Italo Calvino lettore dell’”Autre monde ou Les États et Empires de la Lune” di Cyrano de Bergerac

Author di Nunzio Allocca

Quando individua, in apertura delle incompiute Norton Lectures, nella leggerezza il primo dei valori letterari da salvaguardare nel Terzo millennio, Italo Calvino chiama in causa, tra i numerosi autori passati in rapida rassegna dall’antichità all’età contemporanea, una delle figure più originali nel panorama filosofico-scientifico dell’età galileiana, Savinien Cyrano de Bergerac (1619-1655)[1]. Elogiato da Calvino come «scrittore straordinario», l’autore di L’autre monde ou Les États et Empires de la Lune e di Les États et Empires du Soleil ‒ usciti postumi (ed espurgati dei passi ritenuti più sconvenienti) rispettivamente nel 1657 e nel 1662[2] ‒ è ricordato nelle Lezioni americane come «il primo scrittore del mondo moderno che fa esplicita professione d’una concezione atomistica dell’universo nella sua trasfigurazione fantastica»[3].

Entusiasta frequentatore delle conferenze parigine del canonico Pierre Gassendi (1592-1655)[4], le cui opere erano ammirate dai dotti e dagli eruditi libertini, rinnovatore in Francia del naturalismo materialistico e dell’epicureismo tornati prepotentemente alla ribalta nel secondo Cinquecento, Cyrano aprì la filosofia clandestina a esplorazioni narrative che mettevano alla prova del demone del paradosso e della ludica imprevedibilità dell’immaginazione i discorsi del senso comune e quelli dell’autorità scolastica[5].

Cyrano è personalità “comique” opposta e complementare a quella tragica di Blaise Pascal, il quale in un noto ed emblematico passaggio dei Pensées ‒ «Le silence éternels de ces espaces infinis m’effraie»[6] ‒ aveva espresso il proprio sgomento di fronte al crollo post-copernicano dell’antica immagine del Cosmo, un tutto ordinato e conchiuso in cui si rispecchiava una scala assoluta di valori (armonia, significato, finalità) secondo la gerarchia al contempo fisica e ontologica fissata dalla cosmologia aristotelico-tolemaica, che risaliva dall’oscura e pesante Terra (immobile al centro dell’universo, regno della generazione e della corruzione) all’inalterabile perfezione dei pianeti, delle stelle e delle sfere celesti[7].

La piena adesione alla tradizione filosofica e letteraria del materialismo fisico-etico epicureo divenne in Cyrano ‒ prolifico autore di mordaci Mazarinades nonché di brillanti commedie e tragedie improntate alla critica della religione, della spiritualità dell’anima e della sua immortalità ‒ fertile sfondo teorico e strumento per piegare lo spazio infinito spalancato dalla cosmologia secentesca alla sperimentazione narrativa non antropocentrica della navigazione interplanetaria. Questa nell’Autre monde ou Les États et Empires de la Lune e negli États et Empires du Soleil assumeva, con libero e giocoso reimpiego delle fonti letterarie e mitologiche classiche, forma di esplorazione romanzata dell’inesauribile variabilità materiale dell’universo e dei suoi abitanti quale prodotto dell’incessante e precaria combinatoria di particelle indivisibili inosservabili, gli atomi, celebrando la fraternità di tutti gli esseri inanimati e animati, plasmati dalla stessa materia[8].

Nel commentare un brano di particolare efficacia polemica antifinalistica contenuto nell’Autre monde ou Les États et Empires de la Lune[9], così Calvino scrive:

In pagine la cui ironia non fa velo a una vera commozione cosmica, Cyrano celebra l’unità di tutte le cose, inanimate o animate, la combinatoria di figure elementari che determina la varietà delle forme viventi, e soprattutto egli rende il senso della precarietà dei processi che le hanno create: cioè quanto poco è mancato perché l’uomo non fosse l’uomo, e la vita la vita, e il mondo un mondo[10].

Il continuo avvicendarsi degli esseri in un universo post-copernicano à part entière materiale, quello descritto nell’Autre monde ou Les États et Empires de la Lune, che non conosce più gerarchie ontologiche e rigetta ogni dualismo spirito-corpo, porta Cyrano a proclamare, osserva Calvino, la fraternità degli uomini con i cavoli in un divertente e spiazzante brano anticartesiano sull’intelligenza sensitiva dei vegetali, ritenuti capaci di avvertire dolore dagli abitanti della Luna, i quali non si nutrono di carne o verdure «se non sono morte da sole»[11]. Si legge nelle Lezioni americane:

Se pensiamo che questa perorazione per una vera fraternità universale è stata scritta quasi centocinquant’anni anni prima della Rivoluzione francese, vediamo come la lentezza della coscienza umana a uscire dal suo parochialism antropocentrico può essere annullata in un istante dall’invenzione poetica. Tutto questo nel contesto di un viaggio sulla luna, dove Cyrano de Bergerac supera per immaginazione i suoi più illustri predecessori, Luciano di Samosata e Ludovico Ariosto. Nella mia trattazione sulla leggerezza, Cyrano figura soprattutto per il modo in cui, prima di Newton, egli ha sentito il problema della gravitazione universale; o meglio è il problema di sottrarsi alla forza di gravità che stimola talmente la sua fantasia da fargli inventare tutta una serie di sistemi per salire sulla luna, uno più ingegnoso dell’altro: con fiale piene di rugiada che evaporano al sole; ungendosi di midollo di bue che viene abitualmente succhiato dalla luna; con una palla calamitata lanciata in aria verticalmente ripetute volte da una navicella[12].

In un articolo apparso il 24 dicembre 1982 su «la Repubblica», che sarebbe servito da materiale preparatorio per la lezione sulla leggerezza delle Norton Lectures, Calvino si era soffermato più in dettaglio sull’analisi del contenuto dell’Altro mondo ovvero Stati e imperi della Luna e sul suo significato per la modernità[13]. «Qualità intellettuale e qualità poetica convergono in Cyrano, e ne fanno uno scrittore straordinario, nel Seicento francese e in assoluto», scrive con entusiasmo Calvino: polemista libertino «coinvolto nella mischia che sta mandando all’aria la vecchia concezione del mondo», partigiano del sensismo di Gassendi e dell’astronomia copernicana, sebbene in primo luogo nutrito della filosofia naturale del Cinquecento italiano, da Cardano a Bruno e Campanella, Cyrano è sì uno scrittore «barocco», capace di «pezzi di bravura» nei quali stile e oggetto descritto sembrano identificarsi, ma soprattutto

scrittore fino in fondo, che non vuole tanto illustrare una teoria o difendere una tesi quanto mettere in moto una giostra di invenzioni che equivalgano sul piano dell’immaginazione e del linguaggio a quel che la nuova filosofia e la nuova scienza stanno mettendo in moto sul piano del pensiero. Nel suo Altro mondo non è la coerenza delle idee che conta, ma il divertimento e la libertà con cui egli si vale di tutti gli stimoli intellettuali che gli vanno a genio. È il conte philosophique che comincia: e questo non vuol dire racconto con una tesi da dimostrare, ma racconto in cui le idee appaiono e scompaiono e si prendono in giro a vicenda, per il gusto di chi ha abbastanza confidenza con esse per saperci giocare anche quando le prende sul serio[14].

Sono considerazioni importanti, queste, che misurano la profonda simpatia e affinità avvertita nei confronti dell’«immaginoso cosmografo»[15] Cyrano da parte dell’autore delle Cosmicomiche, racconti, ricorda Calvino in un testo retrospettivo del 1975, «nati dalla libera immaginazione d’uno scrittore d’oggi sollecitata da letture scientifiche, specialmente d’astronomia», racconti aventi per oggetto

l’origine del mondo e della vita, e la prospettiva di una loro possibile fine, […] temi così grossi, che per riuscire a pensarci dobbiamo far finta di scherzare; anzi raggiungere una tale leggerezza di spirito da riuscire a scherzarci davvero è l’unico modo per avvicinarci a pensare in scala “cosmica”. […] Gli antichi partivano dai miti per avvicinare e comprendere i fenomeni della terra e del cielo; lo scrittore contemporaneo prende spunto dalla scienza attuale per ritrovare il piacere di raccontare, e di pensare raccontando[16].

Nel viaggio sulla Luna di Cyrano, sottolinea Calvino nelle Lezioni americane, si trova uno dei nuclei generatori dell’immaginazione letteraria illuministica, influenzata dalla teoria newtoniana della gravitazione universale, concepita come «l’equilibrio delle forze che permette ai corpi celesti di librarsi nello spazio»[17]:

L’immaginazione del XVIII secolo è ricca di figura sospese per aria. Non per nulla agli inizi del secolo la traduzione francese delle Mille e una Notte di Antoine Galland aveva aperto alla fantasia occidentale gli orizzonti del meraviglioso orientale: tappeti volanti, cavalli volanti, geni che escono dalle lampade. Di questa spinta dell’immaginazione a superare ogni limite, il secolo XVIII conoscerà il culmine con il volo del Barone di Münchausen su una palla di cannone, immagine che nella nostra memoria si è identificata definitivamente con l’illustrazione che è il capolavoro di Gustave Doré. Le avventure di Münchausen, che come le Mille e una Notte non si sa se abbiano avuto un autore, molti autori o nessuno, sono una continua sfida alla legge della gravitazione: il Barone è portato in volo dalle anatre, solleva sé stesso e il cavallo tirandosi su per la coda della parrucca, scende dalla luna tenendosi a una corda più volte tagliata e riannodata durante la discesa[18].

In rapporto alle teorie della gravitazione di Newton vanno anche situati i «miracolosi» versi sulla luna di Leopardi[19], autore ancora adolescente, ricorda Calvino, di un’eruditissima storia dell’astronomia, poeta la cui ispirazione non era soltanto lirica: «quando parlava della luna Leopardi sapeva esattamente di cosa parlava»[20]. Nelle Lezioni americane, destinate a divenire il proprio testamento poetico, è ribadito con forza quanto Calvino aveva affermato in risposta ad Anna Maria Ortese sulle pagine del «Corriere della sera» il 24 dicembre 1967[21], all’indomani della pubblicazione della seconda raccolta di racconti cosmicomici Ti con zero, quando aveva con scalpore eletto Galileo a massimo scrittore della letteratura italiana:

Ma la Luna dei poeti ha qualcosa a che vedere con le immagini lattiginose e bucherellate che i razzi trasmettono? Forse non ancora; ma il fatto che siamo obbligati a ripensare la Luna in un modo nuovo ci porterà in un modo nuovo tante cose. […] Chi ama la luna davvero non si contenta di contemplarla come un’immagine convenzionale, vuole entrare in rapporto più stretto con lei, vuole vedere di più nella luna, vuole che la luna dica di più. Il più grande scrittore della letteratura italiana d’ogni secolo, Galileo, appena si mette a parlare della luna innalza la sua prosa a un grado di precisione ed evidenza ed insieme di rarefazione lirica prodigiosa. E la lingua di Galileo fu uno dei modelli della lingua di Leopardi, gran poeta lunare…[22].

Carlo Cassola, come è noto, intervenne con durezza una settimana più tardi sulle pagine del «Corriere»:

Domenica scorsa, su questo giornale, Italo Calvino ha affermato che Galilei è il più grande scrittore italiano di ogni secolo. Io credevo che Galilei fosse il più grande scienziato, ma che la palma di massimo scrittore spettasse a Dante. E che oltre Dante, in otto secoli, la letteratura italiana avesse dato alcuni altri poeti, come tali più importanti di Galilei. Ma mentirei se dicessi che l’affermazione di Calvino mi ha scandalizzato. Lo spirito di dimissioni di molti miei colleghi è giunto a un punto tale che non mi scandalizzo più di niente. L’augurio che rivolgo loro è di liberarsi del complesso di inferiorità nei confronti della cultura scientifica e della tecnologia. E se no, che cambino mestiere[23].

La replica di Calvino non si fece attendere[24]. L’umanità si apprestava a un evento epocale, la conquista del suolo lunare, che grazie all’incredibile successo tecnologico della missione Apollo 11 avrebbe avuto luogo di lì a breve, un anno e mezzo più tardi, il 21 luglio 1969. Di questo nuovo epocale contatto con il satellite terrestre per Calvino la letteratura doveva necessariamente farsi carico, così come con l’ulteriore progresso delle missioni spaziali. Dopo il lancio della sonda «Voyager 2» per esplorazione del sistema solare esterno il signor Palomar, a dispetto di Cassola, non si fece sfuggire nulla negli anni successivi di quanto venne riportato sulla struttura ad anelli di Saturno:

che sono fatti di particelle microscopiche; che sono fatti di scogli di ghiaccio separati da abissi; che le divisioni tra gli anelli sono solchi in cui ruotano i satelliti spazzando la materia e addensandola ai lati, come cani da pastore che corrono intorno al gregge per tenerlo compatto; ha seguito la scoperta ad anelli intrecciati che poi si sono risolti in cerchi semplici molto più sottili; e la scoperta di striature opache disposte come raggi della ruota, poi identificate in nubi gelide. Ma le nuove notizie non smentiscono questa figura essenziale, non diversa da quella che per primo vide Gian Domenico Cassini nel 1676, scoprendo la divisione tra gli anelli che porta il suo nome. Per l’occasione è naturale che una persona diligente come il signor Palomar si sia documentata su enciclopedie e manuali. Ora Saturno, oggetto sempre nuovo, si presenta al suo sguardo rinnovando la meraviglia della prima scoperta, e risveglia il rammarico che Galileo col suo sfocato cannocchiale non sia arrivato a farsene che un’idea confusa, di corpo triplice o di sfera con due anse, e quando già era vicino a capire com’era fatto la vista gli venne meno e tutto sprofondò nel buio[25].

24 dicembre 1967-24 dicembre 1982: non è probabilmente un caso che Calvino abbia scelto di far uscire, esattamente quindici anni dopo l’elogio di Galileo sul «Corriere della sera», e in un quadro cosmologico nel frattempo rapidamente mutato, quello di Cyrano sulle pagine della «Repubblica», che così si apriva: «Nell’epoca in cui Galileo si scontrava col Sant’uffizio, un suo sostenitore parigino proponeva un suggestivo modello di sistema eliocentrico: l’universo è fatto come una cipolla, che “conserva, protetta da cento pellicine che la volgono, il prezioso germoglio da cui 10 milioni da altre cipolle dovranno attingere alla loro essenza… L’embrione, nella cipolla, è il piccolo sole di questo piccolo mondo, che riscalda e nutre il sale vegetativo di tutta la massa”»[26].

 

  1. Rielaboro qui alcune delle considerazioni da me svolte nella comunicazione The Modern Human Nature in Context: Italo Calvino, Cyrano de Bergerac and the Post-Copernican Image of Nature al Convegno internazionale Literature and Science: 1922-2022, a cura di M. Martino, F. Mitrano, D. Crosara e Y. Chung, Sapienza Università di Roma, 30-31 marzo 2023. Rinvio per il testo completo della comunicazione alla pubblicazione degli Atti del Convegno.

  2. Cyrano de Bergerac, Les États et Empires de la Lune et du Soleil. Avec le Fragment de Physique, édition critique, textes étabilis et commentés par M. Alcover, Paris, Honoré Champion, 2000.

  3. I. Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, in Saggi. 1945-1985, a cura di M. Barenghi, Milano, Mondadori, 1995, 2 voll., vol. I, pp. 647-48.

  4. Giunto alla notorietà sin dalla giovinezza per le osservazioni astronomiche da lui condotte a partire dal 1618, in particolare quella del transito di Mercurio di fronte al Sole, il primo mai rilevato, oltreché dell’aurora boreale, Gassendi pubblicò nel 1924 un fortunato volume di Saggi polemici contro gli aristotelici (Exercitationes Paradoxicœ adversos Aristoteleos), dedicando negli anni seguenti la sua attività di erudito e scienziato alla restituzione della filosofia di Epicuro, esponendola nei suoi principi gnoseologici, fisici e morali (la conoscenza è fondata sul criterio primo della sensazione; ogni esistenza è ricondotta al movimento nel vuoto infinito di pulviscoli della materia, gli atomi impercettibili e indivisibili; le regole dell’azione umana sono fondate sulla ricerca del piacere e la fuga dal dolore). La grande opera in latino alla quale Gassendi attese fino alla sua morte, avvenuta nel 1655, era volta a costituire, sulla base di quella antica e pagana, una nuova filosofia atomistica adattata con “correzioni” al sapere coevo, ovvero resa compatibile con le credenze e l’ortodossia ecclesiastica. Quella che doveva inizialmente profilarsi come un’indagine sulla vita e la dottrina di Epicuro (cfr. P. Gassendi, Commentarium de vita, moribus et placitis Epicuri libri octo seu Amimadversiones in decimum librum Diogenis Laertii, 1649; Id., Syntagma philosophiae Epicuri, cum refutationibus dogmatum quae contra fidem Christianorum ab eo asserta sunt, 1649) sfocerà infatti nel progetto, parallelo alla vibrante polemica condotta da Gassendi contro il dualismo mente-corpo di Descartes (Disquisitio metaphysica seu dubitaiones et instantiae adversus Renati Cartesii metaphysicam et responsa, 1644), della redazione di un grande trattato filosofico-scientifico, i cui manoscritti erano noti ai suoi soli amici e discepoli, il Syntagma philosophicum, che fu pubblicato postumo negli Opera Omnia (1658). Su Gassendi cfr. in part. O. Bloch, La philosophie de Gassendi, Nominalisme, matérialisme et métaphysique, La Haye, Martinus Nijhoff, 1971; B. Brundell, Pierre Gassendi. From Aristotelianism to a New Natural Philosophy, Dordrecht, Reidel, 1987.

  5. Cfr. J.-Ch. Darmon, Le songe libertin. Cyrano de Bergerac d’un monde à l’autre, Paris, Klincksieck, 2004.

  6. ‘Il silenzio di questi spazi infiniti mi atterrisce’: B. Pascal, Frammenti, a cura di E. Balmas, 2 vol., Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1983, vol. I, p. 275 (ed. orig. 1669).

  7. Sul contesto cosmologico, metafisico e religioso del brano di Pascal cfr. il sempre classico A. Koyré, Dal mondo chiuso all’universo infinito, Milano, Feltrinelli, 1970 (ed. orig. Baltimore, The John Hopkins, 1957).

  8. Un autorevole studioso di Cyrano così ne descrive la formazione e gli intenti: «La nourriture que Gassendi lui peut dispenser … n’est pas à la mesure de son appetit. Pour fair oeuvre d’écrivain philosophe, il faudra puisier encore dans la gibecière et dans celle de Rohault, emprunter aux hérésiarques et piller les incrédules, embruiller enfin toutes les suggestions du libertinage érudit dans le desordres du libertinage flamboyant: alors seulement il disposera d’une assez grande provision de paradoxes pour peupler ses fabuleux États de la Lune»: R. Pintard, Le libertinage érudit dans la première moité du XVIIe siècle, Paris, Boivin, 1943, 2 voll., vol. I, p. 330.

  9. «Vi meravigliate come questa materia mescolata alla rinfusa, in balia del caso, può aver costituito un uomo, visto che c’erano tante altre cose necessarie alla costruzione del suo essere, ma non sapete che cento milioni di volte questa materia, mentre era sul punto di produrre un uomo, si è fermata a formare ora una pietra, ora del piombo, ora del corallo, ora un fiore, ora una cometa, per le troppe o troppo poche figure che occorrevano o non occorrevano per progettare un uomo. Come non fa meraviglia che tra un’infinita quantità di materia che cambia e si muove incessantemente, sia capitato di fare i pochi animali, vegetali minerali che vediamo, così come non fa meraviglia che su cento colpi di dati esca una pariglia. È pertanto impossibile che da questo lieve movimento non si faccia qualcosa, e questa cosa sarà sempre fonte di stupore per uno sventato che non pensa quanto poco è mancato perché non fosse fatta»: Cyrano de Bergerac, L’altro mondo ovvero Stati e imperi della Luna, a cura di V. Bernieri, introduzione di L. Erba, traduzione di G. Marchi, Roma, Theoria, 1982, p. 109.

  10. I. Calvino, Lezioni americane, op. cit., p. 648.

  11. «Si dirà che noi, e non i cavoli, siamo fatti a immagine dell’Essere Supremo. Quando ciò fosse vero, noi abbiamo cancellato questa somiglianza macchiando l’anima per la quale gli somigliamo, non essendoci nulla che sia più contrario a Dio che il peccato. Se dunque la nostra anima non è più il suo ritratto, non gli somigliamo di più per le mani i piedi la bocca la fronte le orecchie che il cavolo per le foglie, i fiori, il gambo, il torsolo e il cappuccio. In verità, se quella povera pianta potesse parlare quando la tagliano, non credete che direbbe: “mio caro fratello uomo, che cosa ho fatto per meritare la morte? Cresco solo nei tuoi orti, e non mi si trova mai nei luoghi selvaggi, dove vivrei sicuro; disdegno di essere opera di altre mani che non siano le tue, ma ne sono appena uscito che vi ritorno. Mi sollevo da terra, mi schiudo, stendo le braccia, ti offro i miei figli in seme e, per ricompensa della mia cortesia, tu mi fai tagliare la testa!”. Ecco cosa direbbe quel cavolo se potesse parlare»: Cyrano de Bergerac, L’altro mondo ovvero Stati e imperi della Luna, op. cit., p. 97. Un estratto di questo brano è riportato in I. Calvino, Lezioni americane, op. cit., p. 649.

  12. Ivi, pp. 649-50.

  13. «Precursore della fantascienza, Cyrano nutre le sue fantasie delle cognizioni scientifiche del suo tempo e delle tradizioni magiche rinascimentali, e così facendo si imbatte in anticipazioni che solo noi più di tre secoli dopo possiamo apprezzare come tali: i movimenti da astronauta che s’è sottratto alla forza di gravità (lui ci arriva mediante ampolle di rugiada che viene attratta dal Sole), i razzi a più stadi, i “libri sonori” (si carica il meccanismo, si posa un ago sul capitolo desiderato, si ascoltano i suoni che escono da una specie di bocca). Ma la sua immaginazione poetica nasce da un vero sentimento cosmico e lo porta a mimare le commosse evocazioni dell’atomismo lucreziano; così egli celebra l’unità di tutte le cose, inanimate e viventi, e anche i quattro elementi d’Empedocle non sono che uno solo, con gli atomi ora rarefatti ora più densi»: I. Calvino, Cyrano sulla Luna, in Id., Saggi, op. cit., vol. I, p. 821.

  14. Ivi, pp. 823-24.

  15. Ivi, p. 821.

  16. I. Calvino, Postilla a Id., La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche, Torino, Einaudi, 1975 (pagina non numerata).

  17. I. Calvino, Saggi, op. cit., vol. I, p. 650.

  18. Ivi, pp. 650-51.

  19. «[…] il miracolo di Leopardi è stato di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare. Le numerose apparizioni della luna nelle sue poesie occupano pochi versi ma bastano a illuminare tutto il componimento di quella luce o a proiettarvi l’ombra della sua assenza»: ivi, pp. 651-52.

  20. Ivi, p. 651.

  21. Nella rubrica Filo diretto Anna Maria Ortese aveva lamentato le conseguenze “disumanizzanti” e “spoetizzanti” dello sviluppo delle tecnologie aerospaziali: «Caro Calvino, non c’è volta che sentendo parlare di lanci spaziali, di conquiste dello spazio, ecc., io non provi tristezza e fastidio; e nella tristezza c’è del timore, nel fastidio dell’irritazione, forse sgomento e ansia. Mi domando perché. Anch’io, come gli altri esseri umani, sono spesso portata a considerare l’immensità dello spazio che si apre al di là di qualsiasi orizzonte, e a chiedermi cos’è veramente, cosa manifesta, da dove ebbe inizio e se mai avrà fine. Osservazioni, timori, incertezze del genere umano hanno accompagnato la mia vita, e devo riconoscere che per quanto nessuna risposta si presentasse mai alla mia esigua saggezza, gli stessi silenzi che scendevano di là erano consolatori e capaci di restituirmi a un interiore equilibrio. […] Ora questo spazio, non importa da chi, forse da tutti i paesi progrediti, è sottratto al desiderio di riposo di gente che mi somiglia. Diventerà fra breve, probabilmente, uno spazio edilizio. O nuovo territorio di caccia, di meccanico progresso, di corsa alla supremazia, al terrore. Non posso farci nulla, naturalmente, ma questa nuova avanzata della libertà di alcuni, non mi piace. È un lusso pagato da moltitudini che vedono diminuire ogni giorno di più il proprio passo, la propria autonomia, la stessa intelligenza, il respiro, la speranza».

  22. I. Calvino, Saggi, op. cit., vol. I, pp. 227-28.

  23. C. Cassola, Calvino e Galilei, in «Corriere della Sera», 31 dicembre 1967, p. 11.

  24. «Leopardi nello Zibaldone ammira la prosa di Galileo per la precisione e l’eleganza congiunte. E basta vedere la scelta di passi di Galileo che Leopardi fa nella sua Crestomanzia della prosa italiana per comprendere quanto la lingua leopardiana – anche del Leopardi poeta – deve a Galileo. Ma per riprendere il discorso di poco fa, Galileo usa il linguaggio non come uno strumento neutro, ma con una coscienza letteraria, con una continua partecipazione espressiva, immaginativa, addirittura lirica. Leggendo Galileo mi piace cercare i passi in cui parla della Luna: è la prima volta che la Luna diventa per gli uomini un oggetto reale, che viene descritta minutamente come cosa tangibile, eppure appena la Luna compare, nel linguaggio di Galileo si sente una specie di rarefazione, di levitazione: ci si innalza in un’incantata sospensione. Non per niente Galileo ammirò e postillò quel poeta cosmico e lunare che fu Ariosto (Galileo appunto commentò anche Tasso, e lì non fu un buon critico: appunto perché la sua passione addirittura faziosa per Ariosto lo portò a stroncare Tasso in modo quasi sempre ingiusto). L’ideale di sguardo sul mondo che guida anche il Galileo scienziato è nutrito di cultura letteraria. Tanto che possiamo segnare una linea Ariosto-Galileo-Leopardi come una delle più importanti linee di forza della nostra letteratura»: I. Calvino, Due interviste su scienza e letteratura, I (gennaio-marzo 1968), in Id., Saggi, op. cit., vol. I, pp. 231-32. Ho approfondito il tema in N. Allocca, La luna e il libro della natura. Su Italo Calvino e l’eredità di Galileo, in «Azimuth. Philosophical Coordinates in Modern and Contemporary Age», II, 2014, n. 4, pp. 67-81; Le “due culture”. Italo Calvino, Galileo e la scienza moderna, in La scienza nella letteratura italiana, a cura di S. Redaelli, Roma, Aracne, 2016, pp. 107-22; Tecnica, estetica e processi comunicativi nel dibattito sulle “due culture”, in «Versus. Quaderni di studi Semiotici», 2017, vol. 125, pp. 209-22; Le due culture e il caso Galilei, in «Filosofia Italiana», 2018, 2, pp. 35-58.

  25. I. Calvino, Palomar, Torino, Einaudi, 1983, in Id., Romanzi e racconti, a cura di M. Barenghi e B. Falcetto, Milano, Mondadori, 3 voll., 1991-1994, vol. 2, p. 906.

  26. I. Calvino, Saggi, op. cit., vol. I, p. 820.

(fasc. 49, 31 ottobre 2023, vol. II)