Nella ormai corposa bibliografia dedicata alla figura di Angelo Maria Ripellino vengono messe in luce le molte sfaccettature della sua personalità e il suo multiforme ingegno, che si è prodigato nel corso dei cinquantacinque anni della sua operosa esistenza in vari campi, dalla traduzione alla saggistica alla critica teatrale (com’è noto, ha tenuto anche una rubrica teatrale su «L’Espresso» dal 1972 al 1977). Proprio per questo, numerosi sono gli aspetti ancora da indagare di questo grande laboratorio (tra le varie recenti iniziative, segnalo il convegno di Ragusa del 2017 Angelo Maria Ripellino e altri ulissidi”)[1].
La con-fusione tra le figure di studioso, traduttore e poeta in una sola persona[2] non è cosa del tutto originale nel panorama del Novecento italiano. Ottimo latinista, poeta e traduttore è stato anche Luca Canali; lo stesso dicasi per il grande ispanista Francesco Tentori Montalto (entrambi sono nati, vissuti e morti a Roma), il quale ha saputo coltivare, parallelamente alle traduzioni, anche una propria vena poetica testimoniata dalla pubblicazione di numerose raccolte di poesia. La figura di Angelo Maria Ripellino, però, se da una parte presenta analogie con quella dei due menzionati poeti-traduttori (i quali hanno raggiunto in entrambi i campi risultati di assoluta eccellenza), se ne distingue per diversi motivi.
Ripellino nasce nel 1923 a Palermo in seno a una famiglia della media borghesia. Carmelo, il padre, è un insegnante di lettere con ambizioni letterarie e passioni teatrali (scrisse e pubblicò diverse raccolte di poesia e testi teatrali); Vincenza Maria, la madre, titolare di una farmacia. Nel 1937 la famiglia si trasferisce a Roma (Carmelo aveva ottenuto una cattedra al liceo “Giulio Cesare” di Corso Trieste).
Nel 1943, a vent’anni, il giovane Angelo comincia a scrivere, e occasionalmente a pubblicare su riviste della capitale poesie, racconti, brevi saggi e recensioni. A quest’epoca risalgono due fatti che condizionano in modo decisivo il corso della sua esistenza: proprio mentre si manifestano i primi segni della tubercolosi, diviene allievo di Ettore Lo Gatto, il quale gli trasmette la passione per il mondo slavo, a cui il giovane studente di lettere indirizza gli studi (si laurea nel 1945 con una tesi sulla poesia russa). Al 1946 risale un soggiorno a Praga, come lettore all’Istituto italiano di cultura. In questa occasione conosce Ela (Elisa) Hlochová, che nel 1947 sposerà e che diventerà la compagna della sua vita. I due formano un sodalizio fecondo anche dal punto di vista intellettuale (i due coniugi, infatti, collaborano a molte traduzioni di autori cechi).
Nel 1950 Ripellino pubblica per le edizioni Argo, in quattrocento copie, la Storia della poesia ceca contemporanea. Si tratta di un lavoro assolutamente pionieristico, frutto di uno studio approfondito, ma anche di contatti e rapporti personali con i protagonisti di una stagione poetica indimenticabile[3], sulla quale però, anche nella Cecoslovacchia, dopo il 1948 (anno in cui si instaura un regime stalinista) era calato il sipario. In Italia, prima di Ripellino nessuno aveva mai sentito parlare delle avanguardie boeme, della stagione del poetismo e del surrealismo ceco. E non c’era molto interesse verso un paese come la Cecoslovacchia, considerato perlopiù semplicemente come un satellite dell’URSS.
Ben diversa è l’accoglienza riservata all’antologia Poesia russa del Novecento uscita nel 1954 per i tipi della Guanda (nel 1955 gli viene tributato il premio Selezione Marzotto). Mentre per le versioni dal russo Ripellino è solo uno dei notevoli traduttori, affiancato in questo ruolo da Renato Poggioli, autore di ottime versioni metriche, e da Tommaso Landolfi (oltre che da Ettore Lo Gatto), si può dire che per le traduzioni dal ceco egli sia stato a lungo l’unico traduttore. Storia della poesia ceca contemporanea, ristampato nel 1981 dalle Edizioni E/O e nel 2022 da Marsilio, rappresenta un episodio veramente unico non solo negli studi boemistici, ma anche per quanto riguarda la ricezione della poesia ceca all’estero. Se oggi i nomi di Seifert, Holan e Nezval non sono del tutto ignoti, lo si deve a questa pionieristica pubblicazione, che li ha fatti conoscere all’estero proprio mentre in Cecoslovacchia il rullo compressore del realismo socialista stava passando sopra l’eco di quei fermenti e delle creazioni artistiche legate alla stagione delle avanguardie boeme tra le due guerre.
Si può affermare che la monografia in questione, frutto di contatti, scambi e frequentazioni personali, rappresenti un punto di svolta anche per la poetica di Ripellino? La risposta passa per un vaglio, seppure sommario, delle sue primissime pubblicazioni, riproposte negli anni su alcune riviste[4]. Vale la pena citare la testimonianza di un amico di Angelo Maria fin dai tempi degli studi universitari, Francesco Tentori Montalto, il quale ha scritto:
Il primo periodo della poesia di Ripellino fu essenzialmente diverso dai successivi e alieno dalle connotazioni grottesche e ironico-patetiche – in una parola espressionistiche – che, insieme a un controcanto ironico e più intimo e struggente, l’hanno poi accompagnato per tutto il corso del suo crescere e manifestarsi. Erano, quei versi, intrisi di giovanile malinconia, formalmente tradizionali ma di una tradizione rivissuta e tornata a inventare, gremiti di immagini e di metafore, e animati da una musica, più che musicalità, che aveva qualcosa di stregante[5].
Proprio accostando questi versi giovanili con quelli della Fortezza d’Alvernia, la raccolta che esce per Rizzoli nel 1967 e che segna l’esordio ufficiale di Ripellino poeta (la sua precedente raccolta Non un giorno ma adesso era uscita nel 1960 ma in forma semiclandestina), possiamo misurare il cammino e il percorso del poeta. Sono passati diciassette anni dall’uscita di Storia della poesia ceca contemporanea e Ripellino ha pubblicato, oltre al monumentale saggio-antologia Poesia russa del Novecento (a cui nel 1957 è seguita la pubblicazione delle sue traduzioni delle Poesie di Boris Pasternak per i tipi Einaudi), anche il memorabile saggio Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia edito da Einaudi nel 1959 (vale la pena ricordare che in quegli anni la parola “avanguardie” conservava ancora un valore polemico) e nel 1966, dopo molte insistenze, è uscita la sua traduzione di Una notte con Amleto di Vladimir Holan.
Ma, se da una parte è difficile negare l’esistenza di un’osmosi fra il traduttore e il poeta, è altrettanto difficile determinare chi e cosa sia entrato nella poetica di Ripellino. Ha scritto Nunzio Zago:
Va sottolineato che Ripellino, mentre rivendica a sé un’anagrafe intellettuale controcorrente, un’anagrafe ancorata alle avanguardie storiche europee, con la peculiare curvatura proveniente, in lui, dal simbolismo e dal cubo-futurismo slavo, mette in campo una serie di motivi che rimarranno più o meno costanti nel suo repertorio: l’immagine chagalliana del violino come metafora della poesia, della sua leggerezza visionaria; l’idea simbolico-decadente dell’artista come «clown» o «fool», in contrasto con la moderna società dei consumi, marginale, privo d’un ruolo riconosciuto e perciò immune dai conformismi ideologici, capace di dire la verità della vita meglio di altri apparentemente più accreditati e di «tenere a bada la morte» con le sue invenzioni formali, con l’acceso «barocchismo”, con un «esercizio di giocoleria e di icarismo sul filo dello spasimo[6].
Molti, quindi, sono stati i fiumi e le sorgenti da cui ha attinto Ripellino. La frequentazione di Boris Pasternak, che Ripellino ha avuto la fortuna di conoscere personalmente, ha di certo lasciato una chiara impronta anche nella sua creazione poetica. Del poeta di Peredelkino Ripellino aveva tradotto una scelta di liriche tratte per lo più dalle prime raccolte, quelle più legate alla militanza futurista (Pasternak fu membro del gruppo dei poeti futuristi “Centrifuga”, attivo tra il 1913 e il 1917). Nell’Introduzione lo stesso Ripellino scriveva: «le liriche pasternakiane si distinguono per uno straordinario virtuosismo fonetico. Vi sono quartine nelle quali gruppetti di parole stridenti, attraendosi per somiglianza sonora, intrecciano un molteplice ordito di rauchi fonemi, che sconfina nel rebus, nel giuoco astratto»[7]. Possiamo individuare un analogo principio compositivo anche nelle liriche del palermitano. Si può citare, a mo’ di esempio, l’ottava lirica di Notizie dal diluvio:
Frittelle di auto schiacciate e invase dall’erba,
rocce terziarie di lamine compresse,
cofani storti da artrite, mostri che mostrano
le masserizie, bava di benzina,
isterici campi di sedili sventrati,
bolle, cancheri, fistole, croste di carrozzerie,
sportelli hidropici, orbi fanali, ferrugini
zoppi carrocci, catorci da beccai,
macinini che sfiatano mestruo, cruscotti cariati,
barcacce coperte di tartaro, tronfi trabiccoli,
lebbra e rogna di un esilio insonne.
Che importa? Avanti, avanti: ubriachi,
come Davide sulla via di Sionne[8].
Ma accanto a Pasternak sicuramente dobbiamo mettere un altro grande futurista russo, Velimir Chlebnikov, l’inventore della “zaum’”, la lingua “transmentale” basata proprio sull’elemento fonetico, uno sperimentatore avanguardista che Ripellino ha amato e tradotto. Questa capacità di giocare con i suoni, abbandonandosi all’ipnotica reiterazione delle assonanze, è senza dubbio una delle caratteristiche della poetica di entrambi.
Allo stesso modo, tra le fonti a cui si abbevera il palermitano, possiamo sicuramente includere i poeti cechi, conosciuti molto tempo prima della stesura della sua prima monografia. Dobbiamo tenere anche in considerazione che nel 1950, quando è uscita la sua Storia della poesia ceca, l’autore aveva pubblicato qualche poesia su alcune riviste. Dopo diciassette anni, con La fortezza d’Alvernia, ci troviamo di fronte a un poeta maturo, che si mette subito in luce grazie alla raffinata e originale fattura delle sue liriche. Nella maturazione artistica di Ripellino, la tappa praghese rappresenta un passaggio fondamentale. Nunzio Zago, nel citato saggio, a proposito del professore palermitano parlava di “barocchismo”. È possibile ipotizzare che il giovane studente, appena laureato a Roma, abbia (ri)trovato a Praga il barocco che già conosceva attraverso le sue radici siciliane, attraverso la mediazione delle avanguardie boeme, che lo avevano (ri)scoperto al termine di un lungo percorso che era partito da Apollinaire e dal poetismo e che era passato per il surrealismo.
Tra i poeti cechi che ha avuto modo di conoscere e tradurre, uno dei più vicini alla sua sensibilità è František Halas, del quale ha affermato: «Halas congrega nei suoi versi una selva di horrific minutiae, una fittissima attrezzeria cineraria che ti fa correre il freddo per le ossa. Il suo lessico sembra mutato dal linguaggio dei vespilloni: vermi, argilla, becchino, colombario, obitorio, tumulo, sepolcro, tomba, feretro, ossario sindone, estrema unzione»[9]. Invece, a proposito dei suoi lontani ricordi della Sicilia, nel 1975 Ripellino ha scritto: «Dell’infanzia insulare mi porto dietro un fagotto di emblemi: il ricordo di dolci comprati alla ruota del monastero, le stanze mortuarie con le salmodianti comari in nero, i presepi con arance e lumie, il basso continuo della tristezza, che pende dai nostri occhi come le cispe di un tracoma e una certa pagliacceria fanfarona»[10].
Esiste una sorprendente consonanza tra la poetica di Halas e quella di Ripellino, tanto che la sua versione italiana a volte potrebbe essere benissimo scambiata per una poesia del palermitano. Possiamo citare, a titolo di esempio, la lirica Paesaggio velenoso:
Nelle agate oleose di acque funeste
un fiore più laido di un morbo si allarga
e gelatina di rospi abominevoli
La strada maneggio di spettri striscia scabiosa
solo un ronzio velenoso di mosche carnarie
l’erbaio gialleggia impuro come calunnia
Della propria laidezza si consola con l’arte
qui il sole incendiando dovunque la desolazione
e gioielli di coleotteri martella dalle carogne
Il contagio maligno si estende fino alle nuvole
gelosamente conservano la loro pioggia
e nel tramonto livido si uccidono gli scorpioni[11].
Allo stesso modo, quando, a proposito di Halas, Ripellino parla della grande influenza che ebbe sul poeta ceco l’espressionista tedesco Georg Trakl, è come se stesse parlando nello stesso tempo di una delle fonti a cui il suo immaginario si è abbeverato. Il palermitano ha scritto in proposito: «Ho sempre vagheggiato di trovare un punto di incontro fra la lezione dei moderni lirici slavi, tedeschi, francesi, di cui mi sono imbevuto e i congegni, le meraviglie del nostro barocco»[12]. Tra i poeti cechi da lui amati e tradotti, Halas è quello che si è avvicinato di più a questo immaginario punto di incontro da lui vagheggiato. Il volume delle traduzioni di Ripellino Imagena, uscito nel 1971, rivela al lettore italiano un autore poco conosciuto, scomparso nel 1949. Nell’Introduzione Ripellino, con la sua solita maestria, traccia un memorabile ritratto del poeta morente:
Lo ricordo negli ultimi mesi, quando ormai andava da stregoni e da semplicisti in cerca di guarigioni: ricordo i suoi trasognati occhi cerulei, l’alta fronte con un organetto di rughe. Dopo il colpo di stato del 1948, mentre lo stalinismo già volpeggiava negli arcani casamenti di Kafka, Halas, deluso e spaurito nel baratro in cui il comunismo veniva precipitando, ripeteva agli amici: «ho ingannato la gente»[13].
La pubblicazione di Imagena coincide cronologicamente con l’uscita di Sinfonietta, la più corposa raccolta di poesie di Ripellino, che risale al 1972, nella quale confluiscono l’amarezza e la disillusione legate all’invasione della Cecoslovacchia dell’agosto del 1968[14] (analoga a quella vissuta dal poeta ceco nel 1948). L’intera silloge è pervasa da un senso di morte legato anche alla sua salute sempre più compromessa. «In questa desolata landa di spettri il poeta si riconosce, e spesso si rivolge a se stesso, all’insieme dei suoi malanni, mostrando il lato più debole della propria poesia, piegata da un barocchismo cinereo e oscuro»[15], ha commentato a proposito Federico Lenzi. Tra gli spettri che accompagnano Ripellino in queste sue peregrinazioni, ci sono sicuramente i suoi amati poeti cechi.
- Angelo Maria Ripellino e altri ulissidi, a cura di Nunzio Zago, Alessandra Schininà, Giuseppe Traina, Leonforte (EN), Euno edizioni, 2018. ↑
- Si veda in proposito anche il capitolo Le quattro stagioni di Praga, in L. Pompeo, Le città della poesia, Roma, Ensemble, 2022; A. Fo, Trent’anni dopo: Ripellino in ‘Tutte le poesie’, in A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde, Torino, Einaudi, 2007; D. Puccini, Angelo Maria Ripellino, in Poesia italiana (volume secondo), a cura di Piero Gelli e Gina Lagorio, Milano, Garzanti, 1980. ↑
- Scrive Annalisa Cosentino in Alchimie di Praga, postfazione alla recente edizione di Storia della poesia ceca contemporanea, Venezia, Marsilio, 2022, p. 236: «Nello scrivere il suo primo libro Ripellino, voracissimo lettore, acquisì una grandissima quantità di informazioni aggiornate, al punto da essere in parte inedite. Come testimonia la corrispondenza che lo slavista italiano intratteneva con artisti e intellettuali cechi, conservata con cura dalla moglie Ela Hlochová, oggi custodita presso l’Università di Roma “La Sapienza” e recentemente pubblicata a Praga, alle molte domande che sorgevano durante la stesura del libro l’autore trovava un risposta diretta, poiché interpellava i protagonisti della stagione culturale che andava raccontando». ↑
- Ad esempio, in «Lunarionuovo», a. VII, n. 29, marzo-aprile 1984, a cura di F. De Nicola. ↑
- F. Tentori Montalto in «Nuova Rivista Europea», III, 10-11, marzo-giugno 1979, p. 104, ristampato in F. Pappalardo La Rosa, Lo specchio oscuro, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2004, p. 145. ↑
- N. Zago, Ripellino poeta, Lo splendido violino verde, in Angelo Maria Ripellino e altri ulissidi, a cura di Nunzio Zago, Alessandra Schininà, Giuseppe Traina, op. cit., p. 30. ↑
- A. M. Ripellino, Introduzione a B. Pasternak, Poesie, Torino, Einaudi, 1959, p. XII. ↑
- A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde, Torino, Einaudi, 2007, p. 22. ↑
- A. M. Ripellino, Introduzione a F. Halas, Imagena, Torino, Einaudi, 1971, p. 12. ↑
- A. M. Ripellino, Di me, delle mie sinfoniette, in Id., Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde, op. cit., p. 293. ↑
- F. Halas, Imagena, op. cit., p. 79. ↑
- Ivi, p. 295. ↑
- A. M. Ripellino, Introduzione a F. Halas, Imagena cit., p. 9. ↑
- Si veda in proposito la lirica 31, «L’ignavo non soffre i desolamenti di Praga, / che hanno straziato la carne del secolo», in A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde cit., p. 135. ↑
- Ivi, p. 100. ↑
(fasc. 50, 31 dicembre 2023, vol. II)