Nell’universo Cvetaeva[1] il poema Zar-fanciulla (Car’-devica), una fiaba in versi (poėma-skazka, recita il sottotitolo), occupa un posto cardinale. Perché venne composto nel 1920, anno di enormi privazioni, di miseria, freddo e lutto: tra memorie tracciate febbrilmente nei diari e nelle lettere, guerra civile, mercato nero, un marito al fronte e la morte della piccola figlia Irina. Perché è l’espressione più complessa di quello che Cvetaeva chiama la sua «linea russa»[2], cioè l’immaginario folclorico, epico e fiabesco («Voi sapete quanto io ami l’arte popolare (NB! Io stessa sono il popolo!)»)[3]. E soprattutto perché è sempre stato considerato da Cvetaeva la sua «cosa migliore»[4]. […] Cvetaeva iperbolizza la principessa guerriera della tradizione, protagonista delle due fiabe russe (la n° 232 e la n° 233) raccolte in Narodnye russkie skazki dell’illustre etnologo Aleksandr Afanas’ev, un libro di fiabe ricevuto in dono nel 1915 dagli amici pietroburghesi Jakov Saker e Sofija Čackina, un libro amato, probabilmente uno di quelli con cui «mi bruceranno», scrive Cvetaeva nel 1926[5]. […] Guerriera, eretica, santa, pellegrina, strega – sono tante le maschere in cui Cvetaeva racconta il suo rifiuto nei confronti del ruolo convenzionale della donna[6], a partire dalla lirica Se ti chiamo caro – non ti annoiare (1916), fino ai poemi coevi di Zar-fanciulla (Il Prode, Sul cavallo rosso, Vicoletti); un popolo di donne leggendarie – Pentesilea, Brunilde, Giovanna d’Arco – marcia in filigrana con lo stesso passo militare di Zar-fanciulla, finendo per sovrapporsi alla stessa Cvetaeva.
Il nucleo drammatico del poema sta nell’incontro mai realizzato tra Zar-fanciulla e Zarevič, il Sole e la Luna, i due elementi complementari dell’unità androgina[7]. «La tragedia del mancarsi» – il paradigma cvetaeviano per eccellenza dell’amore – travolge tutte le sue coppie, tutti «gli amanti in potenza, i separati-uniti la cui separazione amorosa è più forte di qualunque unione»[8].
Nel passo riportato qui di seguito diamo un’anticipazione dell’Incontro Secondo, in cui la fiera principessa Zar-fanciulla cerca invano di svegliare lo Zarevič dal sonno magico in cui è caduto, ma, non riuscendo a risvegliarlo, si lascia andare a un pianto di delusione:
Lei gli slaccia sul petto
il caftano, le stringhe.
A un soffio dal petto tiene
la testa del dormiente.Respira? – no!
Respira? – sì!Inclina l’ameno volto
sul petto suo d’acciaio:
c’è o non c’è traccia di fiato?Sì! Un cerchio appannato!
Sì!La gioia – un lampo
negli occhi – come oro!
La gioia – un lampo!
Il dolore – un maglio!«Se dunque è vivo,
perché non si sveglia?
Se dunque respira,
perché non mi sente?»Dio sul mare lo scrive con il Vento.
Stretti i sopraccigli,
punta – come l’aquila il becco –
lo sguardo sul dormiente.Dimenticato è il sillabario!
Confusa è la Vergine-Zar,
cosa dire – non sa.Al petto – tavola liscia –
preme i pugni:
reprime l’angoscia.– Ehi, mio pigrone!
Non ti scrolla nemmeno
un colpo di cannone!Sembra una quercia
che scuote le foglie.Come un cane scatenato,
il riso – dalla bocca insolente.«Cucci cucci, piccolino!»
balla tutta dalle risate.Finite – è passata la ramazza!
Finite – è fluita l’acqua!Attento: il petto sta per scoppiare!
Tutti i vascelli per affondare!– e –
piano piano,
come attraverso la massa
di una corteccia di pietra,dagli occhi suoi dilatati
grandi lacrime-ambre,
spaiate.Quando una quercia
ha mai pianto resina?
Lacrima dopo lacrima,
dalla fonte degli occhi ampi,
tre ruscelli dorati
verso la foce delle labbra.Non tremano le ciglia.
Immobile è il volto.
Il succo di pesca-arancia
sembra scendere dalla fronte.Succo d’arancia, d’albicocca,
fluisci! Succo d’anima prelibato!
Fluisci giù per le gote,succo d’ambra, succo prezioso,
dono dell’anima sua severa,
fluisci a profusione!Sul candido caftano del ragazzo,
– come sangue – sul tacito viso,
resina, stilla!Sangue rosso su muto ghiaccio…
Fierezza, pietra-roccia,
sciogliti in pianto!
- Per gentile concessione dell’editore Sandro Teti, che qui si ringrazia, si propone parte dell’introduzione di Marilena Rea al volume Marina Cvetaeva, La principessa guerriera, a cura e con traduzione di Marilena Rea, postfazione di Monica Guerritore, Roma, Sandro Teti Editore, 2020. ↑
- M. Cvetaeva, Lettera a A. V. Bachrach del 30 giugno 1923, in Il Paese dell’Anima. Lettere 1909-1925, a cura di S. Vitale, Milano, Adelphi, 1996, pp. 182-83. ↑
- M. Cvetaeva, Lettera a A. A. Tesková del 22 maggio 1939, in Sobranie Sočinenij v semi tomach, sost. i pod. A. Saakjanc i L. Mnuchina, Moskva, Ellis Lak, 1994-1995, t. 6, p. 477. ↑
- M. Cvetaeva, Lettera a M. A. Vološin del 7 novembre russo 1921, in Il paese dell’anima, op. cit., p. 113. ↑
- M. Cvetaeva, Risposta al Questionario per il “Dizionario degli Scrittori del XX secolo”, in Una serata non terrestre. Memorie e interviste inedite, a cura di M. Rea, Firenze, Passigli, 2015, p. 105. ↑
- C. Poljakova, К vоprоsuоb istočnikach poemy Cvetaevoj «Car’-devica», Russica-81, Literaturnyj Sbornik, Russica Publishers inc., New York, 1982, pp. 222-28. ↑
- Sull’androginia (trattata anche nel poemetto Sul cavallo rosso, nel dramma L’avventura, nelle liriche Il discepolo, I fratelli, Il pugnale): A. Filonov Gove, The feminine Stereotype and Beyond: Role Conflict and Resolution in the Poetics of Marina Tsvetaeva, in «Slavic Review», June 1977, vol. 36, n. 2. ↑
- M. Cvetaeva, Lettera all’Amazzone, a cura di S. Vitale, Milano, Guanda, 1981, p. 69. ↑
(fasc. 35, 11 novembre 2020)