Ci apprestiamo a celebrare il settimo anniversario della morte di Dante. Nel frattempo, già nello scorso anno, in modi che la pandemia ha ridefinito e che probabilmente inciderà anche sull’organizzazione di questo anno tutto dantesco, è stato istituito un “Dantedì”, una giornata in onore del poeta, che viene a cadere il 25 marzo, convenzionalmente considerata data di inizio del viaggio ultraterreno della Commedia.
È utile, a questo proposito, gettare uno sguardo retrospettivo sull’ultimo grande centenario dantesco al quale Croce ha partecipato non soltanto con la pubblicazione nel 1921 della Poesia di Dante, opera che ha molto condizionato, in positivo e in negativo, gli studi danteschi, ma anche in qualità di Ministro della Pubblica Istruzione, incarico da lui ricoperto tra le estati del 1920 e del ’21, all’interno dell’ultimo governo Giolitti. In questa veste egli ha continuato l’organizzazione del sesto centenario, già avviata dal suo predecessore, e ha tenuto a Ravenna il discorso inaugurale per l’inizio delle celebrazioni. Nel secondo volume delle Pagine sparse si leggono, nella sezione dedicata ai Ricordi di vita ministeriale, sotto la voce Il centenario di Dante, tre interessanti documenti che comprendono, oltre al discorso inaugurale, l’intervista rilasciata a un giornale italiano, relativa allo stanziamento di fondi per l’anniversario, e un articolo richiesto da un giornale statunitense sull’«utilità» di Dante nel mondo contemporaneo[1].
Nelle pagine precedenti si è dato conto della figura di Giovanni Castellano, segretario, archivista e grande antologizzatore crociano, colui che, se non altro, ha avuto il merito di recuperare quello che egli stesso ha chiamato «materiale di scarto» di Croce, vale a dire pagine di studi, discussioni e polemiche che il filosofo, nel suo assiduo lavoro di vigilanza e revisione dell’opera, veniva escludendo. Con questi “residui” crociani ha composto e pubblicato per l’editore Ricciardi, tra il 1919 e il ’27, le quattro serie delle Pagine sparse. Nella prima sistemazione esse erano così organizzate: la prima serie raccoglieva Pagine di letteratura e di cultura; la seconda, le Pagine sulla guerra; la terza, Memorie, schizzi biografici e appunti storici; la quarta e ultima, Politica e letteratura. Ricordi di vita ministeriale, che esce nel ’27. Questi ricordi ministeriali troveranno posto, nella seconda e definitiva edizione controllata dal filosofo, nel secondo volume pubblicato, sempre per Ricciardi, nel 1943 (nell’articolo si citerà, invece, dall’edizione laterziana del ’60). Dobbiamo, dunque, all’iniziativa di Castellano il recupero di questi documenti che possono aiutarci, anche a distanza di un secolo, a meglio celebrare il Poeta.
Il primo documento è l’intervista, pubblicata il 7 agosto 1920, che Croce, già ministro, concede al «Nuovo Giornale» di Firenze. Il testo cade, nella sistemazione crociana, sotto il titolo di Le feste pel centenario e discute, in modo particolare, delle proteste contro il suo ministero, accusato di non voler finanziare i festeggiamenti per il sesto centenario dantesco. In realtà, le lamentele che si levavano contro Croce nascevano dall’impasse governativa che si era verificata nello stanziamento dei fondi per le celebrazioni. Il precedente ministro non aveva, infatti, elaborato un disegno di legge ma solo stabilito un’intesa di massima con il suo collega del Tesoro. Così, quei due milioni di lire, promessi ma mai stanziati, erano andati perduti. In effetti, una parte di responsabilità era da addebitare anche al nuovo ministro, che avrebbe effettivamente potuto predisporre il necessario disegno di legge da presentare prima al Consiglio dei ministri e poi al Parlamento, ma aveva però ritenuto non opportuno farlo. Le ragioni di questo diniego, addebitabili alla difficile situazione economica del tempo – si era appena usciti dalla guerra – sono contenute in questa risposta:
nelle gravissime condizioni delle pubbliche finanze, nella serietà ed austerità che i duri tempi comandano, quando tutti, almeno a parole, chiedono economia, io non ho l’animo di firmare e proporre al Parlamento un disegno di legge per festeggiamenti, sia pure nel nome di Dante[2].
Una scelta impopolare, ma certamente ispirata a sobrietà e frugalità che, per Croce, sono anche qualità che si associano alla Poesia e al suo genuino culto. Il mancato stanziamento aveva, inoltre, evitato ulteriori polemiche tra le città di Roma, Firenze e Ravenna, tutte e tre impegnate a chiedere la parte più cospicua del finanziamento, aggiunge il ministro, per attirare in Italia grandi nomi della letteratura straniera che spesso non avevano letto nemmeno una pagina di Dante, o, ancora per finanziare adattamenti cinematografici del poeta e della sua opera. È nota l’insensibilità crociana per la settima arte e non è questo il luogo per discuterla. Va, invece, notato che, mentre da uomo politico disapprova l’appoggio finanziario dello Stato nella resa “esteriore” di quello che per lui è «il poeta dell’interiorità e sublimità morale», e il cui culto, non spettacolizzato né spettacolarizzabile, dovrebbe essere tutto risolto nell’intimo, da studioso non disdegna, invece, opere di divulgazione e finanche di popolarizzazione dello stesso Dante[3].
Se, infatti, ci spostiamo sul testo inaugurale delle celebrazioni, questo intento è chiaramente definito. Dante è di tutti, patrimonio comune dell’umanità, come ogni poeta degno di questo nome, e va dato a tutti, correndo anche il rischio del fraintendimento, che, come l’intendimento, non può essere mai totale. Quel che Croce chiede, più che adattamenti digeribili per ogni palato, sono versioni originali della sua opera accessibili a chiunque: «Date la poesia, date Dante al popolo: datelo in edizioni popolari, senza note o con parche e ingenue note»[4]. Ciò non banalmente allo scopo di dichiararne l’attualità o una qualche forma di “utilità” per il mondo moderno. Un quesito simile – una «domanda assai americana», la definisce Croce – era stato, infatti, rivolto al filosofo dal «New York Evening Post», che pubblicò l’articolo di Croce, nelle Pagine sparse intitolato L’«utilità» di Dante pel mondo moderno, nel settembre 1921 (ristampato anche dal «Giornale d’Italia» il 21 settembre dello stesso anno). È interessante leggere quel che il “filosofo dell’Utile” pensi di questa categoria applicata a Dante e alla sua poesia, qui evidentemente ridotta a un uso meramente strumentale e pragmatico. Tra le “utilità” certamente è da registrare l’unanime consenso che il nome di Dante riesce a produrre, facendo sì che attorno a lui si raccolga, per la prima volta nella sua storia, l’Italia unita ma anche il mondo intero, compresi quei popoli europei che si erano «testé dilaniati nella guerra e che continuano ad osteggiarsi nella cosiddetta pace»[5]. Entrando più nello specifico dei prodotti del centenario, da giudicare positivamente, sempre in termini di utilità prodotta, sono senza dubbio le nuove edizioni dell’opera, tra le quali su tutte spicca il Dante oxoniense promosso dalla Società dantesca di Firenze, o il restauro degli edifici che sono da riferire alla biografia o al nome del Poeta. Il bilancio comincia a volgere in negativo quando, invece, nell’elenco entrano tutti i prodotti retorici della celebrazione, compreso un maldestro uso politico che viene fatto di Dante, variamente tirato per la tunica da parte cattolica, nazionalistica e universalistica, e che poggia sulla confusione tra il «Dante simbolo» e il «Dante della realtà»[6].
Quel che viene interrogato in questa presunta utilità simbolica è, in realtà, il rapporto che lega il Poeta e il «mondo odierno», cioè col «noi», e riguarda dunque la nostra appartenenza al tempo storico interrogato: l’utilità di Dante è la sua attualità per noi, ovvero l’uso che possiamo farne per finalità che noi vogliamo perseguire nel condurre le nostre esistenze. Questo uso simbolico che, più che utile, è da definire utilitaristico quando non strumentale, lascia emergere tutta l’“inutilità” della domanda che era stata rivolta a Croce. Nella risposta riecheggiano sue vecchie formulazioni estetiche relative allo statuto della Poesia, che merita la maiuscola perché si autentica nella sua autonomia dall’ampia congerie del non-poetico, e che ha rappresentato il principio intorno al quale Croce ha architettato la sua lettura di Dante Poeta: un’ingenua definizione, questa, scrive il critico, che bisogna però ripetere come «un opportuno avvedimento» contro le frequenti e sempre ritornanti distorsioni “pratiche” della poesia[7].
Mediocre politico, scienziato non originale, sublime poeta. Nient’altro che poeta. Ecco il Dante di Croce, qui compendiato ad uso e consumo dei lettori statunitensi, ai quali viene ricordato anche che, in onore dei caratteri tipici e irripetibili di questa poesia, si è coniato l’aggettivo «“dantesco” […] per esprimere una tonalità di vita spirituale» che difficilmente può confondersi con altro da sé: «Il “dantesco” è l’unione della passione con la severità, della più ricca e viva sensibilità con la più inesorabile razionalità, del tumulto possente con la calma sicura»[8].
La natura della poesia dantesca e l’immagine del Dante Poeta sono al centro anche dell’ultimo documento raccolto nella selezione delle Pagine sparse e che, per contenuto, è quello più interessante a livello ermeneutico. Il sesto centenario dantesco e il carattere della poesia di Dante è il discorso inaugurale alle celebrazioni del seicentenario che fu pronunciato a Ravenna nella Sala Dante il 14 settembre 1920[9]. Il testo è considerato dall’autore un’anticipazione del libro che egli preparava dal ’19 e che esce nel ’21 col titolo La poesia di Dante[10]. In questa circostanza la presenza funzionale del ministro cede presto alle riflessioni dello studioso, che costruisce il suo contributo sull’opposizione, variamente declinata, tra il «culto esterno» e il «culto interno» di Dante. Essa va letta, innanzitutto, nelle pieghe della celebrazione retorica, come tipico benefico effetto collaterale delle ricorrenze (la produzione di nuove edizioni e i restauri già segnalati), e in secondo luogo come occasione per rinnovare il monito di celebrare Dante e la sua poesia in ogni momento, non soltanto come esigenza dettata dal calendario. È da notare che Croce stesso non sfugge all’occasione della rammemorazione, se è vero che egli appronta i saggi della sua monografia dantesca per il seicentenario. È vero, altresì, che La poesia di Dante va posta in relazione con gli altri coevi contributi alla storia della poesia, il Goethe del ’19, l’Ariosto, Shakespeare e Corneille del ’20 e Poesia e non poesia. Note sulla letteratura europea del secolo decimonono del ’23, per attenerci ai titoli principali, che perseguono il complessivo disegno di enucleare saggi sulla poesia europea: ciò principalmente allo scopo di ribadire lo spirito coesivo e universalizzante della Poesia contro la disgregante molteplicità di cui la catastrofe della guerra si era animata.
La propensione di Croce verso la dimensione interiore, perfino intima della poesia, indice della «salutare» relazione tra lo spirito di ogni poeta e quello del suo lettore, si esplicita anche in un preciso atto critico che, come è costume di ogni confronto crociano, mira a distinguere il nucleo pulsante dell’oggetto estetico da un ammasso di argomenti artificiosi, ornamentali, estrinseci o semplicemente esteriori[11]. A questa categoria Croce riconduce le dotte disquisizioni sul «carattere della poesia dantesca», ma soprattutto le derive di quegli approcci che, in prospettiva storiografico-politica o filosofico-teologica, dislocano il baricentro poetico di Dante[12]. Si tratta di quanto, nei suoi studi danteschi, il filosofo ha chiamato «interpretazione allotria, ossia non poetica, della Commedia», mettere da parte la quale costituisce un «atto preliminare di liberazione»[13].
Qual è, dunque, dal punto di vista di questo ministro e studioso “frugale” il modo migliore di celebrare Dante a seicento anni dalla morte? Certo, c’è la finalità critica, quella che lo spinge a “spazzare le stanze” del dantismo – per appellarci a una definizione che egli stesso aveva dato della sua Estetica. Ma questa finalità critica è una sistemazione concettuale che soddisfa l’intelletto e non il cuore. Dentro il critico e dentro ognuno c’è il lettore e l’amante della poesia. Celebrare Dante significa rinnovare quotidianamente quel silenzioso dialogo tra il sé e l’animo del poeta che nessuna interpretazione illuminante – le “note” di cui Croce chiedeva provocatoriamente di sbarazzarsi – potrà supplire:
La conclusione, insomma, è, che il più alto e vero modo di onorare Dante è anche il più semplice: leggerlo e rileggerlo, cantarlo e ricantarlo, tra noi e noi, per la nostra letizia, per il nostro spirituale elevamento, per quell’interiore educazione che ci tocca fare e rifare e restaurare ogni giorno, se vogliamo «seguir virtute e conoscenza», se vogliamo vivere non da bruti, ma da uomini[14].
- B. Croce, Pagine sparse, Seconda edizione interamente riveduta dall’autore, vol. II, Bari, Laterza, 1960, II ed., pp. 311-335. ↑
- B. Croce, Le feste pel centenario, in Id., Pagine sparse, Seconda edizione interamente riveduta dall’autore, vol. II, op. cit., pp. 311-315, cit. a p. 312. ↑
- Ivi, p. 313. ↑
- B. Croce, Il sesto centenario dantesco e il carattere della poesia di Dante, in Id., Pagine sparse, Seconda edizione interamente riveduta dall’autore, vol. II, op. cit., pp. 316-329, cit. a p. 319. ↑
- B. Croce, L’«utilità» di Dante pel mondo moderno, in Id., Pagine sparse, Seconda edizione interamente riveduta dall’autore, vol. II, op. cit., pp. 329-335, cit. a p. 329. ↑
- B. Croce, Il sesto centenario dantesco e il carattere della poesia di Dante, in Id., Pagine sparse, Seconda edizione interamente riveduta dall’autore, vol. II, op. cit., p. 318. ↑
- B. Croce, L’«utilità» di Dante pel mondo moderno, in Id., Pagine sparse, Seconda edizione interamente riveduta dall’autore, vol. II, op. cit., p. 333. ↑
- Ivi, p. 335. ↑
- L’occasione dell’inaugurazione e della relativa visita a Ravenna è registrata in B. Croce, Taccuini di lavoro (1917-1926), Napoli, Arte Tipografica, 1987, pp. 187-188: alla data del 13 settembre 1920, è annotata la partenza da Roma con sosta a Bologna e l’arrivo a Ravenna con alloggio in prefettura in compagnia di Malavasi, che accompagna Croce. Alla data 14 settembre Croce annota: «Visita ai monumenti della città e ai restauri in corso. Alle 15 ½ ho pronunciato il discorso per l’inaugurazione del centenario dantesco. Ho riveduto la contessa Pasolini. Ho preso parte alle altre cerimonie. Alle 19 sono partito per Roma: breve sosta a Rimini alle 21. Preso il treno di Ancona». ↑
- B. Croce, La poesia di Dante, Bari, Laterza 1952, VII ed.: il libro ha avuto sette edizioni tra il 1920 e il 1952. Nell’Avvertenza alla prima edizione, datata settembre 1920, Croce scrive: «Questo lavoro, compiuto nel 1920 e del quale alcune parti sono state sparsamente pubblicate in riviste e atti d’accademia, si raccoglie ora per intero nel presente volume, nell’anno in cui ricorre il sesto centenario della morte di Dante. Il suo intento è di offrire un’introduzione metodologica alla lettura della Commedia, e insieme come saggio di questa lettura, condotta con semplicità, libera da preoccupazioni estranee. E se conseguirà l’effetto di rimuovere alquanto l’ingombro dell’ordinaria letteratura dantesca e riportare gli sguardi verso ciò che è proprio ed essenziale nell’opera di Dante, questo libro avrà ottenuto il suo fine». ↑
- B. Croce, Il sesto centenario dantesco e il carattere della poesia di Dante, in Id., Pagine sparse, Seconda edizione interamente riveduta dall’autore, vol. II, op. cit., pp. 329-335, cit. a p. 317. ↑
- Ivi, p. 322. ↑
- Ivi, p. 320. Cfr. anche la già citata Avvertenza del ’20 a B. Croce, La poesia di Dante, op. cit., p. 1. ↑
- B. Croce, Il sesto centenario dantesco e il carattere della poesia di Dante, cit., p. 329. ↑
(fasc. 37, 25 febbraio 2021)