispose con il suo dolente e doloroso “romanzo”, pubblicato due anni dopo, Variazioni su un tema grigio, trasparente nei temi e negli intenti, sebbene sul retro del frontespizio vi si precisasse «la vicenda narrata in questo volume non contiene riferimenti personali». Proprio il romanzo di Ela, per quanto si fermi all’altezza del 1972, documenta – con un’intensa sofferenza che, come sappiamo, non lesina tratti impietosi – le difficoltà della coppia. Parallelamente, la presenza di Ela si attenua un poco nelle ultime raccolte di Angelo. Nello Splendido violino verde, del 1976, sembra muovere da lei la tenera battuta riportata a chiusa della poesia 18[49]:
sebbene ogni tanto si accorga di esagerare,
quando gli dicono: Amore, esci dall’ombra,
non rurulare come gli uggiosi ranocchi,
non ti crucciare della tua grama salute, del tuo barcollío
di parvenza di fieno e bambagia tenuta su grucce:
tutti noi siamo nati dal malumore di Dio.
Ed è forse proprio a Ela rivolta la quartina del n. 72:
Darling, lo so, il mio continuo lamento ti attedia,
questa eterna altalena tra ebbrezza e malore.
Il mio rammarico è forse volontà di commedia.
Grande è la buffoneria del dolore.
Ma il ruolo di Ela come colonna e perno della stabilità personale si trova ribadito nel testo n. 39 (incipit «Nella mia tristezza entravano masnade»), che tratta appunto, autoironicamente, della malia tentatrice delle “storie alternative”; ne cito solo qualche verso[50]:
«Fedeltà» è una parola che trasciniamo a fatica,
bruciata come il legno di una chitarra zigana:
senza la mia unica donna mi mancava la vita,
ma le altre, tuffolotte, premevano con sguardi succhiosi
e con popolline mature, bramose di darsi buon tempo.
Ecco Violante tra i capelli di rame di un fràssino
in un caffè di Kufstein, ma frenetiche turbe
di claudicanti vecchiacce sbucate da tane di tassi,
con ricciolini e cappelli a cloche, Dio ci salvi,
dimenando un nodoso Alpenstock, mi garrivano:
«Stop, torna subito dalla tua unica!» E le Alpi
azzurre ripetevano: «Fedeltà!», come corvi.
E se Aquilia Zborowska dai guanti glacés fino al gomito
e dal collo lungo lunghissimo mi accarezzava le mani,
chiamandomi: «Dolce mia fiamma», «Idol mio»,
di colpo la gaglioffesca fanfara di pece dei corvi:
«Non si può. Non si deve.
Dove vai? Dove corri?
Parlane prima con Modigliani».
Coniugale – di questo connubio fatto di un amore che dura, questa volta, da più di trent’anni – è l’ultimo lacerto familiare nelle poesie pubblicate, nella n. 65 di Autunnale barocco (1977)[51]:
A mano a mano si fa sempre più squallida
e deserta la casa. Un freddo tè sul tavolo.
E non vi sono più fiori nei vasi di cristallo.
Vi si incontrano angeli sempre più stolidi,
incrostati di muffa e di bava,
angeli claudicanti e molto grigi.
In salotto una vecchia ed un vecchio sempre più soli
parlano di Parigi.
Ma, fra gli inediti, un testo del 1977 ci riporta all’atmosfera di quel «Dove ci incontreremo dopo la morte?» di Notizie dal diluvio, 35[52]:
Verrai ogni tanto a visitarmi sottoterra,
come una bionda Persefone
in mezzo alle larve baritonali.
Ricordi: già ne parlammo a Wiesbaden.
Mi promettesti che quando prenderò alloggio nell’Orco,
di tanto in tanto verrai per un breve soggiorno
a consolare la mia malinconia,
il mio desiderio della terra,
a narrarmi degli amici.
E non importa se i figli
ti prenderanno per matta, pensando
che ciò che è morto va dimenticato
e che è assurdo questo lugubre turismo.
L’indefesso appoggio di Ela ha propiziato negli ultimi trent’anni la fioritura di sempre nuove iniziative librarie e teatrali nel segno di Angelo, combinate talvolta con vere “spedizioni” che le davano gioia. Era, per esempio, il gennaio del 2005 quando, a Siena per una serie di iniziative, Ela pernottò nello stesso Hotel in cui un tempo si era fermato Alexandr Blok. Il più giovane dei suoi «cavalieri», come li chiamava, Federico Lenzi, la guidò per una lunga perlustrazione degli angoli più suggestivi (da allora, tutti gli anni ha avuto nel suo studio un calendario con le immagini della città del Palio).
Con materna, infinita pazienza Ela ci accoglieva nella casa-tempio di via Sant’Angela Merici, lasciava che «carezzassimo» libri e inediti[53], ci prestava materiali e preziose istantanee di tempi remoti, ci spiegava poesie e ci dispensava tasselli di quei giorni che desideravamo insieme far rivivere. Negli ultimi anni la sua salute era piuttosto precaria, ma cercava sempre di nasconderne le condizioni con grande riservatezza. Ogni volta che la andavo a visitare, trovandola fisicamente debilitata, mettevo in conto che quello potesse essere il nostro ultimo incontro – sebbene siano sensazioni cui si fa resistenza, per tornare a farsi assorbire dalle “proprie cose”. E sempre ho avuto l’impressione che lo stesso pensiero si affacciasse in lei, segretamente opprimente, sebbene entrambi volessimo nascondercelo. Di qui quella sorta di commossa trepidazione che segnava il suo sguardo al momento dei saluti, velando di ansiosa malinconia quel qualcosa «di inespresso, di inafferrabile» che, secondo quanto ha scritto Angelo, «è in ogni congedo»[54]. Del resto, i congedi non le piacevano; «meglio non moltiplicarli», mi disse una volta che, prima di partire per un viaggio, ipotizzavo di tornare il giorno dopo a salutarla. I suoi ultimi anni sono stati allietati dall’affettuosa presenza dei nipoti: Livia e Giulia, le figlie di Alessandro, e i leggendari gemelli di Milena, Daria e Pea, cantati nella loro infanzia da Angelo; e addirittura da quattro bisnipoti[55]. Ma sempre pensava con nostalgia alla sua Praga e carezzava l’idea di tornarvi, pur nella persuasione che ormai si sarebbe dovuta accontentare di vagheggiarla da lontano. La sua città, in cui tutto era cambiato. Laggiù era la sua casa natale, in pieno centro, vicino al Teatro Nazionale, perduta con l’occupazione sovietica. Al momento di poterla riscattare, dopo la caduta del muro di Berlino, la pratica burocratica era troppo complessa e onerosa per essere affrontata dall’Italia. La sua porzione del palazzetto fu così poi acquisita da un cugino. Praga era per lei il ricordo della giovinezza, e dei cari via via venuti meno. Fra questi, di recente, nel marzo del 2008, anche Zora, l’attrice che aveva scritto ai Ripellino lettere così toccanti da spingere Angelo a trasformarle nella serie di liriche già sopra ricordate. Per il Natale del 1988 – quello del decennale della morte di Angelo – ne ricevette una particolarmente commovente, che volle tradurmi, aggiungendo: «Angelo certo ne avrebbe fatto poesia». Ne ho data lettura in occasione delle celebrazioni tenutesi qui a Roma lo scorso 12 giugno. Ma mi sembra opportuno riportarne la parte principale anche in questa circostanza. Diceva fra l’altro[56]:
[…]
Mi ha terribilmente sorpreso che siano passati già tanti anni dalla morte di Angelo, ma quando penso che Vladia se n’è andato nel ’71, cioè più di diciassette anni fa – si era in giugno…–, vedo che è così.
Anche tua madre manca già da un paio d’anni.
La penso spesso: quei suoi occhi fiordaliso, che si riempivano così sovente di lacrime, ad ogni ricordo del figlio lontano, ma anche alla sua gioia per ogni tua lettera.
Era fiera di Sandro e lo amava con tutto il cuore. Ma si vantava anche dei bellissimi gemelli e ne sapeva raccontare in modo delizioso. Al suo nome resta legato il ricordo di una donna buona, modesta, che si meritava una felicità maggiore di quella che la vita le ha offerto.
Sì, questo è il lato negativo del Natale, delle sue gioie. Ti sommergono i ricordi di coloro che ci hanno lasciato per sempre. Il loro posto a tavola è vuoto per sempre. Ma i loro nomi, tutto ciò che è a loro legato, ciò che hanno significato, resta con noi fino alla fine dei nostri giorni. E questo è forse di un qualche conforto.
È domenica, sono seduta al tavolo e la radio mi suona piano le canzoni di Edith Piaf. Si ricorda che ha lasciato la sua Parigi proprio venticinque anni fa. Le sue melodie sono qui, e vivono…
Non volermene, se sono un po’ sentimentale e vicina alle lacrime. Non mi succede spesso, me ne difendo: ma sto scrivendo a te, che, nonostante tutto ciò che è capitato, sei così intimamente legata alla nostra vita, a quello che abbiamo vissuto insieme, di cui eravamo felici e per cui ci struggevamo. Erano la nostra giovinezza, le speranze, i progetti per il futuro.
I nostri progetti: te li ricordi? Vivere insieme in una garçonnière, tu scriverai racconti, io farò l’attrice…
Tutto è andato poi diversamente.
Ma non dobbiamo essere ingiuste. La vita ci ha negato molte cose, però moltissime ce ne ha anche donate. Diciamo allora
je ne regrette rien.
Ti auguro di tutto cuore di passare un Buon Natale,
Zora
Per caso, queste parole mi tornavano in mente proprio la notte del primo aprile 2010, mentre, avvicinandosi le feste di Pasqua, pensavo alla malinconia di chi vive da solo. Sapevo che Ela non era stata bene ed era ricoverata all’ospedale Pertini, ma, con superficialità, immaginavo uno dei consueti malori passeggeri. E per Pasqua era addirittura in arrivo dalla Svezia il figlio Alessandro…
Ora Ela riposa al camposanto del Verano in Roma, accanto alle spoglie del marito, che volle inciso sulla propria lapide «Angelo Maria Ripellino, poeta». E mi pare bello salutarla con tre versi di Angelo così pieni di vita, tratti da una delle primissime poesie di quella loro prima stagione (febbraio 1946)[57]:
Ela, per te, dal fiume
cresce questa ventata di luce
che ci inonda di verde.
Il verde di quel magico, splendido[58], vecchio violino[59] che per lei ha fatto valere la sua musica, rendendola una figura di rilievo della nostra poesia del Novecento.
-
A. Čechov, Tre sorelle, prefazione e traduzione di G. Guerrieri, Torino, Einaudi, 1953 (1964, 1991). ↑
-
In occasione della prima ‒ il convegno Angelo Maria Ripellino (1923-1978) maestro e poeta. Nel centenario della nascita, a cura di S. Toscano e R. Giuliani (Roma, Università «La Sapienza», Odeion – Museo dell’arte classica – Facoltà di Lettere e Filosofia, 12 giugno 2023), di cui «Diacritica» pubblica gli atti, l’intervento di mia sorella Laura e mio si limitava ad alcune letture di poesie dal “ciclo di Zora” (vd. sotto, nota 37): ne recupero qui solo la lettera riportata in chiusa di articolo. ↑
-
A. M. Ripellino, Autunnale barocco, s. l., Guanda («La Fenice»), 1977 (cfr. anche i versi citati oltre, nota 58). Da ora in avanti citerò le poesie di Ripellino (su cui cfr. nota 15) facendo riferimento ai due volumi che tutte le conservano. Per le raccolte einaudiane: A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo, F. Lenzi, A. Pane e C. Vela, Torino, Einaudi, 2007. Per tutte le altre raccolte e i versi inediti e rari: A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, a cura di F. Lenzi e A. Pane, presentazione di C. Vela, introduzione di A. Fo, Torino, Nino Aragno Editore, 2006. La poesia sopra citata nel testo, Non si accorgeranno nemmeno, è ora in A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 229. ↑
-
Da A. M. Ripellino, Neve e mitologia [1946], in Id., Poesie prime e ultime, op. cit., pp. 369-70, nota di Pane a p. 503. Sulle poesie della prima stagione di Ripellino, e in particolare su quelle del biennio 1946-1947, è importante l’articolo di Antonio Pane (che all’epoca accompagnava già una rosa di questi testi: pp. 97-122), Gabbiani sulla Vltava, in «Idra», n. 1, 1990, pp. 123-38. ↑
-
Da Siamo scesi sul fiume, per guardare, del marzo 1946: in A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 343. Nota di Pane a p. 501. A proposito di queste antiche poesie del 1946-47, segnala Pane a p. 409 che si conservano «traduzioni in ceco, dovute a Ela Hlochová, di nove di esse (precisamente: Notti praghesi; “Ela, per te, dal fiume”; “Siamo scesi sul fiume, per guardare”; Ballata; “Forse nel vento troverò le note”; “Di flauti e di rosse cicale”; “Esiste ancora il passato. È la luna”; “Una gialla civetta nel bosco del male”; “La notte è lucida come un vecchio cilindro”)». ↑
-
In A. Fo, «Datemi un violino, e»… Concerti da camera che spostano il mondo, postfazione ad A. M. Ripellino, Lo splendido violino verde, edizione introdotta e commentata da U. Brunetti, Roma, Artemide, marzo 2021, pp. 297-301. ↑
-
Cito qui Il salvacondotto (parte prima, fine capitolo 2) da una vecchia edizione I Nobel letterari Editrice, traduzione di G. Crino, Roma 1971, pp. 16-17. ↑
-
Opero qualche taglio sul testo che si può leggere in Dossier Ripellino, con fotobiografia (raccontata da Ela Hlochová Ripellino), scritti dispersi di Angelo Maria Ripellino, saggio di Alessandro Fo (Paralleli: Ripellino dopo 25 anni: pp. 45-48), a cura di A. Fo e A. Pane, in «Il Caffè Illustrato», bimestrale di parole e immagini, diretto da W. Pedullà, Vol. 11, 2003, 36-59 (qui p. 52). Sostanzialmente in asse con questo racconto (ma cfr. quanto precisato oltre, alla nota 22) è ciò che Ela rievoca nei capitoli iniziali del suo romanzo Variazioni su un tema grigio, Padova, Rebellato, 1972, del tutto e assolutamente autobiografico. ↑
-
Nel seguito dell’intervista (sempre a p. 52), Ela specifica: «in questa occasione penso fossimo attorno al mese di marzo». Fra gli inediti, la ricordata Neve e mitologia recita: «Ricordi la mattina a Karlštejn, / la neve s’era annidata / nelle orecchie degli alberi, nei fili d’avena / caduti per la strada, ed il vento / la succhiava, come una pompa idraulica. // Noi salivamo, tra schiere di corvi, / venuti al congresso domenicale, / sui manifesti la questione della Slesia / lottava col vento fluviale». ↑
-
Alludo in particolare all’incontro fra Giovanni Castorp e Madame Chauchat nel paragrafo Sabato delle streghe del capitolo quinto (pp. 381-91, specialmente a p. 383, dell’edizione in cui lessi il romanzo, quella tradotta da Bice Giachetti-Sarteni per «I Corvi» Dall’Oglio, La montagna incantata, Milano 1930). ↑
-
In collaborazione con Angelo, Ela tradusse Veřa Linhartová, Interanalisi del fluito prossimo, Torino, Einaudi, 1969 e poesie di Vladimir Holan confluite poi in V. Holan, Una notte con Ofelia e altre poesie, Torino, Einaudi, 1983 (di cui più sotto; ripubblicazione: V. Holan, Una notte con Amleto. Una notte con Ofelia. E altre poesie, Torino, Einaudi, 1993). Alla sola Ela si devono le traduzioni di Bohumil Hrabal, Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare, Torino, Einaudi, 1968 (con una nota di Angelo); Ladislav Fuks, Il bruciacadaveri, Torino, Einaudi, 1972 (con introduzione di Angelo); Jiří Fried, Hobby, Torino, Einaudi, 1975 (con quarta di copertina di Angelo). Per i tipi di case editrici diverse da Einaudi, Ela ha tradotto Jan Otčenášek, Romeo, Giulietta e le tenebre (presentazione di Angelo), Firenze, Nuova Accademia 1960; Jiří Langer, Le nove porte. I segreti del chassidismo, Milano Adelphi, 1967; Il peccato del parroco Andrea e Il tuono viola, Milano, Nuova Accademia, 1963 (Il peccato del parroco, per la sua veste economica, è un’edizione ridotta e divulgativa di Il tuono viola; ristampa con titolo La casa felice e altri racconti, con postfazione di Angelo, Milano, SE, 1988); B. Hrabal, Dribbling stretto ovvero Nodi al fazzoletto, romanzo-intervista; domande e risposte annotate da L. Szigeti, traduzione di E. Ripellino-Hlochová e G. Dierna, a cura e con una postfazione di G. Dierna, Milano, Sapiens, 1995) e ancora poesie da L’ombrello di Piccadilly di Jaroslav Seifert, Roma, e/o, 1985. Ela pubblicò anche varie traduzioni in rivista. Su «Carte segrete» apparvero la traduzione di Svatý Tadeáš a Generalissimus (San Taddeo e il Generalissimo) di B. Hrabal (a. 1, n. 1, gennaio-marzo, 1967, pp. 96-114) e dei Colloqui di esatta fantasia di Karel Čapek e Tomáš Garrigue Masaryk, tratti da Hovory s T. G. Masarykem, 1929 (a. II, n. 7, luglio-settembre 1968 (pp. 51-69). Su «L’Europa letteraria» (a. I, n. 2, marzo 1960, pp. 73-82) apparve invece la traduzione di Jan Otčenášek, Romeo e Giulietta (che include lo scritto Aragon presenta Otčenášek). ↑
-
Sono tutte raccolte da Antonio Pane nella sezione di A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., che, all’insegna di un verso ripelliniano (ivi, a p. 434), s’intitola «Un rigoglio di accese somiglianze». Versi inediti e rari. Vi ritorno in dettaglio più oltre. ↑
-
A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio (vd. nota 15), n. 32, ora in A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo, F. Lenzi, A. Pane e C. Vela, op. cit., p. 46. Vale la pena di riportarla per intero: «Ora che ormai anche l’ultimo figlio / se n’è andato oltre frontiera / e non dà più segno di vita, / che cosa le resta la sera, / quando le carrozze dei treni languiscono vuote / e il circo vicino ha spento le sue piccole lampade? / Che cosa le resta la sera, se non appoggiarsi / sul davanzale coperto di neve, e singhiozzare e piangere? / Tutta curva e con lunghe braccia reumatiche, / sparge ossi ai gatti e mangime agli uccelli. / Oh, se avesse le loro piume, per ripararsi dal freddo / nel triste scantinato in cui vive, / sommersa da bucce, rifiuti, ciarpame, brandelli. / Scardanelli a volte le fa visita, e parlano / dei tempi in cui lavorava alla posta, e ogni giorno / veniva a prenderla Max Brod». Anche Ela Hlochová (in Variazioni su un tema grigio, op. cit., p. 77), ricordando la madre, scrive del «misero scantinato dove ora abitava, senza il conforto del figlio, sempre in attesa di qualche mia lettera». È forse dedicata alla madre di Ela anche la poesia n. 14 di Lo splendido violino verde (incipit: «Sola sola prepara sciroppi»), ora in A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo, F. Lenzi, A. Pane e C. Vela, op. cit., p. 214. ↑
-
Ora in A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., pp. 480-82; per la descrizione e la storia editoriale cfr. le note di Antonio Pane alle pp. 500 e 510. ↑
-
A. M. Ripellino, Non un giorno ma adesso, Roma, Grafica («Collana di poesia e letteratura contemporanea» s. n.), 1960; Id., La Fortezza d’Alvernia e altre poesie, Milano, Rizzoli («Poesia» s. n.), 1967; Id., Notizie dal diluvio, Torino, Einaudi («Collezione di poesia» 62), 1969; Id., Sinfonietta, Torino, Einaudi («Supercoralli»), 1972. Le due ultime raccolte di Ripellino – Lo splendido violino verde, Torino, Einaudi («Collezione di poesia» 132), 1976 e il già citato (alla nota 3) Autunnale barocco ‒ sono invece prive di dediche. ↑
-
A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio n. 35 (ora in A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo, F. Lenzi, A. Pane e C. Vela, op. cit., p. 49). ↑
-
Potrebbe (ma non ne sono sicuro) riferirsi a Ela anche Sinfonietta n. 39 (in A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo, F. Lenzi, A. Pane e C. Vela, op. cit., p. 143), che inizia «Il mio smeraldo mi ha narrato storie verdi». ↑
-
È a p. 24 dell’edizione 1983 di A. M. Ripellino, Una notte con Ofelia: «Dove incontrarci? L’estate è fuggita / e non potrei gettarti una vipera in seno. // Da chi incontrarci? L’autunno/ nella varietà dei suoi frutti / ha il motivo di rifiutare i doni. // Quando incontrarci? Tutte le ombre / degli elementi di natura scatenati / non si diradano, se sull’amplesso nevica. // Perché incontrarci? La primavera c’era / prima che Adamo desse nome agli animali. / Fino a quando ci incontreremo? La morte è ceca: / sente il sesso, poi afferra…». A p. 19 la notizia che la lirica è tratta «dalla raccolta Na sotnách [In punto di morte] / 1967». ↑
-
Ora in A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo, F. Lenzi, A. Pane e C. Vela, op. cit., p. 58. La evoca anche Ela in E. Hlochová, Variazioni su un tema grigio, op. cit., p. 73: «alcune poesie erano dedicate a me, al nostro silenzioso e perfetto accordo, al nostro amore che ormai durava da più di vent’anni…»; cfr. p. 91: «È vero che non uso sprecare parole grosse e non gli ripetevo ogni giorno “ti amo”, ma credevo che l’avesse sempre saputo o intuito, anche se negli ultimi anni non ne avevamo parlato». Credo che un’istantanea di Ela si colga anche in A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio n. 6, là dove si legge «Yellow sferruzza, assopita dal tedio insulare» (ora in A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo, F. Lenzi, A. Pane e C. Vela, op. cit., p. 20). ↑
-
Alludo naturalmente al Congedo di A. M. Ripellino, La Fortezza d’Alvernia: «[…] la mia ansia di immettere nel tessuto dei versi le consuetudini della pittura, di trattar le parole come tubetti di colori schiacciati e di attrarle in viluppi fonetici […]» (ora in A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 205). ↑
-
Vd. la Notizia di Antonio Pane in A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., pp. 499-512 e il suo saggio, ricordato sopra alla nota 4, A. Pane, Gabbiani sulla Vltava, art. cit. ↑
-
Vi fa cenno anche Ela, nei capitoli iniziali delle Variazioni su un tema grigio, anche se, alla luce delle difficoltà di rapporto coeve alla stesura del romanzo, tende a sminuirne il rilievo, e, di quel biennio intercorso fra il primo incontro e il matrimonio, stila un quadro non privo di ombre. Lo stesso romanzo di Ela, comunque, testimonia come in quella fase siano intervenute, da parte di Angelo, remore e ritrosie connesse con la propria malattia e con le difficoltà anche psicologiche e comportamentali che la accompagnavano (si notino le tracce di questa cupa presenza nella occorrenze del «mio male» anche solo nei pochi versi che, della stagione 1946-47, ho antologizzato più oltre nel testo). ↑
-
Vd. sopra, nota 5. ↑
-
Vd. in particolare Ela, per te, dal fiume (febbraio 1946, tradotta in ceco da Ela; con versi come «O Vltava, nido di bianchi gabbiani, / lamento di gabbiani intorno ai ponti»: A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 341, con nota di Antonio Pane a p. 501) e Notti praghesi (una delle primissime poesie: tradotta in ceco da Ela in data 14 febbraio 1946 [san Valentino, peraltro]: A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 342, con nota di Antonio Pane a p. 501): «Ela, nel fiume gonfio muore il vento, / come il sogno nel velo delle ciglia. / Dalla ringhiera livida di pioggia / tu ascolti il canto fioco della Vltava. // L’acqua lampeggia, la luna vacilla / tra le cupole verdi nel tuo fiume; / un riflesso di lacrime, un rimpianto / può adornare di perle il nostro sogno. // Ma tu fermi col gesto della mano / nel vuoto il brulichìo delle speranze, / e spegni il fuoco e disperdi il futuro / dentro la nebbia che non ci abbandona. // In altri inverni, in riva a un altro fiume, / ricorderò questi alberi svaniti, / il Mulino Olandese e la notturna / neve che svolazzava sui fanali. // Non resterà che un cupo gorgo d’ombre, / e una voce dissolta nella pioggia, / nel tremolìo del fiume, ed il tuo guanto / sdrucito, come un solco nella vita». Vd. su tutto ciò A. Pane, Gabbiani sulla Vltava, art. cit. ↑
-
Vd. la poesia È tardi per i sogni, spunta l’alba (A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 394; nota di Antonio Pane a p. 504, il quale riferisce della datazione sul manoscritto: «listopad [novembre] 1947»), che, nel ricordare la capanna, evoca anche «la notte che leggemmo “Rudoarmĕjci”» (ovvero il ciclo poetico di Holan Soldati dell’Armata rossa, risalente appunto al 1947: cfr. anche A. Pane, Gabbiani sulla Vltava, art. cit., p. 125). ↑
-
Alle pp. 119-21 dell’ed. originale, Torino, Einaudi, 1975. Il passo è a p. 98 della nuova edizione a cura di Antonio Pane, A. M. Ripellino, Storie del bosco boemo e altri racconti, Messina, Mesogea, 2006. Su questo mito, le prime importanti pagine di ricostruzione si devono ad Antonio Pane, nello scritto che accompagna gli inediti giovanili pubblicati in «Idra», n. 1, 1990 (A. Pane, Gabbiani sulla Vltava, art. cit.). ↑
-
Su questa stazione cfr. la poesia citata oltre, al contesto di nota 33. Cfr. anche (nel quadro di un riepilogo dei tratti connotativi dell’intero mito personale) A. Pane, Gabbiani sulla Vltava, art. cit., pp. 127-30. ↑
-
A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., pp. 363-64, con nota di Antonio Pane a p. 503 (data: 1946). ↑
-
Ivi, pp. 343-44, con nota di Antonio Pane a p. 501 (data: marzo 1946). Un cenno speciale alla capanna: «qui, nella capanna / che mi ricorda la casa lontana». ↑
-
Ivi, p. 358, con nota di A. Pane a p. 503 (data: 1946). «Ricordo il volo straziante dei gabbiani, / quando mi dicevi: a primavera / Řevnice fiorirà di gelsomini, / e tu non ci sarai, malinconia / di giorni vuoti, come tronchi cavi. / Ti prometto che ogni sera tornerò lungo il fiume, / alla capanna col mazzo di chiavi pesanti, / intrise d’erba e di ruggine, / mentre la luna con rosse fiammate / dirada la nebbia caduta sui treni / che vanno lenti verso lo scalo. / Quando sarò lontano, / scrivimi ancora / della capanna muffita, parlami ancora / dei topi morti sul prato». ↑
-
Ivi, p. 337, con nota di A. Pane a p. 501 (data: 1946). ↑
-
Notoriamente, nel 1978 la vita di Angelo si è fermata il 21 aprile; e, nel 2010, quella di Ela, come ricordavo sopra, il primo giorno di quel mese. ↑
-
A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., pp. 385-88, con nota di A. Pane a p. 504. ↑
-
A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., pp. 389-92, con nota di A. Pane a p. 504 (in cui si legge: «il titolo rettifica curiosamente l’originario Previsioni meteorologiche»). ↑
-
All’orizzonte di questo verso va forse tenuto presente il «tout pour moi devient allégorie» di Le cygne di C. Baudelaire (v. 31). ↑
-
A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 393, con nota di A. Pane a p. 504. Altrettanto palese è il cesello del nome di Ela nel nome del personaggio di «Estrella» del passo di Storie del bosco boemo sopra citato (al contesto delle note 26-27). ↑
-
Mi sono occupato di questo ciclo in: Angelo Maria Ripellino, Il ‘ciclo di Zora’, in Gli invisibili. Antologia-saggio del 900 poetico italiano alternativo, a cura di M. Albertazzi e M. Pieri, Lavìs (Tn), La Finestra Editrice, 2008, pp. 179-200 e in Notizie dall’inverno: una voce da Praga nei versi di Ripellino, in A. M. Ripellino, L’ora di Praga. Scritti sul dissenso e la repressione in Cecoslovacchia e nell’Europa dell’Est (1973-1983), a cura di A. Pane, Firenze, Le Lettere, 2008, pp. 271-88; Zora ricorre anche – e, in questo caso, con l’autentico nome – nei ricordi autobiografici che danno corpo alle Variazioni su un tema grigio di Ela (per es. alle pp. 33, 40, 55). ↑
-
In «La fiera letteraria», 28 settembre 1952, p. 5; ora in A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 406, con nota di A. Pane a p. 504. La raccolta di Pasternàk fu pubblicata nel 1922. ↑
-
Ne ho scritto in La poesia di Ripellino, introduzione ad A. M. Ripellino, Poesie. Dalle raccolte e dagli inediti (1952-1978), a cura di A. Fo, A. Pane e C. Vela, Torino, Einaudi, «Gli Struzzi» 380, 1990, pp. V-XXIX e XXXVII-XXXIX (precisamente a p. XX). Cfr. anche A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio n. 76, in Id., Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo, F. Lenzi, A. Pane e C. Vela, op. cit., p. 94: «Così se ne va per il mondo la gioia, la giovinezza / lasciandoci obliqui, appassiti, di pezza». ↑
-
Ora in A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, rispettivamente alle pp. 88 e 90. Riporto interamente il primo: «Senza di te gli oggetti mi si spezzano / in una trama di raggi ubriachi. / Le luci si raggelano, la vita / si muta in un sordo monologo. / Mi giro da ogni parte come un gallo / sperduto sulle tegole del mondo. / Come le ali occhiute d’un mulino, / le strade mi ruotano attorno. / Saltello come un passero, impacciato / nelle piccole scarpe rilucenti, / dondolo la testa nello spazio, / marionetta percossa dai venti. / Ti porto in me come la vita, / ti sento in gola come le lacrime. / Senza di te come una vecchia nave / il mio cuore sprofonda negli abissi, / impigliandosi alle alghe del nulla». ↑
-
Ora in A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 139. ↑
-
Ivi, p. 156. ↑
-
Cfr. anche più oltre, nota 58. ↑
-
Rubo il v. 18 di Un’altra risorta di Guido Gozzano, nel suo I colloqui (1911). ↑
-
Si tratta del gruppetto di componimenti alle pp. 421-25 di A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit. (note a p. 507), versi e testi assai aspri e sconsolati. Così, spazzando la gioia della mia giovinezza è a p. 421, con nota di A. Pane a p. 507 (datazione al 1955). L’episodio sembra essersi svolto a Monaco e riguardare un incontro di Ela con un suo precedente fidanzato, quel Mirko (nome quasi certamente falso) di cui parla all’inizio delle Variazioni su un tema grigio (pp. 31, 36-37): me lo suggerisce Antonio Pane, aggiungendo tuttavia (per litteras) «non riesco a rintracciare la fonte (forse fu Ela a parlarmene, quando lavoravo a questi inediti)». Nel romanzo di Ela non si riscontra nessun preciso riferimento alla vicenda. Ripellino, dal canto suo, tenne rigorosamente per sé i testi ad essa relativi. ↑
-
In A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 451 (nota di A. Pane a p. 508, con datazione congetturale sull’arco 1950-60). ↑
-
In A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 457 (nota di A. Pane a p. 508). Alcuni lineamenti di questo ritratto invitano a ritenere relativa a Ela (specialmente per via del suo finale: «e poi un dolce pastello, una donna / che piange e sorride, che piange e sorride») anche la poesia Scalpiccìo di cavalli di piombo di A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 458 (nota di A. Pane a p. 508, con datazione congetturale successiva al 1957). ↑
-
Da A. Čechov, Il gabbiano, prefazione e traduzione di A. M. Ripellino, Torino, Einaudi, 1970, p. 11 (= Il gabbiano, in A. M. Ripellino, Saggi in forma di ballate, Torino, Einaudi, 1978, p. 8; la citazione sul diario truccato discende invece da A. M. Ripellino, Il trucco e l’anima, I maestri della regia nel teatro russo del Novecento, Torino, Einaudi, 1965, p. 137). Ne resta traccia in alcune poesie di Sinfonietta (i numeri 2, 5, 11, 13, 18, 26, 38, 71, 76) e nell’inedito intitolato Stop (A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 477). In particolare Sinfonietta n. 5 (A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo, F. Lenzi, A. Pane e C. Vela, op. cit., p. 109) palesa una sorta di autoidentificazione (per certi aspetti) con il personaggio čechoviano di Trigorin («Invierò il mio curriculum a varie compagnie, soprattutto / al signor Krejča, perché voglia assumermi / sulla sua scena abbagliante, come Trigòrin, / vendiciarle a ragazze innamorate, / fosco devastatore di gabbiani») su cui anche E. Hlochová, Variazioni su un tema grigio, op. cit. (p. 86; cfr. anche la battuta di un «amico di famiglia» a p. 98: «È il classico colpo per i quarantenni: quest’infatuazione dell’uomo di media età per una ragazza molto giovane»). La poesia n. 38 di Sinfonietta (A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo, F. Lenzi, A. Pane e C. Vela, op. cit., p. 142) mostra invece la consapevolezza «di aver inferto atroci ferite», e nello stesso tempo una sorta di insofferenza per un «equilibrio», probabilmente quello familiare, divenuto ‘stretto’ («L’equilibrio invoca un distruggitore, / un uragano che rompa le norme del giuoco, / qualcosa che mandi in frantumi, in malora / lunghi anni di consuetudine»). ↑
-
Incipit «Guardando la pelle di pachiderma del mare», in A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo, F. Lenzi, A. Pane e C. Vela, op. cit., p. 218. ↑
-
A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo, F. Lenzi, A. Pane e C. Vela, op. cit., p. 239. Su entrambi i testi vd. il commento di Umberto Brunetti, nella sua edizione di A. M. Ripellino, Lo splendido violino verde ricordata sopra, alla nota 6. ↑
-
Ora in A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 279. ↑
-
È in A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 492, con nota di A. Pane a p. 512. ↑
-
Cfr. il «carezzare i miei libri la sera» del sopra citato (alla nota 41 e contesto) La Fortezza d’Alvernia n. 17. ↑
-
A. M. Ripellino, Siate buffi. Cronache di teatro, circo e altre arti («L’Espresso» 1969-1977) nella revisione dell’autore e con un inedito, ripubblicate a cura di A. Fo, A. Pane e C. Vela, Roma, Bulzoni Editore, 1989, p. 95. ↑
-
L’ultimo nato nella famiglia Ripellino (su cui cfr. anche la nota successiva) è il nipote di Alessandro; rinvio all’incipit di una bella intervista che quest’ultimo ha rilasciato a Giovanni Usai, pubblicata in italiano e in inglese e con un bel corredo fotografico (che in parte riprende gli scatti praghesi del giovane Alessandro per la prima edizione einaudiana di Praga magica: l’occhiello sottolinea che siamo anche «a cinquant’anni dalla pubblicazione» di quel capolavoro), in «RC-Progetto Repubblica Ceca» 3/2022 – 1/2023, pp. 8-15 «Angelo Maria, mio padre», Intervista ad Alessandro Ripellino: «“La settimana scorsa è nato mio nipote al quale mia figlia Giulia ha dato il nome di Alvar Angelo Ripellino, in ricordo del centenario della nascita di mio padre. Per noi è un evento che lega insieme tre situazioni culturali della nostra famiglia molto diverse: la mia attuale qui a Stoccolma, Praga di cui parleremo e Roma”. Inizia così la nostra conversazione con l’architetto Alessandro Ripellino, erede insieme alla sorella Milena di una delle voci più importanti della cultura italiana del XX secolo. Nato a Roma nel 1957, Alessandro vive da quarant’anni in Svezia, dove in questo periodo è diventato un architetto di fama internazionale, autore fra l’altro del padiglione svedese all’Esposizione universale di Dubai». ↑
-
La lettera, del dicembre 1988, è stata tradotta per me da Ela ai primi del 1989 (l’originale ceco è andato purtroppo perduto). Come la prima delle lettere di questo “ciclo”, anche questa è scritta da Zora in un week-end (sul diverso «calvario» della memoria: cfr. A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio n. 41, a p. 55 di Id., Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo, F. Lenzi, A. Pane e C. Vela, op. cit.). Vi si fa riferimento alla morte di Ripellino (come si è detto, avvenuta il 21 aprile del 1978); ad Alessandro Ripellino, il figlio di Ela e Angelo Maria, nato nel 1957; ai gemelli Daria e Pierre-André Transunto (1970), figli della sorella di Alessandro, Milena (nata nel 1949), e dunque, per la madre di Ela, bisnipoti. La citazione in francese («Non rimpiango nulla») proviene ovviamente dalla rievocata canzone di Edith Piaf, Non, je ne regrette rien (1960), testo di Michel Vaucaire, musica di Charles Dumont. ↑
-
A. M. Ripellino, Ela, per te, dal fiume, su cui vd. sopra, nota 24. ↑
-
Cfr. A. M. Ripellino, Lo splendido violino verde n. 51 (in Id., Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo, F. Lenzi, A. Pane e C. Vela, op. cit., p. 255): «Su questo magico violino verde / vorrei ancora sonare, se le mani / non brancolassero. […] Sonerò ancora lo splendido violino verde, / finché le mani ce la faranno. / Sento però che la mia destrezza si perde / e crescono il disinganno e l’affanno. / Ma voi, claqueurs, assicuratemi / che di me durerà almeno un rigo, / che delle mie sconsolate sonate / qualcosa resterà vivo» (se ne veda il ricordato commento di Brunetti). Nella mia copia della prima edizione della raccoltina ritrovo, sotto l’occhiello di frontespizio, questo appunto: «Il 12 marzo 1988 con Antonio Pane e mia sorella Laura entriamo (alle 15) per la prima volta a casa di Ripellino, conoscendo la signora Ela. Si parla di molte cose. Si aggiunge più tardi a noi Benedetta Sforza (l’allieva laureatasi sulla Komissarževskaja), che ha appena fondato una associazione culturale Il violino verde. “Chi l’avrebbe mai detto – commenta la signora – che un quadro di Chagall avrebbe fatto tanto male all’umanità”». ↑
-
Cfr. il A. M. Ripellino, Lamento d’un vecchio violino fra i testi inediti e rari di A. M. Ripellino, Poesie prime e ultime, op. cit., p. 459 (con nota di A. Pane a p. 508: datazione congetturale dopo il 1957). ↑
(fasc. 50, 31 dicembre 2023)