Il 5 gennaio 1966 Truman Capote firmò un contratto con la Random House per la pubblicazione di Preghiere esaudite (Answered Prayers), un romanzo che avrebbe dovuto descrivere i ricchi dell’alta società e della cafè society d’America. L’anticipo fu di 25.000 dollari e la data di consegna fu inizialmente concordata per il 1° gennaio 1968. Nel proporre l’opera, Capote affermò di voler scrivere la propria versione americana e moderna della Recherche di Marcel Proust. Ma quanto realmente Capote conosceva Proust e la sua opera e quanto, invece, pensava di esserne conoscitore?
Una travagliata gestazione per un (quasi) nulla di fatto
Sin dalla firma del contratto con la Random House, Preghiere esaudite è stato costantemente menzionato da Capote in interventi pubblici e interviste, sebbene l’autore ne dilatasse però sempre di più i tempi di lavorazione. Joseph M. Fox ha infatti scritto, in un’introduzione al testo americano (uscito postumo nel 1987):
Ma negli anni successivi, pur scrivendo novelle e articoli per le riviste, non lavorò al romanzo; di conseguenza, nel maggio 1969, il contratto originale fu sostituito da un accordo per tre libri che spostava la data di consegna al gennaio 1973 e aumentava in maniera consistente l’anticipo. Verso la metà del 1973, la scadenza fu rinviata al gennaio 1974, e sei mesi dopo fu di nuovo spostata al settembre 1977. (Successivamente, nella primavera 1980, la data di consegna fu fissata per il 1° marzo 1981 e fu ulteriormente aumentato l’anticipo a un milione di dollari, da pagare soltanto alla consegna dell’opera)[1].
Sebbene la lavorazione di Preghiere esaudite fosse lenta e ammantata da un alone di mistero, lo stesso Capote ha affermato nell’introduzione a Musica per camaleonti (Music for Chameleons):
Nel 1973 cominciai a lavorare a quest’opera scrivendone per primo l’ultimo capitolo (è sempre bene sapere dove si va a parare). Poi scrissi il primo, «Unspoiled Monsters». Poi il quinto, «A Serve Insult to the Brain». Poi il settimo, «La Côte Basque». E proseguii così, scrivendo i vari capitoli senza rispettarne la successione. Potei farlo solo perché la vicenda – o meglio, le vicende – erano vere, e tutti i personaggi erano reali[2].
A suo dire, quindi, l’opera era, se non conclusa, quasi del tutto portata a termine. Di questi capitoli di cui Capote parla, solo quattro hanno visto la luce: Mostri non rovinati, Kate McCloud, La Côte Basque e Mojave[3]. Non si sa che fine abbiano fatto gli altri: si pensa addirittura che non siano mai stati neppure scritti[4].
Sono varie le ipotesi sul perché Capote a un certo punto, come scrive nel settembre del 1977, abbia smesso di lavorare assiduamente a Preghiere esaudite; sicuramente non giovò al romanzo l’uscita su «Esquire» della Côte Basque, che provocò il suicidio di Anne Woodward – la modella rivide sé stessa nel personaggio della signora Hopkins e riconobbe nel racconto di Capote la propria vicenda personale: aveva ucciso il marito ed era riuscita a farla franca grazie alla testimonianza della suocera, che non voleva avere in custodia i nipoti. Dato che ancora in molti erano convinti della colpevolezza della Woodward, leggere il racconto su «Esquire» e vedere di nuovo la storia tornare a essere motivo di pettegolezzo fu troppo scioccante per lei, che decise di suicidarsi pur di evitare un’altra gogna mediatica – e la conseguente rivolta dell’intera alta società newyorkese contro lo stesso Capote; ma si deve ricordare che la psiche dell’autore era già stata fortemente provata dall’estenuante lavoro di scrittura di A sangue freddo[5], il romanzo sulla strage della famiglia Clutter che consacrò Capote come uno dei migliori scrittori americani della sua generazione.
Resta ancora difficile stabilire con certezza che fine abbiano fatto le pagine mancanti di Preghiere esaudite, ma si può affermare che l’opera sia stata in un certo senso fatale per il suo autore.
Alla ricerca di Proust nella biblioteca di Capote
Tralasciando l’impatto devastante che Preghiere esaudite ha avuto sulla vita e sull’opera di Capote[6], torniamo alla prima domanda: quanto di Proust c’è in questo romanzo? La risposta è: poco.
Prima di addentrarsi in un’analisi comparata fra l’ultima opera di Truman Capote e il capolavoro di Proust, però, può essere interessante constatare quanto lo scrittore francese sia presente, e citato, o anche semplicemente quanto venga nominato en passant dal collega americano.
Scandagliando l’epistolario di Capote, È durata poco la bellezza[7], la presenza di Proust è paragonabile a quella di una comparsa: Capote lo nomina una sola volta in una lettera a Donald Windham datata 18 agosto 1958 e in questi termini: «Ho appena finito di leggere Ancora una notte, l’ultimo di Chandler in cui Ph. Marlowe si sposa. Ora sono tornato a Proust»[8]. Non un riferimento al romanzo che stava leggendo, non un accenno a qualche aspetto che gli interessasse o che lo affascinasse: viene quasi da pensare che lo abbia citato per non citare qualcun altro.
Se la quasi totale assenza di Proust nelle lettere di Capote non dovesse bastare a instillare il dubbio nel lettore – dopotutto Ezra Pound, a cui Capote dedicò uno splendido ritratto nel 1959, non viene mai nominato –, occorre constatare che questa assenza persiste anche negli scritti di carattere saggistico: tralasciando il fatto che a Proust non viene dedicato mai né un ritratto né uno scritto qualsiasi (cosa molto strana, visto che Capote era solito scrivere di ciò che amava e, a suo dire, amava Proust), la sua presenza, oltretutto, si riduce al semplice riferimento estemporaneo e fine a sé stesso o al cliché letterario (come «per me la dolcezza della rabbia della tromba di Armstrong e l’esuberanza delle sue smorfie da ranocchio sono una delle madeleines di Proust»[9]), oppure è relegata in liste di autori letti, senza però che venga mai approfondito cosa di loro sia stato letto né quando[10].
Lo stesso accade nelle interviste, dove Proust viene nominato solo come modello o come scrittore ammirato, senza però che Capote entri mai nel merito di questa ammirazione. La prima volta che Capote menziona Proust come scrittore amato risale al 1948: si tratta di un’intervista concessa a Selma Robinson per il «Sunday Magazine»; in questo caso, Capote afferma che ama «some of Proust»[11], senza ovviamente specificare niente di più. È questo l’unico caso in cui cambia lievemente il riferimento all’autore francese; in tutti gli altri casi Capote fa il solito elenco in cui inserisce Flaubert, Turgenev, Dickens o Ĉechov. È però interessante constatare che la maggior parte dei riferimenti a Proust risalgono agli anni Sessanta e, soprattutto, Settanta[12], ovvero a un’epoca successiva alla firma del contratto con la Random House per Preghiere esaudite. Sembra quasi che volesse rendere note la propria conoscenza e l’ammirazione per Proust dopo aver presentato il romanzo in lavorazione come una versione americana della Recherche.
Se queste apparizioni sporadiche e quasi meccaniche di Proust tra le parole di Capote non bastassero a far già capire che la conoscenza di quest’ultimo era, in realtà, scarsa e labile, ci pensò Gore Vidal a sgombrare il campo da qualsiasi dubbio:
Truman era convinto che Proust avesse accumulato pettegolezzi sull’aristocrazia e ne avesse fatto letteratura. Si aggrappava a questa fantasia. Ma non aveva mai letto Proust. Una volta lo interrogai abbastanza severamente sull’argomento. Era incapace di leggere Proust: non possedeva quel tipo di concentrazione e, chiaramente, non sapeva il francese né aveva interessi storici. Non si rendeva conto che, sebbene Proust scrivesse di un mondo realmente esistito, non era assolutamente un mondo da café society. Era un mondo, un grande mondo […] di cui aveva fatto qualcosa di straordinario. Truman credeva che spettegolando sulla gente famosa e su come Mona Williams, per esempio, venisse da una famiglia di allenatori di cavalli di Lexingron, si ottenesse una storia da raccontare. Ma non conosceva neppure quel mondo abbastanza bene da scriverne. Per essere uno scrittore nella linea di Proust o, perché no, di James o di Louis Auchincloss, devi conoscere i tuoi personaggi. Lui in realtà non imparava mai nulla, il che mi lasciava sorpreso. Faceva sempre confusione. Non sapeva la differenza tra alta società e café society, una divisione esistente a quei tempi e sulla quale Proust avrebbe tessuto una ragnatela scintillante. Pensava che tutti fossero come lui: fasulli, arrampicatori, maligni[13].
Tralasciando le cattiverie gratuite di Vidal su Capote (i due si odiavano e non hanno mai nascosto l’antipatia reciproca, offendendosi pubblicamente in ogni occasione possibile), il punto è centrato: Capote non conosceva Proust, o almeno non lo conosceva abbastanza bene da poterlo prendere come modello. È probabile che Vidal sbagli nel dire che non l’aveva mai letto, ma è certo che la sua lettura della Recherche era stata approssimativa e totalmente priva di una base critica. Ciò che Capote ha preso da Proust l’ha preso da una sua personalissima idea di Proust che poco ha a che vedere con quello vero.
Nonostante la scarsa conoscenza che Capote aveva di Proust, comunque esistono dei punti in comune tra l’ultima opera di Capote e la Recherche.
Se prendiamo in esame i narratori delle due opere (P. B. Jones per Capote, Marcel per Proust), ci accorgiamo di alcune affinità evidenti: sono entrambi omodiegetici e raccontano di un’élite sociale: la high society e la café society americana nel caso di Jones, l’alta società francese (il “monde”) per Marcel. Se questo è un punto d’incontro tra i due autori, Capote cambia subito qualcosa rispetto a Proust: il suo P. B. Jones non è solo narratore dei fatti accaduti, ma è anche il protagonista assoluto del romanzo, la causa di tutti gli eventi, il fulcro della storia, cosa che non si può certo dire del Marcel proustiano, quasi uno spettatore dei fatti accaduti che talora partecipa ai fatti narrati, ma perlopiù si limita a raccontarli; è parte della storia, non è il perno su cui su basano tutti gli eventi narrati nella Recherche. Inoltre, P. B. Jones è palesemente ispirato a Capote: pur non essendo una diretta trasposizione letteraria dell’autore, ne condivide l’aspetto[14], gli atteggiamenti e tutte le conoscenze accumulate attraverso anni di frequentazioni e amicizie altolocate[15]. Al contrario, non è così semplice definire Marcel. Ha scritto, infatti, Citati:
Il narratore, questo uomo senza nome e cognome, questo essere nullo, questo ragazzo goffo e infantile, non ha niente a che fare con Proust. Nessuno potrebbe confondere la vita tragica di Proust con questa vita amorfa e spettrale, sempre ai confini dell’inesistenza; e credere che la voce eloquente, sarcastica, immaginosa dell’ambiente di boulevard Haussmann abbia qualcosa a che fare con la timida e silenziosa voce del Narratore. C’è una prova evidente. Il Narratore sembra non scrivere mai: non lo sorprendiamo mai con in mano una penna[16]; come lo accusa Charlus, è colpevole di procrastinazione. […] Subito dopo, dobbiamo dare la risposta opposta, senza dimenticare la prima. Il Narratore è Proust. Porta il suo nome, Marcel, che gli attribuisce due volte, a voce e per iscritto, Albertine. Condivide esperienze archetipiche della sua vita […]. Marcel è un personaggio antichissimo, che porta sulla spalle almeno diciassette secoli di letteratura, e coincide con una larga parte della storia del romanzo. Marcel è Lucio, l’eroe delle Metamorfosi: Wilhelm Meister, l’eroe dei Lehrjahre di Goethe; e molti altri personaggi, che discendono da loro. […] Una delle loro funzioni essenziali è quella di diventare lo specchio, dove si riflette la colorata realtà del romanzo. […] Marcel è passivo perché deve essere un lago vuoto che riceve ogni specie di esperienze: uno specchio dove tutto il mondo possa riflettersi; un testimone onnipresente, capace di spiare dietro le porte tutto ciò che accade e di ascoltare tute le parole che i personaggi pronunciano. […] Marcel, nella Recherche, non parla quasi mai: per lo più le sue domande sono delle didascalie, abbastanza sciocche[17].
In questa descrizione Citati coglie tutta la complessità del narratore della Recherche. Se paragonato alla “semplicità” di P. B. Jones – sicuro di sé, narcisista, spigliato, arrampicatore sociale, animato da un costante desiderio di affermarsi come scrittore –, Marcel è veramente un archetipo letterario più che un semplice narratore, cosa che non è possibile dire del personaggio creato da Capote, troppo legato ad aspetti biografici del suo autore per potersi smarcare da lui e aspirare all’universalità.
Lo stesso punto di vista è differente, questo anche a causa dell’esperienza biografica dei due scrittori: se Proust racconta di una società agiata di cui egli stesso faceva parte sin dall’infanzia, e che quindi conosceva benissimo, Capote decide di parlare di persone con cui era entrato in contatto solo a partire da un certo punto della sua vita e verso le quali provava un misto di ammirazione e invidia; inoltre, le sue conoscenze della high e della café society si riducevano a pettegolezzi, storie e racconti vissuti o, spesso, sentiti raccontare. Il Marcel di Proust, quindi, non solo risulta più sfaccettato e complesso come narratore, ma possiede una voce nettamente più efficace e credibile di quella di P. B. Jones, troppo spesso ricalcato sullo stesso Capote e sul suo desiderio di stigmatizzare e castigare i ricchi che frequentava attraverso pettegolezzi carpiti in anni e anni[18]. Questa volontà castigatoria, inoltre, in Proust non è presente. Il suo racconto della nobiltà francese non mira a ridicolizzarla; Capote, invece, intendeva espressamente mostrare la vacuità dei ricchi di cui scriveva.
Altro aspetto che lega Capote a Proust è certamente il tema dell’omosessualità. Preghiere esaudite è il romanzo più esplicitamente omosessuale di tutta la sua produzione; l’orientamento sessuale di P. B. Jones è chiaro al lettore sin da subito:
Sin dalla più tenera età, a sette o otto anni, avevo fatto di tutto con molti ragazzi più grandi, con qualche prete e anche con un bel giardiniere negro. Ero in effetti una sorta di marchetta da tavoletta Hershey: non erano molte le cose che non fossi disposto a fare per due soldi di cioccolata[19].
Spregiudicato, sfrontato, caratterizzato da un certo cattivo gusto e da un gergo volutamente scurrile; e questa è solo la prima di tante esternazioni di P. B. Jones. L’omosessualità non è mai celata nel romanzo di Capote, sia nel caso del protagonista sia in quello di altri personaggi (Boatwright, Fouts, il signor Wallace ecc.).
Preghiere esaudite è un romanzo estremamente sessualizzato e omosessualizzato, nel quale la matrice sessuale viene quasi esasperata (quasi tutti gli incontri di P. B. Jones si riducono a un rapporto sessuale, anche con donne, come nel caso della scrittrice Alice Lee Langam). Capote basa molto del primo capitolo (Mostri non rovinati) sul sesso. Ogni azione di P. B. Jones, ogni evento che lo riguarda, ogni suo traguardo o fallimento, ogni cosa insomma è dettata dal sesso (pubblica i primi racconti con Boatwright dopo essere stato a letto con lui, riesce a farsi pubblicare il primo libro dalla Langman dopo aver fatto sesso con lei ecc.). Contrariamente ad altre opere dove la bisessualità e l’omosessualità non erano presenti o erano a malapena accennate[20], in Preghiere esaudite Capote decide di usare l’omosessualità e la bisessualità come uno dei fulcri della vicenda. Lo stesso non si può ovviamente dire di Proust. Nella Recherche, infatti, l’omosessualità è sì presente, ma non è così centrale nel racconto. Anzi, il personaggio più smaccatamente omosessuale dell’opera, il Barone di Charlus, è un personaggio molto difficile da definire, a metà tra maschera comica e personaggio tragico a cui toccano in sorte molte sofferenze, ma queste stesse sofferenze, di cui si lamenta in continuazione, lo portano a ridiventare una macchietta ridicola, come sottolinea Stefano Brugnolo:
[Charlus] è dotato di un’altissima coscienza di classe, solo che diversamente dalla principessa pretenderebbe che questa sua supremazia venisse riconosciuta anche da quegli individui che lo attraggono sessualmente e che però sono del tutto insensibili al suo prestigio aristocratico[21]. Ne deriva che il barone è continuamente costretto a ricordare loro chi sia, e a pretendere una dedizione che in realtà poi non può ottenere se non con il denaro. Ciò lo espone al ridicolo ma lo rende anche figura patetica[22].
Anche il famoso incontro tra Charlus e Jupien descritto da Proust nelle prime pagine di Sodoma e Gomorra risulta difficile da contestualizzare e analizzare. Già il titolo, Prima apparizione degli uomini-donne, discendenti da quegli abitanti di Sodoma che furono risparmiati dal fuoco celeste, crea nel lettore un senso di straniamento. Proust rimanda alla biblica città di Sodoma, punita per gli atti omosessuali compiuti dai suoi abitanti, e quindi pone subito l’omosessualità sul piano della colpa. Inoltre, la descrizione degli atteggiamenti effeminati di Charlus sfiora il macchiettistico fino alla frase più ardita: «Avete un culo che è una meraviglia!»[23]. Pur essendo nota ed evidente, l’omosessualità di Charlus è però ignorata da Marcel fino al giorno in cui spia durante il suo incontro con Jupien. La sua ingenuità lo ha portato a ignorare, volutamente o meno, ciò che era evidente agli occhi di chiunque lo volesse vedere:
Fin dal principio di questa scena, per i miei occhi smagati una rivoluzione s’era operata nel signor di Charlus, così completa e immediata come s’egli fosse stato toccato da una bacchetta magica. Fin allora, dato che non avevo compreso, io non avevo veduto. Il vizio (ci si esprime così per comodità di linguaggio) il proprio vizio accompagna ciascuno al modo di quel genio che restava invisibile per gli uomini finché essi ignoravano la sua presenza. […] Inoltre adesso comprendevo perché, poco prima, quando l’avevo visto uscire dalla signora di Villeparisis, mi era sembrato che il signor di Charlus somigliasse a una donna: era una donna! Egli apparteneva alla razza di quegli esseri meno contraddittori di quel che non sembrino, il cui ideale è virile appunto perché hanno un temperamento femminile, e che nella vita sono soltanto in apparenza simili agli altri uomini […]. Razza su cui grava una maledizione, e costretta a vivere nella menzogna e nello spergiuro, poiché sa come sia reputato colpevole, inconfessabile, vergognoso il suo desiderio, quel che per ogni altra creatura costituisce la più grande dolcezza di vivere[24].
Una disamina dell’omosessualità, quella di Proust, all’apparenza estremamente arretrata e accusatoria, nel corso della quale vengono usati termini anche forti («vizio» su tutti), ma che in realtà non è priva di empatia (dopotutto, come potrebbe essere altrimenti?). Se Charlus è a tutti gli effetti una tante, quello che Burroughs avrebbe definito queer (e che in italiano trova il corrispettivo nell’ancora più volgare “checca”), Proust non dà giudizi morali, anzi mostra il destino sfortunato di questi uomini «meno contraddittori di quel che non sembrino», pur portando argomentazioni che oggi possono apparirci vetuste e stereotipate. Pur essendo, dunque, più complessa la rappresentazione omosessuale di Proust, con tutte le sue contraddizioni, rispetto a quella di Capote, si può affermare che i due scrittori non differiscano nella sostanza: non c’è giudizio morale e non c’è colpevolizzazione; c’è semmai, nel caso di Proust, una sorta di ambiguità rispetto all’omosessualità[25], forse una specie di reticenza a trattare un tema ancora tabù ai suoi tempi, reticenza che ovviamente Capote non ha, visto che fra la Recherche e Preghiere esaudite la tematica omosessuale era stata ampiamente sdoganata da altri autori.
Un altro aspetto che Capote non ha considerato della Recherche è quello politico. Pur essendo apparentemente un’opera non di stampo politico, il romanzo di Proust è punteggiato da continue allusioni a vari personaggi esistenti e a eventi di cronaca, uno su tutti l’affaire Dreyfus, sua vera e propria ossessione. L’affaire viene utilizzato da Proust non tanto per parlare dell’evento in sé, quanto per mostrare le posizioni prese nei vari salotti parigini[26]; attraverso un fatto di cronaca noto al mondo intero (forse il primo grande caso politico a diventare un caso mediatico globale), Proust tratteggia pensieri, pose e posizioni politiche e ideologiche di una classe sfaccettata e varia come la nobiltà francese. Questo aspetto è assente in Preghiere esaudite, dove l’attualità americana non solo è quasi del tutto ignorata, ma – in quei rari casi in cui viene raccontata – è per di più ridotta a chiacchiericcio e pettegolezzo (il caso della Woodward). Non ci sono riferimenti alla scena politica, sebbene Capote avesse avuto la possibilità di ottenere informazioni su vari personaggi politici nazionali e internazionali[27]; anzi, tutto viene raccontato come fosse un continuo chiacchiericcio, il che finisce con lo svilire ogni racconto (non come nel caso di A sangue freddo, dove tutto è documentato in modo meticoloso e preciso da Capote, che non appare mai nel romanzo e che nasconde la propria voce dietro quella di un narratore impersonale e onnisciente).
Conclusioni
In conclusione, è possibile affermare che Truman Capote non abbia realmente compreso la profondità e la complessità dell’opera di Marcel Proust, ma che, per il suo Preghiere esaudite, si sia limitato ad accostare il proprio nome a quello del grande autore francese più per dar lustro al proprio prestigio personale e per via di una visione semplicistica della Recherche – da lui vista come un gigantesco romanzo sui ricchi francesi – che in virtù di una vera e propria affinità. A Preghiere esaudite mancano, infatti, troppi elementi e troppe dinamiche perché la si possa definire una versione americana dell’opera proustiana. Ciononostante, non è possibile dire con certezza che Capote non conoscesse affatto l’opera di Proust, dato che alcuni aspetti del suo ultimo romanzo muovono da intuizioni che Proust ha avuto o da tematiche che ha trattato. Forse, il giorno in cui verrà ritrovato il manoscritto completo, potremo dire che davvero Capote aveva scritto una personale rivisitazione della Recherche, ma ad oggi, sulla base dei tre capitoli pubblicati possiamo solo constatare che paragonare Preghiere esaudite all’opera di Proust è stata l’ennesima esagerazione di Truman Capote.
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J. M. Fox, Introduzione a T. Capote, Preghiere esaudite [1987], Milano, Garzanti, 2020, p. XVII. ↑
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T. Capote, Prefazione a Id., Musica per camaleonti, Milano, Garzanti, 1980, pp. 13-14. ↑
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Quest’ultimo poi disconosciuto dallo stesso Capote che lo ha inserito in Musica per camaleonti come fosse un racconto a sé stante. ↑
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Anche se l’amica intima di Capote Joanne Carson ha affermato: «Io so che esistono. Sono in una cassetta di sicurezza; io avevo la chiave della cassetta, che ho dato ad Alan Schwartz. Ma il problema è che sulla chiave non c’è il numero. Me la diede la mattina che morì. […] Io ne avevo letto tre capitoli. Molto lunghi. Uno s’intitolava «Il Nigger Queen Kosher Cafè», un posto a Long Island. Quello era il capitolo finale. Un altro era «Yacht e altre cose», sulla bella gente di New York che mangia verdura in miniatura, su persone che usano il denaro per creare un quadro come gli artisti usano i colori a olio. L’altro si intitolava «E Audrey Wilder ha cantato» […]» (G. Plimpton, Truman Capote. Dove diversi amici, nemici, conoscenti e detrattori ricordano la sua vita turbolenta [1997], Milano, Garzanti, 2014, pp. 418-19). ↑
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Le lettere inviate da Capote in quel periodo fanno costante riferimento al suo nervosismo e all’impazienza di chiudere l’opera, ma anche all’impossibilità di farlo prima della conclusione del processo contro Smith e Hickock. A tal proposito, si rimanda alla biografia di Capote curata da Gerald Clarke, Capote: a Biography, New York, Simon and Schuster, 1988. ↑
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Per approfondire questo aspetto si rimanda all’ottimo saggio di William Todd Schultz: Tiny Terror: Why Truman Capote (Almost) Wrote Answered Prayers (Oxford, Oxford University Press, 2011). ↑
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T. Capote, È durata poco la bellezza. Tutte le lettere, a cura di G. Clarke, trad. it. di F. Balducci, Milano, Garzanti, 2021. ↑
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Ivi, p. 332. ↑
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T. Capote, Louis Armstrong [1959], in Id., Giardini nascosti. Ritratti e osservazioni, Milano, Garzanti, 2022, p. 285. ↑
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«Gli autori americani che avevano avuto maggior peso su di me erano, e li elenco senza un ordine particolare, James, Twain, Poe, Willa Cather, Hawthorne, Sarah Orne Jewett; e, oltreoceano, Flaubert, Jane Austen, Dickens, Proust, Ĉechov, Katherine Mansfield, E.M. Forster, Turgenev, Maupassant ed Emily Brontë» (T. Capote, Una voce da una nube [196], in Id., Giardini nascosti. Ritratti e osservazioni, op. cit., p. 357); e ancora: «Non mi sono mai piaciuti i romanzi di Gore Vidal, ma l’altra sua produzione è di prim’ordine. Idem per James Baldwin. Ma da una decina d’anni preferisco leggere autori che conosco già. Vado sul sicuro. Proust, Flaubert, Jane Austen, Raymond Chandler» (T. Capote, Autoritratto [1972], in Id., Giardini nascosti. Ritratti e osservazioni, op. cit., p. 377). ↑
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T. Capote, The Legend of “Little T” [1948], in Id., Conversations [1987], a cura di M. Thomas Inge, Jackson–London, University Press of Mississippi, 2019, p. 12. ↑
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Dal 1948 al 1966 Proust viene nominato solo in cinque interviste, mentre tra il 1966 e il 1975 Capote lo nomina undici volte. ↑
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G. Plimpton, Truman Capote. Dove diversi amici, nemici, conoscenti e detrattori ricordano la sua vita turbolenta, Milano, Garzanti, 2014, pp. 412-13. ↑
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«Un po’ piccolino, uno e sessantotto (poi uno e settanta), ma robusto e ben proporzionato, con capelli biondo-castani ricciuti, occhi castani screziati di verde e un viso drammaticamente angoloso» (T. Capote, Preghiere esaudite, op. cit., p. 9): sembra di leggere una descrizione di un giovane Capote (ricci a parte). ↑
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«Pure Answered Prayers non è inteso come un qualsiasi roman à clef, una forma in cui i fatti sono mascherati da cose immaginarie. Il mio intento è quello opposto: togliere le maschere, non fabbricarle» (T. Capote, Prefazione a Id., Musica per camaleonti, op. cit., p. 14). ↑
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Cosa che invece P. B. Jones afferma di fare subito nella prima pagina: «Ora infatti sto scrivendo su carta intestata della YMCA» (T. Capote, Preghiere esaudite, op. cit., p. 7). ↑
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P. Citati, La colomba pugnalata. Proust e la «Recherche» [1995], Milano, Adelphi, 2008, pp. 255-58. ↑
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Esempio perfetto delle malignità di Capote è La Côte Basque, capitolo quasi interamente costruito sui dialoghi tra P. B Jones e una serie di donne (dietro le quali si celano i famosi “Cigni” dello stesso Capote, le sue amiche più fidate), nel quale viene riportata alla luce la vicenda della Woodward. Capote non lesina espressioni pesanti («Chi sgualdrina nasce, sgualdrina rimane» [T. Capote, Preghiere esaudite, op. cit., p. 148]), illazioni spacciate per verità assolute («Questo è quello che raccontò lei. E che disse il suo avvocato. E che disse la polizia. E che dissero i giornali… persino il “Times”. Ma non è quello che accadde» [ivi, p. 149]); e basa tutto il racconto, che a suo dire dovrebbe essere rappresentazione della verità assoluta, sulla sua approssimativa conoscenza dei fatti e su vari pettegolezzi collezionati in anni di salotti. ↑
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Ivi, p. 9. ↑
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In Colazione da Tiffany, Holly Golightly è bisessuale, ma Capote, in tutto il romanzo, si limita ad alludere a questo aspetto. ↑
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«Con i giovani dell’alta società, per esempio, io non desidero nessun possesso fisico, ma non sono tranquillo che quando li ho toccati non voglio dire materialmente, ma toccato la loro corda sensibile. Quando, finalmente, invece di lasciare le mie lettere senza risposta, un giovanotto non cessa più di scrivermi ed è a mia disposizione morale, io sono in pace, o almeno lo sarei, se ben presto non fossi afferrato dalla preoccupazione d’un altro. Piuttosto strano, non è vero? A proposito dei giovani dell’alta società, tra quelli che vengono qui, ne conoscete nessuno?» (M. Proust, Sodoma e Gomorra [1921], traduzione it. di E. Giolitti, Torino, Einaudi, 1967, p. 16). ↑
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S. Brugnolo, Dalla parte di Proust, Roma, Carocci, 2022, p. 178. ↑
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M. Proust, Sodoma e Gomorra, op. cit., p. 14. ↑
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Ivi, pp. 18-20. ↑
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In Proust sono presenti anche casi di omosessualità femminile (Albertine), cosa che invece in Preghiere esaudite è a malapena accennata. Capote è interessato solo all’omosessualità maschile. ↑
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«Politicamente parlando, Proust era tutt’altro che agnostico o indifferente. Egli era invece totalmente, militarmente dalla parte di Dreyfus, e certo non solo per ragioni familiari (la madre era ebrea), ma per ragioni di verità e giustizia» (S. Brugnolo, Dalla parte di Proust, op. cit., p. 178). ↑
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Era amico di Marella Agnelli (forse il capitolo Yacht e altre cose doveva essere ambientato sullo yacht degli Agnelli) e intimo di Marilyn Monroe: risulta difficile pensare che non avesse mai discusso con nessuna delle due di Gianni Agnelli o dei Kennedy. ↑
(fasc. 46, 30 dicembre 2022)