Chissà quale sarebbe stato il modo migliore per parlare di lui, degli anni formativi, del battesimo del fuoco, dei debutti, delle scorrazzate sanremesi! Questo proto-Calvino per noi inizia il 2 ottobre 1925, data del suo arrivo a San Remo da Cuba, e si conclude il 7 luglio 1949 quando lo scrittore elegge residenza nel comune di Torino, cessando di essere sanremese e diventando universale.
Di San Remo non aveva più bisogno: la sua retina, la sua mente, il cuore ne erano imbevuti per sempre[1].
Il passaggio conclusivo con il quale Piero Ferrua (1930-2021) – intellettuale e anarchico recentemente scomparso – chiude il volume dedicato all’Italo Calvino sanremese testimonia la presenza di prospettive d’indagine passibili di importanti ampliamenti nel ricco panorama degli studi sull’autore. Italo Calvino a San Remo (1991)[2] di Ferrua si colloca nel novero delle indagini calviniane ingiustamente dimenticate, il cui recupero permette invece di integrare con informazioni nuove e uniche nel loro genere la già dettagliata ricostruzione biografica e letteraria sull’intellettuale. All’interno della vastissima bibliografia e tra la moltitudine di progetti di ricerca a lui dedicati – pari probabilmente solo a quelli pasoliniani – il volume di Ferrua dimostra sin dalle prime pagine l’eccezionalità della prospettiva adottata per l’indagine sui luoghi d’origine di Calvino, collocandosi dunque tra le ricostruzioni più significative degli ultimi decenni: il carattere testimoniale della ricerca, la prossimità dell’autore alla famiglia Calvino-Mameli, la sua provenienza sanremese e la vivace partecipazione alla vita e alle dinamiche del giardino di Villa Meridiana sono solo alcune delle questioni che provano la necessità di un recupero della ricerca di Ferrua, lucida e approfondita ricostruzione spaziale quasi dimenticata di uno dei classici della letteratura italiana del Novecento che molto deve alla città che lo ha cresciuto.
Con tali premesse, la riflessione che segue intende riscattare la particolare e profonda analisi che Ferrua dedica al rapporto tra il paesaggio sanremese e Calvino, provando la costante e durevole influenza del primo sul secondo, sulle sue opere e sulla sua poetica sulla base di una bibliografia di impronta paesaggistica e naturalistica collegata alla Storia del giardino e del paesaggio, che a mio avviso permette di integrare le indagini letterarie sull’autore e sui suoi luoghi elettivi. Conferendo adeguato valore all’educazione familiare e al retroterra culturale entro cui si formò Calvino, sostenendo la centralità della professione dei genitori – agronomo e botanica – nella sua formazione e nondimeno attraverso il recupero dell’originale personaggio del giardiniere Libereso Guglielmi, Ferrua getta infatti nuova luce, negli anni Novanta, sul persistente dualismo tra il carattere universale della scrittura dell’autore del Sentiero dei nidi di ragno (1947) e la specificità dei richiami all’ambiente natale; oltre a essere portatore di una simbologia che attraversa l’intera produzione, il substrato sanremese si erge a strumento di poetica e di riflessione critica sulla società, chiave interpretativa e lente sul mondo.
Docente universitario e di scuola, scrittore, anarchico e obiettore di coscienza, Piero Ferrua nasce a Sanremo, osservatore dunque privilegiato nel racconto di un Calvino spesso inedito. Il volume Italo Calvino a San Remo, da questa prospettiva, sviluppa un discorso locale con riferimento a luoghi, ambienti e personaggi ma, con affondi sul percorso scolastico e professionale, sull’attività politica e resistenziale e sui legami familiari e d’amicizia, riesce a integrare e arricchire il profilo di un Calvino già molto studiato, assumendo i toni di una biografia commentata, a tratti autobiografia dell’autore stesso che spesso incrocia la vita del giovane intellettuale e della famiglia. Ne nasce così un libro autentico, nel quale gli episodi raccontati nei brevi capitoli che lo compongono acquisiscono un alto grado di eccezionalità conferita dal confronto diretto con gli eventi e con i personaggi. Lungi dal ripercorrere in questa sede gli studi dedicati al ruolo del contesto spaziale nella produzione letteraria di Calvino, su cui molto ormai si è detto negli anni[3], l’obiettivo delle pagine che seguono vuole essere una riflessione più specifica sulla «sanremaschità» e sulla «liguritudine»[4] di Calvino – per introdurre una prima terminologia ferriana – a partire dal sostrato autobiografico e relazionale degli anni di Villa Meridiana, che con Renato Guglielmi, il figlio Libereso e con Piero Ferrua stesso costituisce una componente essenziale dell’opus dello scrittore.
Sebbene infatti le immagini di città, di campagna, di montagna e di mare[5] nella produzione letteraria dell’autore si siano dimostrate rappresentative di una particolare attenzione all’ambiente naturale e di un’eccezionale sensibilità intellettuale nei confronti dei mutamenti antropologici e sociali del secondo Novecento, per dirla stavolta con Pasolini[6], tali individuazioni testuali non colmano il vuoto di notizie relativo alla formazione calviniana, soprattutto ai motivi della competenza agronomica sottesa alla letterarietà dell’opera. Motivata tale sensibilità con alcuni significativi passaggi biografici riletti dalla particolare prospettiva ferriana, si intende infine riflettere sulla tensione di Calvino a trasporre letterariamente tali competenze, facendo di esse il sostrato della propria poetica.
Le competenze agronomiche di Calvino. “Paesaggi dell’esperienza”
Calvino possiede una profonda conoscenza dei luoghi che hanno ispirato le sue opere. Ne sono una prova non solo i bollettini di guerra, le locomotive a vapore della Riviera, l’esodo verso i centri industriali, il Giro d’Italia o la corsa ciclistica Milano-Sanremo minuziosamente descritti, ma anche i paesaggi sanremesi trasfigurati in esotiche moschee, minareti od oasi delle Città invisibili: «Italo si siede nottetempo, all’aperto […] e trasforma l’antenna della radio di San Martino in minareto, i giardini di Villa Ormond in tregende di palmizi, Villa Meridiana in un’oasi da respirare»[7]. Egli appartiene del resto, come afferma Alberto Asor Rosa, alla fragorosa e illuminata generazione di scrittori e scrittrici nati negli anni Venti del Novecento[8]. Con Pier Paolo Pasolini, Beppe Fenoglio, Carmelo Samonà, Mario Tobino, Natalia Ginzburg[9], solo per citarne alcuni, egli vive il passaggio da una struttura economica agricola o marinara, come si diceva, a una invece prettamente industriale che, attraverso il progresso tecnologico, l’intensificazione dell’attività produttiva e il consumismo, modifica irrimediabilmente l’immagine della società, su un piano tanto antropologico quanto culturale. «Sanremo fino a un secolo fa era un paesotto con un quartiere di marinai […]. Gli abitanti vivevano della raccolta e della vendita collettiva dei limoni, di cui a quel tempo il paese era circondato, quelli della marina navigando dal piccolo porto e pescando nel mare povero», denuncia nel 1946 dalle pagine del «Politecnico»[10]. Con il sopravvento dell’industria turistica e la riapertura del Casinò tale cambiamento si rende manifesto; scrive a tal proposito Benussi:
Sanremo, il suo paesaggio antico e il suo consumismo moderno, Sanremo come luogo dell’interiorità, della mente, da cui deve partire per descrivere qualsiasi altro (la Venezia di Marco Polo nelle Città invisibili), è comunque sempre al centro della memoria e della storia di questo scrittore in cui possiamo ancora ritrovare, seppur affrontati in modi ormai vicini a chi si sente cittadino di un villaggio planetario, gli ultimi temi cari a una cultura […][11].
Estendendo il discorso a tutta la Riviera di Ponente, nell’articolo egli descrive con minuzia di dettaglio le «piaghe della natura»[12], scrive Ferrua, dall’abbandono culturale alla difficoltà di comunicazione con la città, dalla presenza dei parassiti alla scarsità dei concimi per combatterli, dalla mancanza di attrezzi al problema dell’erosione, proponendo così, allo stesso modo dei genitori, una forma alternativa di denuncia al progresso sociale dalla prospettiva privilegiata di chi (ri)conosce e padroneggia le questioni ed è in grado di proporre valide soluzioni. Si legge ancora nell’articolo Riviera di Ponente:
La storia della Riviera di Ponente si può raccontare in due maniere: una che tratta della lotta degli uomini tra loro, del popolo e della piccola borghesia prima contro i saraceni, poi contro i nobili, poi contro i vescovi, poi contro i genovesi, poi contro i Savoia, poi contro i fascisti. L’altra che racconta la lotta degli uomini contro la terra, di come i terreni coltivati a segale o a fave tornarono incolti, di come agli agrumeti succedettero le piantagioni di rose o di garofani, di come gli uliveti deperirono e furono abbandonati o distrutti[13].
Si tratta di una lettura del contesto urbano e naturale indubbiamente connessa alla cultura agronomica e botanica ereditata dai genitori e assorbita negli anni sanremesi di villa Meridiana[14], come provato dai contenuti e dai toni perfettamente aderenti agli studi sulle città e sull’ambiente, alla Storia del giardino e del paesaggio. Attraverso le riflessioni sulla «lotta degli uomini contro la terra», Calvino anticipa dunque una prospettiva di indagine che sarà propria – nei decenni a venire – di studi di settore relativi al connubio città-natura, come quelli di Gilles Clément sui Giardini, paesaggio e genio naturale[15], di Luigi Zangheri sulla storia del «verde nella cultura occidentale»[16], di Alvaro Standardi, docente di Arboricoltura all’Università di Perugia, secondo cui «la corsa verso le città e l’espandersi di queste, hanno determinato l’allontanamento dalla natura dell’uomo il quale forse inconsapevolmente continua a desiderarla vicina»[17].
A fronte dei «numerosi ritratti parziali»[18] dei genitori che Calvino traccia nel Barone rampante, nella Speculazione edilizia, nel Visconte dimezzato e, ancora, tra gli altri, nei racconti L’occhio del padrone e Pranzo con un pastore – «talora appena velati dal gioco di trasposizioni […] talora decisamente criptici, calati in un contesto che volutamente distoglie il lettore dalla tentazione di procedere a identificazioni certe»[19] –, le riflessioni ambientali e urbanistiche rappresentano secondo chi scrive la più concreta e sincera testimonianza di un’eredità morale e culturale, «intellettuale e civile»[20], di una fedeltà intima all’interpretazione del mondo «delle erbe e dei venti», del mondo dell’opaco[21] – scriverà poi Italo – di Mario Calvino ed Eva Mameli:
Fin dall’adolescenza, Italo optò per i romanzi d’avventura, per le riviste umoristiche, i fumetti, il cinema: poi rifiutò di laurearsi in Agraria, decise di vivere in una grande città…Ma proprio mentre rinunciava a seguire le orme solenni dei suoi, mentre si avviava a seguire fino in fondo la propria vocazione, non trascurava l’essenza degli insegnamenti ricevuti[22].
Pur nella decisione di non intraprendere la professione dei genitori, svincolandosi dunque dalla rigidità delle strutture intellettuali di stampo scientifico, egli mantiene comunque salda l’adesione nei confronti di un modus vivendi di origine familiare di cui Sanremo, villa Meridiana e le sue attività sono il fulcro: «Egli diceva di non aver saputo far tesoro del sapere dei suoi e di essere la pecora nera della famiglia: al contrario, il mondo vegetale e la mentalità scientifica di Mario ed Eva Calvino rappresentarono una fonte di riferimento fondamentale per la sua ispirazione letteraria»[23]. Si tratta di un modo di recepire la realtà circostante che si traduce in un’ostinata attenzione ai contesti e nella trasposizione letteraria degli ambienti naturali e cittadini della sua giovinezza, «in una finale assimilazione affettiva della vegetazione naturale, cara ai genitori botanici»[24], sino a divenire cifra stilistica dell’intera sua produzione. Come ricorda Ferrua, infatti, «Calvino portò sino all’ultimo San Remo nel cuore e nella mente. […] Sanremesi sono i paesaggi, le abitudini, il cibo, il linguaggio, i personaggi. Anche i più fantasiosi, che tali appaiono, fanno tutti parte della nostra realtà quotidiana»[25]. Si dimostrano in tal senso esemplificativi di tale adesione al reale, alla sincerità dei luoghi e alle topografie le descrizioni degli ambienti in cui si muovono i partigiani del Sentiero dei nidi di ragno, scrupolosamente ricostruiti all’interno di Italo Calvino a San Remo nel capitolo dedicato al Partigiano «inesistente»[26], «immersi nell’ambiente» ed «estensione della natura»[27]. San Giovanni e Colabella – «dove accompagnava il padre sin da ragazzo»[28] –, Saccarello – dov’era stato nell’estate del 1940 –, Triora Upega, Mongioia e i luoghi dove trascorre i mesi estivi del 1941 o Monte Ceppo l’anno seguente possiedono il fascino storico e memoriale di quanto descritto nelle opere resistenziali del Sentiero e dei racconti di Ultimo viene il corvo (1949) di cui Ferrua – diversamente dalle indagini più canoniche sul Calvino in guerra – propone però una lettura “altra”, ricca di testimonianze dirette di amici e partigiani da lui stesso intervistati: Antonio Montini, Gino Napolitano, Eugenio Carugati e Rinaldo Ferrero, tra gli altri, permettono di colmare vuoti cronologici, forniscono notizie inedite e interessanti smentite relative, ad esempio, alla presenza di Calvino in montagna in alcune battaglie chiave, mentre egli invece «se ne stava tranquillamente a Torino e frequentava l’Università», sostiene Montini[29]. Le trattazioni del Calvino «badogliano», nelle SAP e del Garibaldino comunista si dimostrano dunque significative nel nostro discorso sul substrato spaziale sanremese, a riprova di quanto lo scrittore possieda una conoscenza profonda e intima degli ambienti che gli permettono di stabilire una connessione tra l’elemento identitario e familiare cui desidera rimanere ancorato e l’iter professionale:
Oltre a tutto e forse al contrario di altri partigiani di abitudini urbane o addirittura forestieri, Italo aveva una profonda conoscenza dei luoghi che percorreva durante l’epopea partigiana: a San Giovanni e Colabella, […] a Triora, Upega, Viozene, al Mongioia, al Marguareis (nell’estate del 1941 con Maiga, Pigati e Cossu); alle Beulle e a Monte Ceppo (estate del 1942)[30].
Consegnato all’editore nel 1987, il manoscritto originale del volume di Ferrua portava originariamente il titolo di Calvino Inedito, ma la scoperta dell’impossibilità di riprodurre gran parte dei testi e dei documenti iconografici ed epistolari, inediti o rari, lo ha costretto a ridurre consistentemente il corpo del libro, a modificarne di conseguenza anche l’intestazione – volta poi nell’attuale Italo Calvino a San Remo – e a pubblicarlo quattro anni dopo, nel 1991, con l’editore Famija Sanremasca[31]. «Scavando negli archivi si son trovate delle date precise e pian piano si sono raccolte testimonianze»[32], scrive Ferrua, talvolta suffragate da documenti inoppugnabili di cui nel volume fornisce, quando possibile, le preziose riproduzioni. La domanda di ammissione all’ANPI, la dichiarazione del C.L.N. che conferma la sua partecipazione alla brigata cittadina “Matteotti” «distaccamento “Leone” dal 1 ottobre al 15 novembre, cioè allo scioglimento», la Tessera del partigiano, la Scheda e il Registro di smobilitazione[33] sono un’ulteriore prova del rapporto di Calvino col “paesaggio dell’esperienza”, di cui Ferrua ricostruisce e racconta gli aspetti meno noti. «Partendo da questo presupposto di vita vissuta e di comunità», scrive il comandante partigiano Gino Napolitano, «la sua formazione si arricchisce nel tempo, anche culturalmente»: a Calvino va dunque, in questo senso, «il grande merito di aver saputo presentare la Resistenza non in maniera così patriottica, ma in maniera reale…»[34].
«Calvino della prassi»[35] e non più della poesia, come lo definisce Ferrua al ritorno dalla Resistenza, fino all’aprile del 1945 ha lasciato ai genitori il tempo per riflettere sul suo futuro. «Carmina non dant panem», dicevano delle sue inclinazioni letterarie, come egli stesso racconta nel breve estratto del testo inedito Il treno degli illusi che Ferrua fa confluire nel volume: «Devo scegliere la mia carriera… Sono convinto che qualunque professione io intraprenda rimarrò nella mediocrità! Se, invece, mi riesce di pubblicare qualcosa… I miei non vorrebbero… “Carmina non dant panem” dicono…»[36]:
Sono figlio di scienziati: mio padre era un agronomo, mia madre una botanica; entrambi professori universitari. Tra i miei familiari solo gli studi scientifici erano in onore; un mio zio materno era un chimico, professore universitario, sposato a una chimica (anzi ho avuto due zii chimici sposati a due zie chimiche); mio fratello è un geologo, professore universitario. Io sono la pecora nera, l’unico letterato della famiglia[37].
Avremmo dovuto imitarlo in tutto, per imparare come si governa una campagna, per assomigliare a lui, come è giusto che i figli assomiglino al padre, ma presto s’era capito da una parte e dall’altra che non avremmo imparato niente, e l’idea di educarci all’agricoltura era stata tacitamente dimessa, o rimandata a un’età di nostra maggiore saggezza, come ci fosse concesso un supplemento d’infanzia[38].
Nel giardino di Villa Meridiana – dal 1934 adibito a Centro Sperimentale di Floricoltura e Frutticoltura diretto da Mario Calvino – i giovani Calvino acquisiscono i primi rudimenti di botanica e di ibridazione attraverso le lezioni impartite dalla madre. Al loro fianco Libereso Guglielmi (1925-2016) – dall’età di quindici anni alle dipendenze della Stazione Sperimentale in qualità di giardiniere – rappresenta l’anello di congiunzione tra il giovane Italo e Piero Ferrua. «Pittore ligure, studioso di botanica», così raccontato dalla «Cronaca di Calabria» (1972), Libereso era figlio di Renato Guglielmi, noto attivista anarchico, animatore del gruppo «Alba dei Liberi» (da cui la specie di rosa rosso-nera Alba dei Liberi, appunto, che sviluppò col figlio), naturista, vegetariano, pacifista e ibridatore floreale. Mentre il figlio dipingeva fiori su quadretti che poi regalava agli amici, componeva poesie sui nasturzi e sulle sterlizie dedicandole alle ragazze, in costante e simbiotico contatto con ogni specie naturale e animale, il padre, ricorda Ferrua, «distribuiva opuscoli e giornali rivoluzionari e, di domenica, sostituiva alla messa la passeggiata proselitistica, ostentando il nodo a farfalla degli anarchici della vecchia generazione. Aveva chiamato il figlio Libereso che, come Calvino fa osservare nel racconto, significa Libertà in esperanto»[39]. Amico dello scrittore e fonte d’ispirazione per il racconto Un pomeriggio, Adamo, Libereso è un profondo conoscitore di piante e animali e ricopre un ruolo decisivo nel discorso relativo alle competenze di Calvino in ambito botanico, zoologico, entomologico e micologico:
dove altri scrittori parlerebbero confusamente di alberi, lui elenca con gusto tutte le specie arboree della sua Liguria… e dove altri andando in campagna, o portandovi il protagonista, hanno tutt’al più il presentimento di una vita animale, lui ha l’occhio sempre ai ghiri, alle vespe, alle gazze, ai lombrichi, alle ghiandaie, alle farfalle, agli scriccioli, ai rampichini, alle rane; e agli scoiattoli, ai cardellini, alle cince, alle larve…[40].
Calvino, al contrario, «preferisce modestamente schernirsi di questa sua supposta scienza linneana e travestendo la verità, dichiara»[41]:
Io non riconoscevo né una pianta né un uccello. Per me le cose erano mute… mentre continuavo a seguire in silenzio mio padre, che additava certe foglie di là da un muro e diceva: “Ypotoglaxia jasminifolia” (ora invento dei nomi; quelli veri non li ho mai imparati), “Photophila wolfoides” diceva, (sto inventando; erano nomi di questo genere), oppure “Crotodendron indica” (certo adesso avrei potuto pure cercare dei nomi veri, invece di inventarli, magari riscoprire quali erano in realtà le piante che mio padre andava nominandomi)…[42]
Le lezioni casalinghe della madre botanica e la frequentazione del primo anno della Facoltà di Agraria – prima a Torino, poi a Firenze[43] – provano al contrario le sue competenze agronomiche e motivano sia i puntuali riferimenti scientifici a piante e arbusti all’interno dei suoi appunti privati – si pensi al taccuino del 1934 (fino agli anni Novanta in possesso di Libereso Guglielmi), nel quale accanto al nome si legge a matita “Acer platanoides” – sia le ambientazioni naturali fedelmente riprodotte negli scritti dichiaratamente sanremesi della Strada di San Giovanni ma anche nella narrativa più sperimentale.
I frequenti riferimenti botanici, la centralità letteraria di Sanremo e «l’aspirazione a un Umanesimo non antropocentrico» di cui gran parte della sua produzione è testimonianza «ben prima che l’ecologismo diventasse di moda»[44] costituiscono la rappresentazione più tangibile e concreta del retaggio di Mario Calvino ed Eva Mameli. Confermandosi quale «cittadino di un “villaggio planetario”», Italo mantiene i genitori, Sanremo e i suoi protagonisti, Libereso Guglielmi, Renato, Ferrua e gli altri al centro della memoria e della storia, salvando «ciò che non esiste più»[45]. Luogo interiore e della mente, ispirazione per la Venezia di Marco Polo nelle Città invisibili, la tangibilità di Sanremo e la concretezza del suo ambiente entro i confini della finzione letteraria si ergono nella sua produzione a un livello superiore, come egli stesso spiegherà più tardi negli Appunti sulla narrativa come processo combinatorio (1975):
la macchina letteraria può effettuare tutte le permutazioni possibili in un dato materiale; ma il risultato poetico sarà l’effetto particolare di una di queste permutazioni sull’uomo dotato di una coscienza e d’un inconscio, cioè sulla società, sull’uomo storico, sarà lo shock che si verifica solo in quanto attorno alla macchina scrivente esiste una società con i suoi fantasmi nascosti[46].
- P. Ferrua, Italo Calvino a San Remo, Sanremo, Famija Sanremasca, 1991, p. 192. Al passaggio si ritiene interessante aggiungere l’ultima nota del volume, significativa tanto sul piano della relazione Ferrua-Calvino quanto relativamente all’autenticità delle intenzioni dell’autore, profondo conoscitore sanremese e calviniano: «I frequenti spostamenti di Italo Calvino possono essere desunti dalle numerose iscrizioni nelle schede anagrafiche del Comune di Torino. Se avesse avuto agio di conoscere questo ufficio, in cui l’efficienza elettronica è abbinata alla cortesia, lo scrittore gli avrebbe dedicato un racconto»: P. Ferrua, Italo Calvino a San Remo, op. cit., p. 193. ↑
- A causa della difficoltà di reperimento del volume, si ritiene utile dare contezza della già di per sé esplicativa articolazione interna dei capitoli: I suoi antenati; All’ombra di Valdo; Lo scolaro rampante; Arte, primo amore; La vena poetica; Il debutto teatrale; Il critico cinematografico: prime collaborazioni giornalistiche; I primi racconti inediti; Lo studente «dimezzato»; La sua evoluzione politica; Attività pubblicistiche di Calvino in campo politico; Il partigiano «inesistente»?; Sanremaschità e liguritudine; I personaggi si tolgono la maschera; In memoriam; Il mare della soggettività. ↑
- Oltre ai volumi già citati nel saggio, tra gli studi più recenti su Calvino e Sanremo si vedano anche L. Guglielmi, Dal fondo dell’opaco io scrivo. Calvino da Sanremo a New York, Genova, De Ferrari Editore, 1999; Ead., Italo Calvino e Sanremo, Genova, Il Canneto Editore, 2023; Italo Calvino, Sanremo e dintorni. Un itinerario letterario (1923-2023), a cura di L. Guglielmi, V. Pesce, Palermo, Il Palindromo, 2023. Si leggano anche M. Bucciantini, Pensare l’universo. Italo Calvino e la scienza, Roma, Donzelli, 2023; E. Ferrero, Italo, Torino, Einaudi, 2023. ↑
- P. Ferrua, Italo Calvino a San Remo, op. cit., p. 127. ↑
- Il riferimento è a Scrittori di terra, di mare, di città di C. Benussi (Cinisello Balsamo, Pratiche editrice, 1998). ↑
- Sul rapporto Calvino-Pasolini si legga C. Benedetti, Pasolini contro Calvino. Per una letteratura impura, Torino, Bollati Boringhieri, 1998. Si segnala anche l’ultima ristampa del volume con una nuova prefazione dell’autrice (Torino, Bollati Boringhieri, 2022), pubblicata in occasione dei cento anni dalla nascita dello scrittore di Casarsa. Sul confronto tra i due intellettuali in merito ai linguaggi della scienza e della letteratura, si veda M. Paino, Il Barone e il Viaggiatore e altri studi su Italo Calvino, Venezia, Marsilio, 2019 (in particolare il capitolo Riflessioni sulla lingua (tra scienza e letteratura), pp. 141-49). Il volume di Paino propone riflessioni interessanti anche relativamente al discorso autobiografico dello scrittore sanremese e degli ambienti naturali da lui frequentati: «C’è un padre che, nella sua quotidianità votata agli alberi e alla natura, si risolve in tal modo esclusivamente per un’esistenza indirizzata “all’in su”, e un figlio che trova senso solo nella vita “laggiù”, di sotto, nella dimensione di tutti» (M. Paino, Il Barone e il Viaggiatore, op. cit. Il capitolo Alberi, giardini e dinamiche autobiografiche è alle pp. 39-57. La cit. è a p. 40). ↑
- P. Ferrua, Italo Calvino a San Remo, op. cit., p. 45. ↑
- Asor Rosa inserisce Calvino tra «gli ultimi “classici”» (A. Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, III. La letteratura della nazione, Torino, Einaudi, 2009, in particolare il riferimento agli «ultimi “classici”» è alle pp. 550-51). ↑
- Nonostante sia nata nel 1916, Ginzburg può dirsi tra le esponenti più rappresentative del giovane gruppo intellettuale che negli anni del dopoguerra partecipa attivamente alla ricostruzione politica, sociale e culturale dell’Italia. ↑
- I. Calvino, Sanremo città dell’oro, in «Il Politecnico», 21, 16 febbraio 1946, p. 2. ↑
- C. Benussi, Scrittori di terra, di mare, di città, op. cit., p. 195. ↑
- P. Ferrua, Italo Calvino a San Remo, op. cit., p. 144. ↑
- I. Calvino, Riviera di Ponente, in «Il Politecnico», 21, 16 febbraio 1946, p. 2. Sullo stesso tema si veda anche Id., Terra di Liguria… terra mia, in «A Gardiora du Matussian», II, 1, 1983, pp. 1-4. ↑
- Sul ricco parterre di pubblicazioni scientifiche raccolte nell’arco di oltre settant’anni dagli stessi genitori dello scrittore e sulla bibliografia dei coniugi Calvino-Mameli, si veda L. Marchi, Nozze di fiori. Per una biografia scientifica di Eva Giuliana Mameli Calvino (in Il giardino segreto dei Calvino, a cura di P. Forneris, L. Marchi, Genova, De Ferrari, 2004, pp. 45-64) e, nello stesso volume, Il fondo Mario Calvino – Eva Mameli Calvino della Biblioteca civica di Sanremo, pp. 17-22. ↑
- G. Clément, Giardini, paesaggio e genio naturale, Macerata, Quodlibet, 2013. ↑
- L. Zangheri, Storia del giardino e del paesaggio. Il verde nella cultura occidentale, Città di Castello, Leo S. Olschki, 2003. ↑
- A. Standardi, Albero e città ovvero La natura in trincea, Roma, Albatros, 2019, p. 75. ↑
- C. Milanini, El hijo de Carbino y de Eva, in Il giardino segreto dei Calvino, a cura di P. Forneris, L. Marchi, op. cit., pp. 11-14. La cit. è a p. 11. ↑
- Ibidem. Per il dettaglio dei personaggi dietro i quali si celano il padre e la madre, si veda la puntuale ricostruzione di Ferrua: entrambi hanno i caratteri di alcuni personaggi delle opere Gli avanguardisti a Mentone, L’entrata in guerra, I figli poltroni, del Barone Rampante e di Pranzo con un pastore. Le notti dell’UNPA, La strada di San Giovanni, Uomo nei gerbidi e L’occhio del padrone sono dedicati al padre; ispirata alla madre è invece, oltre alle precedenti, anche la signora Anfossi nella Speculazione edilizia. «Il primo ritratto tipico del padre è forse questo: “Mio padre aveva attorcigliato petto e schiena di sciarpe, mantelline, cacciatore, gilecchi, bisacce, borracce, cartuccere, in mezzo a cui nasceva una bianca barba caprina; alle gambe aveva un vecchio paio di schinieri di cuoio tutti graffiati (Uomo nei gerbidi, 1946)”» (P. Ferrua, Italo Calvino a San Remo, op. cit., p. 185). ↑
- C. Milanini, El hijo de Carbino y de Eva, op. cit., p. 12. ↑
- Il riferimento è a I. Calvino, Dall’opaco, in Id., Romanzi e racconti, vol. III, a cura di M. Barenghi, B. Falcetto, C. Milanini, Milano, Mondadori, 1994. Su Dall’opaco – nel quale Boselli rintraccia «alcune caratteristiche fondamentali dei […] modi [di Calvino] di immaginare ed esprimere la realtà» (M. Boselli, Italo Calvino: l’immaginazione logica, in «Nuova Corrente», 78, 1979, p. 150) si veda il capitolo «Che forma ha il mondo?». Dall’opaco in L. Spera, Geografie della memoria. Italo Calvino, Pisa, Pacini, 2020, pp. 41-46. Tra le descrizioni più belle di Mario Calvino, c’è il seguente passaggio: «bastava che dall’alto di una fascia qualcuno che poteva o che dava il solfato delle viti lo interpellasse e gli chiedesse un consiglio sulle miscele dei concimi sull’epoca migliore per gli innesti ed egli rasserenato…si fermava a spiegargli il perché e il percome, non aspettava altro che un segno che in questo suo mondo fosse possibile una convivenza civile mossa da una passione di miglioramento» (I. Calvino, La strada di San Giovanni, in Id., Romanzi e racconti, vol. III cit.). ↑
- C. Milanini, El hijo de Carbino y de Eva, op. cit., p. 13. ↑
- L. Marchi, Nozze di fiori. Per una biografia scientifica di Eva Giuliana Mameli Calvino, op. cit., p. 45. ↑
- M. Paino, Calvino, Cosimo e l’«altra vegetazione», in «Oblio», VIII, 32, 2018, pp. 151-66: 165. ↑
- P. Ferrua, Italo Calvino a San Remo, op. cit., p. 128. ↑
- Ivi, pp. 89-126. ↑
- F. Migliaccio, Il paesaggio nella narrativa di Italo Calvino. L’immagine della natura, l’esperienza della camminata, in Convocare esperienze, immagini, narrazioni. Dare senso al paesaggio, a cura di S. Aru, M. Tanca, vol. 2, Milano, Mimesis, 2015, pp. 99-110. ↑
- P. Ferrua, Italo Calvino a San Remo, op. cit., p. 90. ↑
- Ivi, p. 89. Antonio Montini è il compagno di stanza universitario di Calvino a Torino, intervistato da Ferrua a Sanremo, il 31 maggio 1986. ↑
- Ivi, p. 90. ↑
- Per il dettaglio dei documenti omessi non autorizzati, si rimanda alla Premessa dell’autore (pp. 11-13); di questi Ferrua offre i dati bibliografici suddividendoli in Inediti assoluti, Scritti anonimi, acefali o adespoti attribuiti a Italo Calvino (per evidenza interna, analisi stilistica, circostanze storiche, ricordo personale, ecc…), Scritti siglati I.C. attribuiti a Italo Calvino, Scritti pubblicati in giornali a tiratura limitata, di diffusione locale, e scritti di soggetto partigiano o sanremese usciti sulla stampa nazionale. Di ciascuna sezione sono scrupolosamente riportati i riferimenti. ↑
- P. Ferrua, Italo Calvino a San Remo, op. cit., p. 90. ↑
- Provenienti dalle collezioni dell’Istituto Storico della Resistenza di Imperia, le riproduzioni di tali documenti si trovano alle pagine 102117 di Italo Calvino a San Remo. ↑
- P. Ferrua, Italo Calvino a San Remo, op. cit., pp. 99-100. Sul rapporto di Calvino con la Resistenza, si legga il brano estratto da Calvino: quel che la Resistenza ha dato alla letteratura (p. 124). ↑
- P. Ferrua, Italo Calvino a San Remo, op. cit., p. 49. ↑
- Ivi, p. 67. ↑
- Ivi, p. 69. ↑
- Ibidem. ↑
- Ivi, p. 133. ↑
- Ivi, p. 130. Di Guglielmi si legga Mario Calvino nei miei ricordi (in Il giardino segreto dei Calvino, op. cit., pp. 133-35) e il volume-intervista Libereso, il giardiniere di Calvino (a cura di I. Pizzetti, Padova, Franco Muzzio, 1993), poi negli anni ristampato da Tarka Edizioni. ↑
- P. Ferrua, Italo Calvino a San Remo, op. cit., p. 130. ↑
- Ibidem. ↑
- Sostiene Ferrua che lo spostamento di Calvino dalla Facoltà di Agraria di Torino a quella di Firenze ha comportato problemi nella ricostruzione della sua carriera accademica. Dell’esperienza piemontese rimane testimonianza dei seguenti esami sostenuti e relative votazioni: Zoologia generale, voto 25; Botanica generale, voto 25; Chimica generale inorganica, voto 24; Matematica, respinto una prima volta, poi 21. Più precisi sono invece i riferimenti fiorentini, con annesse date: Mineralogia geologica, voto 23 (24 febbraio 1943); Botanica sistematica, voto 21 (13 giugno 1943); Entomologia agraria, respinto (19 giugno 1943). ↑
- C. Milanini, El hijo de Carbino y de Eva, op. cit., p. 14. ↑
- L. Spera, Geografie della memoria. Italo Calvino, Pisa, Pacini, 2020, p. 38. Sulle implicazioni memoriali degli spazi, si rimanda anche, tra gli altri, a M. Barenghi, Italo Calvino, le linee e i margini, Bologna, il Mulino, 2007; G. Sandrini, Le linee d’una mano: Italo Calvino e la memoria ne «Le città invisibili», in «Studi Novecenteschi», XVIII, 42, 1991, pp. 357-93 e A. Battistini, Le città visibili e invisibili di Italo Calvino, in «Esperienze letterarie», 26, 2, 2001, pp. 21-37. ↑
- I. Calvino, Appunti sulla narrativa come processo combinatorio, in «Nuova corrente», 46-47, 1975, pp. 414-25. ↑
(fasc. 53, 25 agosto 2024)