La pubblicazione degli scritti dedicati da Francesco Orlando (1934-2010) all’esegesi della Recherche[1] aggiunge un importante tassello alla meritoria opera di recupero degli scritti dispersi e inediti di uno studioso che ha fornito allo studio della letteratura, di quella francese in particolare, un modello di analisi originale ed efficace. Dopo il volume dedicato all’analisi del soprannaturale in letteratura[2], complemento all’ampia ricerca sugli oggetti desueti che il critico aveva condotto a termine con un lavoro trentennale[3]; dopo la silloge di scritti sul teatro musicale[4], chi conosceva l’attività e le passioni di Orlando attendeva l’aggiunta all’opera postuma del côté proustiano.
In principio Marcel Proust, curato da Luciano Pellegrini, che ha sovrainteso all’intera attività di recupero, raccoglie cinque saggi pubblicati fra il 1972 e il 2010, insieme con la trascrizione di una introduzione alla Recherche proposta agli studenti del Liceo Scientifico XXV aprile di Pontedera, anch’essa già pubblicata in un volume che raccoglieva gli interventi dei relatori a un ciclo di lezioni, temo impensabile nella scuola superiore attuale[5].
Collocato in appendice per il suo carattere divulgativo, l’intervento mostra con chiarezza una delle caratteristiche più straordinarie e memorabili della personalità di studioso di Orlando: una capacità comunicativa che, mantenendo il rigore metodologico e la sostanza dell’argomentazione, riusciva a trasmettere contenuti complessi a chiunque si ponesse nella disposizione d’animo di ascoltarlo con attenzione. L’introduzione proposta in quelle pagine è uno stimolo per chi non ha letto Proust a farlo avendo subito presenti le linee tematiche essenziali, e al contempo una sintesi dell’apporto originale che lo stesso Orlando aveva dato all’interpretazione complessiva del grande ciclo romanzesco.
Di fatto l’intervento riepiloga i contenuti del secondo dei saggi confluiti nel volume qui in esame, Marcel Proust dilettante modano, e la sua opera: relazione a un convegno veneziano su Proust del dicembre 1971, il testo era stato anticipato nel fascicolo del gennaio-febbraio 1972 di «Nuovi Argomenti» prima di confluire negli atti del convegno, pubblicati nel 1973, ed essere riproposto in più sedi fino alla versione online nel sito Le parole e le cose. Letteratura e realtà nel novembre 2013[6].
L’esibizione delle date non è fine a sé stessa: come risulta dalla Postfazione firmata dal curatore, Orlando aveva schedato la Recherche nel 1968, sulla base di due riletture integrali del ciclo romanzesco, dopo la prima compiuta a diciotto anni nel 1952 (di una terza rilettura dirò più avanti).
La prima rilettura aveva fatto scattare il clic spitzeriano, più volte richiamato da Orlando nel corso della sua attività come il momento di avvio delle sue analisi letterarie. La seconda rilettura, che seguì immediatamente la prima in quello stesso anno, era stata funzionale alla stesura di un quaderno di appunti, della cui accuratezza testimonia la riproduzione di alcune pagine nel volume In principio Marcel Proust (pp. 21-28). L’intervento congressuale costituiva di fatto la premessa generale al discorso analitico, centrato com’è sulle ragioni che fanno della Recherche un’opera che non poteva che essere scritta da un dilettante aduso alla vita mondana, che ambiva a dar conto di una totalità pur esibendo un «restringimento al vertice dell’ambito sociale rappresentato»[7]. Le condizioni storiche e socio-economiche del suo tempo, spiega Orlando, gli avrebbero impedito di ripercorrere la strada tracciata da Balzac e Zola nei romanzi della Comédie humaine e dei Rougon-Macquart: chi «avesse osato tentare in questa epoca la rappresentazione della totalità sociale francese con un senso altrettanto sicuro del primato dell’economico, non si sarebbe potuto accontentare di far spedire a razziare in Algeria lo zio del barone Hulot; e i suoi nuovi Gobseck e Nucingen avrebbero dovuto possedere i centri dei loro interessi ben lontano da Parigi, in un giro coloniale intercontinentale»[8].
Non tragga in inganno l’impianto delle considerazioni qui esposte, che l’autore stesso definisce retrospettivamente «storicizzante e marxisteggiante»[9]: lo specifico letterario è ben presente nella riflessione di Orlando, che si sviluppa in quelle pagine con un ardito, ma convincente confronto fra l’immensa costruzione letteraria proustiana, sovrabbondante di temi e caratterizzata da modi espressivi elaboratissimi, e l’opera distillata di Stéphane Mallarmé. Riprendendo una suggestione di Edmund Wilson, l’opera di Proust viene interpretata come un’applicazione dei principi del Simbolismo alla narrativa romanzesca, cosicché la Recherche «“racconta”, lungo migliaia di pagine, quella stessa genesi dell’arte in luogo di religione che nel sonetto in -ix Mallarmé aveva “cantata” in quattordici versi miracolosi», tanto che è possibile per lo studioso accostare la Recherche a «quel Livre assoluto, circolare e totalitario che Mallarmé aveva architettato invano per tutta la sua vita, e che l’esigenza rigorosa di “abolir le hasard” svuotava a priori di ogni materia possibile»[10].
Il momento propriamente analitico sarebbe stato esposto, in una sola delle sue componenti, nel 1974, nel quinto saggio di In principio Marcel Proust (Proust, Sainte-Beuve, e la ricerca in direzione sbagliata), apparso come introduzione alla traduzione einaudiana del Contre Sainte-Beuve[11], che in forma embrionale era stato proposto quattro anni prima in una Festschrift[12].
Partendo dall’assunto che un approccio biografistico ad un’opera come la Recherche, impregnata di elementi del vissuto dell’autore eppure affatto diversa dalla vita stessa e che con essa non va mai confusa nella prassi analitica, costituirebbe una “ricerca in direzione sbagliata”, Orlando ripercorre le tappe d’avvicinamento di Proust al suo capolavoro. Dal primo tentativo di narrazione ampia del Jean Santeuil ai riusciti Pastiches, all’abbozzo del Contre Sainte-Beuve: questo inclassificabile e essenziale tassello del percorso proustiano è collocato nel contesto di coeve rivendicazioni dell’autonomia dell’arte. L’accostamento di un passo dall’Estetica di Benedetto Croce sui limiti dell’erudizione a una citazione dai Cahiers di Charles Péguy, a un passaggio del basilare saggio Tradition and the individual talent di Thomas Stearns Eliot, a un brano di Roman Jackobson, mostra come il modo di lavorare di Orlando riuscisse a mettere insieme connessioni inedite e cariche di senso.
La componente analitica è costituita dallo sviluppo dell’assunto di base: alla “ricerca in direzione sbagliata” si oppone una “non-ricerca in direzione giusta”, riconoscibile in quei passi della Recherche in cui un frammento del passato, un rapimento estatico, la stessa scoperta, nell’ultimo romanzo del ciclo, della materia stessa della narrazione emergono da momenti involontari e casuali, come assaporare un biscotto intinto nel tè o calpestare un lastricato sconnesso: alla lettera dei recuperi del tempo perduto perché sepolti nel passato. Pochi momenti a cui corrispondono tutti gli eventi, le reazioni, le sensazioni, le messe a punto emozionali di gran parte del ciclo: una massa di “ricerche in direzione sbagliata”, ovvero di tempo perduto perché sprecato.
La terza combinazione (non dandosi nel testo la “non-ricerca in direzione sbagliata”, di fatto una contraddizione in termini) è la “ricerca in direzione giusta”, che corrisponde ai momenti in cui Proust riflette sulla creazione artistica, sulla «necessità cosciente di rinunciare alla seducente imitazione dei libri più amati, di dimenticarli – se si vuole ritrovarli come modelli operanti e profondi, assimilarseli, rifarli, nella propria opera nascitura»[13].
Una tematica, quella della “ricerca / non-ricerca in direzione giusta o sbagliata” che attraversa la Recherche, come evidenziano gli svariati passi classificati e accostati fra loro, in una costruzione che dimostra la spiccata sensibilità analitica di Orlando, a quella data ancora priva dell’ausilio della strumentazione di derivazione freudiana che avrebbe costituito l’apporto più originale dello studioso alla teoria letteraria[14].
Assente nel secondo saggio, menzionato di striscio in un’ampia nota del quinto[15], il nome di Sigmund Freud è centrale nel terzo saggio (“Sapere” contro “vedere”. Metamorfosi e metafora), arrivato alla forma definitiva nel 2008[16], sebbene i termini della questione e la sua soluzione fossero stati già proposti al convegno di Colorno del 22-23 maggio 1985[17], a ulteriore testimonianza di un percorso coerente e di lungo periodo.
Nel saggio, forse il più bello della silloge, Orlando richiama tre momenti della Recherche, ritenuti così noti da ometterne l’analisi puntuale, in cui il Narratore osserva per caso e senza essere visto le scene omoerotiche e sado-masochistiche di Montjouvain in Du côté de chez Swann, del cortile dell’hôtel de Guermantes in Sodome et Gomorrhe e del bordello gestito da Jupien in Les Temps retrouvé. Più dell’accostamento sulla base di elementi comuni e del riconoscimento del valore strutturale di episodi consapevolmente distribuiti all’inizio, al centro e alla fine del ciclo romanzesco, è il richiamo al modello della “scena primaria o originaria” (Urszene, nel tedesco di Freud) a sostenere il momento esegetico. Il Narratore si trova, infatti, per tre volte nella condizione del bambino cui capita di osservare o di immaginare un rapporto sessuale dei genitori, interpretato come una scena di violenza perpetrata dal padre e vissuto in modo ambivalente con eccitazione e angoscia.
Questo riferimento all’opera di Freud costituiva tuttavia un problema per Orlando, in quanto si risolveva nell’adozione di un modello interpretativo “pieno”, e perciò adatto a una pratica che concepisce l’operazione di decodifica dei contenuti di un testo come “sostituzione”. Una pratica che Orlando considerava la meno utile e di fatto la più deleteria fra quelle ricavabili dal sistema concettuale messo a punto dallo psicanalista viennese[18], nonostante lo stesso Freud, nelle sue analisi di opere artistiche e letterarie, avesse utilizzato dei modelli “pieni” (psicologici) per sostituire a un contenuto pittorico o plastico o testuale un contenuto psichico, con poco vantaggio per la comprensione dell’opera. Secondo Orlando solo il collegamento fra le parti del testo, ovvero la scomposizione dell’ordine sintagmatico di un testo e la ricomposizione di un ordine paradigmatico, può condurre alla sua piena comprensione; e quanto più fitti ed estensivi sono i collegamenti tanto più coerente si dimostra l’opera esaminata, e quindi tanto più risulta esteticamente riuscita e godibile.
Di qui la preferenza per modelli di derivazione freudiana “vuoti” (formali o semiotici), come il ritorno del represso e la formazione di compromesso, posti a fondamento della sua teoria letteraria, ma che risultano poco utilizzati nell’analisi della Recherche che emerge dagli scritti raccolti nel volume In principio Marcel Proust. Un accenno che recupera un concetto altrove essenziale per l’analisi testuale lo si trova in un’intervista del 1994, in cui Orlando sottolinea che «sarebbe generico e superficiale individuare nel tema dell’omosessualità il contenuto trasgressivo dell’opera. Il ritorno del represso proustiano si potrebbe invece definire come la continua rivendicazione del diritto di contemplare il mondo, e di ritagliarlo mentalmente con modalità terminologiche e concettuali inedite»[19].
Comunque, l’intero magistero di Orlando si fonda sull’esigenza di rispettare il testo analizzato, che mai va piegato alle esigenze metodologiche: sono queste che devono volta a volta raffinarsi senza snaturarsi per cogliere la complessità che caratterizza l’opera d’arte riuscita. E nel caso della Recherche mi pare indubbio che il riferimento alla scena primaria sia produttivo, non solo perché lo richiede il testo, ma perché lo si ritrova in uno dei modelli di riferimento di Proust.
Correndo il rischio di ripetere cose note, vorrei infatti far notare che l’intera costruzione delle Mille e una notte ha origine dalla visione casuale di una scena di sesso perverso, anzi di una serie di scene in parte riferite, almeno nella versione di Galland letta dal giovane Proust e presente in filigrana in più luoghi della Recherche[20].
Tutto parte dal fatto che, uccisi la moglie e il suo amante dopo averli sorpresi a consumare l’adulterio, il sultano Schahzenan raggiunge il fratello maggiore Schahriar, l’erede dell’immenso regno già governato dal loro padre. Nel tentativo di ridare la serenità all’avvilito fratello, Schahriar gli propone di seguirlo in una grande battuta di caccia; Schahzenan chiede di esserne dispensato e resta solo a palazzo, dove scopre una porta segreta che lo conduce alla visione della scena perversa. Disponendosi, esattamente come il Narratore nelle tre “scene primarie” della Recherche, «de manière qu’il pouvait tout voir sans être vu»[21], scorge la regina e il suo seguito femminile in compagnia di un gruppo di uomini di colore, impegnate in attività sessuali di cui vengono omessi i dettagli, in quanto «le pudeur ne me permet pas de raconter tout ce qui se passa entre ces femmes et ces noirs, et c’est un détail qui n’est pas besoin de faire»[22].
Sentito il racconto dal fratello, Schahriar vuole accertarsi della veridicità del racconto e, finta una seconda battuta di caccia, crea le condizioni perché la scena possa essere replicata. La visione dell’orgia non spinge i due fratelli alla vendetta cruenta, ma piuttosto ad abbandonare il regno alla ricerca di qualcuno più sventurato di loro. Lo trovano in un gigantesco genio di enorme potenza accompagnato da una compagna rinchiusa in una cassa di vetro, allo scopo di esercitare su di lei un controllo assoluto. La donna invece approfittava del sonno del genio per tradirlo ripetutamente, perché «quand une femme a formé un projet, il n’y a point de mari ni d’amant qui piusse en empêcher l’exécution»[23]. Di qui il rientro dei fratelli, la decisione di Schahriar di vendicarsi del genere femminile condannando a morte una donna ogni mattina dopo averla posseduta carnalmente durante la notte, l’entrata in scena di Sherazade, il suo ben noto stratagemma procrastinatore, l’avvio dello sviluppo narrativo[24].
Tornando all’argomentazione di Orlando, la soluzione della potenziale contraddizione interna al metodo è risolta sul piano teorico: «un modello freudiano pieno per eccellenza» scrive lo studioso «può essere altresì utilizzato per collegare, piuttosto che per sostituire – a una (sola) condizione […] che il modello in questione si lasci scomporre in componenti il cui rapporto reciproco – una volta che le si è individuate – è da intendere nel senso che esse tornano nel testo sempre separate le une dalle altre, e che, per ipotesi, solo la loro partecipazione comune al modello di riferimento istituisce un contatto fra loro»[25].
Le tre componenti in cui viene scomposto il modello («un contenuto di realtà, legato a una data interpretazione […] una dissociazione di ordine cognitivo tra vedere e sapere […] un’ambivalenza di ordine affettivo fra l’eccitazione sessuale (euforica) e l’angoscia di castrazione (disforica)»[26]) sono riconosciute in una serie di passi in cui si manifesta il tema dell’opposizione “vedere” vs “sapere”. E non siamo lontani, con questa opposizione, da quella già menzionata della “ricerca” vs “non–ricerca” in direzione “giusta” o “sbagliata”.
Ma nel saggio si fa un passo ulteriore verso la classificazione complessiva dei temi e dei valori assiologici della Recherche. Riprendendo una idea critica di Gaëtan Picon fondata sulla natura ambivalente delle relazioni rappresentate da Proust, costantemente oscillanti fra i poli dell’Ignoto (Inconnu) e dell’Abitudine (Habitude)[27], Orlando adotta una formalizzazione discorsiva che fa «corrispondere l’Ignoto a un vedere senza sapere (vedere, quindi, qualcosa di nuovo), l’Abitudine a un sapere senza vedere (o almeno senza vedere nulla di nuovo), e attribuire quindi il segno + alla seconda e il segno – al primo, ottenendo in questo modo l’opposizione tematica: + Abitudine in quanto sicurezza, – Ignoto in quanto angoscia»[28]. Sia questa sia l’opposizione contraria, Ignoto col segno + in quanto “fascino” e Abitudine col segno – in quanto “indifferenza”, sono così diffuse nella Recherche da coprire di fatto l’intero spettro delle relazioni fra i personaggi e delle situazioni narrative.
A Orlando si è spesso rimproverato un eccesso di formalizzazione[29], ma, se si inserisce il contenuto discorsivo in uno schema di ascendenza strutturalista:
+ | – | |
Abitudine | sicurezza | indifferenza |
Ignoto | fascino | angoscia |
mi pare che la comprensione ne guadagni.
Negli altri due saggi sinora non menzionati Orlando si cimenta con l’esegesi di lettere: effettivamente scritte da Proust alla madre, quelle presentate nel primo contributo (Proust e la madre, le lettere); rivolta da Monsieur de Charlus al maître d’hôtel Aimé, quella analizzata nel quarto (Logica falsa e prestigio vano: una lettera di M. de Charlus). Nati da occasioni specifiche, quali la presentazione inclusa nella Corrispondenza con la madre. 1887-1905 di Proust[30] e l’intervento all’VIII Convegno Interuniversitario di Bressanone del luglio 1980[31], i due scritti completano un quadro interpretativo denso e coinvolgente, a cui tuttavia manca una dimensione unitaria che conferisca all’insieme delle linee l’ordine rigoroso che caratterizza tutti i libri di Orlando.
Sulle ragioni che hanno impedito allo studioso di scrivere già intorno al 1968 e a maggior ragione nei quarant’anni successivi un libro sulla Recherche si sofferma Luciano Pellegrini nella Postfazione, arrivando a una convincente conclusione: «La Recherche è così rimasta da lui intimamente schedata, ma inadatta a ordire un libro dei suoi, radicato nel vissuto e astratto. Quasi ogni voce del quaderno manoscritto in cui ha scomposto l’ordine del tutto è però entrata nei diversi saggi che, tutti insieme, compongono il presente volume»[32].
C’è, tuttavia, un elemento che non sarebbe comunque stato presente, qualunque forma Orlando avesse dato al libro che sosteneva convintamente di voler scrivere, ed è il modo in cui, prima di arrivare all’assetto definitivo e quindi a un libro o a un denso articolo, lo studioso presentava le sue ricerche nei corsi universitari. Ha perfettamente ragione Valentino Baldi quando scrive che «le sue lezioni universitarie sono inscindibili dalla produzione critica: non è eccessivo sostenere che i corsi rappresentino, anzi, la sua maggiore eredità», perché a lezione «Orlando permetteva di accedere direttamente al suo laboratorio critico»[33]. Chi come me ha avuto il privilegio di seguire a Pisa, da studente prima da dottorando poi, cinque o sei corsi tenuti da Orlando con l’etichetta di Teoria della letteratura o di Letteratura francese, e i seminari di approfondimento che li accompagnavano, non può che confermare quella valutazione.
Nell’anno accademico 1994-1995 partecipai al corso che seguì alla terza rilettura integrale della Recherche, condotta sull’edizione diretta da Jean-Yves Tadié per la «Bibliothèque de la Pléiade» fra il 1987 e il 1989, mentre nel 1968 Orlando aveva compulsato l’edizione curata negli anni Cinquanta da Pierre Clarac e André Ferré, sempre per la «Pléiade» di Gallimard. Il corso era funzionale anche a testare la tenuta della schedatura del 1968, in vista del libro che progettava di scrivere, nel quale è probabile che avrebbe assorbito i contenuti dei saggi sino a quel momento completati e ora confluiti nel volume In principio Marcel Proust: il II e il V erano integrati nel discorso orale in modo a tratti letterale, i contenuti del III esposti dettagliatamente nel corso della prima quindicina del mese di maggio, il IV fu oggetto di un approfondimento analitico nel penultimo giorno di lezione, il 16 maggio. I miei appunti non sarebbero stati sufficienti a ricostruire dopo tanti anni i dettagli di quelle lezioni comunque memorabili, se non avessi ritrovato con essi un fascicolo di 4 pagine, fotocopiate sulle facciate di un foglio in formato A3, intitolato Una traccia per l’esame, quasi un indice per argomenti, che, oltre ai contenuti delle lezioni raggruppati in tredici blocchi cronologici, indicava – lezione per lezione – i rinvii alle pagine della «Pléiade» di Tadié e dell’edizione economica nella collana «folio» di Gallimard che ne riproduceva il testo. Li ho contati: 97 passi, distribuiti in molti casi su più di una pagina, fino alle 23 pagine da Le Temps retrouvé prese in esame il 3 maggio. Una generosità didattica che ha pochi confronti, e nessuno a me noto, che ha fatto di quell’esperienza una vera e propria avventura intellettuale che non ha cessato di agire dentro di me. L’aver scorto ad apertura di In principio Marcel Proust delle riproduzioni delle pagine del quaderno dalla copertina verde, tante volte sbirciate durante le lezioni, è stata la mia madeleine; questo scritto l’insufficiente tentativo di saldare il mio debito nei confronti di Francesco Orlando.
- F. Orlando, In principio Marcel Proust, a cura di L. Pellegrini, Milano, nottetempo, 2022 («extrema ratio»). ↑
- F. Orlando, Il soprannaturale letterario. Storia, logica e forme, a cura di S. Brugnolo, L. Pellegrini e V. Sturli, Prefazione di Th. Pavel, Torino, Einaudi, 2017. ↑
- Pubblicato nel 1996 sempre presso Einaudi col titolo Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, il volume è stato riproposto del 2015 in una nuova edizione riveduta postuma a cura di L. Pellegrini, presso il medesimo editore. ↑
- F. Orlando, Su Wagner e altri scritti di teatro musicale, a cura di F. Fiorentino e L. Zoppelli, con una postfazione di L. Pellegrini, Pisa, Pacini, 2020. ↑
- Il romanzo. Origine e sviluppo delle strutture narrative nella letteratura occidentale, Pisa, ETS, 1987, pp. 233-41. ↑
- Marcel Proust dilettante mondano, e la sua opera, in «Nuovi Argomenti», 25, gennaio-febbraio 1972, pp. 83-98; ripreso in Proustiana, Atti del Convegno Internazionale di Studi sull’opera di Marcel Proust, organizzato dalla Società Universitaria per gli Studi di Lingua e Letteratura Francese (Venezia, 11 dicembre 1971), Padova, Liviana, 1973, pp. 167-84; poi in La fondazione della Cgil (1906), a cura di E. Bouchard, R. Gagliardi e G. Polo, Roma, Fratelli Spada, 1993, pp. 51-63, e in Le parole e le cose (2013) all’URL: https://www.leparoleelecose.it/?p=12826. ↑
- F. Orlando, In principio Marcel Proust, op. cit., p. 76. ↑
- Ibidem. ↑
- Ivi, p. 30. ↑
- Ivi, p. 66. ↑
- M. Proust, Contro Sainte-Beuve, traduzione italiana a cura di P. Serini e M. Bertini, Torino, Einaudi, 1974, pp. vii-xxxvii. ↑
- F. Orlando, Proust, Sainte-Beuve e la ricerca in direzione sbagliata, in Critica e storia letteraria. Studi offerti a Mario Fubini, Padova, Liviana, 1970, vol. I, pp. 226-50. ↑
- F. Orlando, In principio Marcel Proust, op. cit., p. 179. ↑
- Dopo la Lettura freudiana della «Phèdre» (Einaudi 1971) e la successiva messa a punto teorica Per una teoria freudiana della letteratura (Einaudi 1973), il percorso si è sviluppato con la Lettura freudiana del «Misanthrope» e due scritti teorici (Einaudi 1979) e con Illuminismo e retorica freudiana (Einaudi 1982). Negli anni successivi le due analisi delle pièces di Racine e Molière sono confluite nel volume Due letture freudiane: Fedra e il Misantropo (Einaudi 1991), mentre il saggio teorico ha avuto una nuova edizione ampliata nel 1987, al pari del libro sull’Illuminismo che ha per di più acquistato un elemento nel titolo: Illuminismo, barocco e retorica freudiana (Einaudi 1997). Sul «ciclo freudiano» si veda V. Baldi, Il sole e la morte. Saggio sulla teoria letteraria di Francesco Orlando, Macerata, Quodlibet, 2015, pp. 33-84. ↑
- F. Orlando, In principio Marcel Proust, op. cit., pp. 143-45. ↑
- “Savoir” contre “voir”. Métamorphose et métaphore, in M. Carbone, E. Sparvoli (dir.), Proust et la philosophie aujourd’hui, Atti del colloquio di Gargnano, 28-30 settembre 2006, Pisa, ETS, 2008, pp. 19-31. ↑
- L’intervento congressuale è stato riprodotto, con alcuni tagli e il titolo «Sapere» contro «vedere», in «Alfabeta», VII, n. 72, maggio 1985, p. 15. ↑
- Passati in rassegna in Letteratura e psicoanalisi: alla ricerca dei modelli freudiani, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, vol. IV (L’interpretazione), Torino, Einaudi, 1985, pp. 549-87, confluito nella seconda edizione di Per una freudiana della letteratura, op. cit., pp. 158-218. ↑
- Intervista a Francesco Orlando, a cura di F. D’Angelo, in «Nuova Corrente», XLI, n. 114, 1994, p. 277. Il passo citato è da Pellegrini in F. Orlando, In principio Marcel Proust, op. cit., p. 231, e commentato da Stefano Brugnolo, Dalla parte di Proust (Roma, Carocci, 2022), un libro dichiaratamente debitore della lezione di Orlando, dove si riconosce in quello della Recherche «un originalissimo ritorno del represso epistemologico […] che ha a che fare con la libertà di pensare il mondo, la vita, la società secondo “modalità terminologiche e concettuali” diverse da quelle imposte da una certa doxa, dal pensiero corrente» (p. 140). ↑
- Mi limito a segnalarne uno celeberrimo e valorizzato dallo stesso Orlando, là dove la formula «apriti Sesamo» del racconto di Alì Babà e dei quaranta ladroni viene assunta come «un simbolo aderente delle occasioni della memoria involontaria» (F. Orlando, In principio Marcel Proust, op. cit., p. 161), che è vano tentare di ricordare volontariamente: «Non so se sia mai stato osservato» aggiunge lo studioso «che a un certo punto della novella araba, e cioè nel momento in cui la formula dovrebbe giovare per una seconda volta al personaggio diciamo così sbagliato, tutti gli sforzi di quest’ultimo per ricordarsela risultano controproducenti – proprio come davanti alla tazza di tè, nella più famosa delle pagine della Recherche, gli interventi della memoria volontaria durante le intermittenze di quella involontaria» (ivi, pp. 161-62). ↑
- Les Mille et Une Nuits. Contes arabes traduits par Galland, Édition revue et préfacée par G. Picard, précédée d’une Notice sur Galland par Charles Nodier, Paris, Bordas, 1988, tome I, p. 5. ↑
- Ibidem. ↑
- Ivi, p. 11. ↑
- Ivi, p. 13 e sgg. ↑
- F. Orlando, In principio Marcel Proust, op. cit., pp. 87-88. ↑
- Ivi, pp. 89-90. ↑
- G. Picon, Lecture de Proust, Paris, Mercure de France, 1963, in particolare le pp. 130-35. ↑
- F. Orlando, In principio Marcel Proust, op. cit., pp. 103-104. ↑
- Per esempio, V. Baldi (Il sole e la morte, op. cit., p. 159) parla di «sistematicità che si trasforma in ossessione catalogante» (ma va letto l’intero capitolo IV su «Polemiche e soffitta»: dibattiti, silenzio e fortuna critica tra Italia, Francia e Stati Uniti). ↑
- A cura di M. Patti, Lanciano, Carabba, 2010, pp. i-x. ↑
- Confluito poi negli Studi di cultura francese ed europea in onore di Lorenza Maranini, Fasano, Schena, 1983, pp. 463-72. ↑
- F. Orlando, In principio Marcel Proust, op. cit., p. 239. ↑
- Ivi, p. 25. ↑
(fasc. 46, 30 dicembre 2022)