Recensione di Ezio Sinigaglia, “Sillabario all’incontrario” (2023)

Author di Claudio Morandini

Continua l’idillio dello scrittore milanese con le edizioni TerraRossa, che in questi ultimi anni hanno il merito di averlo riproposto e finalmente pubblicato con continuità. Nel 2023 è la volta del Sillabario all’incontrario, titolo cantabile e, verrebbe da dire, fanciullescamente palazzeschiano, un’opera di dimensioni contenute che ibrida l’essai e il romanzo ed è nata, così si legge, come forma di terapia durante una lunga convalescenza negli anni 1996-1997.

Lo dice la prefazione dell’autore, che si intitola proprio così, Prefazione dell’autore, e inanella una serie di spiegazioni limpide e piane sulla natura e la fattura di ciò che segue. Stiamo al gioco, e fingiamo di credere fino in fondo a Sinigaglia che, a distanza di qualche decennio, ragiona sul sé stesso di un tempo: fingiamo anche di credergli quando asserisce il valore terapeutico della scrittura, assecondiamolo nella sua idea di scrittura come autoanalisi, e in sostanza come indagine, come “giallo”: è un gioco, uno di quei giochi di grande arguzia e intelligenza a cui l’autore ci ha abituati, nei quali pian piano veniamo sfidati a una partita apparentemente semplice, e poi menati per il naso, contenti di esserlo.

Come un novello Zeno Cosini che non si permette di dubitare degli ordini del suo Dottor S., Sinigaglia confessa (o sembra confessare) sé stesso con diligente sincerità (la dedica “Ad Attilio Speciani che prescrisse” dà autorevolezza a questa sensazione). Ci vuole naturalmente un ordine, in tutto questo, una forma di controllo e di classificazione. E qui una vita, la sua, fatta di tanti tasselli, di tante tessere colorate e variamente luminose – ci viene presentata intus et in cute (direbbe Rousseau) attraverso l’ordine à rebours (direbbe qualcun altro) di un alfabeto rigirato come un calzino.

L’ordine alfabetico, che sia retto o retrogrado, invece di vincolare e di catalogare, invita alle divagazioni, alle infrazioni: e, attraverso le divagazioni, le affabulazioni, ci porta verso luoghi in cui sappiamo già che ci abbandonerà. Le lettere non sono come numeri: hanno un che di arbitrario, di sfuggente, si spacciano per ordine quando la loro successione è puramente convenzionale – lo sa bene l’Ezio Sinigaglia autore, ma anche il personaggio che porta lo stesso nome. All’incontrario, dunque, non è tanto un rovesciamento dell’alfabeto, o della prospettiva (in fondo, Z di Zoo equivale ad A di Animali, lo ammette da subito lo stesso autore), quanto piuttosto, si direbbe, una dichiarazione di originalità e di individualità, intrisa di echi e sapori letterari e vitali. Il nostro E. S. è un irriducibile cultore della lateralità: nel suo buen retiro sardo, approfittando della convalescenza, erige attorno a sé un edificio molto personale di amicizie, amori, letture, animali, ricordi, ossessioni, ragionamenti e sensazioni, predilezioni e antipatie. In un mondo teso allo spasimo, impaziente, frettoloso e spaventosamente approssimativo, E. S. coltiva, da vero epicureo, l’arte della dilazione, dell’attesa, della sospensione, e riesce anche a delibare l’insuccesso o, per meglio dire, la disattenzione altrui, in particolare per le sue opere, senza che questa scalfisca o faccia traballare i fondamenti etici ed estetici della sua vita. Il suo auto-esilio non ha niente di sprezzantemente aristocratico: E. S. non è un esteta decadente che sente di vivere nel tracollo di un impero: la sua curiosità del mondo non viene meno, il suo amore per la vita non subisce arresti: semplicemente, ha i suoi tempi, dilatati; all’azione (che quando compare sulla pagina, in un lemma, è sempre ricordata, rievocata, di rado registrata in diretta) predilige la contemplazione e la successiva riflessione un po’ rimuginante, à la Montaigne; ama il dialogo, che vorrebbe non finisse mai e apre alla conoscenza anche quando sembra cincischiare, ama gli elenchi e le enumerazioni, i glossari e i dizionari, è incline insomma a una visione enciclopedica del mondo – le enciclopedie di aprono, si sfogliano, si possono leggere all’incontrario, sono sempre cantieri in costruzione, si percorrono in tutti i sensi, consentono di perdercisi senza perdersi mai davvero.

P.S.: in questa scheda di lettura si ricorre a due significativi vezzi stilistici di Sinigaglia: la sovrabbondanza dei due punti, la quale dà un gusto ironicamente didascalico: e l’assenza di a-capo, che conferisce compattezza anche se, talvolta, rischia di provocare una sorta di iperventilazione. Tout se tient, insomma, anche quando si va alla deriva.

(fasc. 47, 25 febbraio 2023)

• categoria: Categories Recensioni