In che senso Benedetto Croce filosofo delle scienze

Author di Giuseppe Gembillo

Premessa

Una vulgata, ormai più vecchia di un secolo, e per questo endemicamente radicata in gran parte della cultura italiana, pone un abisso incolmabile tra la riflessione sulle scienze e la filosofia di Benedetto Croce, che avrebbe avuto nei loro confronti quella “virtù dei Grandi” che, come cantava Montale proprio in riferimento a lui, sarebbe quella «di essere sordi / a tutto il molto o il poco che non li riguardi».

Soprassedendo sulla legittimità di attribuire a Croce la sordità «ai famelici e agli oppressi» alla quale, forse per semplice necessità di rima, si riferiva Montale, va subito detto che nel caso specifico delle scienze, lungi dall’essere un problema marginale della filosofia teoretica di Croce, ne costituisce invece il nucleo centrale perché riguarda il tema fondamentale del senso da dare al “conoscere”. Un tema che, tra l’altro, piuttosto che rappresentare un interesse specifico di Croce, costituisce il vero e proprio nucleo di tutta la speculazione occidentale da Galilei in poi. In tale tradizione Croce si è inserito in maniera profonda, recependone la parte più creativa e vitale, e trasformandola a sua volta in modo originale con l’imprimere ad essa una direzione che, in maniera indipendente ma per questo ancora più significativa, sarebbe stata seguita dai più grandi e creativi scienziati-filosofi del Novecento a lui contemporanei o successivi.

Il mio intento, allora, in questa circostanza, non è quello fare un’analisi interna delle argomentazioni di Croce al riguardo, ma quello di cercare di mostrare come il suo punto di vista abbia per un verso radici profonde, per l’altro sia inserito a pieno titolo in quel percorso che tra Ottocento e Novecento ha rivoluzionato radicalmente il modo di intendere il ruolo delle scienze e il significato della conoscenza, grazie alle riflessioni dei più grandi scienziati del Novecento[1]. Questo duplice contesto, che fa di Croce idealmente un punto di collegamento fra passato e futuro, gli ha consentito di essere a pieno titolo, come appunto cercherò di mostrare, un raffinatissimo e attualissimo “filosofo delle scienze”. Naturalmente con “buona pace” di tutti coloro che lo hanno accusato di “svalutazione della scienza” senza preoccuparsi, preventivamente, di approfondire che cosa la storia concreta di essa, quale si è sviluppata e articolata proprio tra Ottocento e Novecento, abbia da mostrare a coloro che sentono il bisogno di confrontarsi con essa prima di trarre conclusioni non debitamente suffragate.

Le “radici” filosofiche e scientifiche del pensiero di Croce

Le due opposte tradizioni filosofiche “razionali”, la Filosofia analitica e lo Storicismo, che ancora oggi si fronteggiano aspramente, riconoscono, come tutti sanno ma come mi sembra utile ricordare qui in funzione dell’argomentazione che svolgerò, i loro numi tutelari rispettivamente in Cartesio e Frege, e in Vico e Hegel.

Benedetto Croce, da parte sua, prendendo le distanze dall’intelletto “universale e statico” di Cartesio e di Kant, ha imparato da Giambattista Vico che «gli uomini prima sentono senz’avvertire, dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura»[2]; da Hegel, che «l’opposizione o contradizione non è già un difetto, una macchia, un male delle cose, eliminabile da esse, e molto meno un nostro errore soggettivo; ma è, anzi, l’essere vero delle cose: tutte le cose si contradicono in loro stesse, e il pensiero è il pensiero della contradizione. Il che vale a stabilire davvero e saldamente il principio d’identità, che trionfa dell’opposizione col pensarla, cioè col coglierla nella sua unità»[3]. Egli gli ha trasmesso «la coscienza che l’uomo è la sua storia, la storia unica realtà, la storia che si fa come libertà e si pensa come necessità»[4], se non altro perché nessuno può far sì che ciò che è accaduto non sia accaduto. Grazie a entrambi ha compreso che «la vita e la realtà è storia e nient’altro che storia»[5].

In questa tradizione, però, Benedetto Croce ha operato quella che Carlo Antoni ha definito un’«operazione di innesto dell’empiriocriticismo nel tronco dell’hegelismo»[6], inserendo, tra i suoi interlocutori privilegiati, Ernst Mach e Henrì Poincaré, ovvero i due scienziati-filosofi che hanno messo a frutto, in maniera eminente, le metamorfosi che nella prima metà dell’Ottocento avevano dato l’avvio a una radicale trasformazione delle scienze che avrebbe raggiunto il culmine un secolo dopo, negli anni Settanta del Novecento[7]. Con questa operazione egli, a partire dal 1904, ha cominciato a sviluppare quelle riflessioni sulle scienze che lo hanno inserito a pieno titolo tra i filosofi che hanno dato un contributo determinante alla comprensione del loro “statuto epistemologico”[8]. Ernst Mach, infatti, facendo interagire in maniera fruttuosa le riflessioni sul calore di Fourier e di Sadi Carnot, la teoria dell’evoluzione di Darwin, e la teoria elettromagnetica di Maxwell, ha messo in crisi l’idea che la meccanica galileiano-newtoniana rispecchiasse la struttura oggettiva della Natura, mostrando che essa non è altro che uno dei modelli che possiamo usare per descrivere la Natura in maniera semplificata e, quindi, più facile da utilizzare per operare su di essa. Poincaré, a sua volta, corroborando la validità scientifica delle geometrie non-ecuclidee, ha mostrato che, come aveva genialmente anticipato Giambattista Vico, la matematica, struttura ontologica della realtà secondo Galileo e Keplero, non è altro che un linguaggio da noi inventato per descrivere la natura e che, in quanto tale, può avere diverse articolazioni e specificazioni, tutte egualmente valide e utili[9]. Ci ha fornito, cioè, un’immagine convenzionalista e non oggettivista delle matematiche.

Corroborato da entrambi, Croce ha potuto parlare legittimamente di «descrizione tachigrafica della realtà» da parte delle scienze naturali, e collegarsi esplicitamente sia alle loro affermazioni sia alle anticipazioni espresse da Vico e da Hegel in relazione al ruolo e al metodo delle matematiche e delle scienze naturali[10]. In particolare, ha potuto insistere in maniera convincente sulla differenza tra la struttura intrinsecamente storica e temporale della Natura e il modello statico, astratto e meccanico con il quale essa viene descritta e presentata dagli scienziati classici. Ha potuto contrapporre, in parole povere, la propria concezione storico-organicistica della realtà a quella statica e meccanica della scienza newtoniana e della filosofia positivistica.

Questa visione crociana non solo ha trovato riscontro, per non dire altro, in un filosofo assai diverso da Croce come Edmund Husserl[11], ma è stata fatta propria, in maniera del tutto indipendente e quindi assai significativa, dai grandi scienziati-filosofi del Novecento. Non potendo, per ovvie ragioni, citarli tutti, mi riferirò soltanto a coloro la cui consonanza con Croce appare più ampia e articolata e ruota attorno al concetto di Natura.

I compagni di viaggio ideali

In questa ideale carrellata di “crociani inconsapevoli” merita, a mio parere, di essere indicato come “punto di avvio” Werner Heisenberg. Infatti egli, enunciando le “relazioni di incertezza”, ha messo definitivamente in crisi il determinismo della scienza classica; ha espresso nei confronti di essa “considerazioni limitative” simili a quelle di Croce e ha elaborato un concetto di Natura del tutto opposto a quello meccanicistico, insistendo ripetutamente sul fatto che esso rappresenta solo un modello di essa e certamente non la sua “struttura intrinseca”. Concludendo, infatti, la sua celebre Memoria del 1927 affermava che, in base alle conclusioni in essa espresse, «poiché tutti gli esperimenti sono soggetti alle leggi della meccanica quantistica, e dunque all’equazione (1), mediante la meccanica quantistica viene stabilita definitivamente la non validità della legge di causalità»[12]. Successivamente, in un volume scritto tra il 1939 e il 1942, ha sottolineato che la descrizione matematica della Natura è soltanto uno dei tanti modi che noi utilizziamo per elaborare un “ordinamento della realtà” che è tutto nostro e che quindi non corrisponde affatto ad essa, in ragione del fatto che, appunto, è solo uno dei tanti possibili[13]. Ha ribadito, inoltre, che i fondatori della scienza classica hanno operato una duplice riduzione: 1) hanno considerato, dell’oggetto da conoscere, solo l’aspetto quantitativo; 2) hanno scelto di prendere in considerazione, delle quattro cause di derivazione aristotelica, solo la “causa efficiente” che, non a caso, è la sola “esterna” ai fenomeni”, dato che le altre tre, la materiale, la formale e la finale, sono tutte proprietà intrinseche degli oggetti. Infine, ha dichiarato che, se è vero che la natura viene prima dell’uomo, è altrettanto vero che la “scienza della natura” è un prodotto interamente umano e serve a definire il rapporto che noi stabiliamo con la Natura, ma certamente non la struttura “oggettiva” di essa[14].

Sono tutti aspetti, questi, che si ritrovano interamente, in maniera totalmente consonante con quanto enunciato da Heisenberg, in tutte le pagine nelle quali Benedetto Croce ha espresso riflessioni sulle scienze.

Un secondo esempio, che costituisce una tappa ancora più significativa in questa sorta di percorso che mira a sottolineare le profonde affinità tra la “filosofia delle scienze” di Croce e quelle degli scienziati del Novecento, è rappresentato da Ilya Prigogine, sul quale già l’anno scorso Giuseppe Giordano ha richiamato puntualmente l’attenzione proprio dalle pagine di «Diacritica»[15]. In ragione di ciò, mi limiterò solo a due brevi considerazioni, rimandando a tale saggio per una trattazione più articolata. Ilya Prigogine è stato il primo scienziato a inserire la storicità e la temporalità all’interno della scienza, riconoscendo che, come aveva detto Benedetto Croce, «la realtà è storia e nient’altro che storia». E, sempre in perfetta consonanza con lui, è stato il primo scienziato a riconoscere che il senso della storicità e della temporalità della Natura è stato affermato in maniera definitiva da Hegel. Dal pensatore, cioè, che, come Croce, nella vulgata superficiale rientrerebbe “a pieno titolo” tra coloro che non avrebbero compreso la scienza. In questo senso e per queste ragioni, il testo al quale Prigogine, assieme a Isabelle Stengers, ha consegnato queste considerazioni a me sembra, in senso assoluto, uno dei più importanti di tutto il Novecento[16].

La terza tappa, che “corona” il breve percorso fin qui delineato, è rappresentata dalla visione del nostro pianeta elaborata da James Lovelock. Infatti, analogamente a Croce, che aveva espresso ripetutamente l’idea che, se vogliamo descrivere la Natura, dobbiamo usare l’immagine dell’organismo e non quella del meccanismo, Lovelock, negli anni Settanta del Novecento, ha lanciato l’idea, sulle prime considerata soltanto provocatoria, secondo la quale il nostro pianeta non è un sistema inerte ma è un vero e proprio megaorganismo vivente[17]. Un organismo all’interno del quale tutte le infinite parti – infinite perché si rinnovano continuamente nel tempo – che lo contengono interagiscono in maniera virtuosa equilibrandosi a vicenda e consentendo, così, l’omeostasi dell’intero organismo[18]. Consonanza più profonda con colui che ha parlato della natura come «storia senza storia da noi scritta»[19] non avrebbe potuto esserci e, ancora una volta, emerge la constatazione che le riflessioni di Benedetto Croce sulle scienze e sui loro oggetti restano tutte valide e quindi di pregnante attualità[20]. Ma tutto ciò non si limita alla Natura come oggetto delle riflessioni scientifiche, bensì si estende sia all’altro oggetto fondamentale, costituito dal “soggetto conoscente”, sia al linguaggio proprio delle scienze, ossia alle matematiche. Anche a proposito di queste due tematiche la “filosofia delle scienze” di Croce è in perfetta consonanza con quanto di meglio è stato espresso dai pensatori del Novecento, tra i quali, nei casi specifici, mi sembrano particolarmente appropriati al confronto che sto svolgendo i nomi di Humberto Maturana e Francisco Varela in riferimento al “Soggetto conoscente”; e di Imre Toth e Benoît Mandelbrot in riferimento alle matematiche.

Come tutti sanno, Cartesio e Kant ci hanno lasciato in eredità un soggetto conoscente dotato di un intelletto sempre identico a se stesso, da sempre e per sempre. Un intelletto del tutto astratto al quale già Vico aveva contrapposto il concetto di “modificazioni della mente” e al quale Croce aveva, a sua volta, contrapposto l’idea hegeliana secondo la quale l’identità di ogni esistente non è data una volta per tutte ma si forma, per dialettica contraddizione con se stesso, nel corso del suo sviluppo storico, il cui esito è il risultato di tutto il processo da esso vissuto. Infatti, ripartendo da una corretta interpretazione di Aristotele, per il quale non si può attribuire, a un medesimo soggetto, un attributo e il suo contrario “nello stesso tempo e sotto lo stesso rispetto”, Hegel ci ha insegnato che ogni esistente si qualifica, per usare un esempio convincente di Michel Serres, non per la sua “carta d’identità” ma per il suo intero “curriculum vitae”.

Ebbene, in perfetta consonanza con queste enunciazioni, Humberto Maturana e Francisco Varela ci hanno insegnato che il cervello di ogni singolo essere vivente si sviluppa e si forma in funzione degli sforzi cognitivi specifici che esso fa. Questo significa che non solo il suo cervello non è mai identico a se stesso ma che, soprattutto, non esistono due cervelli uguali. In questo modo il tempo, la storia, l’interazione con tutto ciò che lo circondano determinano tutti il modo di essere o, meglio, il modo di divenire di ogni soggetto, di ogni vivente. Questo significa anche che non esistono, hegelianamente, universali astratti simili alle idee platoniche, ma che “ogni cosa detta è detta da qualcuno” che vive in continuo “accoppiamento strutturale” con tutto ciò che lo circonda[21]. Significa, ancora, che ogni sforzo cognitivo è volto a destreggiarsi all’interno di relazioni che sono rapporti inevitabili con il “mondo circostante”; ovvero che, proprio per questo, “ogni conoscenza è azione e ogni azione è conoscenza”. Significa, in ultima istanza, che ogni teoria rimanda a una realizzazione etica perché coinvolge sempre un numero indefinito di attori in cui ogni singolo agente ha sempre una parte attiva che viene modificata da tutti gli interlocutori, che a sua volta essa modifica.

Allora come per Croce, per Heisenberg, per Prigogine, per Lovelock, anche per Maturana e Varela ogni soggetto non solo è sempre, vichianamente e hegelianamente, un essere storico, ma è anche sempre “un soggetto e un oggetto di relazioni”.

Veniamo, infine, al linguaggio formale delle scienze, le matematiche. A quel linguaggio che fa da supporto al linguaggio concettuale con il quale esse vengono comunque “ragionate e comunicate”, giusta l’espressione di Einstein, il quale riconosceva esplicitamente che ogni formula matematica va comunque espressa e comunicata mediante concetti.

Giambattista Vico, in esplicita polemica a distanza con Cartesio, faceva notare che la matematica ci appare perfetta perché l’abbiamo costruita noi, perché è frutto del nostro obbiettivo di misurare e contare gli oggetti in maniera precisa. Mostrava ciò sottolineando il fatto che il punto a dimensione zero o che la retta a una sola dimensione, se intesi come entità reali, sarebbero impensabili, mentre hanno un senso come mezzi per ottenere certi risultati. In questo modo egli distruggeva le fondamenta sulle quali Galilei e Keplero avevano fondato la scienza classica, presupponendo dogmaticamente che la struttura ontologica della Natura fosse formalmente identica alla geometria euclidea che, per giunta, veniva da loro, altrettanto dogmaticamente, identificata con la forma dell’intelletto divino[22].

Com’è ovviamente noto, queste convinzioni furono sconvolte dall’enunciazione delle geometrie euclidee e dall’interpretazione non più ontologica ma “convenzionalistica” delle diverse geometrie che Croce recepiva totalmente, come già accennato, da Henrì Poincaré.

Ebbene, dopo Croce, Imre Toth ha attribuito il sorgere delle geometrie non-euclidee a una sorta di contrapposizione dialettica che, proprio come Hegel, ha introdotto la contraddizione nello sviluppo storico delle geometrie, mostrandole definitivamente come “libere invenzioni dell’intelletto umano”. Egli ha mostrato che proprio il loro sorgere dall’interno della disciplina che sembrava incarnare il rigore per eccellenza ha reso la più chiara testimonianza della caratteristica che connota strutturalmente il soggetto: la sua innata capacità di “creare liberamente”. Di creare qualcosa che prima di essere prodotta era assolutamente impensabile e che, una volta creata, diventa indispensabile[23]. Allora, con buona pace di Frege e di Russell, per i quali gli oggetti geometrici e il numero uno esisterebbero nello stesso senso in cui esiste l’America; e con buona pace di Giuseppe Peano, con il quale Croce polemizzava fermamente, gli schemi geometrici e l’accumulare il numero uno come “successore” del numero precedente restano, giusta l’espressione provocatoria di Benedetto Croce “pseudoconcetti astratti”. In riferimento ad essi, la realtà concreta resta, per richiamare i pitagorici, “irrazionale”, “incommensurabile”, come del resto ha definitivamente dimostrato Benoît Mandelbrot, il quale nel 1967 ha svolto una rigorosa argomentazione con la quale ha reso evidente il fatto che nessuna retta, per quanto piccola possa immaginarsi, è in grado di “adeguare” la realtà concreta[24]. Successivamente ha mostrato come nessun oggetto naturale corrisponda a qualunque delle forme geometriche finora create, insistendo sul fatto che per esaminare qualunque oggetto non basta la rigorosa analisi formale ma c’è bisogno anche di “vedere” la sua forma concreta[25]. In altri termini, Mandelbrot ha introdotto il senso della vista come correlato fondamentale della descrizione meramente formale. Dopo quanto mostrato da lui, insomma, logica e sensibilità sono diventate entrambe parte integrante della “misurazione quantitativa”. Per giocare con i termini, gli oggetti hanno una “forma concreta” non riducibile a “forma astratta”, a forma matematica. In conseguenza di ciò, la matematica non è una struttura, ma è un linguaggio descrittivo, magari più rigoroso degli altri linguaggi, ma del tutto astratto. La matematica – scriveva Croce consentendo con una considerazione di Bertrand Russell – è «una scienza in cui non si sa mai di cosa si parli, né se ciò di cui si parla sia vero»[26].

Anche a questo proposito, dunque, ammesso e non concesso che si trattasse di “spropositi”, Croce era, ancora una volta, in buona compagnia.

Considerazioni conclusive

Giunti a questo punto, e a dispetto della brevità del percorso, forse può emergere il senso da dare alla definizione di Croce come “filosofo delle scienze”. Il senso, corroborato dai confronti che ho fatto, sia pur rapidamente, è presto detto. Benedetto Croce, come ha sempre fatto, ha riflettuto molto seriamente sullo statuto delle scienze classiche e ne ha fornito una connotazione che resta in significativa consonanza con coloro che lo hanno preceduto e con coloro che sono venuti dopo di lui e che hanno dato un contributo determinante alla comprensione di ciò che gli uomini hanno fatto e fanno, quando elaborano concezioni scientifiche o sviluppano il linguaggio matematico. Ovviamente, chiunque può mettere in discussione le sue conclusioni e fare i conti con lui nei modi e nei termini che gli sono più congeniali. Una cosa, questo ipotetico interlocutore, dovrebbe comunque tenere sempre in considerazione: non può più comportarsi come per anni hanno fatto parecchi studiosi italiani; non può isolare e decontestualizzare le sue conclusioni; non può più ignorare la storia della filosofia e delle scienze che ci indicano che le sue posizioni si inseriscono nel medesimo percorso e vanno nella stessa direzione di filosofi come Vico, Hegel e, oggi, Edgar Morin (al quale non ho fatto riferimento perché non rientrante nel percorso che mi sono proposto di delineare); e si inseriscono e vanno anche nella direzione seguita da Mach, Poincaré, Heisenberg, Prigogine, Lovelock, Maturana, Varela, Toth, Mandelbrot e tanti altri.

Prima di chiudere, però, mi sembra opportuna una precisazione che può giustificare, anche se solo in parte, l’avversione che Croce ha incontrato a lungo in quella parte della cultura italiana che lo ha superficialmente accusato di “svalutazione della scienza”: la nostra cultura scientifica (con l’eccezione di alcuni grandi matematici) non ha preso parte in maniera attiva alle rivoluzioni avvenute in fisica lungo tutto il corso del Novecento. Nessun fisico italiano ha dato contributi teorici significativi alla nascita e agli sviluppi della Meccanica quantistica, della Termodinamica, della Teoria dell’informazione. Nessun grande fisico italiano ha sentito il bisogno di riflettere filosoficamente sulla “metamorfosi della scienza” avvenuta nel Novecento. Dei due che ne sarebbero stati capaci, l’uno, Ettore Majorana, fu fermato, com’è noto, da problemi esistenziali; l’altro, Enrico Fermi, fu immediatamente “intimidito” nel suo primo tentativo (1921) di vincere un posto di professore ordinario perché, dei cinque commissari, i tre fisici presenti lo bocciarono, contro il parere dei due matematici, con la motivazione che si era occupato (per la verità solo in due brevi recensioni!) della inconsistente “meccanica quantica”. Due anni dopo, venne promosso solo perché capitarono nella nuova commissione tre matematici che non tennero conto del parere dei due fisici, che, anche loro, come quelli di due anni prima, espressero parere sfavorevole. Si può ipotizzare che questo evento tarpò le “ali teoretiche” di Fermi, che è stato un grandissimo fisico ma non ha mai sentito il bisogno di riflettere filosoficamente sul senso di quella disciplina alla quale, di fatto, recava contributi determinanti. Dopo di lui abbiamo continuato ad avere, sulla scia di Galilei, Torricelli, Volta, Marconi, grandi fisici sperimentali ma non grandi fisici teorici o fisici-filosofi del livello di Planck, Einstein, Eddington, De Broglie, Schrödinger, Pauli, Born e di quelli sui quali mi sono soffermato in questo breve viaggio all’interno della storia delle scienze contemporanee. In ragione di ciò, se si vuole comprendere seriamente la “filosofia delle scienze” di Croce, è necessario non solo riflettere con la dovuta attenzione su quanto egli ha scritto sull’argomento, ma anche, e preliminarmente, ripercorrere seriamente la storia e la filosofia delle scienze da Galilei ai nostri giorni.

  1. Ho trattato queste tematiche in maniera ampia nel volume Le polilogiche della complessità. Metamorfosi della Ragione da Einstein a Morin, Firenze, Le lettere, 2008 e in quello Da Einstein a Mandelbrot. La filosofia dei fisici contemporanei, Firenze, Le Lettere, 2009.
  2. G. Vico, La scienza nuova seconda, a cura di Fausto Nicolini, Bari, Laterza, 1967, V ed., p. 90; B. Croce, La filosofia di Giambattista Vico, Bari, Laterza, 1965.
  3. B. Croce, Dialogo con Hegel, a cura di G. Gembillo, Napoli, E.S.I., 1995, p. 43.
  4. Ivi, p. 192.
  5. B. Croce, La storia come pensiero e come azione, Bari, Laterza, 1978, IV ed., p. 53.
  6. Cfr. C. Antoni, Commento a Croce, Milano, Neri Pozza, 1964, II ed., p. 31.
  7. Mi limito a rimandare a E. Mach, Scienza tra storia e critica, a cura di L. Guzzardi, Monza, Polimetrica, 2005; Id., Analisi delle sensazioni, trad. di R. Vaccaro e C. Cessi, Torino, Bocca, 1903; Id., Conoscenza ed errore, trad. di A. Gargani, Torino, Einaudi, 1982; Id., La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, trad. di A. D’Elia, Torino, Boringhieri, 1977; H. Poincarè, La scienza e l’ipotesi, trad. di M. G. Porcelli, Bari, Dedalo, 1989; Id., Scienza e metodo, a cura di C. Bartocci, Torino, Einaudi, 1997; Scritti di fisica-matematica, a cura di U. Sanzo, Torino, UTET, 1993.
  8. Eppure, dopo circa 120 anni nei quali al pensiero di Croce sono stati dedicati migliaia di volumi e un’infinità di saggi e articoli, i lavori specifici sull’argomento si riducono ai soli volumi: A. M. Fraenkel, Le scienze naturali nella filosofia di Benedetto Croce, a cura di F. Albergamo, Bari, Laterza, 1952; G. Gembillo, Filosofia e scienze nel pensiero di Croce. Genesi di una distinzione, Napoli, Giannini, 1984; Id., Croce e il problema del metodo, Napoli, Pagano, 1991; Id., Benedetto Croce. Filosofo della complessità, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006; A. Nigrelli – F. S. Tortoriello, Benedetto Croce. La scienza, la matematica, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007; S. Zappoli, La teoria della scienza nella logica di Benedetto Croce, Catania, A&G-CUEM, 2019. Per gli articoli degni di nota rimando a G. Giordano, Ancora sulla svalutazione crociana delle scienze, in «Diacritica», febbraio 2016, pp. 29-40; Id., Croce e le scienze, in «Bollettino della S.F.I.», gennaio-aprile 2017, pp. 29-37; Id., Croce, le scienze, la complessità, in «Diacritica», febbraio 2021, pp. 116-35.
  9. Per un adeguato approfondimento rimando a G. Gembillo, Neostoricismo complesso, Napoli, E.S.I., 1999.
  10. Cfr. B. Croce, Filosofia della pratica. Economica ed etica, Bari, Laterza, 1963; G. Vico, L’antichissima sapienza degli Italici da estrarsi dalle origini della lingua latina, ora in Id., La scienza nuova e altri scritti, a cura di N. Abbagnano, Torino, UTET, 1976, pp. 188-246; G.W.F. Hegel, Prefazione, a cura di D. Donato e G. Gembillo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006.
  11. Cfr. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. di E. Filippini, Milano, Il Sagittario, 1997.
  12. W. Heisenberg, Sul contenuto intuitivo della cinematica e della meccanica quantoteoriche, trad. di G. Gembillo [1991], ora in «Complessità», 2, 2007; Messina, Sicania, 2009, p. 30.
  13. Cfr. W. Heisenberg, Ordinamento della realtà, a cura di G. Gembillo e G. Gregorio, Messina, Armando Siciliano, 2020.
  14. Rimando a: W. Heisenberg e altri, Discussione sulla fisica moderna, trad. di A. Verson, Torino, Boringhieri, 1980; Id., Indeterminazione e realtà, a cura di G. Gembillo e G. Gregorio, Napoli, Guida, 2002; Id., Fisica e filosofia, trad. di G. Gnoli, Milano, Il Saggiatore, 1994; Id., Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti 1920-1965, trad. di M. e D. Paggi, Torino, Boringhieri, 1984; Id., La tradizione nella scienza, trad. di R. Pizzi, Milano, Garzanti, 1982; Id., Lo sfondo filosofico della fisica moderna, a cura di G. Gembillo e E. Giannetto, Palermo, Sellerio, 1999; Id., Mutamenti nelle basi della scienza, trad. di A. Verson, Torino, Boringhieri, 1978; Id., Natura e fisica moderna, trad. di E. Casari, Milano, Garzanti, 1985; Id., Oltre le frontiere della scienza, trad. di S. Buzzoni, Roma, Editori Riuniti, 1984; G. Gembillo, Werner Heisenberg. La filosofia di un fisico, Napoli, Giannini, 1987; Werner Heisenberg scienziato e filosofo, a cura di G. Gembillo e C. Altavilla, Messina, Armando Siciliano, 2002; C. Altavilla, Fisica e filosofia in Werner Heisenberg, Napoli, Guida, 2006.
  15. Cfr. il già citato G. Giordano, Croce, le scienze, la complessità, in «Diacritica», febbraio 2021, pp. 116-35; e, in generale, G. Gembillo-G. Giordano-F. Stramandino, Ilya Prigogine scienziato e filosofo, Messina, Armando Siciliano, 2004; G. Giordano, La filosofia di Ilya Prigogine, Messina, Armando Siciliano, 2005; G. Gembillo-G. Giordano, Ilya Prigogine. La rivoluzione della complessità, Roma, Aracne, 2018.
  16. Mi riferisco, ovviamente a I. Prigogine-I. Stengers, La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, (1979), trad. di P. D. Napolitani, Torino, Einaudi, 1993; cfr. anche I. Prigogine-D. Kondepudi, Termodinamica, trad. di F. Ligabue, Torino, Bollati Boringhieri, 2002; I. Prigogine, Dall’essere al divenire, trad. di G. Bocchi e M. Ceruti, Torino, Einaudi, 1986; Id., Il futuro è già determinato? trad. di M. P. Felici, Roma, Di Renzo, 2003; Id., La fine delle certezze, trad. di L. Sosio, Torino, Bollati Boringhieri, 1997; Id., La nascita del tempo, Milano, Bompiani, 1996; Id., Le leggi del caos, trad. C. Brega e A. de Lachenal, Roma-Bari, Laterza, 1994; Id., Tempo, Determinismo, Divenire, a cura di G. Bozzolato, Brugine (Pd), Edizioni Centro, 1999; I. Prigogine-G. Nicolis, Le strutture dissipative. Auto-organizzazione dei sistemi termodinamici in non-equilibrio, trad. di A. Tripiciano, Firenze, Sansoni, 1982.
  17. Cfr. J. Lovelock, Gaia. Nuove idee sull’ecologia, trad. di V. Bassan Landucci, Torino, Bollati Boringhieri, 1996; Id., Gaia: manuale di medicina planetaria, trad. di S. Peressini, Bologna, Zanichelli, 1992; Id., Le nuove età di Gaia, trad. di R. Valla, Torino, Bollati Boringhieri, 1991; Id. Omaggio a Gaia. La vita di uno scienziato indipendente, trad. di I. C. Blum, Torino, Bollati Boringhieri, 2002; Id., La rivolta di Gaia, trad. di M. Scaglione, Milano, Rizzoli, 2006; numero di «Complessità», 1, 2020, pp. 412, interamente dedicato al pensiero di Lovelock.
  18. Per il concetto di omeostasi rimando a W. Cannon, La saggezza del corpo, trad. di L. Torossi, Milano, Bompiani, 1956; J. Z. Young, La fabbrica della certezza scientifica. Riflessioni di un biologo sul cervello, Torino, Bollati Boringhieri, 2017.
  19. B. Croce, La storia come pensiero e come azione, op. cit., p. 264.
  20. L’ho già sottolineato in Attualità della “svalutazione” crociana della scienza, ora in Croce filosofo, a cura di G. Cacciatore, G. Cotroneo, R. Viti Cavaliere, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, pp. 371-99.
  21. Cfr. H. Maturana-F. Varela, L’albero della conoscenza, trad. di G. Melone, Milano, Garzanti, 1999; Id., Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, trad. di A. Stragapede, Venezia, Marsilio, 1985; H. Maturana, Autocoscienza e realtà, trad. di L. Formenti, Milano, Cortina, 1993.
  22. Per i riferimenti testuali rimando al mio già citato Neostoricismo complesso, pp. 5 e sgg.
  23. Cfr. I. Toth, Aristotele e i fondamenti assiomatici della geometria, Milano, Vita e Pensiero, 1998; Id., La filosofia e il suo luogo nello spazio della spiritualità occidentale, trad. di R. Romani, Torino, Bollati Boringhieri, 2007; Id., NO! Libertà e creatività, Milano, Rusconi, 1998.
  24. B. Mandelbrot, How Long is the Coast of Britain?, a cura di G. Gembillo, Messina, Armando Siciliano, 2007.
  25. B. Mandelbrot, Gli oggetti frattali. Forma, caso e dimensione, a cura di R. Pignoni, Torino, Einaudi, 1987. Cfr. anche Id., La geometria della natura. Sulla teoria dei frattali, Milano, Imago, 1987; Nel mondo dei frattali, Roma, Di Renzo, 2007.
  26. B. Croce, Lineamenti di una logica come scienza del concetto puro, in «Atti dell’Accademia Pontaniana», 1905, pp. 77-78. Cfr. B. Russell, Misticismo e logica, trad. di J. Sanders e L. Breccia, Roma, Newton Compton, 1978, II ed., p. 80.

(fasc. 43, 25 febbraio 2022)